Gelosia
di
Suve
genere
etero
“Era una notte buia e tempestosa”.
Quante volte avrò udito o anche detto questa frase fatta? Eppure questa notte, ora, in cui mi trovo chiuso nell’abitacolo della mia auto, fermo sotto un lampione guasto ad una ventina di metri da casa di Patrizia, “E’” una notte buia e tempestosa.
Come sono arrivato a ridurmi a questo?
E’ cominciato due mesi fa, quando mi disse che usciva con la sua amica Antonella… ed io incontrai Antonella al Megastore dove ero andato a fare acquisti poco prima che chiudesse.
In realtà non la incontrai, piuttosto mi sembrò fosse lei che ripartiva mentre io arrivavo, ma bastò per mandarmi in crisi.
Chiamai Patrizia, cosa che non facevo mai quando sapevo era impegnata, ma aveva staccato il cell. In preda all’ansia venni qui sotto casa sua per scoprire che la sua auto non c’era, e nemmeno sotto casa di Antonella ove andai subito dopo.
Girai per i locali che eravamo soliti frequentare insieme e… niente. Scornato, confuso, stanco, rientrai all’una di notte cadendo in un sonno agitato.
Non dissi nulla a Patrizia, non volevo fare brutte figure con lei, ma il dubbio rimase e si ingigantì. Diventai invadente chiedendole particolari come mai prima avevo fatto: chi fosse l’amica che non conoscevo con cui usciva una sera, dove fosse stata, chi avesse incontrato.
Si accorse del mio cambiamento e… cambiò anche lei. Dapprima mi affrontò di petto chiedendomi il perché della mia curiosità improvvisa e, al mio negare interessi particolari, divenne scostante, sul filo del rasoio così come facevo io, in modo che fosse facile negare ci fosse qualcosa di più. E la tensione tra noi due crebbe. Anche quando stavamo insieme a casa mia non era più la stessa cosa, le coccole erano più rade, il sesso meno spontaneo. Un vulcano pronto ad esplodere.
Come questa sera, feci diverse volte degli “appostamenti” con la rabbia e la paura di “coglierla in fallo”. Nulla. rientrava a casa tardi, da sola, e nemmeno le chiedevo più qualcosa per evitare di ricevere risposte generiche e, peggio, la sua occhiata tra l’adirato ed il deluso.
Piove a dirotto, fa quasi freddo e io sono qui ad aspettare che torni. Maledico la pioggia anche se mi ha permesso, anzi costretto ad avvicinarmi di più per vedere meglio. Maledico me stesso per questa gelosia che mi ha travolto e per la mia codardia nel non riuscire a parlarle in modo chiaro. Fumo, e le gocce di pioggia, rimbalzando dentro dal finestrino appena abbassato, a tratti mi colpiscono il viso. Parlo con me stesso dicendomi che sono stupido, che tra poche ore dovrò alzarmi per andare al lavoro e, ancora una volta, avrò le occhiaie ed i colleghi mi prenderanno bonariamente in giro.
Eccola.
Vedo la sua auto arrivare, fare una piccola manovra a parcheggiare sull’altro lato della strada. Mi decido, esco di corsa coprendomi con la giacca e le vado incontro.
- Ciao –
- Marco? Ma… -
Ci guardiamo in silenzio per lunghi attimi sotto l’acqua che non smette di cadere. Cerco qualcosa da dire e poi lascio che le parole escano da sole, senza filtro:
- Pat… io ci sto male… -
Lei, più pragmatica, mi dice:
- Togliamoci da qui. Vieni, entriamo nel portone. –
La seguo e entro con lei. Non chiude, e lo prendo come un invito a andare via subito, però si addossa alla parete e aspetta che io parli.
Lo faccio come un torrente in piena, come l’acqua che sento scrosciare appena fuori, come una mano che strizzi il tubetto di dentifricio per far uscire anche l’ultima molecola, e mentre lo faccio mi sento più leggero, un peso cade dal mio cuore. Resta l’ansia, la paura di ciò che mi risponderà.
Mi lascia parlare guardandomi fisso, a tratti muovendo la testa come per annuire. Un paio di volte si morde il labbro; mi osserva con aria severa e ora, ora che ho finito e ansimo aspettando la risposta alla domanda finale - mi vuoi ancora bene? – la sua espressione si fa triste e tenera. Allunga una mano a scostarmi una ciocca di capelli umida dal viso, la fa scendere in una lieve carezza e io gliela prendo, la bacio nel palmo prima di restituirgliela… e aspetto.
- Marco... Marco, era questo allora ? -
Parla lei adesso, e nella sua voce, a seconda delle parole che dice, avverto sollievo, tristezza, rimprovero. Si è accorta del mio cambiamento e non se lo sapeva spiegare. Sì, aveva anche considerato che si trattasse di gelosia ma si sentiva sicura di non avermene dato adito. Aveva addirittura pensato che io avessi un'altra.
- Come puoi aver pensato che io non ti voglia più bene? -
Conclude, e le sue labbra sono un miele che mi offre appassionatamente. Ci baciamo come non facevamo da settimane, i nostri corpi si fanno più vicini, si stringono, si avvinghiano. Le carezzo i fianchi, il seno, scendo con la mano sulle cosce e lei mi lascia fare baciandomi con più ardore. Solo quando insinuo la mano sotto la corta gonnellina mi blocca.
- No, ci sono i miei qui sopra -
E' rimpianto quello che sento nella sua voce? Lo è o voglio crederlo? Continuo a carezzarla e il mio “lui” si risveglia, preme sui pantaloni, dichiara prepotentemente di voler venir fuori.
Ci baciamo ancora per lunghi minuti.
- Pat... ti voglio -
Lo sussurro sulle sue labbra stringendola a me per quelle natiche sode che ben conosco. Lei ansima, sospira ma non cede.
- Ti voglio... -
Ripeto ancora baciandole il collo.
Pare pensarci. Sento la sua mano che si insinua tra i nostri corpi stretti. Proprio lì dove la mia urgenza si fa pressante.
- Lo sento Marco... ma non possiamo...non qui. Ti faccio un... ? -
L'offerta è allettante, il pensiero delle sue labbra intorno a me mi inebria, ma non è quello che voglio anche se sarebbe il modo più veloce per far scomparire l'adrenalina che mi scorre nelle vene.
Mi costa rifiutare ma lo faccio e in cambio ricevo la promessa di domani, ancora poche ore di attesa.
Si stacca e il mio lui urla perdendo il contatto con la sua morbida mano.
Respiro forte e il mio respiro si perde ancora tra le sue labbra. Un ultimo bacio, un ultimo stringersi a me con forza.
Forse potrei abbracciarla strettamente, insistere, e magari lei si lascerebbe andare... o forse si arrabbierebbe. Non voglio rischiare, mi basta la sua promessa che domani... tra poche ore....
Torno alla mia auto incurante della pioggia, pensando ancora al calore del suo corpo. Aziono il telecomando e mentre sto per salire ripenso che mi ha detto tanto ma non dove va e con chi...
No, non devo ricaderci, devo pensare solo a lei, alla dolcezza del suo abbraccio, al calore del suo corpo. Ancora poche ore, ancora poche ore... me lo ripeto come un mantra mentre lascio che la pioggia mi inzuppi e spenga ogni residua follia.
Quante volte avrò udito o anche detto questa frase fatta? Eppure questa notte, ora, in cui mi trovo chiuso nell’abitacolo della mia auto, fermo sotto un lampione guasto ad una ventina di metri da casa di Patrizia, “E’” una notte buia e tempestosa.
Come sono arrivato a ridurmi a questo?
E’ cominciato due mesi fa, quando mi disse che usciva con la sua amica Antonella… ed io incontrai Antonella al Megastore dove ero andato a fare acquisti poco prima che chiudesse.
In realtà non la incontrai, piuttosto mi sembrò fosse lei che ripartiva mentre io arrivavo, ma bastò per mandarmi in crisi.
Chiamai Patrizia, cosa che non facevo mai quando sapevo era impegnata, ma aveva staccato il cell. In preda all’ansia venni qui sotto casa sua per scoprire che la sua auto non c’era, e nemmeno sotto casa di Antonella ove andai subito dopo.
Girai per i locali che eravamo soliti frequentare insieme e… niente. Scornato, confuso, stanco, rientrai all’una di notte cadendo in un sonno agitato.
Non dissi nulla a Patrizia, non volevo fare brutte figure con lei, ma il dubbio rimase e si ingigantì. Diventai invadente chiedendole particolari come mai prima avevo fatto: chi fosse l’amica che non conoscevo con cui usciva una sera, dove fosse stata, chi avesse incontrato.
Si accorse del mio cambiamento e… cambiò anche lei. Dapprima mi affrontò di petto chiedendomi il perché della mia curiosità improvvisa e, al mio negare interessi particolari, divenne scostante, sul filo del rasoio così come facevo io, in modo che fosse facile negare ci fosse qualcosa di più. E la tensione tra noi due crebbe. Anche quando stavamo insieme a casa mia non era più la stessa cosa, le coccole erano più rade, il sesso meno spontaneo. Un vulcano pronto ad esplodere.
Come questa sera, feci diverse volte degli “appostamenti” con la rabbia e la paura di “coglierla in fallo”. Nulla. rientrava a casa tardi, da sola, e nemmeno le chiedevo più qualcosa per evitare di ricevere risposte generiche e, peggio, la sua occhiata tra l’adirato ed il deluso.
Piove a dirotto, fa quasi freddo e io sono qui ad aspettare che torni. Maledico la pioggia anche se mi ha permesso, anzi costretto ad avvicinarmi di più per vedere meglio. Maledico me stesso per questa gelosia che mi ha travolto e per la mia codardia nel non riuscire a parlarle in modo chiaro. Fumo, e le gocce di pioggia, rimbalzando dentro dal finestrino appena abbassato, a tratti mi colpiscono il viso. Parlo con me stesso dicendomi che sono stupido, che tra poche ore dovrò alzarmi per andare al lavoro e, ancora una volta, avrò le occhiaie ed i colleghi mi prenderanno bonariamente in giro.
Eccola.
Vedo la sua auto arrivare, fare una piccola manovra a parcheggiare sull’altro lato della strada. Mi decido, esco di corsa coprendomi con la giacca e le vado incontro.
- Ciao –
- Marco? Ma… -
Ci guardiamo in silenzio per lunghi attimi sotto l’acqua che non smette di cadere. Cerco qualcosa da dire e poi lascio che le parole escano da sole, senza filtro:
- Pat… io ci sto male… -
Lei, più pragmatica, mi dice:
- Togliamoci da qui. Vieni, entriamo nel portone. –
La seguo e entro con lei. Non chiude, e lo prendo come un invito a andare via subito, però si addossa alla parete e aspetta che io parli.
Lo faccio come un torrente in piena, come l’acqua che sento scrosciare appena fuori, come una mano che strizzi il tubetto di dentifricio per far uscire anche l’ultima molecola, e mentre lo faccio mi sento più leggero, un peso cade dal mio cuore. Resta l’ansia, la paura di ciò che mi risponderà.
Mi lascia parlare guardandomi fisso, a tratti muovendo la testa come per annuire. Un paio di volte si morde il labbro; mi osserva con aria severa e ora, ora che ho finito e ansimo aspettando la risposta alla domanda finale - mi vuoi ancora bene? – la sua espressione si fa triste e tenera. Allunga una mano a scostarmi una ciocca di capelli umida dal viso, la fa scendere in una lieve carezza e io gliela prendo, la bacio nel palmo prima di restituirgliela… e aspetto.
- Marco... Marco, era questo allora ? -
Parla lei adesso, e nella sua voce, a seconda delle parole che dice, avverto sollievo, tristezza, rimprovero. Si è accorta del mio cambiamento e non se lo sapeva spiegare. Sì, aveva anche considerato che si trattasse di gelosia ma si sentiva sicura di non avermene dato adito. Aveva addirittura pensato che io avessi un'altra.
- Come puoi aver pensato che io non ti voglia più bene? -
Conclude, e le sue labbra sono un miele che mi offre appassionatamente. Ci baciamo come non facevamo da settimane, i nostri corpi si fanno più vicini, si stringono, si avvinghiano. Le carezzo i fianchi, il seno, scendo con la mano sulle cosce e lei mi lascia fare baciandomi con più ardore. Solo quando insinuo la mano sotto la corta gonnellina mi blocca.
- No, ci sono i miei qui sopra -
E' rimpianto quello che sento nella sua voce? Lo è o voglio crederlo? Continuo a carezzarla e il mio “lui” si risveglia, preme sui pantaloni, dichiara prepotentemente di voler venir fuori.
Ci baciamo ancora per lunghi minuti.
- Pat... ti voglio -
Lo sussurro sulle sue labbra stringendola a me per quelle natiche sode che ben conosco. Lei ansima, sospira ma non cede.
- Ti voglio... -
Ripeto ancora baciandole il collo.
Pare pensarci. Sento la sua mano che si insinua tra i nostri corpi stretti. Proprio lì dove la mia urgenza si fa pressante.
- Lo sento Marco... ma non possiamo...non qui. Ti faccio un... ? -
L'offerta è allettante, il pensiero delle sue labbra intorno a me mi inebria, ma non è quello che voglio anche se sarebbe il modo più veloce per far scomparire l'adrenalina che mi scorre nelle vene.
Mi costa rifiutare ma lo faccio e in cambio ricevo la promessa di domani, ancora poche ore di attesa.
Si stacca e il mio lui urla perdendo il contatto con la sua morbida mano.
Respiro forte e il mio respiro si perde ancora tra le sue labbra. Un ultimo bacio, un ultimo stringersi a me con forza.
Forse potrei abbracciarla strettamente, insistere, e magari lei si lascerebbe andare... o forse si arrabbierebbe. Non voglio rischiare, mi basta la sua promessa che domani... tra poche ore....
Torno alla mia auto incurante della pioggia, pensando ancora al calore del suo corpo. Aziono il telecomando e mentre sto per salire ripenso che mi ha detto tanto ma non dove va e con chi...
No, non devo ricaderci, devo pensare solo a lei, alla dolcezza del suo abbraccio, al calore del suo corpo. Ancora poche ore, ancora poche ore... me lo ripeto come un mantra mentre lascio che la pioggia mi inzuppi e spenga ogni residua follia.
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