Tintarella di luna
di
gabbiano
genere
etero
Avevo conosciuto Monica all’inizio dell’estate, frequentando la stessa comitiva di amici. Si era da poco lasciata col fidanzato e il frequentare quella comitiva l’aveva aiutata a distrarsi.
Pian piano era nata fra me e lei una certa confidenza, in quanto condividevamo parecchi interessi e ci piaceva stare insieme per parlare del più e del meno. Spesso ci capitava di uscire da soli per continuare con calma i nostri discorsi e le nostre confidenze senza dover sottostare ai ritmi del gruppo.
Monica era una ragazza carina, alta, esile, capelli tendenti al rosso, occhi scuri. Quella sera, come era capitato altre volte, mi telefonò e mi chiese: «Usciamo dopo cena?».
«Va bene, Monica, passo a prenderti verso le dieci.»
«Ok, a più tardi.»
Erano i primi di settembre, faceva ancora caldo. Monica indossava un abitino smanicato color salmone, corto e scollato. I capelli raccolti le lasciavano le spalle scoperte. Salì in macchina e mi inebriò col suo profumo. Facemmo un giro, quindi parcheggiai in un posto, sul lungomare, particolarmente panoramico, dove eravamo soliti fermarci per le nostre chiacchierate. Fra i tanti discorsi quella sera parlammo dell’imminente fine dell’estate, della particolarità del caldo di quell’anno, del sole, del mare, quando Monica mi disse, con voce sensuale: «Quest’anno sono diventata proprio nera... Dovresti vedere come sono bianca sotto il costume, in confronto al resto... guarda i segni…». E, dicendo così, fece per scostarsi la bretellina del reggiseno. Si notava bene come Monica fosse abbronzata anche senza vedere i segni del costume, perciò quel discorso aveva cominciato ad eccitarmi e immaginai che anche Monica fosse eccitata quanto me e che quella serata stava prendendo una piega diversa dalle altre.
«No, aspetta, non qui» le dissi pronto, «non vorrai fare vedere i segni del costume a tutti?». In realtà il posto era tranquillo, ma non abbastanza per quello che stava per accadere.
«Hai ragione, andiamo in un posto più isolato.»
Le mie supposizioni circa le intenzioni di Monica di quella sera trovarono in quella proposta una gradita conferma. Misi in moto e mi diressi verso una spiaggetta, una minuscola area sabbiosa non visibile da terra, a pochi chilometri da lì, che avevo scoperto un giorno dal mare, durante una pescata in barca con degli amici. Era un po’ difficile da raggiungere da terra, in quanto bisognava superare una serie di scogli, ma valeva la pena di fare un piccolo sacrificio. Parcheggiai poco distante da quel posto e dissi a Monica: «Ti piacerebbe, dopo tanto sole, andare a prendere un po’ di luna sulla spiaggia?».
«Da morire» rispose lei.
Presi lo zaino del mare che d’estate tenevo sempre nel portabagagli e ci avviammo verso la spiaggetta solitaria.
La serata era serena, la luna piena ci illuminava il cammino attraverso gli scogli. Aiutai Monica a superare quelli più ardui, all’ultimo, il più alto, saltai prima io, quindi la presi in braccio e la aiutai a scendere. Lo spettacolo che ci si presentò davanti ci fece dimenticare gli sforzi fatti per raggiungere quel luogo: il mare, profumato, si frangeva dolcemente sulla battigia; la luce della luna lo rendeva luccicante. Un’atmosfera magica, veramente eccitante.
«Che bello!» esclamammo praticamente insieme. Estrassi dallo zaino il telo da mare, lo stesi, ci togliemmo le scarpe e ci sedemmo. Stavamo contemplando in silenzio quello spettacolo, quando dissi a Monica: «Allora, questa abbronzatura?».
«Ah già» disse, abbassandosi le bretelline del reggiseno, «guarda un po’…». La differenza di colore della pelle di Monica era notevole, bianca sotto le bretelline in contrasto col colore bronzato del resto del suo corpo, ma io feci finta di non notarla.
«Mah, a me sembra uguale» le dissi.
«Ma sei cieco, abbassami la cerniera, per piacere...»
Le abbassai, sul dietro, la cerniera dell’abitino, quindi lei si sganciò il reggiseno, tenendo però le mani sulle coppe, e mi disse: «Guarda lì, che differenza!».
«Ah, adesso sì, hai ragione…» e cominciai ad accarezzarle la schiena facendo pian piano avanzare le mani verso i suoi seni sodi.
«Ma, cosa...». Non fece in tempo a finire la frase, perché le chiusi la bocca con la mia, cominciando a baciarla, ricambiato. Tolse le mani dalle coppe del reggiseno, che scivolò a terra. I suoi capezzoli erano diventati appuntiti e duri sotto le mie mani, le nostre lingue si stavano incrociando. Appoggiando i gomiti a terra, sollevò il sedere contemporaneamente sfilandosi il vestito, che ripose accanto al reggiseno. L’unico capo che indossava erano adesso le sue mutandine che, aderendole alla vulva, rivelavano la sensuale forma della sua fessura.
Dopo un po’ mi disse: «Scommetto che vorresti vedere anche i segni del pezzo di sotto!».
«Hai vinto la scommessa» fu la mia risposta.
«Guarda, allora» e come aveva fatto col reggiseno abbassò leggermente lo slip fino a lasciare intravedere l’inizio della peluria del suo pube.
Io, però, come prima le dissi, sorridendo: «Mah, io non noto nessuna differenza».
«Ho capito» rispose sfilandosi completamente lo slip e riponendolo accanto al resto del suo abbigliamento, «adesso la noti?».
«Fa’ vedere un po’... ora sì, effettivamente...» e così dicendo le accarezzai il pube, facendo poi scivolare la mano in mezzo alle cosce. Era bagnatissima e cominciava ad ansimare di piacere, quando la feci stendere ed iniziai, baciandolo, ad esplorare il suo corpo partendo dai bei piedini ben curati e salendo pian piano lungo le gambe snelle e lisce come seta, per scalare quindi il monte di Venere, soffermandomi poi sull’ombelico, sui seni, il collo, la bocca, per poi ridiscendere nuovamente, facendo infine tappa sul suo sesso. Le divaricai le gambe: il fresco profumo di bagnoschiuma al cocco, misto a quello dei suoi abbondanti umori mi investì inebriandomi mentre la mia lingua cominciò ad andare avidamente su e giù, dal clitoride alla vagina, baciando e leccando quelle labbra lisce, umide, carnose, fin quando, aumentando i fremiti e stringendo le cosce, mi disse: «Tesoro… sono venuta!». Rimase sfinita sul telo; io mi stesi accanto a lei, abbracciandola.
Dopo un po’, ripresasi dall’orgasmo, mi disse: «E la tua abbronzatura, com’è?».
«Ti piacerebbe vederla, eh?!»
«Certo, non puoi esimerti...»
«E va bene, se proprio vuoi...». Mi tolsi la maglietta e i pantaloni, dopodiché mi sedetti accanto a lei e iniziammo a giocare rovesciando i ruoli di prima. Scostai di poco l’elastico dello slip sotto il quale il mio membro stava scalpitando. E lei: «Beh, dov’è quest’abbronzatura?».
«Come, non si nota? Guarda ora...» e così dicendo mi levai lo slip facendo fuoriuscire il membro teso, duro, pronto ad esplodere.
«Fammi vedere... eh sì, ora si nota, eccome si nota...» e così dicendo mi impugnò il pene e prese a masturbarlo, quindi si chinò e cominciò a leccarlo e a prenderlo in bocca succhiandolo avidamente, fin quando venni con un fiotto abbondante. Mi ripulì il pene con la lingua, poi ci distendemmo sul telo, abbracciati, per riposarci osservando il cielo stellato e ascoltando il lieve suono della risacca.
Chiacchierammo e ci coccolammo in quella posizione per circa un’oretta, poi mi alzai per toccare l’acqua del mare. «E’ caldissima» le dissi, «ti va un bagno?».
«Non l’ho mai fatto di notte, deve essere bellissimo...». Mentre pronunciava queste parole, si era già alzata e con una corsa si era tuffata in mare, dicendomi: «Vieni, hai ragione, è un brodo!».
La raggiunsi e, dopo aver fatto una nuotata insieme, ci abbracciammo baciandoci con le labbra salate. La nostra eccitazione era di nuovo viva. Aggrappandosi al mio collo, mi cinse il bacino con le sue gambe intrecciate, cosicché i nostri sessi stavano in contatto. Era molto eccitante, ma la posizione era scomoda, così optammo per continuare sul nostro telo, sulla terraferma. Usciti dall’acqua, ci sdraiammo e cominciammo a toccarci reciprocamente. I nostri corpi bagnati fremevano, contorcendosi e accavallandosi al ritmo della nostra eccitazione. Dopo un po’ Monica mi sussurrò: «Penetrami!».
«Lo vorrei tanto anch’io, tesoro, ma non ho il preservativo...»
«Tranquillo, non sono fertile adesso, fra pochi giorni avrò il ciclo. E in ogni caso, stasera sono così eccitata che mi sento pronta per fare una cosa nuova... se va anche a te… ecco... ti vorrei dentro il mio buchetto.»
«Se mi va? Eccome se mi va!». La cosa mi eccitava moltissimo, anch’io non l’avevo mai fatto prima, ma sapevo che la penetrazione anale poteva essere dolorosa, mentre io volevo che quella esperienza fosse per Monica la più dolce possibile.
Ricordai che nello zaino avevo un flacone di docciaschiuma idratante molto oleoso che era adattissimo al nostro scopo, lo presi e lo misi a portata di mano. Poi mi coricai nuovamente accanto a Monica, le misi la mano sulla vulva e cominciai a masturbarla, lo stesso fece lei col mio pene. Quando la sentii ben lubrificata, mi misi sopra di lei, allargò le gambe e la penetrai nella vagina. Godevamo immensamente mentre le nostre lingue si intrecciavano l’una nella bocca dell’altra. Rimanendo uniti, ci rigirammo in modo che Monica fosse sopra di me. In quella posizione, cominciò ad andare su e giù mentre io con una mano le titillavo il clitoride e con l’altra le accarezzavo i seni. Quando mi accorsi che Monica era eccitata al punto giusto, ci staccammo e le dissi: «Inginocchiati adesso, tesoro».
Mentre si poneva carponi, mi inginocchiai anch’io dietro di lei, presi l’olio idratante, ne versai un’abbondante quantità sul palmo della mano e me la distribuii lungo il pene; introducendo piano più volte il dito, lubrificai anche il buchetto di Monica. Quando mi accorsi che il suo ano si stava rilassando ed adattando a ricevere il dito, tenendole larghi i bei glutei sodi con una mano e guidando il pene con l’altra, cominciai ad inserire un po’ alla volta il glande, per poi ritrarlo e reinserirlo, ogni volta facendolo avanzare un po’ di più, mentre Monica alternava gridolini di dolore a lamenti di piacere, fin quando con calma scivolai completamente dentro il suo buco vergine, continuando a muovermi con delicatezza. Passato il primo momento di fastidio, Monica ora godeva e gridava: «Sì… ancora… tutto... che bello…».
Godevo all’unisono con lei, adesso la penetravo palpandole contemporaneamente i seni con le mani ancora unte che, scivolando sul suo corpo avvinghiato al mio, ne aumentavano il piacere, che stava raggiungendo per entrambi l’apoteosi. Venni poco prima di lei, riempiendole le viscere di sperma caldo, che cominciò a colarle sulla vagina e in mezzo alle gambe; estratto il pene, presi ad andare su e giù con la mano per la sua vulva, titillandole il clitoride, fin quando anche Monica raggiunse l’orgasmo. Si rigirò e ci baciammo a lungo. Poi stemmo ancora un po’ sdraiati sul nostro telo, quando ci accorgemmo che si erano fatte le due di notte.
Prima di andar via facemmo un altro bagno; il vento caldo, che durante la giornata era stato un tormento, adesso si rivelava amico asciugandoci piacevolmente.
Quindi ci rivestimmo, tornammo in macchina e riaccompagnai Monica a casa. Prima di scendere mi disse: «D’ora in poi quello sarà il nostro ‘lido’ d’amore» e, ridendo, ci baciammo dandoci appuntamento per l’indomani.
Pian piano era nata fra me e lei una certa confidenza, in quanto condividevamo parecchi interessi e ci piaceva stare insieme per parlare del più e del meno. Spesso ci capitava di uscire da soli per continuare con calma i nostri discorsi e le nostre confidenze senza dover sottostare ai ritmi del gruppo.
Monica era una ragazza carina, alta, esile, capelli tendenti al rosso, occhi scuri. Quella sera, come era capitato altre volte, mi telefonò e mi chiese: «Usciamo dopo cena?».
«Va bene, Monica, passo a prenderti verso le dieci.»
«Ok, a più tardi.»
Erano i primi di settembre, faceva ancora caldo. Monica indossava un abitino smanicato color salmone, corto e scollato. I capelli raccolti le lasciavano le spalle scoperte. Salì in macchina e mi inebriò col suo profumo. Facemmo un giro, quindi parcheggiai in un posto, sul lungomare, particolarmente panoramico, dove eravamo soliti fermarci per le nostre chiacchierate. Fra i tanti discorsi quella sera parlammo dell’imminente fine dell’estate, della particolarità del caldo di quell’anno, del sole, del mare, quando Monica mi disse, con voce sensuale: «Quest’anno sono diventata proprio nera... Dovresti vedere come sono bianca sotto il costume, in confronto al resto... guarda i segni…». E, dicendo così, fece per scostarsi la bretellina del reggiseno. Si notava bene come Monica fosse abbronzata anche senza vedere i segni del costume, perciò quel discorso aveva cominciato ad eccitarmi e immaginai che anche Monica fosse eccitata quanto me e che quella serata stava prendendo una piega diversa dalle altre.
«No, aspetta, non qui» le dissi pronto, «non vorrai fare vedere i segni del costume a tutti?». In realtà il posto era tranquillo, ma non abbastanza per quello che stava per accadere.
«Hai ragione, andiamo in un posto più isolato.»
Le mie supposizioni circa le intenzioni di Monica di quella sera trovarono in quella proposta una gradita conferma. Misi in moto e mi diressi verso una spiaggetta, una minuscola area sabbiosa non visibile da terra, a pochi chilometri da lì, che avevo scoperto un giorno dal mare, durante una pescata in barca con degli amici. Era un po’ difficile da raggiungere da terra, in quanto bisognava superare una serie di scogli, ma valeva la pena di fare un piccolo sacrificio. Parcheggiai poco distante da quel posto e dissi a Monica: «Ti piacerebbe, dopo tanto sole, andare a prendere un po’ di luna sulla spiaggia?».
«Da morire» rispose lei.
Presi lo zaino del mare che d’estate tenevo sempre nel portabagagli e ci avviammo verso la spiaggetta solitaria.
La serata era serena, la luna piena ci illuminava il cammino attraverso gli scogli. Aiutai Monica a superare quelli più ardui, all’ultimo, il più alto, saltai prima io, quindi la presi in braccio e la aiutai a scendere. Lo spettacolo che ci si presentò davanti ci fece dimenticare gli sforzi fatti per raggiungere quel luogo: il mare, profumato, si frangeva dolcemente sulla battigia; la luce della luna lo rendeva luccicante. Un’atmosfera magica, veramente eccitante.
«Che bello!» esclamammo praticamente insieme. Estrassi dallo zaino il telo da mare, lo stesi, ci togliemmo le scarpe e ci sedemmo. Stavamo contemplando in silenzio quello spettacolo, quando dissi a Monica: «Allora, questa abbronzatura?».
«Ah già» disse, abbassandosi le bretelline del reggiseno, «guarda un po’…». La differenza di colore della pelle di Monica era notevole, bianca sotto le bretelline in contrasto col colore bronzato del resto del suo corpo, ma io feci finta di non notarla.
«Mah, a me sembra uguale» le dissi.
«Ma sei cieco, abbassami la cerniera, per piacere...»
Le abbassai, sul dietro, la cerniera dell’abitino, quindi lei si sganciò il reggiseno, tenendo però le mani sulle coppe, e mi disse: «Guarda lì, che differenza!».
«Ah, adesso sì, hai ragione…» e cominciai ad accarezzarle la schiena facendo pian piano avanzare le mani verso i suoi seni sodi.
«Ma, cosa...». Non fece in tempo a finire la frase, perché le chiusi la bocca con la mia, cominciando a baciarla, ricambiato. Tolse le mani dalle coppe del reggiseno, che scivolò a terra. I suoi capezzoli erano diventati appuntiti e duri sotto le mie mani, le nostre lingue si stavano incrociando. Appoggiando i gomiti a terra, sollevò il sedere contemporaneamente sfilandosi il vestito, che ripose accanto al reggiseno. L’unico capo che indossava erano adesso le sue mutandine che, aderendole alla vulva, rivelavano la sensuale forma della sua fessura.
Dopo un po’ mi disse: «Scommetto che vorresti vedere anche i segni del pezzo di sotto!».
«Hai vinto la scommessa» fu la mia risposta.
«Guarda, allora» e come aveva fatto col reggiseno abbassò leggermente lo slip fino a lasciare intravedere l’inizio della peluria del suo pube.
Io, però, come prima le dissi, sorridendo: «Mah, io non noto nessuna differenza».
«Ho capito» rispose sfilandosi completamente lo slip e riponendolo accanto al resto del suo abbigliamento, «adesso la noti?».
«Fa’ vedere un po’... ora sì, effettivamente...» e così dicendo le accarezzai il pube, facendo poi scivolare la mano in mezzo alle cosce. Era bagnatissima e cominciava ad ansimare di piacere, quando la feci stendere ed iniziai, baciandolo, ad esplorare il suo corpo partendo dai bei piedini ben curati e salendo pian piano lungo le gambe snelle e lisce come seta, per scalare quindi il monte di Venere, soffermandomi poi sull’ombelico, sui seni, il collo, la bocca, per poi ridiscendere nuovamente, facendo infine tappa sul suo sesso. Le divaricai le gambe: il fresco profumo di bagnoschiuma al cocco, misto a quello dei suoi abbondanti umori mi investì inebriandomi mentre la mia lingua cominciò ad andare avidamente su e giù, dal clitoride alla vagina, baciando e leccando quelle labbra lisce, umide, carnose, fin quando, aumentando i fremiti e stringendo le cosce, mi disse: «Tesoro… sono venuta!». Rimase sfinita sul telo; io mi stesi accanto a lei, abbracciandola.
Dopo un po’, ripresasi dall’orgasmo, mi disse: «E la tua abbronzatura, com’è?».
«Ti piacerebbe vederla, eh?!»
«Certo, non puoi esimerti...»
«E va bene, se proprio vuoi...». Mi tolsi la maglietta e i pantaloni, dopodiché mi sedetti accanto a lei e iniziammo a giocare rovesciando i ruoli di prima. Scostai di poco l’elastico dello slip sotto il quale il mio membro stava scalpitando. E lei: «Beh, dov’è quest’abbronzatura?».
«Come, non si nota? Guarda ora...» e così dicendo mi levai lo slip facendo fuoriuscire il membro teso, duro, pronto ad esplodere.
«Fammi vedere... eh sì, ora si nota, eccome si nota...» e così dicendo mi impugnò il pene e prese a masturbarlo, quindi si chinò e cominciò a leccarlo e a prenderlo in bocca succhiandolo avidamente, fin quando venni con un fiotto abbondante. Mi ripulì il pene con la lingua, poi ci distendemmo sul telo, abbracciati, per riposarci osservando il cielo stellato e ascoltando il lieve suono della risacca.
Chiacchierammo e ci coccolammo in quella posizione per circa un’oretta, poi mi alzai per toccare l’acqua del mare. «E’ caldissima» le dissi, «ti va un bagno?».
«Non l’ho mai fatto di notte, deve essere bellissimo...». Mentre pronunciava queste parole, si era già alzata e con una corsa si era tuffata in mare, dicendomi: «Vieni, hai ragione, è un brodo!».
La raggiunsi e, dopo aver fatto una nuotata insieme, ci abbracciammo baciandoci con le labbra salate. La nostra eccitazione era di nuovo viva. Aggrappandosi al mio collo, mi cinse il bacino con le sue gambe intrecciate, cosicché i nostri sessi stavano in contatto. Era molto eccitante, ma la posizione era scomoda, così optammo per continuare sul nostro telo, sulla terraferma. Usciti dall’acqua, ci sdraiammo e cominciammo a toccarci reciprocamente. I nostri corpi bagnati fremevano, contorcendosi e accavallandosi al ritmo della nostra eccitazione. Dopo un po’ Monica mi sussurrò: «Penetrami!».
«Lo vorrei tanto anch’io, tesoro, ma non ho il preservativo...»
«Tranquillo, non sono fertile adesso, fra pochi giorni avrò il ciclo. E in ogni caso, stasera sono così eccitata che mi sento pronta per fare una cosa nuova... se va anche a te… ecco... ti vorrei dentro il mio buchetto.»
«Se mi va? Eccome se mi va!». La cosa mi eccitava moltissimo, anch’io non l’avevo mai fatto prima, ma sapevo che la penetrazione anale poteva essere dolorosa, mentre io volevo che quella esperienza fosse per Monica la più dolce possibile.
Ricordai che nello zaino avevo un flacone di docciaschiuma idratante molto oleoso che era adattissimo al nostro scopo, lo presi e lo misi a portata di mano. Poi mi coricai nuovamente accanto a Monica, le misi la mano sulla vulva e cominciai a masturbarla, lo stesso fece lei col mio pene. Quando la sentii ben lubrificata, mi misi sopra di lei, allargò le gambe e la penetrai nella vagina. Godevamo immensamente mentre le nostre lingue si intrecciavano l’una nella bocca dell’altra. Rimanendo uniti, ci rigirammo in modo che Monica fosse sopra di me. In quella posizione, cominciò ad andare su e giù mentre io con una mano le titillavo il clitoride e con l’altra le accarezzavo i seni. Quando mi accorsi che Monica era eccitata al punto giusto, ci staccammo e le dissi: «Inginocchiati adesso, tesoro».
Mentre si poneva carponi, mi inginocchiai anch’io dietro di lei, presi l’olio idratante, ne versai un’abbondante quantità sul palmo della mano e me la distribuii lungo il pene; introducendo piano più volte il dito, lubrificai anche il buchetto di Monica. Quando mi accorsi che il suo ano si stava rilassando ed adattando a ricevere il dito, tenendole larghi i bei glutei sodi con una mano e guidando il pene con l’altra, cominciai ad inserire un po’ alla volta il glande, per poi ritrarlo e reinserirlo, ogni volta facendolo avanzare un po’ di più, mentre Monica alternava gridolini di dolore a lamenti di piacere, fin quando con calma scivolai completamente dentro il suo buco vergine, continuando a muovermi con delicatezza. Passato il primo momento di fastidio, Monica ora godeva e gridava: «Sì… ancora… tutto... che bello…».
Godevo all’unisono con lei, adesso la penetravo palpandole contemporaneamente i seni con le mani ancora unte che, scivolando sul suo corpo avvinghiato al mio, ne aumentavano il piacere, che stava raggiungendo per entrambi l’apoteosi. Venni poco prima di lei, riempiendole le viscere di sperma caldo, che cominciò a colarle sulla vagina e in mezzo alle gambe; estratto il pene, presi ad andare su e giù con la mano per la sua vulva, titillandole il clitoride, fin quando anche Monica raggiunse l’orgasmo. Si rigirò e ci baciammo a lungo. Poi stemmo ancora un po’ sdraiati sul nostro telo, quando ci accorgemmo che si erano fatte le due di notte.
Prima di andar via facemmo un altro bagno; il vento caldo, che durante la giornata era stato un tormento, adesso si rivelava amico asciugandoci piacevolmente.
Quindi ci rivestimmo, tornammo in macchina e riaccompagnai Monica a casa. Prima di scendere mi disse: «D’ora in poi quello sarà il nostro ‘lido’ d’amore» e, ridendo, ci baciammo dandoci appuntamento per l’indomani.
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