La studentessa cattiva - cap 1
di
BBabyGirl
genere
dominazione
CAPITOLO 1 – L’ASCENSORE
Mi affanno nel tentativo di raggiungere l’università in tempo e incespico nel cammino cercando di bilanciare zaino, giubbino, libri e una piccola cartella che tengo ben salda tra le braccia, cartella che mi permetterà di avere successo all’esame di questa mattina. Il professor Anthony è un uomo sulla trentina, forse l’uomo più desiderato dell’università. Ha sempre un seguito di studentesse e professoresse che sembrano guardarlo con la bava alla bocca. È la terza volta che provo il suo esame e per quanto mi impegni a studiare, le sue domande sono sempre impossibili. Stringo la cartella tra le braccia, ancora più forte, consapevole del fatto che rappresenta la mia unica possibilità di successo. Non ho studiato questa volta, sapevo che sarebbe stato inutile e sinceramente ho preferito divertirmi con le mie amiche prima della fine del semestre, però ho passato tutta la notte a lavorare sul contenuto della cartella e i cerchi scuri attorno agli occhi sono la testimonianza della mia dedizione. Mi sono concentrata così tanto da non essermi resa conto che il sole era sorto e che era ora di presentarsi in università. Faccio l’ultima corsa disperata vedendo l’ascensore vuoto e mi precipito al suo interno premendo il numero 10. Tiro un sospiro di sollievo e mi guardo allo specchio, non sono decisamente nelle mie condizioni migliori. Vedo una figura affannata e leggermente arruffata. I lunghi capelli neri mi ricadono sulla schiena in onde disordinate, che non ho avuto il tempo di sistemare. Qualche ciocca mi incornicia il viso dai tratti delicati, le occhiaie vengono in parte mascherate dalla pelle olivastra e due paia di stanchi e profondi occhi color nocciola mi restituiscono lo sguardo. Mentre le porte si chiudono sistemo i libri e il giubbino nello zaino, tenendo ben stretta la cartella. Me lo sistemo sulle spalle e cerco di lisciarmi la sottile camicetta bianca che indosso oggi. È molto semplice, ma risalta alla perfezione le mie curve. Guardo lo schermo del telefono e mi tranquillizzo, ho ancora cinque minuti di tempo prima che inizi l’esame. L’ascensore inizia a salire, caccio dalla tasca dello zaino un rossetto rosato ed inizio a passarlo con calma sulle labbra carnose cercando di risaltarle per distogliere l’attenzione dalle mie occhiaie. L’ascensore si ferma al secondo piano e qualcun altro entra. Non mi rendo conto di chi sia finché non mi giro e sussulto per la sorpresa. Un uomo in giacca e cravatta è appena entrato. Il completo che indossa è nero e abbastanza stretto da mettere in risalto la sua muscolatura. La cravatta verde combina perfettamente con il colore dei suoi occhi. La barba è corta e curata e i capelli ricci, sicuramente più lunghi di quanto ci si aspetti da una figura del suo calibro, sono perfettamente ordinanti in una piccola e morbida crocchia.
“Buongiorno, professore” farfuglio cercando di non attirare troppo l’attenzione.
“Vedo come sempre che la puntualità non è il tuo forte” sghignazza leggermente vedendomi visibilmente a disagio, come se la cosa lo divertisse.
“Io… In realtà manca ancora del tempo e, beh… Se lei è qui non posso essere in ritardo, ovviamente” le parole mi escono prima che possa avere il tempo di fermarle e mi rendo conto immediatamente di aver esagerato. Anche senza guardarlo riesco a percepire il suo sguardo penetrante attraverso che gli occhiali e lo sbuffo che esce subito dopo dalla sua bocca. Pensavo di essere nei guai, ma lui inizia a controllare il cellulare e mi risponde distrattamente: “Non sono io quello sotto esame, per quanto mi riguarda potrei arrivare anche mezz’ora dopo. Se rivedessi le tue priorità non ti troveresti nella condizione di dover ripetere la mia materia ancora e ancora”, gli esami non li distribuiva quasi mai lui, era sempre compito dell’assistente. Guardo nervosamente il quadrante dell’ascensore e tiro un respiro di sollievo notando che siamo già all’ottavo piano. Sposto il peso su un piede solo intepidante di uscire da quella situazione scomoda, almeno per me. Una cosa è certa sul professor Anthony: sebbene raramente sia sgarbato, risulta comunque essere molto intimidatorio e ha la reputazione di essere un vero stronzo. Nell’ultimo semestre ha cambiato ben quattro assistenti, due dei quali si dice siano tornati a casa in lacrime. All’improvviso l’ascensore fa una brusca fermata e le porte restano chiuse. Lancio un gridolino mentre perdo l’equilibrio. Lo zaino mi cade dalle spalle e la cartella cade rovinosamente sul pavimento. Stringo gli occhi come per prepararmi ad un impatto che però non è mai avvenuto. Sento una presa salda sulle mie spalle. Le mie guance avvampano all’istante e le gambe cedono al solo pensiero di quanto possa essere imbarazzante la situazione in cui mi sono cacciata. Il professore mi sorregge e, dopo qualche istante, mi aiuta a rialzarmi.
“G-grazie, professore”, fa un sorrisetto divertito, non so se per la scena o perché il mio imbarazzo lo diverte. Per prendermi ha dovuto fare qualche passo in avanti e ora che siamo così vicini riesco a sentire il profumo del suo dopobarba. Non posso fare a meno di indugiare qualche secondo sul cavallo dei suoi pantaloni e su come il tessuto si tenda deliziosamente in quella zona, anche se lui è perfettamente rilassato.
“Siamo rimasti bloccati. Chiamo l’emergenza, dovrebbero venirci a pr…” preme il pulsante di emergenza, ma alzo lo sguardo giusto in tempo per accorgermi che si è interrotto e ha un sopracciglio inarcato. Cerco di riprendermi dall’imbarazzo e seguo la direzione che guarda interessato, solo per poi sussultare inorridita. Non solo tutte le mie cose sono cadute a terra, ma la cartella si è aperta riempiendo il pavimento di fogli. Cerco di chinarmi velocemente per raccogliere tutto, ma una mano sulla spalla mi blocca. Deglutisco cercando di divincolarmi.
“Che gentiluomo sarei se non ti aiutassi a raccogliere le tue cose. Vedo alcuni schemi molto familiari, non ti dispiacerà se gli do un’occhiata più da vicino, vero?” non aspetta nessuna risposta. Il cuore inizia a battere a mille e mi schiaccio contro la parete dell’ascensore sperando di poter magicamente sparire, mentre il professore si abbassa a raccogliere tutti i miei bigliettini, l’unica speranza che avevo di passare l’esame. Si rialza con il malloppo tra le mani e ho la sensazione che il cuore potrebbe saltarmi fuori dal petto da un momento all’altro. Mi guarda severo per quella che mi sembra un’eternità, tuttavia quando finalmente si decide a parlare la sua voce è calma e composta, come al solito:
“Hai davvero sperato che fossi così stupido da permettere ad uno dei miei studenti di copiare durante il mio esame?” sottolinea aspramente le ultime parole “Mi ritengo quasi offeso dalla tua mancanza di giudizio”, ormai lo spazio che ci separa è ben poco.
Deglutisco ed inizio a balbettare qualche scusa insensata, girando la testa dall’altra parte per non guardarlo e per evitare di pensare all’improvvisa vicinanza - ha sempre fatto così caldo in questo posto? - .
Scuote la testa. L’ascensore finalmente riparte e ci porta al nostro piano. Lui è il primo ad uscire.
“Sei in ritardo di un quarto d’ora. Non ho intenzione di farti recuperare il tempo perso” ringhia mentre va via con i miei bigliettini e la mia unica possibilità di superare l’ultimo esame del semestre.
Appoggio le mani al muro e faccio respiri profondi nel tentativo di calmarmi, prima di correre verso l’aula.
Mi affanno nel tentativo di raggiungere l’università in tempo e incespico nel cammino cercando di bilanciare zaino, giubbino, libri e una piccola cartella che tengo ben salda tra le braccia, cartella che mi permetterà di avere successo all’esame di questa mattina. Il professor Anthony è un uomo sulla trentina, forse l’uomo più desiderato dell’università. Ha sempre un seguito di studentesse e professoresse che sembrano guardarlo con la bava alla bocca. È la terza volta che provo il suo esame e per quanto mi impegni a studiare, le sue domande sono sempre impossibili. Stringo la cartella tra le braccia, ancora più forte, consapevole del fatto che rappresenta la mia unica possibilità di successo. Non ho studiato questa volta, sapevo che sarebbe stato inutile e sinceramente ho preferito divertirmi con le mie amiche prima della fine del semestre, però ho passato tutta la notte a lavorare sul contenuto della cartella e i cerchi scuri attorno agli occhi sono la testimonianza della mia dedizione. Mi sono concentrata così tanto da non essermi resa conto che il sole era sorto e che era ora di presentarsi in università. Faccio l’ultima corsa disperata vedendo l’ascensore vuoto e mi precipito al suo interno premendo il numero 10. Tiro un sospiro di sollievo e mi guardo allo specchio, non sono decisamente nelle mie condizioni migliori. Vedo una figura affannata e leggermente arruffata. I lunghi capelli neri mi ricadono sulla schiena in onde disordinate, che non ho avuto il tempo di sistemare. Qualche ciocca mi incornicia il viso dai tratti delicati, le occhiaie vengono in parte mascherate dalla pelle olivastra e due paia di stanchi e profondi occhi color nocciola mi restituiscono lo sguardo. Mentre le porte si chiudono sistemo i libri e il giubbino nello zaino, tenendo ben stretta la cartella. Me lo sistemo sulle spalle e cerco di lisciarmi la sottile camicetta bianca che indosso oggi. È molto semplice, ma risalta alla perfezione le mie curve. Guardo lo schermo del telefono e mi tranquillizzo, ho ancora cinque minuti di tempo prima che inizi l’esame. L’ascensore inizia a salire, caccio dalla tasca dello zaino un rossetto rosato ed inizio a passarlo con calma sulle labbra carnose cercando di risaltarle per distogliere l’attenzione dalle mie occhiaie. L’ascensore si ferma al secondo piano e qualcun altro entra. Non mi rendo conto di chi sia finché non mi giro e sussulto per la sorpresa. Un uomo in giacca e cravatta è appena entrato. Il completo che indossa è nero e abbastanza stretto da mettere in risalto la sua muscolatura. La cravatta verde combina perfettamente con il colore dei suoi occhi. La barba è corta e curata e i capelli ricci, sicuramente più lunghi di quanto ci si aspetti da una figura del suo calibro, sono perfettamente ordinanti in una piccola e morbida crocchia.
“Buongiorno, professore” farfuglio cercando di non attirare troppo l’attenzione.
“Vedo come sempre che la puntualità non è il tuo forte” sghignazza leggermente vedendomi visibilmente a disagio, come se la cosa lo divertisse.
“Io… In realtà manca ancora del tempo e, beh… Se lei è qui non posso essere in ritardo, ovviamente” le parole mi escono prima che possa avere il tempo di fermarle e mi rendo conto immediatamente di aver esagerato. Anche senza guardarlo riesco a percepire il suo sguardo penetrante attraverso che gli occhiali e lo sbuffo che esce subito dopo dalla sua bocca. Pensavo di essere nei guai, ma lui inizia a controllare il cellulare e mi risponde distrattamente: “Non sono io quello sotto esame, per quanto mi riguarda potrei arrivare anche mezz’ora dopo. Se rivedessi le tue priorità non ti troveresti nella condizione di dover ripetere la mia materia ancora e ancora”, gli esami non li distribuiva quasi mai lui, era sempre compito dell’assistente. Guardo nervosamente il quadrante dell’ascensore e tiro un respiro di sollievo notando che siamo già all’ottavo piano. Sposto il peso su un piede solo intepidante di uscire da quella situazione scomoda, almeno per me. Una cosa è certa sul professor Anthony: sebbene raramente sia sgarbato, risulta comunque essere molto intimidatorio e ha la reputazione di essere un vero stronzo. Nell’ultimo semestre ha cambiato ben quattro assistenti, due dei quali si dice siano tornati a casa in lacrime. All’improvviso l’ascensore fa una brusca fermata e le porte restano chiuse. Lancio un gridolino mentre perdo l’equilibrio. Lo zaino mi cade dalle spalle e la cartella cade rovinosamente sul pavimento. Stringo gli occhi come per prepararmi ad un impatto che però non è mai avvenuto. Sento una presa salda sulle mie spalle. Le mie guance avvampano all’istante e le gambe cedono al solo pensiero di quanto possa essere imbarazzante la situazione in cui mi sono cacciata. Il professore mi sorregge e, dopo qualche istante, mi aiuta a rialzarmi.
“G-grazie, professore”, fa un sorrisetto divertito, non so se per la scena o perché il mio imbarazzo lo diverte. Per prendermi ha dovuto fare qualche passo in avanti e ora che siamo così vicini riesco a sentire il profumo del suo dopobarba. Non posso fare a meno di indugiare qualche secondo sul cavallo dei suoi pantaloni e su come il tessuto si tenda deliziosamente in quella zona, anche se lui è perfettamente rilassato.
“Siamo rimasti bloccati. Chiamo l’emergenza, dovrebbero venirci a pr…” preme il pulsante di emergenza, ma alzo lo sguardo giusto in tempo per accorgermi che si è interrotto e ha un sopracciglio inarcato. Cerco di riprendermi dall’imbarazzo e seguo la direzione che guarda interessato, solo per poi sussultare inorridita. Non solo tutte le mie cose sono cadute a terra, ma la cartella si è aperta riempiendo il pavimento di fogli. Cerco di chinarmi velocemente per raccogliere tutto, ma una mano sulla spalla mi blocca. Deglutisco cercando di divincolarmi.
“Che gentiluomo sarei se non ti aiutassi a raccogliere le tue cose. Vedo alcuni schemi molto familiari, non ti dispiacerà se gli do un’occhiata più da vicino, vero?” non aspetta nessuna risposta. Il cuore inizia a battere a mille e mi schiaccio contro la parete dell’ascensore sperando di poter magicamente sparire, mentre il professore si abbassa a raccogliere tutti i miei bigliettini, l’unica speranza che avevo di passare l’esame. Si rialza con il malloppo tra le mani e ho la sensazione che il cuore potrebbe saltarmi fuori dal petto da un momento all’altro. Mi guarda severo per quella che mi sembra un’eternità, tuttavia quando finalmente si decide a parlare la sua voce è calma e composta, come al solito:
“Hai davvero sperato che fossi così stupido da permettere ad uno dei miei studenti di copiare durante il mio esame?” sottolinea aspramente le ultime parole “Mi ritengo quasi offeso dalla tua mancanza di giudizio”, ormai lo spazio che ci separa è ben poco.
Deglutisco ed inizio a balbettare qualche scusa insensata, girando la testa dall’altra parte per non guardarlo e per evitare di pensare all’improvvisa vicinanza - ha sempre fatto così caldo in questo posto? - .
Scuote la testa. L’ascensore finalmente riparte e ci porta al nostro piano. Lui è il primo ad uscire.
“Sei in ritardo di un quarto d’ora. Non ho intenzione di farti recuperare il tempo perso” ringhia mentre va via con i miei bigliettini e la mia unica possibilità di superare l’ultimo esame del semestre.
Appoggio le mani al muro e faccio respiri profondi nel tentativo di calmarmi, prima di correre verso l’aula.
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