Storie I
di
Hygge
genere
tradimenti
“Scopi proprio come tua madre, lo sai?”
“Sta’ zitto” disse lei.
“Beh, cosa c’è? È un complimento, tua madre scopa piuttosto bene”.
“Sta’ zitto, cazzo, sto per venire”.
Per la terza volta, oggi. Come vorrei che anche Riccardo mi scopasse così.
Benedetta si stimolava la clitoride con profondi movimenti della mano mentre riceveva i pesanti affondi di Joe e della sua grossa verga. La ragazza aveva due profondi occhi verdi, come la madre con i quali lo guardava, guardava il suo volto ed il suo corpo: partiva dalle spalle e scorreva lungo il suo grande petto, giù, insieme alle goccioline di sudore, fino alla fine della tartaruga.
La colpì con un ceffone, poi un altro e le afferrò la testa, cominciando a spingere con forza, fino in fondo.
“Oh mio dio!” esclamò, stringendo forte il lenzuolo. Inarcò la schiena, attorcigliò le gambe intorno alla vita di lui e strinse forte, esplodendo in un violento orgasmo. Annaspava ed aveva il volto paonazzo. Le lenzuola, dismesse, erano dappertutto, madide del loro sudore.
“Soddisfatta?” fece lui, con sorriso beffardo.
La ragazza prese fiato, puntellò i gomiti e si tirò a sedere, poggiando la schiena sulla testiera del letto. Guardò l’uomo, che nel frattempo aveva preso la verga in mano ed era salito in pedi sul letto.
“Scherzi?” rispose, “piuttosto mi chiedo: come diavolo fai?” disse, spalancando la bocca e tirando fuori la lingua, consapevole di ciò che sarebbe di lì a poco arrivato.
L’uomo ridacchiò: “mi fate tutte la stessa domanda, bimba mia”.
Benedetta prese una cucchiaiata di risotto alla parmigiana. Cazzo, è bollente. Nel ritrarre il cucciaio un po' di riso le scolò sul mento. Girò la testa per pulirsi con la manica, sperando che la madre non l’avesse vista.
“Carla, questo risotto è delizioso” disse Joe, soffiando più volte sul cucchiaio.
“È solo risotto al burro, tesoro” rispose la donna, dall’altra parte del tavolo.
“Senza dubbio, ma è davvero buono”.
“Com’è andata oggi, Betta?” chiese Carla alla ragazza, che ora spandeva il riso qua e là e soffiava sul piatto.
“Uhm, bene” fece lei, “il venerdì è una giornata tranquilla. Pomeriggio ho studiato un po'”.
“Bene, ne sono contenta. Stasera ti vedi con Riccardo?”
“Sì, usciamo un po', ci facciamo un giro”.
“Ottimo” disse la donna, accennando un sorriso.
“A te come è andata, in ufficio?” chiese Joe, pulendosi la bocca e deglutendo il boccone.
“Oh bene, è andata bene” disse, sistemandosi la spallina, “malgrado gli imprevisti sono comunque uscita ad un orario decente. Il venerdì è festa anche per me” disse, lanciando un occhiolino alla figlia.
“Tu Joe, piuttosto, a che ora sei arrivato? Hai finito prima oggi”.
“Già, sì, un’oretta fa, più o meno. Devi scusarmi ma oggi ho finito presto e…”
“Ma figurati, non preoccuparti. Non penso ci sia stato nessun problema, giusto Bea?”
“Assolutamente” rispose questa, facendo spallucce.
“Cos’hai in faccia?” chiese Carla all’improvviso.
“Dove?” rispose Benedetta, aggrottando la fronte.
“Sei rossa, in volto” disse, sporgendosi un poco verso di lei, “proprio qui, sulle guance. Ti senti bene?”. Carla passò un dito sul volto della ragazza.
“Cosa, sulle guance?” disse la ragazza, scostandosi e toccandosi le guance a sua volta, “no, mi sento bene. Forse ho un po' caldo, deve essere questo. Non farmi preoccupare”.
“No, no, assolutamente piccola mia”.
“Come fai a sopportare mia madre?” chiese Benedetta, accendendo lo spinello.
“In che senso?” rispose Joe.
“Nel senso che è un dito in culo” disse, stizzita.
“Come quelli che ti metto io?” fece lui, ridacchiando.
“No, più grosso, molto più grosso. E poi tu, ad un certo punto, lo togli”.
“Tua madre ti vuole un gran bene” disse l’uomo, facendosi serio. “Quando non parla di lei parla sempre di te”.
“Se lo dici tu” sbuffò lei, “io non la reggo più. È diventata insopportabile”.
La ragazza fece un tiro profondo e sputò in aria una densa fumata bianca, poi passò lo spinello a Joe. L’aria fresca della sera le sferzava i lunghi capelli biondi mentre il sole, ormai dietro l’orizzonte, le irradiava il volto.
“Senti”, fece lei, “cosa intendevi dire prima con scopi proprio come tua madre?”.
L’uomo tirò una boccata di fumo, la trattenne e la risputò fuori. Poi passò lo spinello di nuovo alla ragazza.
“Lascia perdere, l’ho detto tanto per dire”.
“No, no, davvero” insistette lei.
“Intendevo dire… beh, quello che ho detto: scopate in modo simile”.
“Che intendi?” chiese la ragazza, accucciandosi sulle tegole, “scopare è tante cose, no?”
“Andiamo, non pensarci così tanto. Avete modi simili di fare certe cose… ne fate alcune, non ne fate altre…”
“Tipo?” lo incalzò lei.
“Tipo cosa?” fece lui.
“Cosa non faccio io?” chiese, sporgendosi verso di lui.
“Accidenti, sono già le cinque” esclamò l’uomo guardando l’orologio da polso, “tua madre sarà qui a momenti. Dobbiamo scendere”.
“Dimmelo”.
“Sei una puttana, Carla”.
“Ripetilo, dimmelo ancora”
“Sei la più grande vacca di tutto l’ufficio”.
Gerardo, il capoufficio, la teneva per i fianchi mentre la donna era piegata a novanta gradi sulla sua scrivania. Portava i capelli neri raccolti in uno chignon, una camicetta che giaceva ormai accartocciata a terra ed un reggiseno di pizzo, agganciato solo per una spallina. La gonna, anch’essa nera, era sollevata fin sopra i fianchi mentre i denti stringeva le mutandine, piene dei suoi umori.
L’uomo le tirò una sculacciata.
“Gerry, non lasciarmi segni” fece lei.
Lui era in punta di piedi. La testa, lucida, grondante di sudore, rifletteva la pallida luce della lampada al neon. Aveva le braghe calate e le mutande appena abbassate. Carla guardò il suo riflesso nel vetro. Almeno sentissi qualcosa.
La cosa andava avanti da un po', almeno da quando Gerardo aveva preso il posto di Eugenio e le aveva promesso una promozione. Lei aveva sempre fatto tutto secondo le regole, fino a quando Patrizia non aveva cominciato a mangiare uccelli durante la pausa pranzo. Ma Patrizia era una bisbetica baffuta col culo grosso, lei era una mamma con ancora molto da dare. E quella promozione significava molto per lei.
“Ooo-oooh” fece quello, ad un certo punto, aggrappandosi al suo didietro e stringendolo forte.
“Bravo Gerry, ti è piaciuto?”. Lui fece di sì con la testa, sfoderando un sorriso a trentadue denti.
“Sei la migliore” disse. Gerardo sfilò il profilattico, lo annodò e lo gettò nel cestino sotto la scrivania. La donna si pulì con un fazzoletto, fece lo stesso e si rivestì.
“Esco prima io” disse, tirandogli un bacio.
L’aria gelida della notte le sferzò il viso, accaldato. Guardò il telefono: nessun messaggio da Joe. Erano già le cinque, a breve sarebbe arrivato. Doveva sbrigarsi.
“Sta’ zitto” disse lei.
“Beh, cosa c’è? È un complimento, tua madre scopa piuttosto bene”.
“Sta’ zitto, cazzo, sto per venire”.
Per la terza volta, oggi. Come vorrei che anche Riccardo mi scopasse così.
Benedetta si stimolava la clitoride con profondi movimenti della mano mentre riceveva i pesanti affondi di Joe e della sua grossa verga. La ragazza aveva due profondi occhi verdi, come la madre con i quali lo guardava, guardava il suo volto ed il suo corpo: partiva dalle spalle e scorreva lungo il suo grande petto, giù, insieme alle goccioline di sudore, fino alla fine della tartaruga.
La colpì con un ceffone, poi un altro e le afferrò la testa, cominciando a spingere con forza, fino in fondo.
“Oh mio dio!” esclamò, stringendo forte il lenzuolo. Inarcò la schiena, attorcigliò le gambe intorno alla vita di lui e strinse forte, esplodendo in un violento orgasmo. Annaspava ed aveva il volto paonazzo. Le lenzuola, dismesse, erano dappertutto, madide del loro sudore.
“Soddisfatta?” fece lui, con sorriso beffardo.
La ragazza prese fiato, puntellò i gomiti e si tirò a sedere, poggiando la schiena sulla testiera del letto. Guardò l’uomo, che nel frattempo aveva preso la verga in mano ed era salito in pedi sul letto.
“Scherzi?” rispose, “piuttosto mi chiedo: come diavolo fai?” disse, spalancando la bocca e tirando fuori la lingua, consapevole di ciò che sarebbe di lì a poco arrivato.
L’uomo ridacchiò: “mi fate tutte la stessa domanda, bimba mia”.
Benedetta prese una cucchiaiata di risotto alla parmigiana. Cazzo, è bollente. Nel ritrarre il cucciaio un po' di riso le scolò sul mento. Girò la testa per pulirsi con la manica, sperando che la madre non l’avesse vista.
“Carla, questo risotto è delizioso” disse Joe, soffiando più volte sul cucchiaio.
“È solo risotto al burro, tesoro” rispose la donna, dall’altra parte del tavolo.
“Senza dubbio, ma è davvero buono”.
“Com’è andata oggi, Betta?” chiese Carla alla ragazza, che ora spandeva il riso qua e là e soffiava sul piatto.
“Uhm, bene” fece lei, “il venerdì è una giornata tranquilla. Pomeriggio ho studiato un po'”.
“Bene, ne sono contenta. Stasera ti vedi con Riccardo?”
“Sì, usciamo un po', ci facciamo un giro”.
“Ottimo” disse la donna, accennando un sorriso.
“A te come è andata, in ufficio?” chiese Joe, pulendosi la bocca e deglutendo il boccone.
“Oh bene, è andata bene” disse, sistemandosi la spallina, “malgrado gli imprevisti sono comunque uscita ad un orario decente. Il venerdì è festa anche per me” disse, lanciando un occhiolino alla figlia.
“Tu Joe, piuttosto, a che ora sei arrivato? Hai finito prima oggi”.
“Già, sì, un’oretta fa, più o meno. Devi scusarmi ma oggi ho finito presto e…”
“Ma figurati, non preoccuparti. Non penso ci sia stato nessun problema, giusto Bea?”
“Assolutamente” rispose questa, facendo spallucce.
“Cos’hai in faccia?” chiese Carla all’improvviso.
“Dove?” rispose Benedetta, aggrottando la fronte.
“Sei rossa, in volto” disse, sporgendosi un poco verso di lei, “proprio qui, sulle guance. Ti senti bene?”. Carla passò un dito sul volto della ragazza.
“Cosa, sulle guance?” disse la ragazza, scostandosi e toccandosi le guance a sua volta, “no, mi sento bene. Forse ho un po' caldo, deve essere questo. Non farmi preoccupare”.
“No, no, assolutamente piccola mia”.
“Come fai a sopportare mia madre?” chiese Benedetta, accendendo lo spinello.
“In che senso?” rispose Joe.
“Nel senso che è un dito in culo” disse, stizzita.
“Come quelli che ti metto io?” fece lui, ridacchiando.
“No, più grosso, molto più grosso. E poi tu, ad un certo punto, lo togli”.
“Tua madre ti vuole un gran bene” disse l’uomo, facendosi serio. “Quando non parla di lei parla sempre di te”.
“Se lo dici tu” sbuffò lei, “io non la reggo più. È diventata insopportabile”.
La ragazza fece un tiro profondo e sputò in aria una densa fumata bianca, poi passò lo spinello a Joe. L’aria fresca della sera le sferzava i lunghi capelli biondi mentre il sole, ormai dietro l’orizzonte, le irradiava il volto.
“Senti”, fece lei, “cosa intendevi dire prima con scopi proprio come tua madre?”.
L’uomo tirò una boccata di fumo, la trattenne e la risputò fuori. Poi passò lo spinello di nuovo alla ragazza.
“Lascia perdere, l’ho detto tanto per dire”.
“No, no, davvero” insistette lei.
“Intendevo dire… beh, quello che ho detto: scopate in modo simile”.
“Che intendi?” chiese la ragazza, accucciandosi sulle tegole, “scopare è tante cose, no?”
“Andiamo, non pensarci così tanto. Avete modi simili di fare certe cose… ne fate alcune, non ne fate altre…”
“Tipo?” lo incalzò lei.
“Tipo cosa?” fece lui.
“Cosa non faccio io?” chiese, sporgendosi verso di lui.
“Accidenti, sono già le cinque” esclamò l’uomo guardando l’orologio da polso, “tua madre sarà qui a momenti. Dobbiamo scendere”.
“Dimmelo”.
“Sei una puttana, Carla”.
“Ripetilo, dimmelo ancora”
“Sei la più grande vacca di tutto l’ufficio”.
Gerardo, il capoufficio, la teneva per i fianchi mentre la donna era piegata a novanta gradi sulla sua scrivania. Portava i capelli neri raccolti in uno chignon, una camicetta che giaceva ormai accartocciata a terra ed un reggiseno di pizzo, agganciato solo per una spallina. La gonna, anch’essa nera, era sollevata fin sopra i fianchi mentre i denti stringeva le mutandine, piene dei suoi umori.
L’uomo le tirò una sculacciata.
“Gerry, non lasciarmi segni” fece lei.
Lui era in punta di piedi. La testa, lucida, grondante di sudore, rifletteva la pallida luce della lampada al neon. Aveva le braghe calate e le mutande appena abbassate. Carla guardò il suo riflesso nel vetro. Almeno sentissi qualcosa.
La cosa andava avanti da un po', almeno da quando Gerardo aveva preso il posto di Eugenio e le aveva promesso una promozione. Lei aveva sempre fatto tutto secondo le regole, fino a quando Patrizia non aveva cominciato a mangiare uccelli durante la pausa pranzo. Ma Patrizia era una bisbetica baffuta col culo grosso, lei era una mamma con ancora molto da dare. E quella promozione significava molto per lei.
“Ooo-oooh” fece quello, ad un certo punto, aggrappandosi al suo didietro e stringendolo forte.
“Bravo Gerry, ti è piaciuto?”. Lui fece di sì con la testa, sfoderando un sorriso a trentadue denti.
“Sei la migliore” disse. Gerardo sfilò il profilattico, lo annodò e lo gettò nel cestino sotto la scrivania. La donna si pulì con un fazzoletto, fece lo stesso e si rivestì.
“Esco prima io” disse, tirandogli un bacio.
L’aria gelida della notte le sferzò il viso, accaldato. Guardò il telefono: nessun messaggio da Joe. Erano già le cinque, a breve sarebbe arrivato. Doveva sbrigarsi.
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