La tesi, 4 - Summa cum laude
di
Calidamanus
genere
gay
La tesi, 4 - Summa cum laude
E anche per Alessandro la discussione della tesi è arrivata, dopo circa sei mesi dal nostro primo colloquio. Dopo gli ultimi avvenimenti, ci siamo incontrati ogni due o tre settimane per verificare come andava avanti il suo studio e per delle punizioni: ho voluto però evitare altri contatti intimi, per stimolarlo a finire in tempo.
Anche con le sculacciate, sono stato piuttosto essenziale: gli ho promesso che avrei serbato il meglio una volta discusso la tesi. Mi aveva infatti detto che voleva fare la specialistica in un'altra città. Peccato, mi ero detto, ma avremmo sempre potuto restare in contatto.
Siamo così arrivati alla sera prima della discussione: gli ho detto di venire da me per prepararsi. Ascolto la sua esposizione, in effetti abbastanza brillante, e gli faccio alcune osservazioni grazie alle quali mi pareva potesse ancora migliorare.
Mi ringrazia, tutto serio prende nota e poi mi confessa: “Mi sento un po' agitato per domani, ho paura di impappinarmi durante la discussione, di fare brutta figura”.
“Non vedo ragioni di essere agitato”, gli rispondo. “Ma se vuoi so come tranquillizzare i ragazzi su di giri”.
Mi guarda soddisfatto: “Sì, mi sa che è meglio”.
“Bene. Levati i pantaloni”.
Lui obbedisce e resta con gli stretti slip bianchi che mette sempre per venire da me. Questi sono forse un po' più stretti del dovuto, vedo gli elastici affondare bene nella carne delle natiche sode.
“Mettiti in piedi, nel centro della stanza, e afferra le caviglie con le mani”.
“Sì, professore”.
Chinandosi così il suo sedere sporge più che mai, mettendo alla prova l'elastico delle mutande. Lui mi guarda da sotto le ginocchia per vedere con cosa lo colpirò.
Una serata importante, che deve ricordare.
Ma al tempo stesso domani voglio che quando siederà di fronte alla commissione non sia distratto da un culetto troppo bruciante, e quando lo rivedrò desidero che sia senza troppi segni. Dunque che fare?
Mi avvicino alla scrivania.
“Direi... prima un po' di cinghia”.
Si spaventa un po': “La cinghia, signore? Farà malissimo...”.
“Coraggio... vedrai che non penserai più a domani e all'agitazione”, gli rispondo.
China la testa, pronto per la sua disciplina.
SLAP!
SLAP!
SLAP!
“Ah! Ahia”, dice al terzo colpo.
La posizione poi per lui evidentemente è scomoda, non riesce a scansarsi più di tanto, proprio come desideravo.
Non so se ne sia conscio, ma quando lo colpisco si dondola un po' e sposta il peso da una gamba all'altra.
Gli ficco le mutande nello spacco del sedere per averlo il più scoperto possibile.
SLAP!
SLAP!
“Ahiiiiii!”.
SLAP!
Il sibilo della cinghia arriva con calma imperturbabile.
Una calma che il mio studente non condivide... I suoi movimenti sono sempre più sofferti, io osservo le chiappette con alcuni segni della cintura farsi notare nel suo ondeggiare, un po' più a destra, poi a sinistra.
SLAP!
SLAP!
Per non lasciare troppi segni in un'area sola scendo anche sulle cosce, belle aperte verso di me.
“Bastaaa!”.
SLAP!
La cintura ha l'ultima parola, poi scelgo di cambiare strumento.
“Alzati”, gli dico.
Sollevato, si tira su.
Per un momento fa per portarsi le mani al culo, ma se che questo gesto non farebbe del bene alla sua causa e ci ripensa.
“Ora vediamo un po' lo...stato dell'arte”, dico. “Mani sulla testa”.
E gli abbasso le mutande.
Palpo il sedere, ne saggio bene la consistenza carnosa.
Allargo i glutei e con l'indice percorro il solco, soffermandomi intorno al buchino.
Nemmeno un pelo, la rasatura periodica che gli ho fatto è servita bene. Lo faccio girare verso di me e controllo inguine, perineo, palle e pube: tutto perfetto.
Naturalmente il suo pisello si è messo sull'attenti.
Lo guardo negli occhi, lui arrossisce a abbassa lo sguardo.
Per ora lascerò cadere questa questione.
“Vieni”, lo guido verso il divano.
“Ora il righello”, gli spiego.
Lo faccio sedere sulle mie ginocchia, poi gli piego il busto in avanti e gli sollevo le gambe: ora con le ginocchia è appoggiato sul divano e coi gomiti al pavimento.
Ho davanti agli occhi tutto quello che desidero vedere: il pisello e le palle che pendono, il sedere e le cosce con i segni delle cinghiate.
Ho un piccolo righello di legno.
“Ora con questo completiamo la serata. Ti voglio bello elastico per domani, con questo sarai perfetto”.
TWAK!
TWAK!
TWAK!
TWAK!
I colpi sono meno forti della cinghia, ma questa volta faccio sì che arrivino a cadenza molto ravvicinata, e insisto su tutte le aree, una alla volta.
Una coscia, poi l'altra.
TWAK!
TWAK!
TWAK!
La natica destra, poi la sinistra.
Il ragazzo si dimena.
“Fermo o te ne do il doppio!”.
Cerca di obbedirmi.
Sento i suoi respiri farsi più rapidi e sofferti.
Ora con l'indice e il pollice tendo al massimo lo spazio intorno al buchino e insisto in quel punto
TWAK!
TWAK!
TWAK!
TWAK!
“Ahi, ahi! Uh, che male!”, piagnucola.
Ma credo che la sfumatura di rosso vada aumentata.
TWAK!
TWAK!
TWAK!
Il buchino si contrae a più non posso, avanti e indietro. Domani sarà penetrato, è un piacere che ho atteso da troppo tempo.
Ora mi sembra abbastanza, i suoi gemiti mi convincono.
Lo tiro su, e lo faccio sedere sulle mie ginocchia.
Ha qualche lacrima fra le ciglia, mi intenerisco un po' e penso che forse è bene dargli un po' di sollievo.
Con la mano arrivo al suo pisello, duro e umido.
Lo carezzo lungo la verga.
I gemiti cambiano tonalità, appoggia la testa contro il mio petto e chiude gli occhi.
Mentre respira pesantemente io continuo lentamente.
Gli passo le dita sulla cappella, bella rossa.
Basta stuzzicare leggermente il prepuzio e un fiotto di sperma bagna la mia mano e il suo pube.
“Oooh”, fa, mentre si rilassa.
Gli lascio un minuto per riprendersi, poi si gira verso di me.
Mi mette la mano sul pacco e far per inginocchiarsi.
“No, oggi non serve, grazie”, gli dico. “Non vorrei che domani poi ti aspettassi particolari preferenze”.
Mi sorride, io lo mando in bagno a ripulirsi.
A mia volta mi lavo le mani e prendo qualcosa che avevo per lui.
Quando torna gli dico: “Gli slip puoi lasciarli qui da me. Mettiti questo, lo terrai addosso domani e non lo leverai finché non ci vediamo domani sera”.
Gli porgo un perizoma giallo che ho scelto per lui.
Lo mette e si mostra: il sedere appena fasciato dai fili sottili risalta coi suoi segni rossi, e davanti il pisello, pur modesto e ora a riposo, è elegantemente racchiuso dalla stoffa appena sufficiente.
“Vai a casa e vedi di farti una bella dormita. In bocca al lupo per domani”, concludo.
********************************
Il giorno dopo ecco le sospirate discussioni. Come sempre, gli studenti sono tutti in fermento, tra amici e parenti che aspettano di vederli raggiungere il loro ambito traguardo.
Altrettanto prevedibilmente invece noi docenti siamo un po' annoiati dalla sequela che ci aspetta, ma facciamo in modo di dare un tono solenne alla giornata.
Alessandro è il quinto: quando arriva lo guardo, tutto elegante in un bel vestito grigio, con una cravatta azzurra su camicia bianca. Bisogna davvero dire che sta molto bene.
La sua esposizione è davvero molto buona, sono soddisfatto per lui e indirettamente anche per me che faccio la figura del bravo relatore.
Risponde con competenza anche a una domanda un po' bastarda di un mio collega dispettoso: se la cava con lucidità.
Quando il presidente di commissione conclude l'esame di laurea, lo vedo rilassarsi.
Come si usa da noi in facoltà, al termine della mattina richiamiamo i sei studenti per dare loro i voti.
Alessandro scopre così il suo 110 e lode: lo vedo sorridere, e sono contento per lui.
Dopo gli applausi e l'esultanza di genitori e amici, cominciano a uscire.
Ci tratteniamo in qualche chiacchiera tra colleghi e poi anche io mi avvio.
In cortile stanno ancora facendo schiamazzi: li lascio divertirsi, in attesa di avere anche io la mia parte di piacere, e faccio per uscire.
Proprio vicino al cancello, mi intercetta quella che deduco essere la madre di Alessandro.
“Professore, volevo ringraziarla tantissimo, per averlo seguito e spronato... Grazie, grazie infinite”, mi dice.
“Si figuri signora, è stato impegnativo ma davvero... soddisfacente”, dico io, esibendo tutta l'onestà che mi è possibile raccogliere.
Alessandro dietro mi sente e, non visto, mi manda pure un occhiolino.
Non vedo l'ora di averlo fra le mani.
Riesco finalmente a sgusciare.
Il pomeriggio abbiamo altri tre studenti, poi torno a casa.
Lo aspetto lì, siamo d'accordo che mi raggiungerà appena libero dai festeggiamenti.
Passa il tempo e suonano alla porta. Depongo il mio libro e vado ad aprire.
Lo vedo sulla soglia, ancora con l'abito della discussione, e lo faccio entrare.
Ha il viso un po' stanco per le emozioni e, immagino, i brindisi seguiti.
“Allora, complimenti dottore”, gli dico.
“Grazie, grazie mille! Se non fosse stato per lei...”.
“Non serve, qualunque cosa tu dica non ti salverà da una storica sculacciata. I momenti importanti vanno celebrati, no?”.
Contento, annuisce.
Per questa serata lo faccio salire di sopra, in camera mia. Gli chiedo di aspettarmi.
Ho in mente delle piccole variazioni rispetto al solito. Stavolta sarò io nudo e lui, almeno all'inizio, vestito.
Desidero la massima intimità, e la intendo reciproca questa volta.
Dopo essermi spogliato in bagno, rientro nella stanza.
Lo vedi guardami e leggo lo stupore in un primo attimo, poi un rapido esame. Non sono un palestrato, ma mi tengo in forma. Il mio uccello è visibilmente più grande del suo, e sono abbastanza peloso.
Anche se lui è vestito in abito, sappiamo che io sono l'uomo e lui il mio ragazzo.
Senza dire niente, lo faccio stendere sul letto a faccia in giù del tutto vestito.
Prendo una canna e mi inginocchio sul letto sopra la sua schiena, rivolto verso il suo sedere.
Lascio che senta il mio peso sopra di lui, e comincio.
SLAP!
SLAP!
SLAP!
“Aaaah”!
I colpi sono forti e la canna non risparmia: so che li sente.
SLAP!
SLAP!
SLAP!
“Aaaah! Ahhh!”, il volume delle sua grida aumenta.
SLAP!
SLAP!
Scalcia a ogni colpo adesso, oltre a gridare; devo aver avuto davvero la mano pesante.
“Voltati”, gli chiedo.
Si gira guardandomi imbronciato, ma so che può prenderne ancora e lo sa anche lui.
Gli tolgo la giacca, le scarpe e i pantaloni.
Riecco il tanga giallo, quel poco che si vede, quasi comico abbinato alla camicia, alla cravatta e alle lunghe calze blu scuro.
Mi siedo sul letto, stavolta lo lascio a pancia in su e gli alzo le gambe, tenendogli le caviglie sollevate.
Prendo la spazzola e attacco con quella.
SPANK!
SPANK!
SPANK!
Sono veloce, passando di chiappa in chiappa.
SPANK!
SPANK!
SPANK!
“Ohi, ohi che male!”.
SPANK!
SPANK!
“Bruciaaa, ah!”.
So che per ora lo ignorerò
SPANK!
SPANK!
SPANK!
Geme e volta la testa a destra e sinistra.
SPANK!
SPANK!
SPANK!
SPANK!
Sta cominciando a piangere.
Le cosce e le natiche sono molto molto rosse, quasi verso il viola.
Lascio la spazzola, e senza dargli il tempo di ricomporsi me lo metto sulle ginocchia con il culo all'insù.
Abbasso bruscamente il tanga.
Apro bene la mano e...
SPANK!
“Ahiiii! Ancora?”, chiede lui sorpreso.
“Ancora, sì. Sei dottore, puoi sopportare una punizione più severa che quella per un semplice studentello”, gli spiego.
SPANK!
SPANK!
SPANK!
“Basta, basta ti prego!”.
“Non so se quello che succederà dopo la sculacciata sarà meglio per il tuo sedere, Alessandro”, lo avviso.
Mi sputo sul indice e centro il suo buco.
Si apre abbastanza facilmente, lo ruoto e faccio un po' avanti e indietro.
SPANK!
SPANK!
SPANK!
Poverino, non sa nemmeno lui come contorcersi: un dito in culo e ciononostante le sculacciate che arrivano forti e senza che lui possa prevedere esattamente dove.
SPANK!
SPANK!
SPANK!
Sta piangendo, ma so che non è solo dolore quello che sente.
Inserisco anche il medio.
SPANK!
SPANK!
Mentre i colpi continuo divarico un po' le dita, allargando il suo sfintere e preparandolo a quello che verrà.
“Ahhiii, ahiii, ti prego!”.
SPANK!
Questa è stata l'ultima, bella forte.
Lui piange, lascio che passi appena qualche secondo e levo le dita dall'ano, guardandolo massaggiarsi il sedere.
“Basta così”, lo avviso.
Lo stendo al centro del letto a pancia in su, gli metto un cuscino sotto il sedere per facilitarmi.
Ha ancora le guance rigate di lacrime, ma ora prevale in lui l'interesse per la mia verga, che osserva in tutta la sua durezza mentre mi inginocchio sul materasso guardandolo dall'alto.
Con una mano gli prendo il pisello, saggiandone l'eccitazione.
Passo due o tre volte col mio uccello sul suo solco, poi lo appoggio davanti al buco.
Lo guardo in viso e spingo con forza, ammirando i suoi tratti percorsi da una sensazione che lo riempie e soddisfa.
So che non sono il primo, ma so che il rapporto tra noi è diverso dagli altri che ha avuto.
Mentre lo penetro su e giù con una mano lo carezzo sopra la camicia, individuando i suoi capezzoli sotto la stoffa sottile.
Li pizzico, sentendo i suoi gridolini.
Intanto lo accarezzo anche sul pisello.
Un paio di volte capisco di averlo portato vicino al limite e mi fermo, perché non goda troppo presto.
La terza volta però decido di liberarlo, e il ragazzo mugolando ha il suo orgasmo che gli innaffia bene la pancia.
Sento di essere vicino anche io, da sopra lo guardo e penso che abbiamo ancora tempo prima che si traferisca. Magari lo aiuterò a ripassare, potrebbe sempre avere un test di ammissione.
Penso a quello che vorrei ancora fargli, e vengo nel buco stretto di quel sedere bramato e punito.
E anche per Alessandro la discussione della tesi è arrivata, dopo circa sei mesi dal nostro primo colloquio. Dopo gli ultimi avvenimenti, ci siamo incontrati ogni due o tre settimane per verificare come andava avanti il suo studio e per delle punizioni: ho voluto però evitare altri contatti intimi, per stimolarlo a finire in tempo.
Anche con le sculacciate, sono stato piuttosto essenziale: gli ho promesso che avrei serbato il meglio una volta discusso la tesi. Mi aveva infatti detto che voleva fare la specialistica in un'altra città. Peccato, mi ero detto, ma avremmo sempre potuto restare in contatto.
Siamo così arrivati alla sera prima della discussione: gli ho detto di venire da me per prepararsi. Ascolto la sua esposizione, in effetti abbastanza brillante, e gli faccio alcune osservazioni grazie alle quali mi pareva potesse ancora migliorare.
Mi ringrazia, tutto serio prende nota e poi mi confessa: “Mi sento un po' agitato per domani, ho paura di impappinarmi durante la discussione, di fare brutta figura”.
“Non vedo ragioni di essere agitato”, gli rispondo. “Ma se vuoi so come tranquillizzare i ragazzi su di giri”.
Mi guarda soddisfatto: “Sì, mi sa che è meglio”.
“Bene. Levati i pantaloni”.
Lui obbedisce e resta con gli stretti slip bianchi che mette sempre per venire da me. Questi sono forse un po' più stretti del dovuto, vedo gli elastici affondare bene nella carne delle natiche sode.
“Mettiti in piedi, nel centro della stanza, e afferra le caviglie con le mani”.
“Sì, professore”.
Chinandosi così il suo sedere sporge più che mai, mettendo alla prova l'elastico delle mutande. Lui mi guarda da sotto le ginocchia per vedere con cosa lo colpirò.
Una serata importante, che deve ricordare.
Ma al tempo stesso domani voglio che quando siederà di fronte alla commissione non sia distratto da un culetto troppo bruciante, e quando lo rivedrò desidero che sia senza troppi segni. Dunque che fare?
Mi avvicino alla scrivania.
“Direi... prima un po' di cinghia”.
Si spaventa un po': “La cinghia, signore? Farà malissimo...”.
“Coraggio... vedrai che non penserai più a domani e all'agitazione”, gli rispondo.
China la testa, pronto per la sua disciplina.
SLAP!
SLAP!
SLAP!
“Ah! Ahia”, dice al terzo colpo.
La posizione poi per lui evidentemente è scomoda, non riesce a scansarsi più di tanto, proprio come desideravo.
Non so se ne sia conscio, ma quando lo colpisco si dondola un po' e sposta il peso da una gamba all'altra.
Gli ficco le mutande nello spacco del sedere per averlo il più scoperto possibile.
SLAP!
SLAP!
“Ahiiiiii!”.
SLAP!
Il sibilo della cinghia arriva con calma imperturbabile.
Una calma che il mio studente non condivide... I suoi movimenti sono sempre più sofferti, io osservo le chiappette con alcuni segni della cintura farsi notare nel suo ondeggiare, un po' più a destra, poi a sinistra.
SLAP!
SLAP!
Per non lasciare troppi segni in un'area sola scendo anche sulle cosce, belle aperte verso di me.
“Bastaaa!”.
SLAP!
La cintura ha l'ultima parola, poi scelgo di cambiare strumento.
“Alzati”, gli dico.
Sollevato, si tira su.
Per un momento fa per portarsi le mani al culo, ma se che questo gesto non farebbe del bene alla sua causa e ci ripensa.
“Ora vediamo un po' lo...stato dell'arte”, dico. “Mani sulla testa”.
E gli abbasso le mutande.
Palpo il sedere, ne saggio bene la consistenza carnosa.
Allargo i glutei e con l'indice percorro il solco, soffermandomi intorno al buchino.
Nemmeno un pelo, la rasatura periodica che gli ho fatto è servita bene. Lo faccio girare verso di me e controllo inguine, perineo, palle e pube: tutto perfetto.
Naturalmente il suo pisello si è messo sull'attenti.
Lo guardo negli occhi, lui arrossisce a abbassa lo sguardo.
Per ora lascerò cadere questa questione.
“Vieni”, lo guido verso il divano.
“Ora il righello”, gli spiego.
Lo faccio sedere sulle mie ginocchia, poi gli piego il busto in avanti e gli sollevo le gambe: ora con le ginocchia è appoggiato sul divano e coi gomiti al pavimento.
Ho davanti agli occhi tutto quello che desidero vedere: il pisello e le palle che pendono, il sedere e le cosce con i segni delle cinghiate.
Ho un piccolo righello di legno.
“Ora con questo completiamo la serata. Ti voglio bello elastico per domani, con questo sarai perfetto”.
TWAK!
TWAK!
TWAK!
TWAK!
I colpi sono meno forti della cinghia, ma questa volta faccio sì che arrivino a cadenza molto ravvicinata, e insisto su tutte le aree, una alla volta.
Una coscia, poi l'altra.
TWAK!
TWAK!
TWAK!
La natica destra, poi la sinistra.
Il ragazzo si dimena.
“Fermo o te ne do il doppio!”.
Cerca di obbedirmi.
Sento i suoi respiri farsi più rapidi e sofferti.
Ora con l'indice e il pollice tendo al massimo lo spazio intorno al buchino e insisto in quel punto
TWAK!
TWAK!
TWAK!
TWAK!
“Ahi, ahi! Uh, che male!”, piagnucola.
Ma credo che la sfumatura di rosso vada aumentata.
TWAK!
TWAK!
TWAK!
Il buchino si contrae a più non posso, avanti e indietro. Domani sarà penetrato, è un piacere che ho atteso da troppo tempo.
Ora mi sembra abbastanza, i suoi gemiti mi convincono.
Lo tiro su, e lo faccio sedere sulle mie ginocchia.
Ha qualche lacrima fra le ciglia, mi intenerisco un po' e penso che forse è bene dargli un po' di sollievo.
Con la mano arrivo al suo pisello, duro e umido.
Lo carezzo lungo la verga.
I gemiti cambiano tonalità, appoggia la testa contro il mio petto e chiude gli occhi.
Mentre respira pesantemente io continuo lentamente.
Gli passo le dita sulla cappella, bella rossa.
Basta stuzzicare leggermente il prepuzio e un fiotto di sperma bagna la mia mano e il suo pube.
“Oooh”, fa, mentre si rilassa.
Gli lascio un minuto per riprendersi, poi si gira verso di me.
Mi mette la mano sul pacco e far per inginocchiarsi.
“No, oggi non serve, grazie”, gli dico. “Non vorrei che domani poi ti aspettassi particolari preferenze”.
Mi sorride, io lo mando in bagno a ripulirsi.
A mia volta mi lavo le mani e prendo qualcosa che avevo per lui.
Quando torna gli dico: “Gli slip puoi lasciarli qui da me. Mettiti questo, lo terrai addosso domani e non lo leverai finché non ci vediamo domani sera”.
Gli porgo un perizoma giallo che ho scelto per lui.
Lo mette e si mostra: il sedere appena fasciato dai fili sottili risalta coi suoi segni rossi, e davanti il pisello, pur modesto e ora a riposo, è elegantemente racchiuso dalla stoffa appena sufficiente.
“Vai a casa e vedi di farti una bella dormita. In bocca al lupo per domani”, concludo.
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Il giorno dopo ecco le sospirate discussioni. Come sempre, gli studenti sono tutti in fermento, tra amici e parenti che aspettano di vederli raggiungere il loro ambito traguardo.
Altrettanto prevedibilmente invece noi docenti siamo un po' annoiati dalla sequela che ci aspetta, ma facciamo in modo di dare un tono solenne alla giornata.
Alessandro è il quinto: quando arriva lo guardo, tutto elegante in un bel vestito grigio, con una cravatta azzurra su camicia bianca. Bisogna davvero dire che sta molto bene.
La sua esposizione è davvero molto buona, sono soddisfatto per lui e indirettamente anche per me che faccio la figura del bravo relatore.
Risponde con competenza anche a una domanda un po' bastarda di un mio collega dispettoso: se la cava con lucidità.
Quando il presidente di commissione conclude l'esame di laurea, lo vedo rilassarsi.
Come si usa da noi in facoltà, al termine della mattina richiamiamo i sei studenti per dare loro i voti.
Alessandro scopre così il suo 110 e lode: lo vedo sorridere, e sono contento per lui.
Dopo gli applausi e l'esultanza di genitori e amici, cominciano a uscire.
Ci tratteniamo in qualche chiacchiera tra colleghi e poi anche io mi avvio.
In cortile stanno ancora facendo schiamazzi: li lascio divertirsi, in attesa di avere anche io la mia parte di piacere, e faccio per uscire.
Proprio vicino al cancello, mi intercetta quella che deduco essere la madre di Alessandro.
“Professore, volevo ringraziarla tantissimo, per averlo seguito e spronato... Grazie, grazie infinite”, mi dice.
“Si figuri signora, è stato impegnativo ma davvero... soddisfacente”, dico io, esibendo tutta l'onestà che mi è possibile raccogliere.
Alessandro dietro mi sente e, non visto, mi manda pure un occhiolino.
Non vedo l'ora di averlo fra le mani.
Riesco finalmente a sgusciare.
Il pomeriggio abbiamo altri tre studenti, poi torno a casa.
Lo aspetto lì, siamo d'accordo che mi raggiungerà appena libero dai festeggiamenti.
Passa il tempo e suonano alla porta. Depongo il mio libro e vado ad aprire.
Lo vedo sulla soglia, ancora con l'abito della discussione, e lo faccio entrare.
Ha il viso un po' stanco per le emozioni e, immagino, i brindisi seguiti.
“Allora, complimenti dottore”, gli dico.
“Grazie, grazie mille! Se non fosse stato per lei...”.
“Non serve, qualunque cosa tu dica non ti salverà da una storica sculacciata. I momenti importanti vanno celebrati, no?”.
Contento, annuisce.
Per questa serata lo faccio salire di sopra, in camera mia. Gli chiedo di aspettarmi.
Ho in mente delle piccole variazioni rispetto al solito. Stavolta sarò io nudo e lui, almeno all'inizio, vestito.
Desidero la massima intimità, e la intendo reciproca questa volta.
Dopo essermi spogliato in bagno, rientro nella stanza.
Lo vedi guardami e leggo lo stupore in un primo attimo, poi un rapido esame. Non sono un palestrato, ma mi tengo in forma. Il mio uccello è visibilmente più grande del suo, e sono abbastanza peloso.
Anche se lui è vestito in abito, sappiamo che io sono l'uomo e lui il mio ragazzo.
Senza dire niente, lo faccio stendere sul letto a faccia in giù del tutto vestito.
Prendo una canna e mi inginocchio sul letto sopra la sua schiena, rivolto verso il suo sedere.
Lascio che senta il mio peso sopra di lui, e comincio.
SLAP!
SLAP!
SLAP!
“Aaaah”!
I colpi sono forti e la canna non risparmia: so che li sente.
SLAP!
SLAP!
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“Aaaah! Ahhh!”, il volume delle sua grida aumenta.
SLAP!
SLAP!
Scalcia a ogni colpo adesso, oltre a gridare; devo aver avuto davvero la mano pesante.
“Voltati”, gli chiedo.
Si gira guardandomi imbronciato, ma so che può prenderne ancora e lo sa anche lui.
Gli tolgo la giacca, le scarpe e i pantaloni.
Riecco il tanga giallo, quel poco che si vede, quasi comico abbinato alla camicia, alla cravatta e alle lunghe calze blu scuro.
Mi siedo sul letto, stavolta lo lascio a pancia in su e gli alzo le gambe, tenendogli le caviglie sollevate.
Prendo la spazzola e attacco con quella.
SPANK!
SPANK!
SPANK!
Sono veloce, passando di chiappa in chiappa.
SPANK!
SPANK!
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“Ohi, ohi che male!”.
SPANK!
SPANK!
“Bruciaaa, ah!”.
So che per ora lo ignorerò
SPANK!
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Geme e volta la testa a destra e sinistra.
SPANK!
SPANK!
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SPANK!
Sta cominciando a piangere.
Le cosce e le natiche sono molto molto rosse, quasi verso il viola.
Lascio la spazzola, e senza dargli il tempo di ricomporsi me lo metto sulle ginocchia con il culo all'insù.
Abbasso bruscamente il tanga.
Apro bene la mano e...
SPANK!
“Ahiiii! Ancora?”, chiede lui sorpreso.
“Ancora, sì. Sei dottore, puoi sopportare una punizione più severa che quella per un semplice studentello”, gli spiego.
SPANK!
SPANK!
SPANK!
“Basta, basta ti prego!”.
“Non so se quello che succederà dopo la sculacciata sarà meglio per il tuo sedere, Alessandro”, lo avviso.
Mi sputo sul indice e centro il suo buco.
Si apre abbastanza facilmente, lo ruoto e faccio un po' avanti e indietro.
SPANK!
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SPANK!
Poverino, non sa nemmeno lui come contorcersi: un dito in culo e ciononostante le sculacciate che arrivano forti e senza che lui possa prevedere esattamente dove.
SPANK!
SPANK!
SPANK!
Sta piangendo, ma so che non è solo dolore quello che sente.
Inserisco anche il medio.
SPANK!
SPANK!
Mentre i colpi continuo divarico un po' le dita, allargando il suo sfintere e preparandolo a quello che verrà.
“Ahhiii, ahiii, ti prego!”.
SPANK!
Questa è stata l'ultima, bella forte.
Lui piange, lascio che passi appena qualche secondo e levo le dita dall'ano, guardandolo massaggiarsi il sedere.
“Basta così”, lo avviso.
Lo stendo al centro del letto a pancia in su, gli metto un cuscino sotto il sedere per facilitarmi.
Ha ancora le guance rigate di lacrime, ma ora prevale in lui l'interesse per la mia verga, che osserva in tutta la sua durezza mentre mi inginocchio sul materasso guardandolo dall'alto.
Con una mano gli prendo il pisello, saggiandone l'eccitazione.
Passo due o tre volte col mio uccello sul suo solco, poi lo appoggio davanti al buco.
Lo guardo in viso e spingo con forza, ammirando i suoi tratti percorsi da una sensazione che lo riempie e soddisfa.
So che non sono il primo, ma so che il rapporto tra noi è diverso dagli altri che ha avuto.
Mentre lo penetro su e giù con una mano lo carezzo sopra la camicia, individuando i suoi capezzoli sotto la stoffa sottile.
Li pizzico, sentendo i suoi gridolini.
Intanto lo accarezzo anche sul pisello.
Un paio di volte capisco di averlo portato vicino al limite e mi fermo, perché non goda troppo presto.
La terza volta però decido di liberarlo, e il ragazzo mugolando ha il suo orgasmo che gli innaffia bene la pancia.
Sento di essere vicino anche io, da sopra lo guardo e penso che abbiamo ancora tempo prima che si traferisca. Magari lo aiuterò a ripassare, potrebbe sempre avere un test di ammissione.
Penso a quello che vorrei ancora fargli, e vengo nel buco stretto di quel sedere bramato e punito.
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