La mia prima volta da gay passivo: un'esperienza forzata e dolorosa, ma ricca di promesse
di
Giovanni R.
genere
gay
Ho 19 anni, mi chiamo Giovanni e sono iscritto da poco all'Università, e come tutti sto ora assistendo alle lezioni via internet o da casa dei miei genitori o da quella del mio fidanzato, Mario, che ha sette anni più di me: lavora fino al tardo pomeriggio e me la lascia a completa disposizione.
Mi sono scoperto gay passivo da circa tre anni, durante la mia prima esperienza omosessuale che ho dovuto subire, inattesa, come una vera e propria violenza, ma che è servita a farmi capire la mia natura femminile, procurandomi – subito dopo il trauma e il dolore dello stupro – inequivocabile piacere.
Dopo questo fatto, ho ricercato immediatamente la riprova di quello che avevo provato, con esito ugualmente positivo e anzi ancor più gratificante. Ho quindi accettato, senza problemi, la mia vera personalità: da allora, fisicamente e psicologicamente mi sono sentito e mi sento donna, attratta soltanto dal maschio e dal suo pisello, ansiosa di sentirmi dominata, posseduta, scopata fino allo sfinimento. In tre anni, ho già avuto 6 uomini, Ahmed e Marco compresi.
Da poco, ho fatto outing con i miei genitori che infine, pur con tanto dispiacere, hanno accettato la mia natura. Mi sono lasciato crescere i capelli, biondi e lisci fino alle spalle, che quando esco riunisco nella coda o sistemo in una crocchia vezzosa, e quando sto con Mario, in privato nel suo appartamentino, con sua grande gioia, mi vesto da donna con gonnelline corte o jeans attillati, indossando biancheria intima e autoreggenti, e ho anche imparato a camminare in modo spedito e naturale, ancheggiando e sculettando (sempre però con senso della misura), sui tacchi 12: sono di pelle chiara e di fisico snello, ho poca barba, ho cosce e culo pieni e ho scoperto con gioia di piacere assai ai maschi. Anche ora ho non pochi corteggiatori, ma sto bene con Mario, gay attivo (con periodiche concessioni alla versatilità, ovvero al ruolo passivo), ne sono innamorato, e non l'ho mai tradito, se non, per sua scelta, e quindi con il suo pieno consenso, con un altro uomo, il suo ex amico Giorgio, gay versatile, che partecipa, talvolta, ai nostri giochi. Ma di questo si parlerà un'altra volta.
Mi resi conto della mia natura femminile, appunto, improvvisamente, tre anni fa. Tutto è cominciato allora. Ero al campetto di calcio con i compagni della squadretta giovanile del quartiere dove abito, un po' fuori dell'abitato. Alla fine dell'allenamento di squadra, mi ero attardato con un compagno a palleggiare e quando anche l'amico venne chiamato dalla madre, che era andata ad accompagnarlo e riprenderlo in auto, finalmente anch'io mi decisi: mi rivestii della tuta, lasciai il pallone al custode e mi incamminai verso il motorino parcheggiato davanti all'impianto sportivo. Ebbi la brutta sorpresa di trovare le due gomme a terra, squarciate da qualcuno. Imprecando, mi avviai a piedi alla vicina fermata del bus che mi avrebbe lasciato abbastanza vicino a casa: stavo per giungere nella via principale quando, da un furgone parcheggiato, scese un omone di pelle scura – che avevo sicuramente già visto, più volte, tra i pochi spettatori che assistevano ai nostri allenamenti e alle nostre partitelle – e che mi chiese, gentilmente, l'indicazione di una via e di un negozio all'ingrosso di alimentari: glielo spiegai, e l'uomo mi ringraziò e mi domandò se avevo bisogno di un passaggio. Gli spiegai la mia situazione, dicendogli che stavo andando a prendere l'autobus. Lui mi disse di salire, che mi avrebbe accompagnato a casa, subito dopo avere fatto una consegna di un pacco. Salii e lo guidai al vicino magazzino. Lui scese, consegnò un pacco e rimise in moto per il ritorno: dopo poco, vidi con sorpresa che deviava dalla strada provinciale e parcheggiava accanto ad un capannone abbandonato.
Mi girai verso di lui per chiedergli la ragione ma non feci in tempo a parlare: si girò veloce verso di me, mi abbracciò e mi attrasse a sé, tappandomi la bocca con una delle sue grandi mani. Mi disse: “Sono pazzo di te, biondino, ti ho visto tante volte giocare e allenarti, sei bello, sogno il tuo culetto e lo voglio, costi quel che costi, voglio fare l'amore con te, fidati di me, sono Ahmed, una persona per bene. Sono nato in Egitto ma da tanti anni in Italia e ho anche la cittadinanza, se accetti ti darò piacere e ti pagherò 300 euro, e continuerò a pagarti anche le volte successive se tu mi vorrai ancora”. Mentre parlava, mi stringeva fortemente e mi tappava ancora la bocca con la sua mano sinistra, mentre con la destra, sollevandomi un po' dal sedile, mi accarezzava la schiena e si incuneava sulle e sotto le mie natiche. Ero impaurito e temevo che mi avrebbe picchiato e forse peggio. Lo guardai negli occhi e feci per parlare, tremando e supplicandolo che non mi facesse del male, lui capì, annuì, dicendomi di stare tranquillo: si chinò e, togliendo la mano sinistra, cominciò a baciarmi in bocca, mentre mi accarezzava, con entrambe, il petto e i glutei. Era la prima volta che baciavo: sentivo la sua lingua che cercava la mia, insistente, e infine cedetti e risposi, curioso. Mentre mi baciava con passione, mi prese la mano sinistra e se la portò sul suo ventre, abbassandola piano, e muovendola in su e in giù: sentii il suo pisello che cresceva. Si staccò e mi disse: “Hai mai giocato con un pisello?”. Scossi la testa: sapevo quello che intendeva. Nella nostra squadra c'erano i due fidanzatini, Gianfranco e Jadir, il secondo nigeriano adottato: frequentavano la stessa classe dell'Istituto Tecnico ed erano inseparabili, e tutti noi scherzavamo sulla coppia, immaginandone i ruoli. Ahmed, mentre mi faceva ancora accarezzare con la mano, per tutta la sua lunghezza, il suo pisello, che sentivo grossissimo, disse: “andiamo dentro, fai il bravo. Aspetta un attimo”. Scese, sentii che apriva il portellone del furgone e poi venne ad aprire lo sportello dalla mia parte, facendomi cenno di scendere: mentre stavo facendolo, mi prese fra le braccia senza sforzo e rapidamente mi portò, così, dentro il furgone. Chiuse la porta. Al centro era vuoto, ci stese un tappeto che era arrotolato lateralmente, dicendo “spogliamoci”. Lui si tolse solo le scarpe, i pantaloni e le mutande, io dovetti denudarmi integralmente, aiutato da lui. Anche con la maglietta addosso vidi che era imponente, un fascio di muscoli nelle braccia, nel torace e nelle cosce. Appena nudo, mi tastò e baciò i capezzoli, procurandomi brividi di piacere, mentre le sue manone mi palpavano con forza dietro i glutei, poi le ritirò e mi costrinse a prendere stretto, fra le mie due mani, il suo pisello, già gonfio: mi parve enorme in lunghezza e circonferenza, a partire dalla sua cappella tutta scoperta. Me lo fece accarezzare a lungo, poi con una mano sulla testa – senza dire nulla – mi fece inginocchiare di forza e me lo puntò sulla bocca, costringendomi ad aprirla, prima per leccarlo e poi per introdurlo, per quanto ne potevo. Capii che avrei dovuto succhiarlo e spompinarlo, come qualche compagno raccontava che si faceva fare dalla propria ragazzina: con una mano sulla mia nuca cominciò, infatti, a spingermi con decisione, avanti e indietro. Dapprima provai difficoltà, poi cominciai a prenderlo per buona parte, mentre con l'altra mano mi accarezzava e mi strizzava i capezzoli. Solo allora cominciò a incoraggiarmi: “così, bravo, bravissimo, sei il ragazzo più bello che abbia mai visto, vedrai che ti piacerà il mio pisellone”. Continuai a lungo così, ad occhi chiusi, mentre gli abbracciavo le cosce: poi lui si ritirò e mi fece sdraiare a pancia in giù sul tappeto, si mise in ginocchio dietro di me, mi allargò le gambe, accarezzandomele dai ginocchi in su, e sentii prima le sue mani sulle mie natiche, che allargava e chiudeva con movimento rotatorio, poi la sua bocca bagnata e la sua lingua calda sul mio buchino: mi leccò lungamente, e mi accorsi di rabbrividire e di accettare con piacere quel trattamento rilassante. Mi prese tra le dita anche il mio pisello – così piccolo in confronto al suo – e cominciò a segarlo avvolto in una sua mano, risvegliandolo completamente: improvvisamente mi penetrò con un dito, mentre sussultavo e mi ritraevo impaurito. Mi disse: “non devi avere paura, stai calmo, rilassati, ti preparo, quando senti il mio pisello, spingi con tutti i muscoli dell'ano verso di lui, così lo aiuti ad entrare. Poi ti piacerà, è piaciuto a tutti i giovani e meno giovani che ho avuto, anche a quelli che ho inculato la prima volta da vergini, come ora farò con te”. Riprese a leccarmi con foga, poi sentii due dita che cercavano di farsi strada, e infine ci riuscivano, forse perché mi aveva bagnato bene, sentii che utilizzava anche lo sputo. Cercai di rilassarmi, ma avevo paura, ce l'aveva troppo grosso, lungo e soprattutto largo come non immaginavo potesse esistere. Mi dicevo che stavo per diventare un gay o finocchio, ma a me le ragazzine piacevano (pensavo spesso alle loro gambe e ai loro seni), anche se non ero ancora riuscito ad avvicinarne una, ma ci stavo provando con una compagna di classe. Ahmed continuò pazientemente a introdursi con le due dita e a rigirarle nel mio buchetto, quasi stesse giocando. Poi smise e, stando sempre in ginocchio dietro di me, disse soddisfatto: “ora te lo metto, stai calmo e pensa di essere una donna che finalmente si toglie la voglia del pisello. Ricordati di spingere con i muscoli dell'ano verso di me”. Sentii la cappella calda e bagnata puntata sul mio buco. L'uomo si chinò in avanti, appoggiandosi con entrambe le mani sul tappeto, e spinse con il bacino verso di me. Io cercai di spingere, per quanto possibile, i muscoli verso di lui, sentii il pisello che entrava ma subito dopo un male atroce, mentre l'uomo continuava a spingere dentro. Non potei fare a meno di scuotere il corpo e di urlare e di chiedere. “basta, ti prego, esci, sento troppo male”. Subito mi tappò la bocca con una mano, dicendo: “coraggio, il peggio è passato, è entrato quasi a metà. Ora sto fermo o mi muovo pianissimo per abituare i tuoi muscoli, poi sprofonderò ancora. Intanto fatti baciare, alza la schiena”. Obbedii e sentii la sua bocca sulla mia schiena e sul mio collo, mentre la sua mano scendeva dalla mia bocca ai miei capezzoli. Fu a quel punto che avvertii il fatto nuovo: cominciai a provare brividi di piacere, nonostante che il culo mi bruciasse molto, con la strana sensazione di un grosso tappo che me lo chiudeva. Lui mi stringeva a sé, accarezzandomi e baciandomi e dicendo: “non ho mai avuto un ragazzo bello come te, se mi vorrai sarò il tuo innamorato e ti ricompenserò non solo con il pisello ma anche con tutto il danaro di cui avrai bisogno. Guadagno bene e non ho più una moglie da mantenere, se n'è andata, per questo ho tanta voglia. Ma ne ho abbastanza delle donne e dei loro capricci, voglio un ragazzo come te, voglio te”. Rimase conficcato per un tempo lunghissimo in me, immobile, ma accarezzandomi il corpo. Dopo alquanto tempo, mi disse: “contrai di continuo i muscoli, abituali”, appena cominciai, iniziò nuovamente a muoversi e sentii che il suo cazzo scendeva ancora. Ahmed riprese a parlare: “sei bravissimo, è entrato quasi tutto. Lo faccio abituare bene”. Riprese ad accarezzarmi e baciarmi con foga e a tenermi strettamente abbracciato a sé, circondandomi il petto e la vita con le sue braccia robuste, mentre io mi stavo dicendo che l'esperienza non era poi così terribile come avevo temuto. Cominciò a piacermi di stare così strettamente abbracciato da lui, che continuava a impalarmi, immobile, come si abbraccia e si impala una donna: ricordai le rivelazioni dei pochi amici che avevano avuto esperienza di scopata con ragazze e sentii che anche il mio pisello si stava nuovamente gonfiando per l'eccitazione: avrei voluto segarmi e venire, come ero abituato a fare spesso, ma purtroppo, data la posizione, non potevo. Poi lui mi disse: “sento che si sta abituando e ormai non dovrei farti più male. Provo a scoparti piano, se senti male dimmelo”. Cominciò a muoversi, arretrando lentamente fin quasi ad uscire e poi sprofondando altrettanto lentamente, una volta dopo l'altra: improvvisamente avvertii – a di là del bruciore continuo – anche una sensazione di piacere e dei brividi anali che stavano producendo i suoi movimenti. Lui se ne accorse e rallentò il movimento: sempre muovendosi, lo sentii cercare di distendersi, piano, sopra di me, passando dalla posizione in ginocchio piegato a quella sdraiata sul mio corpo, senza che il suo pisello uscisse dal mio buchetto. Lo sentii pesare molto, troppo e lo pregai di non gravare tutto sopra di me e almeno di fermarsi, di stare immobile: mi obbedì, avvertivo il pisellone dentro di me senza grande dolore e improvvisamente fui contento di essere riuscito ad averlo tutto o quasi, mentre lui mi baciava collo e orecchie: io fremevo avvolto fra le sue braccia e gambe muscolose. Girai, per quanto possibile, il viso verso Ahmed e richiesi la sua lingua: ci baciammo a lungo così, mentre sentivo il membro pulsare di continuo nella mia apertura. Improvvisamente Ahmed si alzò, mi costrinse a mettermi in ginocchio, tenendo il bacino più alto possibile, con il busto arcuato e piegato in avanti e con le braccia tese e appoggiate al tappeto: stando in piedi, assai piegato sulle ginocchia, mi riappoggiò il pisello nel buchetto, entrò e spinse fino a quando – con un po' di dolore per me – riuscì a penetrare, sempre più in profondità. Sentii dirmi: “ora ti scopo e fammi finalmente godere. E' tanto che non lo faccio, ho una gran voglia”. Cominciò a muoversi sempre più forte, tenendomi abbracciato tra vita e petto. Mi accorsi che il dolore – soprattutto il bruciore – era tollerabile, e quindi provai ad andare incontro al suo movimento, attivando i muscoli; sollevai un braccio dal tappeto e cercai anche di accarezzarlo all'indietro. Non durò a lungo. Sentii dirgli: “è troppo bello, sei mio finalmente. Così stretto è un piacere immenso, ma non dura come vorrei”. Infatti lo sentii subito dopo gemere, scuotersi e premermi sempre più forte, e con un “vengo vengo” si abbatté sopra di me, rimettendomi disteso, con lui che mi pesava sopra e il mio culetto che si bagnava abbondantemente del suo liquido. Ansimando, gli chiesi: “ma quanto pesi? Mi sembri un macigno”. Mi rispose: “sarò sui 110 kg, ma sono alto 1.93, non mi dire che mi vedi grasso. E poi sono sempre piaciuto a tutti, il mio peso rende ancora più appagante il mio pisellone, lo fa arrivare proprio in fondo, fino alle palle. Vedrai che la prossima volta sarai soddisfatto anche tu”. Mi strinse e si stette così abbracciati, a baciarci e accarezzarci, poi lui si alzò, prese un rotolo di carta, si ripulì e mi aiutò a ripulirmi.
Ci rivestimmo e tornammo con cautela nella cabina di guida. Ahmed aprì il portafoglio e mi dette 300 euro, dicendomi. “A proposito, ti prego di stare zitto, se parli finisco in galera, lo sai vero? Te li sei guadagnati, spendili per i tuoi bisognini, ne avrai altri. Sei troppo bello, e mi è piaciuto tanto, ma non può finire così, ti voglio ancora. Quando posso rivederti? Vedrai, ormai il tuo culetto è aperto e la prossima volta ti piacerà molto di più, e forse avrai l'orgasmo anche te, come l'ho avuto io. A casa fatti una bella doccia fredda e bagnalo a lungo, starai meglio”. Risposi: “Sì, alla fine mi è piaciuto, anche se ancora mi fa piuttosto male: brucia terribilmente. Potresti venire tra una settimana, lo stesso giorno, finito l'allenamento, dove ci siamo incontrati prima. Ce la fai? Ma non farti vedere, non voglio farmi dare del finocchio dai compagni”. Lui annuì soddisfatto: “aspetterò con ansia quel giorno: vedrai, finalmente potrò scoparti come si deve”. Mise in moto e mi accompagnò a casa.
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