Giovanni e l'orgia di gruppo (3° racconto)
di
Giovanni R.
genere
gay
Eravamo ai primi di giugno, la scuola stava per finire e le cose andavano a meraviglia, anche per l’occasione straordinaria che mi si era presentata: sabato e domenica, i miei genitori partivano per un tour turistico col gruppo parrocchiale e io avevo concordato con Ahmed che lo avrei raggiunto sabato, appena suonata la campanella, e sarei stato con lui addirittura fino alla sera di domenica. Durante le ore di lezione fremevo dal desiderio di lui e appena libero mi precipitai alla sua casa. Come spesso faceva, aveva preparato un buonissimo couscous, che assaggiai appena, seduto sulle sue ginocchia, impaziente: anche lui lo sentivo eccitatissimo, tanto che presto mi sollevò in braccio e mi portò in camera. Ci spogliammo come sempre in un baleno e, dopo lunghi baci, lo spompinai famelicamente e poi lui cominciò a scoparmi, steso sopra di me. Mentre stavo iniziando a godere, sentimmo suonare il campanello e, subito dopo, il suo cellulare, posato sul comodino, squillare ininterrottamente. Lui si fermò, sollevandosi da me. Contrariato, gli chiesi di continuare, di non prestare attenzione allo scocciatore, probabilmente venditore di qualcosa a domicilio, ma in quel momento il telefono riprese a squillare. Non mi ascoltò, si alzò e andò a rispondere, parlando brevemente. Gli sentii dire: “Ottavio, va bene, vengo, apro” e subito andò a prendere un paio di calzoncini che indossò con una maglietta. Mi disse: “aspetta qui, è un socio per una questione urgente, spero ci vogliano solo pochi minuti”. Uscì e chiuse la porta, mentre io cercavo di ingannare il tempo facendo movimenti di ginnastica con le gambe. Sentii le voci. Dopo un paio di minuti, la porta si riaprì e Ahmed, senza entrare, mi disse: “alzati, indossa la mia solita camicia e vieni in salotto. Ottavio, il mio socio, vuole conoscerti, non essere scortese”. Rimasi sorpreso ma obbedii: indossai la sua camiciona e, scalzo, lo raggiunsi: mi cinse la vita e andammo abbracciati in salotto. Il socio era un cinquantenne corpulento e barbuto, moro, parlava con dialetto meridionale, e mi accolse ridente e ammiccante, squadrandomi tutto, curiosamente. Ci sedemmo e lui disse: “ecco perché non ti vediamo più Ahmed, ora ci credo”; rivolgendosi a me continuò “con una meraviglia di biondino come te chiunque vorrebbe farsi frate e ritirarsi in contemplazione in convento, sempre insieme a te ovviamente”. Visto il mio imbarazzo, Ahmed mi chiese di prendere delle birre dal frigo per berle con l’ospite, mi alzai e andai in cucina, presi le birre e tornai: mi accorsi che Ottavio non mi toglieva gli occhi di dosso, soffermandosi soprattutto sulle mie gambe nude, in movimento o accavallate. Bevemmo e poi Ahmed mi rimandò in camera, dicendo che mi avrebbe raggiunto presto, non appena finito di discutere una questione con Ottavio: che, mentre gli davo la mano per salutarlo, disse: “ciao, bel Giovannino, continua a far felice questo vecchio e povero lavoratore senza moglie, che lo merita, spero davvero di rivederti presto”. Imbarazzato, scivolai rapido in camera e sedetti sul letto in attesa, tenendo indosso la camicia.
Dopo qualche minuto sentii le voci allontanarsi e Ahmed tornò: si spogliò, mi tolse la camicia e, abbracciandomi, mi chiese scusa per l’interruzione, dicendo che Ottavio era stato fulminato dalla mia bellezza e che avrebbe voluto conoscermi meglio e anche incontrami intimamente. Prima che potessi rispondergli che non ci pensavo proprio, cominciò a baciarmi, e presto mi ritrovai sotto di lui a gemere di godimento.
Ci alzammo solo verso le 20, con la mia pancia che reclamava un pasto. Telefonai ai miei: tutto stava andando bene. Recuperammo il couscous avanzato, prendemmo due birre e ci sistemammo sul divano a cenare, in intimità: Ahmed accese il portatile e volle guardare dei filmini erotici, soprattutto gay. Mentre scorrevano le immagini di sesso, incuriosito del suo passato, gli chiesi come era stata la storia con sua moglie, se anche lei era contenta del suo pisellone, se lo reclamava. Lui annuì, precisando però che Anna – mentre urlava di piacere quando era scopata, e per questo lo cercava ogni giorno – non gradiva il sesso anale: glielo aveva dato pochissime volte, a forza di insistere, e dopo in po’ si rifiutava di continuare per il dolore che provava. “Non sono riuscito ad abituarla, è stato l’unico mio fallimento in quel senso. E pensare che a sua madre piaceva più lì che davanti”. Gli chiesi se, prima di me, aveva avuto altri ragazzi della nostra città e lui mi rispose che, ancora da sposato, negli ultimi due anni, quando i rapporti con la moglie (che tra l’altro si era purtroppo innamorata di un altro, un balordo più giovane di dieci anni, e già pensava di andare con lui, come poi ha fatto) erano già diventati critici, aveva cercato rifugio, volutamente, non in altre donne, ma proprio in alcuni giovani, più o meno della mia età: “è l’età migliore per abituarvi ad essere femmine, avete già sviluppato la sfera erogena e sognate fortemente la fica oppure, a saperci fare, il cazzo, e allora diventate generosi e insaziabili: prima siete troppo bambini inconsapevoli, sarebbe un crimine. A 20 anni siete già uomini, non mi interessate più”.
Mi aveva rivelato di avere sedotto – prima di me – tre giovani conosciuti e corteggiati proprio nei campini di calcio della periferia cittadina. Uno di questi giovani, amato nel furgone, per tanti mesi, nell’anno precedente, era allora, guarda caso, un mio compagno di squadra (alla fine me ne fece il nome, Adriano, un biondino più o meno come me) che però, alla fine dell’estate, si era trasferito altrove con la famiglia. Per questo spiacevole fatto, aveva ripreso a frequentare il campo e mi aveva subito adocchiato e prescelto: “guardo il culetto e le gambe, mi piacete torniti di muscoli e anche pieni e rotondi, sexy come sei tu”. Gli era andata bene: nessuno dei giovani prima amati – neppure i tanti avuti, in età giovanile, in Egitto – gli aveva dato i piaceri e le soddisfazioni che gli avevo dato e continuavo a dargli io. Se avesse potuto, mi avrebbe sequestrato in casa con il solo compito di farlo godere in tutto il suo tempo libero.
Incuriosito, gli chiesi se avesse avuto altre donne, oltre ad Anna, e lui rispose che Anna gli bastava: soltanto quando le cose non andavano più bene si era fatto convincere da Ottavio e dagli altri due soci a frequentare, sempre insieme a loro e saltuariamente, Paola, una giovane hostess di mestiere, bella e seria, fidata, di cui Ottavio era invaghito e che incontrava spesso, ovviamente pagandola: circa una volta al mese, faceva una cena a casa sua, chiamava Paola che restava tutta la notte a disposizione dei quattro soci, era una gang bang, ma fatta con educazione e rispetto. Paola era una brava figliola, aveva avuto una vita infelice (stuprata dal padre fin da bambina) e si era ridotta a praticare il mestiere: i quattro, pur usandola in tutte le sue aperture, la trattavano con affetto, come una fidanzata. Negli ultimi tempi, quando Ahmed incontrava Adriano, Ottavio – che provava anche lui un grande interesse per i ragazzi e voleva conoscerlo – aveva tanto insistito e finalmente Adriano, debitamente informato sulla situazione, aveva accettato e aveva partecipato, ovviamente come unica attrazione sessuale, all'incontro con i quattro uomini: l'esperienza era andata bene e Adriano l'aveva ripetuta altre due volte, sempre ricavando dalla gang bang il piacere e un bel gruzzoletto.
A quel punto mi abbracciò stretto e, guardandomi negli occhi, mi disse: “hai visto l'interesse per te di Ottavio. Mi ha chiesto di portarti domattina a casa sua, dove organizzerebbe l'incontro con gli altri due soci, Franco ed Enzo: ci divertiamo, pranziamo e nel pomeriggio potrai tornare a casa, magari prima torniamo qui per riposarci. Fammi questo favore, dimmi di sì Giovannino. Ottavio ci tiene tanto e sono in debito con lui, ha anticipato anche la mia quota di investimento nella società. Ti tratteranno bene, te l'assicuro, come una fidanzatina, e ne ricaverai anche tu un bel gruzzolo”. Rimasi di gelo: impietrito e con le lacrime agli occhi gli dissi: “come hai potuto pensare una mostruosità di questo genere, mi rivesto e me ne vado, non voglio vederti più”. Cercai di svincolarmi dalle sue braccia e alzarmi, ma lui continuò a tenermi stretto, dicendo “se la prendi così male, allora scusami, perdonami, chiamo subito Ottavio e gli dico che non se ne farà nulla, calmati però”. Prese a baciarmi e ad accarezzarmi tutto, mentre mi sbottonava la camicia: a poco a poco mi calmai e risposi ai suoi baci, allora mi sollevò tra le braccia – come era solito fare – e mi portò sul letto. Più tardi, si alzò, dicendo, aspetta, vado a telefonare ad Ottavio, torno subito. Infatti ricomparve dopo pochissimo e riprese a baciarmi come prima.
Facemmo a lungo sesso e dormii pochissimo. Ancora istupidito dal sonno, stretto fra le sue braccia, lo sentii muoversi, alzarsi e mormorare: “è presto, dormi ancora tranquillo, vado a farmi un caffè”. Mi girai dall'altra parte e mi riaddormentai. Fui svegliato bruscamente da più mani che mi palpavano: aprii gli occhi e vidi Ottavio che mi fotografava, mentre ero sdraiato di schiena e nudo, e due uomini seduti sul letto ai due lati che stavano, appunto, palpandomi il petto, poi mi girarono di pancia ed uno mi chiuse la bocca con forza. Ottavio continuava a fotografarmi, mentre l'altro mi appoggiava il pisello sulle natiche e me le accarezzava. Non vedevo Ahmed. Cercai di svincolarmi e alzarmi ma mi immobilizzarono con forza, sempre tappandomi la bocca. Ottavio si avvicinò, dicendo: “perché cerchi di fare la furba? Non sei una santarellina, sei invece una esperta troietta, e le foto e le riprese che ti ho fatto ora lo dimostrano bene e lo dimostreranno bene, presto, in rete, e magari inviate anche ai tuoi compagni di calcio. Perciò stammi a sentire con attenzione: io ti voglio scopare, così come vogliono scoparti i miei soci, te li presento, Franco ed Enzo. Con Ahmed siamo una società di amici e condividiamo tutto, anche i nostri affetti, come i quattro moschettieri: quello che è di uno, è di tutti. Quindi, hai un aspetto intelligente e avrai già capito l'aria che tira: ti tratteremo bene, con rispetto, e guadagnerai 500 euro (è una cifra superiore alle pretese delle escort più care della città), ma ora calmati, sorridici e dimostraci quello che hai imparato con Ahmed. Mi sono spiegato? Farai la brava?”. Spaventato dal suo tono deciso, non mi restò che annuire, abbandonandomi senza forze sul letto.
Intravidi i tre uomini che si stavano spogliando e poi me li sentii accanto e addosso a me, con le loro mani che mi giravano. Chiusi gli occhi, mentre Ottavio si sedeva, pesante, sul mio petto e mi introduceva il pisello in bocca; contemporaneamente, sentivo un altro che, stando in ginocchio, mi alzava le gambe verso il soffitto e mi apriva l'ano con una mano e subito mi penetrava….
Passarono ore: fui davvero un giocattolo sessuale nelle loro mani, ma non mi fecero del male. Nonostante le lunghe inculate, quando sentii e vidi Ahmed entrare in camera e annunciarci il pranzo pronto, non avvertivo particolare dolore, al di là dell'indolenzimento generale e specialmente alle gambe e alle braccia: non avevano la sua dotazione e quando avevano iniziato il gioco ero già ben dilatato...
Mi alzai e scappai a farmi una doccia e i bisogni corporali fin lì trattenuti. Ahmed entro in bagno e mi aiutò ad asciugarmi, poi mi porse la solita sua camicia per rivestirmi, dicendomi: “perdonami, ma non potevo fare altrimenti, mi dispiace”. Annuii senza rispondergli e lo seguii in salotto, dove aveva apparecchiato. Dopo poco, arrivarono alla spicciolata i tre soci. Ottavio si sedette accanto a me, mi dette una busta chiusa (“un regalino per te, sei stata brava e spero che tu vorrai partecipare alla prossima festa a casa mia, come ospite d'onore. A proposito, complimenti, sei una bella fica e una straordinaria rizzacazzi, Ahmed se ne intende, e io sono ben lieto e fiero di averti conosciuta”) e cercò di intrattenermi amabilmente, con battute e allusioni, mentre mi versava ripetutamente prosecco nel bicchiere. Ahmed, dall'altro lato, mi guardava muto.
Dopo il caffè, Ottavio disse, mentre mi accarezzava una coscia,: “avrei di nuovo tanta voglia di te, ma siamo tra gentiluomini. Hai avuto – da ieri pomeriggio – 24 ore molto intense, è giusto, se credi, che tu vada a rilassarti. Però lascia che ti dica che sei tra persone oneste, prese dalla tua bellezza: ti abbiamo voluto, è naturale, e ti vorremmo ancora, se tu ce lo consentirai. Per il resto stai tranquilla, non hai niente da temere, puoi fidarti di noi, e spero che tu perdoni Ahmed per quanto è stato costretto a fare, non avrebbe voluto”. Annuii, mi alzai e andai in camera a vestirmi. Ahmed mi aspettava sulla porta: cercò di baciarmi, ma lo evitai e uscii senza una parola, con le lacrime agli occhi.
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