La prima volta con mia suocera
di
ALE_BARDI
genere
incesti
ALESSANDRO BARDI
LA PRIMA VOLTA CON MIA SUOCERA
Ero finalmente riuscito ad organizzare un weekend in montagna da solo con mia suocera. Ci avevo messo mesi per fare in modo che ogni cosa andasse al suo posto, e finalmente avevo raggiunto il mio obiettivo.
A furia di insistere con mia moglie, e di romperle le scatole per andare a fare passeggiate in Trentino, dove avevo una casa, sapendo che lei odiava la montagna, ero riuscito a farle dire le parole magiche: “cazzo, Ale! Ma basta! Trovati qualcun altro per andare a rompersi le palle in mezzo ai cervi”.
“Oh! Finalmente”, pensai.
“Ma con chi ci vado?”, le chiesi, aggiungendo subito dopo: “l’unica persona che sa apprezzare quegli ambienti è tua madre…”.
Fu in quel momento che lei pronunciò la sentenza: “e allora vacci con lei!”.
Volevo inginocchiarmi e mettermi a piangere. Feci un minimo di resistenza, giusto per dare un senso al copione, ma poi accettai.
Sara, mia suocera, era la donna più sensuale che avessi mai conosciuto. Sessantadue anni, alta un metro e settanta circa, capelli lisci e bianchi, bianchissimi. Se li teneva lunghi fin sotto le spalle, e se li tingeva apposta di bianco per dare a loro un colore tanto pulito da non lasciar trasparire alcuna imperfezione. Sembrava una dea dei ghiacci, resa ancora più divina dagli occhi neri e profondi, intelligenti e fulminanti.
Il suo corpo mi faceva impazzire. Nonostante l’età si era mantenuta in perfetta forma. Rispettava una dieta rigida che le consentiva di portare in giro un fisico asciutto, reso indimenticabile da un paio di tette talmente grandi da impedire agli occhi di qualsiasi uomo di accorgersi dei suoi capelli bianchi prima di una decina di secondi. Era impossibile non fermarsi con lo sguardo su quelle forme gigantesche, ed era impossibile frenare i pensieri peccaminosi di chiunque avesse avuto la fortuna di trovarsela davanti.
Ma coloro che, dimostrando freddezza e intraprendenza, riuscivano a staccarsi da quell’immagine per ammirare quel corpo nella sua interezza, rimanevano folgorati dalla vista di due gambe semplicemente perfette, le cui linee erano state disegnate apposta per togliere la voce agli uomini.
Il fatto, poi, che mettesse sempre scarpe con tacchi a spillo, rendeva quella situazione ancora più piacevole.
Ma se il fisico era un inno al sesso, la testa non lo era da meno. Sara era una donna forte, determinata. Sapeva gestire qualsiasi situazione mettendo in riga anche l’interlocutore più aggressivo. Rimasta vedova una decina d’anni prima, non aveva passato molto tempo a piangersi addosso. Si era rifatta una vita, saltando spesso da un letto all’altro, ma sempre nella più totale riservatezza e senza mai dare adito a pettegolezzi eccessivi.
Aveva scelto di non legarsi più a nessuno, rimanendo fedele solo alle sue due figlie, la maggiore delle quali aveva avuto la fortuna, non più di tre anni prima, di incontrare me. Ci eravamo sposati due anni dopo, ma nemmeno sull’altare avevo smesso di pensare a quanto mi sarebbe piaciuto andare a letto con sua madre.
Mia moglie Nadia, che non aveva mai sospettato nulla, dopo aver pensato che io avrei potuto sopportare la presenza di sua madre per un weekend in montagna, si prese anche la briga di mandarle subito un messaggio che recitava: “L’Ale continua a rompermi le palle per andare in Trentino. Vuoi andare tu con lui?”.
Giuro, non avrei saputo scriverlo meglio.
Era da poco iniziato giugno, non faceva ancora caldissimo, ma il brivido che mi attraversò il corpo quando, pochi minuti dopo, sentii vibrare il telefono di mia moglie era degno del più freddo degli inverni.
“Dice che va bene. Chiamala e arrangiati…”.
Non so cosa successe nei dieci minuti successivi. Non riuscivo a riprendere il controllo della mente, le cui capacità cognitive si erano completamente azzerate.
Quando tornai in me, risposi: “ok”, ma mi accorsi che non c’era nessuno ad ascoltarmi. Mia moglie se ne era già andata e mi aveva lasciato li da solo, in piedi in mezzo alla sala, come un vero cretino.
La chiamai e ci mettemmo d’accordo per il weekend successivo. Sarei andato a prenderla venerdì sera; soltanto tre giorni dopo.
Passai quelle giornate d’attesa in uno stato di confusione mentale. Non riuscivo a concentrarmi su nulla che non fosse l’immagine della sua bocca, delle sue tette, dei suoi piedi.
Contai i minuti e mi immaginai almeno cento modi diversi per portarla a letto. “Ora”, mi dicevo cercando di stare calmo, “l’importante è partire insieme e rimanere da soli io e lei. Poi si vedrà”.
Il grande momento arrivò e mi trovò pronto. Salutai mia moglie con un leggero bacio sulle labbra e con uno sguardo un po' spento. “Dai”, mi disse mentre già stavo per scendere le scale, “non fare quella faccia. Mia madre non sarà il massimo della compagnia, ma almeno te ne vai in montagna. Goditela”.
Le risposi senza riuscire a nascondere un equivoco sorriso: “si… si… me la godo…”, ma evitai di sottolinearle che non stavo facendo riferimento alla montagna.
Mia suocera abitava a meno di cinque chilometri da noi; distanza che percorsi alla velocità della luce.
“Arrivo”, mi rispose al citofono, e la voce che diede corpo a quella sola parola bastò per infiammarmi il sangue.
Me la vidi arrivare vestita come se stesse per andare al centro commerciale. Notai subito il tacco dodici che accompagnava i suoi passi. “Splendida scelta”, pensai. Aveva indossato un paio di scarpe nere molto classiche, chiuse sia sulle dita che sul tallone, rese indimenticabili dalla linea perfetta dei suoi piedi.
La gonna, di un blu tanto scuro da sfiorare il nero, le arrivava giusto sotto il ginocchio, mentre la camicia bianca, che in sé non aveva nulla di particolare, sembrava un’opera del Botticelli grazie alle forme che quel seno enorme le stava dando. Aveva scelto di fermarsi con l’abbottonamento al punto giusto. Sarebbe bastato allacciare solo un bottone in più per privarmi della vista di quella fantastica linea verticale che disegnava i contorni delle sue tette gigantesche.
Non mi accorsi neanche che aveva uno zaino in spalla, e quello zaino era la ragione per cui aveva aperto il bagagliaio. Pensai che sarei dovuto scendere ad aiutarla, ma avevo perso l’attimo. D’altra parte, come avrei potuto distrarmi dall’ammirazione del suo corpo?
Quando si sedette in macchina non ebbi il tempo di dire nulla. Mi baciò sulle guance, come altre mille volte aveva fatto.
“Ciao”, riuscii a balbettare. Poi mi ripresi: “bè, sei bellissima. Hai capito che stiamo andando in montagna, si?”.
La sua risata mi riportò al presente e mi aiutò a riprendere pienamente il controllo.
“Non ti preoccupare”, ma aveva sempre avuto una voce così calda? “mica andiamo per i boschi stasera. Nello zaino ho tutto quello che serve. Dai, vai…”.
Partii soddisfatto del mio istinto. Le avevo fatto un complimento senza nemmeno accorgermene. Pensai che averla approcciata dicendole subito che la trovavo bellissima fosse il modo migliore per impostare il weekend.
Guidai a fatica. Non era facile concentrarsi sulle curve della strada quando al mio fianco c’erano ben altre curve. Ogni tanto lasciavo che qualche occhiata scappasse sulle sue cosce o sul suo seno, e feci in modo che lei se ne accorgesse.
Per tutto il viaggio parlammo del più e del meno, ma il fatto che non diede a vedere segni di fastidio per le scappatelle che le mie pupille si concedevano sul suo corpo mi fece pensare che stesse andando tutto per il meglio.
Cenammo in un ristorante lungo la strada, e quando arrivammo a casa, il buio che ci avvolgeva ci impedì di godere della vista delle bellezze naturali che la Val di Fiemme ci poteva regalare.
A quelle ci dedicammo il giorno dopo, che passammo percorrendo mille sentieri nella fantastica natura del Trentino. Ebbi tutto il tempo per ammirare l’eleganza e la sensualità di mia suocera, che nemmeno l’abbigliamento da alpino poteva frenare.
Fu verso metà pomeriggio che mi fece la domanda che stavo aspettando: “dove mi porti stasera a cena?”.
La sera. Quello era il momento in cui avrei sferrato l’attacco. Avevo già pensato a tutto. L’avrei portata in un ristorante della zona, quello più elegante, l’unico che avrebbe potuto fare da degna cornice a tanta bellezza. L’avrei fatta bere, perché sapevo che se fosse rimasta sobria non avrei avuto nessuna possibilità.
Avremmo riso parecchio. Farla ridere sarebbe stato fondamentale. Come spiegavo sempre ai miei amici, “falla ridere… e l’hai già mezza scopata…”.
E poi, il colpo di grazia. L’avrei portata al Rock Pub. Era un locale li vicino, dove suonavano musica dal vivo. Dopo le undici si scatenava sempre un gran putiferio, fatto di rock, da cui il nome del locale, fiumi di alcool e balli scatenati. Con mia suocera già mezza ubriaca quello sarebbe stato il momento e il luogo in cui mi sarei lanciato nel mio sogno.
Risposi alla sua domanda facendo riferimento solo alla prima tappa, naturalmente. “Andiamo al Conte Frascati”.
“E che posto è?”.
“Bèh, ho pensato che ti avrebbe fatto piacere andare al ristorante più elegante di tutta la provincia di Trento…”.
“Ma dai… c’è un ristorante così da queste parti?”.
“Guarda che la Val di Fiemme è piena di sorprese. Solo qui puoi vivere emozioni che mai avresti pensato di poter provare…”.
La sua risatina mi fece capire che non aveva capito.
Avevo prenotato per le otto, ma già alle sette e mezza eravamo pronti. Me ne stavo seduto sul divano di casa, quando me la vidi arrivare davanti.
Era bellissima. Si era vestita come la sera prima. In effetti, pensai, l’esigua dimensione del bagaglio che aveva portato non poteva permettere una grande scelta. Aveva solo aggiunto un collant di nylon blu scuro, che ben si intonava con il colore della gonna, ma che poco aveva a che fare con il mio desiderio di spogliarla velocemente. Il collant è una brutta bestia, anche se il nylon è amico degli occhi.
Mi accorsi che ci misi un po' troppo tempo per staccarglieli di dosso, ma la vista dei suoi polpacci e dei suoi piedi, incastonati meravigliosamente in quelle scarpe col tacco a spillo, mi tolsero il respiro.
Mi alzai spostando la mia attenzione su quelle che credevo fossero le tette più grosse del mondo, che la sua camicia bianca non riusciva a contenere. Aveva indossato anche una giacca blu, che teneva a aperta e che le dava un tono di maggiore eleganza. Fu solo con grande fatica che riuscii ad incrociare il suo sguardo.
“Sono pronta”, mi disse allegramente facendo finta di non essersi accorta dei miei pensieri.
“Bene…”, e mi stavo riferendo al fatto che la preda stesse per cadere nella trappola, “… allora andiamo”.
Non ricordo esattamente cosa mangiammo, ma so per certo che passai tutto il tempo penetrando mia suocera negli occhi. Non riuscivo ad evitare di guardarla nel profondo di quei suoi occhi scuri, che con tanta eleganza erano in contrapposizione con il bianco assoluto dei capelli.
Passammo due ore a ridere e scherzare. E a bere. Come da programma, la feci bere tanto da portarla a quello stato di felice e spensierata allegria, fondamentale per i miei progetti.
E dopo il bicchiere di rhum con il quale chiudemmo la cena, le feci la mia proposta: “Sara, adesso ti porto in un posto che ti piacerà un sacco…”.
“Ah si? Dove?”.
Mi alzai, la presi per le mani e la aiutai a tirarsi su. A giudicare dalla lentezza dei suoi movimenti capii che eravamo a buon punto.
“Andiamo a sentire un po' di musica”, le dissi senza mettere il punto di domanda alla mia frase.
Il Rock Pub era un locale che conoscevo perfettamente. C’ero stato diverse volte, anche con sua figlia. Era un grande spazio circolare su due piani, tutto in legno. Sotto c’era il bancone del bar, e sul lato opposto chitarre e batteria stavano aspettando che qualcuno salisse sul palco per far partire davvero la serata. C’erano una ventina di tavoli, messi a semicerchio, in modo tale da lasciare un discreto spazio vuoto davanti al palco.
Il piano superiore era, in realtà, una terrazza circolare che percorreva tutto il perimetro del locale. Era piena di tavoli dai quali, guardando in basso, si poteva vedere il piano inferiore in tutta la sua grandezza.
Quando entrammo vidi che Sara ebbe un piccolo gesto di perplessità. Un centinaio di ragazzotti stavano bevendo, soprattutto birra, riempiendo a metà il locale. L’età media dei presenti ebbe un’impennata, quando io e lei ci unimmo a loro.
La luce soffusa e la musica che riempiva l’aria, proveniente da casse appese un po' dappertutto, davano di quel luogo un senso di delicata e momentaneamente silenziosa perdizione.
Era perfetto.
“Ma che posto è?”.
Era la voce di Sara, alla quale fece seguito la mia: “perché? Non ti piace?”.
Ammirai la sua matura e straripante sensualità mentre si guardava in giro.
“Boh! Ma non è un locale… un po' troppo per giovani?”.
Mi misi a ridere. “Ma dai…”.
La presi per mano con la naturalezza di un amante e lei si lasciò guidare. La portai deciso al piano di sopra, dove saremmo stati meno al centro dell’attenzione, e presi subito a ordinare da bere. Birra per me e vino bianco per lei. Scelsi io perché ormai stavo guidando e perché una volta, mesi prima, lei aveva raccontato che quello che la mandava veramente fuori di testa era il vino bianco. Decisamente, non era un caso se avevo scelto quello.
Cominciammo a parlare continuando a ridere e a scherzare. Sentivo caldo. La temperatura dentro di me stava salendo vertiginosamente. Ogni tanto un pensiero mi fulminava nella mente. Cazzo, stavo davvero per provarci con mia suocera. Non era un sogno. Il momento che avevo immaginato centinaia di volte era a un passo da me. Sentivo già la sensazione che avrei provato toccandola dappertutto. Mi sembrava di sentire la sua pelle sulla mia, il suo sudore, il suo sapore. Lei parlava, non so di cosa, e io le guardavo la bocca, quella bocca meravigliosamente perfetta, la porta d’ingresso per il mondo del piacere, e già mi sembrava di entrarci dentro.
Avevo il cazzo durissimo e quando, dopo il quarto bicchiere di vino e dopo l’ennesima risata di Sara, doppiata un’altra volta dalla mia, un gruppo di ragazzini si mise a suonare sul palco, decisi che era venuto il momento di agire.
“Ti va di ballare?”, le chiesi.
E lei, d’istinto: “ma sei matto?”.
“Perché?”.
Si voltò verso destra e guardò in basso, lasciandomi ammirare estasiato la perfezione del suo profilo, reso indimenticabile dal candore dei suoi capelli bianchi, lisci come la seta.
Al piano di sotto, davanti al palco, si era formato un capannello di una trentina di ragazzi che si erano messi a ballare in modo scomposto.
“Ma non vedi che sono tutti ragazzini? Cosa ci andiamo a fare noi? Dai, ma che figura ci facciamo?”.
Mi misi a ridere e le risposi passando all’attacco, per la prima volta nella serata: “ma non ti sei accorta che qua dentro sei la donna più attraente che c’è? Se prendi tutte le ragazze del locale e le metti insieme, non fanno la metà del tuo fascino…”.
Sorrise e provai a leggere il suo sguardo. Aveva attutito l’attacco con un vago senso di inconsapevolezza. Mi sentivo come il predatore che, dopo essere stato per ore nascosto ad osservare la preda facendo finta di non esserne interessato, improvvisamente salta fuori dal nascondiglio e attacca.
Non sono sicuro se capì veramente che il mio complimento era quello che sembrava essere. Non ci pensai molto. Mi alzai e la presi per mano. “Dai, vieni!”.
La tirai a me con una certa forza, alla quale lei non fece grande resistenza. Me la trovai davanti, i suoi occhi dentro i miei, la mia bocca a non più di dieci centimetri dalla sua. Non ci eravamo mai guardati così. Non eravamo mai stati davvero così vicini.
Sentii una vampata del suo profumo entrarmi nel naso e invadermi l’anima. Era un profumo speziato che mi portò lontano, in un antico palazzo orientale dove il sapore delle spezie si mescolava al silenzio della notte. Mi perdetti e per un attimo pensai di baciarla li, in quel momento, ma la luce del dubbio che lessi nel suo sguardo mi fece capire che non era pronta. Dovevo lavorare ancora un po'.
Mi voltai a fatica, e me la tirai dietro, mentre scendevo le scale e la portavo in mezzo alla sala.
Non so cosa stessero suonando. L’alcool e il pensiero che, forse, di li a mezz’ora avrei fatto sesso con mia suocera mi stavano annebbiando la mente. Mi voltai verso di lei e le presi entrambe le mani iniziando un ballo scomposto tanto quanto quello degli altri, ma a differenza del loro, il nostro era un ballo di coppia.
Sara era meravigliosa. Aveva superato le iniziali perplessità e si stava abbandonando alla musica e alla situazione. Sentivo le sue difese razionali abbassarsi lentamente.
Passammo almeno venti minuti, forse di più, a ballare insieme. Mi riempivo dei suoi sorrisi, del suo sguardo che si stava facendo sempre più malizioso. E ad ogni occasione la toccavo, godendo follemente di ogni piccolo contatto. La tenevo per le mani, incrociando le mie dita con le sue, poi gliele appoggiavo delicatamente sui fianchi, vibrando di piacere nel sentire le sue sulle mie spalle.
A un certo punto decisi di andare oltre e spinsi la mia mano sinistra dietro la sua schiena, poco sopra il culo. La attirai a me con un movimento leggero e deciso e credetti di morire quando il suo corpo si appoggiò sul mio. Finalmente sentii il suo enorme seno su di me, sul mio petto. Era morbido, non certo sodo come quello di una ventenne, ma era quello di mia suocera, la donna che da tre anni stava tormentando i miei pensieri.
La guardai per un secondo e sprofondai nei suoi occhi scuri. Riuscii a sorriderle, e quel sorriso contribuì a nascondere il mio desiderio, ma subito dopo uscii allo scoperto e allungai la mia mano sinistra sul suo culo.
Fu un movimento leggero, quasi casuale, ma quando la mia mano si appoggiò delicatamente sulla sua gonna, al centro della sua chiappa destra, ebbi la certezza che il mio sangue mi si stesse gelando nelle vene. Non mi ero mai spinto così in la. Avevo oltrepassato il confine del lecito. Fino a quel momento ogni mio gesto, per quanto equivoco, non era mai andato oltre il consentito. Ma ora stavo ballando al centro della pista, in mezzo a un sacco di gente, stando appiccicato al corpo di mia suocera mentre con la mano sinistra le toccavo il culo.
Quello non poteva essere un gesto innocente.
Pensai che la sua reazione mi avrebbe dato la misura di come sarebbe andata la serata. E la sua reazione fu straordinaria.
Mentre ancora cercavo di capire se il cuore avesse ripreso a battermi nel petto, il mio orecchio sinistro venne invaso dalla sua risata e dalla sua voce allegra: “ma cosa fai, porcellino? Mi tocchi il culo?”.
Non potevo crederci. Questa era la reazione di mia suocera; rideva e scherzava. Non credevo che sarei riuscito a parlare, ma quella che sentii era la mia voce: “beh… ho fra le mani il culo più bello della sala… cosa vuoi che faccia?” e accompagnai la mia risata alla sua.
Continuammo a ballare ancora qualche minuto, che passai tenendola per i fianchi e, di tanto in tanto, accarezzandola sulla schiena e sul culo.
Quando glielo toccavo lo facevo sempre con delicatezza e, ormai, lei non reagiva più. Rideva e si lasciava fare. Aveva un culo abbastanza grande, ma non troppo. Era assolutamente proporzionato; perfetto per una donna della sua età, sebbene non avesse più le forme contenute delle ragazzine che ci stavano ballando attorno. Lo sentivo morbido sotto le mie mani, mentre il sangue mi andava alla testa facendomi perdere il contatto con la realtà.
A un certo punto, trascinata dal ritmo incessante della musica, fece una giravolta davanti a me, ma perse l’equilibrio e mi finì addosso. La presi e la strinsi con forza sentendo tutto il suo corpo addosso al mio. Era evidentemente ubriaca e ne approfittai per stringerla ancora di più.
“Cazzo”, mi soffiò nell’orecchio sinistro, “mi gira tutto…”.
“Forse è meglio se usciamo”.
“Si, portami a casa”.
Uscimmo e ci dirigemmo verso la macchina, che avevo parcheggiato, volutamente, nell’angolo più lontano del piazzale sterrato che stava in parte al locale.
Camminammo non più di un minuto, e fu un tragitto faticoso. Dovetti letteralmente sorreggerla perché faceva fatica a stare in piedi. Mi misi alla sua destra, le passai il braccio sinistro intorno alla vita, stringendola forte, mentre con la mano destra le arpionai il braccio destro cercando di tenerla su, il più dritto possibile.
Stavo godendo nel sentire il suo corpo così addosso al mio. Mettevo tutta la forza che avevo per sorreggerla, ma avrei voluto che quel tragitto fosse più lungo.
Borbottava: “oddio… mi gira tutto…”.
“Perfetto…”, pensai.
Giunti alla macchina, sferrai finalmente l’attacco che tanto a lungo avevo preparato. Arrivammo sul lato destro dell’auto, e quando fummo all’altezza della portiera posteriore finsi di perdere l’equilibrio e feci un movimento repentino al quale lei non ebbe la prontezza e la forza di reagire.
Mi mossi su di lei, la sbattei letteralmente contro la portiera e le caddi addosso. Con il braccio sinistro la abbracciai con forza dietro la schiena, all’altezza della vita, mentre con la destra le strinsi il fianco sinistro. Le andai a sbattere contro e spinsi il bacino in avanti, con decisione, picchiandole il cazzo all’altezza della pancia.
“Ops…”, sussurrai.
Lei si mosse d’istinto, e il suo istinto la portò ad appoggiarmi le mani sulle spalle.
Restammo fermi così alcuni interminabili secondi. Ci guardammo dritto negli occhi rimanendo entrambi in silenzio. Incrociammo i nostri sguardi come non avevamo mai fatto e ci penetrammo mentalmente fino in fondo all’anima.
La sentivo mia. Abbassai lo sguardo e le fissai intensamente le labbra. Erano stupende, carnose, sensuali, meravigliose porte per il paradiso. Non capii più nulla e seguii l’istinto, incurante del fatto che la donna che tenevo tra le braccia era mia suocera, la madre di mia moglie.
Allungai la mano destra sul suo viso e le accarezzai dolcemente la guancia. Fu quando ebbi la percezione che la sua bocca si fosse appena schiusa, forse di un solo millimetro, che mi chinai su di lei e la baciai.
Quando sentii le sue labbra sulle mie credetti di impazzire. Passai un secondo nel corso del quale capii che non mi stava arrivando quella sberla che avrebbe potuto accompagnare il mio gesto, e quando sentii la sua lingua entrarmi in bocca mi si gelò il sangue.
Non potevo crederci, ma stavo davvero limonando con mia suocera. Capii che ormai era fatta e presi coraggio. Risposi alla sua lingua spingendo la mia con forza dentro la sua bocca, allungai la mia mano destra dietro la sua nuca e la tirai con forza contro di me, mentre con la mano sinistra presi a palparle il culo con decisione. Non era più la delicata carezza con la quale l’avevo sfiorato poco prima. Ora glielo stavo davvero toccando con forza, spingendo il suo bacino contro il mio, in modo tale che potesse sentire decisamente il cazzo durissimo che le stavo picchiando sulla pancia.
Ci baciammo a lungo così, mentre godevo come un pazzo nel sentire la sua lingua muoversi sulla mia, entrarmi in bocca cercando quel piacere così intenso la cui disperata ricerca aveva, forse, tolto ore di sonno anche a lei.
Sentivo il suo culo nella mia mano, lo sentivo mio, e ormai non frenavo più l’impeto con il quale glielo palpavo. Dopo un paio di minuti passati a baciarci unendoci in un essere solo, sentii la sua mano sinistra muoversi. Scese sul mio petto, che accarezzò dolcemente, e poi, andando oltre ogni mio fantastico desiderio, la sentii passarmi sulla pancia, per finirmi in mezzo alle gambe. Mi accarezzò il cazzo da sopra i pantaloni, prima dolcemente, e poi me lo prese davvero, stringendolo con forza, nella sua fantastica mano.
Credetti di morire. Pensai che il cuore non avrebbe potuto reggere a tutti quei battiti. Non ci potevo ancora credere, ma stavo scoprendo in mia suocera una vena di troiaggine che fino ad ora avevo sempre e solo immaginato nei miei sogni.
La sua bocca si staccò lentamente dalla mia per avvicinarsi al mio orecchio sinistro. Sentii le sue labbra succhiarmi il lobo, e la sua lingua infilarmisi nell’orecchio.
“Cazzo, Ale… quanto ti voglio…”.
Ci misi un po' a capire che era tutto vero. Anche quelle parole lo erano. Me le aveva soffiate dentro con un filo di voce appena accennato, ma sufficiente a mandarmi il sangue in ebollizione.
Le risposi d’istinto, senza pensare: “oddio, Sara, mi fai impazzire…”.
Accompagnai le mie parole con un gesto che avevo sempre desiderato compiere. Staccai la mia mano destra dalla sua nuca e la abbassai sulla sua tetta sinistra, infilandola sotto la giacca, sopra la camicia. Il contatto con il suo seno diede il colpo di grazia a quel poco di lucidità che ancora mi rimaneva. Lo sentii enorme e morbido. Fu soprattutto la sua morbidezza a colpirmi. Ero abituato alle tette di mia moglie, grosse e sode, mentre quelle di sua madre erano ancora più grosse, ma di una morbidezza che ti spingeva a perderti dentro.
Così come mi fece perdere ulteriormente il soffio che mi regalò lei: “siii… Ale… dai, toccami… toccami che mi piace…”.
“Oddio, Sara… che figa che sei…”.
“Davvero ti piaccio?”.
Il nostro era un dialogo sussurrato che completava il piacere che le nostre mani ci stavano dando. “Mi fai impazzire…”.
Le diedi una strizzata fortissima al seno, stringendole addosso la mano con tutta la forza che avevo in corpo, e non feci nemmeno in tempo a pensare che, forse, stavo esagerando perché avrei potuto farle male, che lei accompagnò il mio gesto stringendomi con ancora più forza il cazzo e con un “ohhh siii… Ale, siii…”, che mi fece ulteriormente capire di avere tra le mani una donna vera, una donna che avrebbe potuto darmi un piacere pazzesco.
Si staccò dal mio orecchio e la sentii di nuovo in bocca. La sua lingua mi riempì con movimenti forsennati ai quali risposi schiacciandomi ancora di più contro di lei. Ci baciammo così ancora alcuni minuti, toccandoci dappertutto.
“Vieni”, le sussurrai a un certo punto. Aprii la portiera posteriore destra, contro la quale l’avevo sbattuta e la spinsi a entrare in macchina.
Le chiusi la porta alle spalle, girai intorno all’auto controllando che nessuno si fosse accorto di noi. Non vidi anima viva e ringraziai il cielo per aver pensato di parcheggiare nell’angolo più lontano del piazzale. Entrai dalla portiera sinistra e mi ritrovai seduto sul sedile posteriore con mia suocera alla mia destra.
Incrociai il suo sguardo e ci penetrammo nell’anima. Ebbi la sensazione di entrarle dentro, in profondità. E quando capii che la nostra unione era perfetta, allungai la mano destra dietro la sua testa, godendo del contatto con i suoi capelli lunghi, lisci e talmente bianchi da riflettere quel poco di luce che la notte ci concedeva, illuminando l’abitacolo che sarebbe stato testimone della nostra unione.
Concedetti ai miei occhi il tempo per ammirare la straripante femminilità della donna che mi stava di fronte. Nonostante i sessant’anni superati, aveva una pelle liscia e perfetta. Le sue mani, con le quali aveva saputo darmi tanto piacere, erano decisamente curate, con le unghie smaltate di bordeaux, e con anelli e braccialetti d’argento su entrambi i polsi che ne esaltavano la sensualità.
La camicia bianca non riusciva più a contenere quel seno gigantesco. Sicuramente le tette più grosse che avessi mai toccato. Non riuscivo a staccare gli occhi da quelle forme enormi, e dal taglio appena accennato che la scollatura lasciava in dono al mio sguardo.
Dopo alcuni istanti in cui rimasi così, in adorazione del suo corpo, spinsi le mie pupille più in basso e presi a guardarle i polpacci, splendidamente disegnati e coperti dal sottile strato di nylon scuro dei collant, che terminavano in un paio di caviglie sottili e delicate. E poi mi fermai sui suoi piedi, bellissimi, resi indimenticabili da quel paio di scarpe dalla linea classica e dal tacco dodici che tante volte avevo sognato di accarezzare.
“Sei bellissima”, le sussurrai mentre la attirai a me.
La sua voce accompagnò quel suo avvicinamento: “oddio… Ale…”, ma non fece in tempo a dire altro. Mi tuffai di nuovo nella sua bocca, nel suo profumo, nella sua saliva, e sulla sua lingua, che sentii entrarmi dentro, in profondità, fino in fondo alla gola.
Fu un bacio caldo e profondo, che durò a lungo. Non riuscivo a muovere un muscolo che non fosse la lingua. Tutte le mie emozioni erano focalizzate li, nella sua bocca, e nella mia.
Mi sentii attraversare dalle mille fantasie che in quegli anni erano passati per la mia testa, quando pensavo a lei e al suo corpo, e fu solo dopo diversi minuti che riuscii ad allungare la mia mano sinistra sulla sua tetta destra, che presi a palpare con forza.
Si riscosse anche lei. Avvertii il movimento della sua mano destra, che mi finii in mezzo alle gambe, alla ricerca del cazzo che aveva toccato poco prima. Questa volta, però, con mio grande piacere, la sentii andare alla ricerca del bottone, che fece saltare velocemente, con una naturalezza che mi confermò la sua abitudine nel trovarsi in situazioni simili.
Non esitò neanche un istante e mi abbassò la cerniera. Ero veramente paralizzato. Sapevo cosa stava per accadere, ma non riuscivo ancora a capacitarmi del fatto che fosse tutto vero. Mi aprì leggermente i pantaloni e sentii la sua mano infilarsi sotto l’elastico delle mutande. Il contatto della pelle con la sua mano fu come la scossa di un fulmine. La sentii scendere velocemente e, finalmente, toccarmi il cazzo.
La sua bellissima mano me lo impugnò e lo tirò fuori. Sentii tutta la mia virilità emergere da sotto i vestiti e svettare libera nell’aria, mentre la sua mano cominciava a muoversi lentamente su e giù.
Facevo davvero fatica a credere che fosse tutto vero, ma mia suocera mi stava facendo una sega mentre continuavamo a limonare con un’intensità che avrebbe potuto abbattere le montagne che circondavano la nostra auto.
Sentivo la sua mano calda come il fuoco che si muoveva lentamente. Mi stava masturbando piano, come in una coccola delicata, e mi stava facendo impazzire. Buttai uno sguardo veloce e, nel vedere le sue dita aggrappate al mio cazzo, le sue bellissime unghie bordeaux sulla mia pelle, mi riempii di quell’immagine, la fotografai mentalmente e me la impressi nella memoria, sicuro che l’avrei ricordata per sempre.
Avevo bisogno del suo corpo. Mi staccai dalla sua bocca e presi a sbottonarle la camicia. Lo feci piano, godendo appieno della vista di quella pelle fantastica che lentamente si stava scoprendo ai miei occhi.
E quando i bottoni finirono, le sfilai la giacca, obbligandola a staccarsi per un attimo dal mio cazzo. Poi le tolsi la camicia e rimasi a guardarla, ammirato dalla devastante bellezza che mi stava davanti.
Mia suocera mi si mostrava con la naturalezza di una consumata amante, mentre il mio sguardo scivolava lascivo su tutto il suo corpo. Mi paralizzai nel guardarle il reggiseno, bianco come la camicia, enorme ed esplosivo. Credetti di morire quando la vidi muoversi. Interpretando perfettamente i miei desideri, si mise le mani dietro la schiena e se lo slacciò. Lo buttò sul sedile davanti e restò immobile a lasciarsi guardare.
Rimasi imbambolato nel fissare le sue tette gigantesche mentre cadevano leggermente sotto il peso della gravità. Non avevano la possibilità di resisterle, ma avevano comunque la capacità di devastarmi il cervello. Erano bellissime. Non riuscivo a staccare gli occhi dai suoi capezzoli, turgidi, spessi e lunghi. L’aureola era abbastanza ampia e scura, e dava a quel seno le proporzioni della perfezione.
“Ti piaccio?”, mi chiese sottovoce.
Per rispondere ebbi bisogno di radunare tutte le mie forze, e ci misi più di quanto avrei dovuto. “Cazzo, Sara… sei stupenda…”.
Mi chinai su di lei, le alzai la tetta destra con la mano sinistra e mi tuffai sul suo capezzolo, che presi a succhiare e a leccare intensamente. Nel frattempo, con la mano destra cominciai a palparle il seno sinistro e a strizzarle il capezzolo che sentivo durissimo nella mia mano.
Non so quanto tempo passai tenendomi i suoi capezzoli in bocca, ma quando mi fui staccato, passai una vita intera a leccarle le tette. Mi faceva impazzire sentire il sapore bagnato della mia saliva mischiarsi a quello dolce e speziato della sua pelle. Le misi la lingua dappertutto, mentre con le sue mani mi accarezzava la testa, facendole passare dolcemente tra i miei capelli.
“Siii… Ale… leccami… leccami tutta…”.
Fu in quel momento che capii che non sarei più riuscito a stare senza la sua voce.
Spinsi la mia lingua in alto e, passando dal collo e dal mento, arrivai di nuovo alla sua bocca, nella quale mi rituffai un’altra volta. La strinsi a me spingendole di nuovo la mano destra dietro la nuca, mentre con la sinistra ricominciai a palparle le tette, che ora sentivo umide, coperte com’erano dalla mia saliva.
Avevo ormai perso il controllo di me stesso e, senza nemmeno accorgermene, cominciai a strizzarle il capezzolo sinistro, stringendolo forte tra il pollice e l’indice.
Solo per un istante temetti che mi avrebbe allontanato, ma il mio cuore fece un tuffo nel vuoto quando sentii il suo respiro farsi affannoso e il soffio della sua voce uscire dalle sue labbra per entrare direttamente nelle mie: “oddio… Ale… siii…”.
Ricambiai il suo respiro: “ti piace?”.
“Cazzo… siii…”.
Le strinsi il capezzolo ancora più forte e godetti nel sentire il suo urlo appena strozzato: “aaaahhhh…”.
Stavo scoprendo che mia suocera godeva nel farsi strizzare le tette e mi convinsi ancora di più di avere tra le mani una grandissima troia.
“Dimmelo, Sara… dimmelo ancora che ti piace…”.
“Aaaaahhh… siii… Ale, siiii…”.
Sentii la sua mano destra allungarsi e tornare ad impugnarmi il cazzo, riprendendo a masturbarmi ma, questa volta, con forza e decisione. Tanto era stato morbido il suo movimento di prima, quanto era veloce e sfrenato quello di adesso.
Fui io a soffiarle in bocca: “oddio, Sara… così mi fai impazzire…”.
“Siii… tesoro, siii…”.
Andammo avanti così diversi minuti. Credevo che sarei morto di piacere mentre le lingue impazzivano nelle nostre bocche, e mentre la mia mano sinistra non voleva saperne di staccarsi da quei capezzoli così duri e spessi. Nei pochi attimi di lucidità che ogni tanto mi attraversavano il cervello, mi rendevo conto che mia suocera mi stava facendo una sega, e trovai in questa consapevolezza un piacere sottile e profondo.
Il suo respiro, sempre più intenso e ansimante, era interrotto ogni tanto dai gridolini che mi strozzava in bocca: “aaahhh… aaahhh…”. Era il suono meraviglioso e devastante che mi regalava ogni volta che le strizzavo e le tiravo i capezzoli con forza.
Rimanemmo a lungo senza dirci nulla, godendo dei nostri corpi e di quella nostra proibitissima unione. Fu lei a interrompere quegli straordinari minuti di silenzio: “oddio, Ale… hai un cazzo fantastico…”.
“Ti piace?”.
“Mi fa impazzire…”.
Non mi ero mai misurato il cazzo, ma sapevo che i venti centimetri li superavo di sicuro. Evidentemente Sara, che nella materia doveva essere un’esperta, aveva capito quanto piacere avrei potuto darle.
Non resistetti oltre. Mi staccai dalla sua bocca, la guardai negli occhi solo per un istante, e poi con un gesto determinato e volgare, mossi la mia mano destra, che le tenevo ancora dietro la nuca, e la spinsi con forza a chinarsi su di me. Non fece alcuna resistenza e, anzi, accompagnò il mio movimento.
Non dimenticherò mai il momento in cui vidi la testa di mia suocera abbassarsi e finirmi in mezzo alle gambe. Il mio cazzo scomparì alla mia vista, sostituito dai suoi capelli bianchi. E quando sentii la sua bocca avvolgermi, chiusi istintivamente gli occhi, buttai la testa all’indietro e mi abbandonai completamente al piacere più intenso della mia vita.
Sentii le sue labbra chiudersi sul mio cazzo e la sua lingua arrivarmi dappertutto. Si mise a leccarmi il cazzo lentamente, avvolgendomelo in un mare morbido e delicato. E poi cominciò a muoversi pianissimo su e giù, percorrendolo in tutta la sua lunghezza.
Fu quando sentii i suoi capelli nella mia mano muoversi su di me, che mi resi conto del fatto che era tutto vero. Mia suocera mi stava facendo un pompino.
Le sue labbra mi arrivarono alle palle ed una scossa elettrica mi attraversò il corpo quando realizzai che se lo stava tenendo tutto in bocca. Sentivo la cappella arrivarle in gola, in profondità. Non erano state molte le donne che erano riuscite a prenderselo tutto così, ma stavo scoprendo che mia suocera i pompini li sapeva fare davvero.
“Oddio, Sara… mi fai morire…”.
Si tirò su lentamente, si tolse il cazzo dalla bocca e me la ritrovai davanti agli occhi. Mi baciò leggermente sulle labbra e mi chiese sottovoce: “ti piace come te lo lecco?”.
“Sei bravissima…”.
Si spostò lentamente vicino al mio orecchio destro e mi sussurrò: “dai… vienimi in bocca…”.
Quando mi resi conto che avevo sentito bene, e che era tutto vero, lei si era di nuovo chinata in mezzo alle mie gambe e se l’era rimesso dentro. Cominciò a muoversi velocemente su e giù, mentre con la mano prese a masturbarmi con forza.
Impazzii e non controllai più le mie parole: “oddio, Sara… che troia che sei… che troia…”.
Rimasi a guardare i suoi capelli bianchi muoversi su di me, mentre la sua lingua non mi dava tregua.
Resistetti ancora un paio di minuti, galleggiando in un mare di emozioni che mai avrei creduto di poter provare. Poi avvertii una scossa devastante partire da lontano e attraversarmi tutto il corpo, per finirmi nel cazzo. Ebbi l’orgasmo più intenso della mia vita, che esplosi dritto nella gola di mia suocera.
Fu mio, il grido che riempì l’abitacolo di quella macchina: “cazzo, Sara… vengo… cazzo, siiii… aaaaahhhhh… aaaaahhhh… aaaaahhhh…”.
Sentii lo sperma uscirmi dal cazzo come sparato da un cannone e finire in quella fantastica bocca. Lei fece un leggero movimento verso l’alto, e poi si fermò tenendoselo in bocca e lasciando che tutto quello sperma la riempisse. Avvertii distintamente i movimenti della sua bocca. Stava deglutendo. Quella porca di mia suocera si stava lasciando invadere dal mio sperma e se lo stava mandando giù, in gola, fino in fondo allo stomaco.
Al pensiero che la stavo riempiendo tutta provai ancora più piacere, e mi parve che quell’orgasmo non mi volesse abbandonare mai. Ci misi molti lunghissimi istanti per rallentare il respiro e riprendere il contatto con la realtà. E quando riaprii gli occhi, la mia vista venne invasa dai suoi capelli bianchi, che si stavano ancora muovendo, ora molto lentamente, percorrendo in su e in giù tutta la lunghezza del mio cazzo.
Chiusi gli occhi di nuovo e mi abbandonai al piacere che quella donna mi stava dando: “oddio… Sara…”.
Le mie parole ebbero l’effetto di una sveglia. Si sollevò, mise la sua mano destra sulla mia guancia sinistra e mi fece voltare verso di lei. Non aprii gli occhi. Non ce la facevo.
Sentii le sue labbra sulle mie, la sua lingua entrarmi in bocca e muoversi delicatamente sulla mia. Venni invaso dalla sua saliva che portava con sé il mio sapore, oltre che il suo, e mi lasciai sopraffare da quel senso di unione che avevo sempre desiderato e che ora era diventato realtà.
Ci baciammo a lungo, e quel bacio mi ridiede l’energia che l’orgasmo mi aveva tolto. Ci vollero alcuni minuti, ma quando mi sentii di nuovo pronto, spinsi Sara all’indietro e la obbligai ad appoggiare la schiena alla portiera. Le sollevai la gamba sinistra e gliela appoggiai sopra lo schienale del sedile, mentre la destra le rimase allungata per terra.
Mi ritrovai così in mezzo alle sue bellissime gambe, che lei teneva completamente aperte. Allungai la mano destra sulla sua caviglia sinistra, che le baciai, lasciandomi invadere dalla crespa sensazione che il nylon mi lasciava in bocca. Percorsi con la mano il suo polpaccio, risalendo fino al ginocchio, e poi ancora più su. Le accarezzai l’interno coscia destro, che sentii morbido e con una forza magnetica irresistibile.
Le sollevai la gonna arrotolandogliela in vita, quasi come fosse stata una cintura, e nel silenzio più totale arrivai ad accarezzarla proprio in mezzo alle gambe, sulla fica. Sentivo la pelle della mia mano a contatto con il nylon dei collant e capii che era giunto il momento di toglierli.
Glieli presi con entrambe le mani, all’altezza dell’elastico che le cingeva la vita, e glieli abbassai lentamente facendo a ritroso il tragitto che avevo appena percorso. Ammirai ogni centimetro delle sue splendide gambe, e quando arrivai alle caviglie, le presi il piede sinistro e, molto lentamente, come se stessi compiendo un rito sacro, feci quello che avevo sognato di fare almeno un milione di volte; le tolsi la scarpa e rimasi in adorazione del suo splendido piede. Fu con una lentezza esasperante che le sfilai il collant liberando definitivamente il piede sinistro, che rimasi ad ammirare nella sua straordinaria sensualità.
Dalla caviglia sottile partiva un piede dalla linea semplicemente perfetta, che terminava nelle dita, sempre curate e con le unghie laccate di bordeaux, come quelle delle mani. Non era facile trovare donne con i piedi così belli, e quelli di mia suocera mi avevano sempre scatenato le fantasie più perverse.
Buttai il collant per terra, senza liberare il piede destro, intorno al quale il nylon andò ad arrotolarsi, e mi dedicai al piede sinistro di mia suocera. Lo presi con entrambe le mani, come fosse stato l’oggetto più prezioso della terra, e cominciai a baciarlo dappertutto, realizzando finalmente un sogno erotico che tante volte aveva animato le mie notti. Passai diversi minuti appoggiando delicatamente le mie labbra su ogni centimetro della sua pelle, godendo del suo profumo, e poi cominciai a leccarla ovunque. Dalla caviglia scesi con la lingua molto lentamente sul collo del piede. La leccai all’interno, dove i piedi delle donne prendono quella forma curvata e grinzosa che mi ha sempre acceso le fantasie più perverse, e finii sulle sue dita, che leccai una ad una.
La sua voce mi giunse da lontano: “oddio… Ale… la tua lingua mi fa impazzire…”.
Le risposi mentre mi accingevo a passargliela sulla pianta di quel suo fantastico piede: “Sara, ho sempre sognato di leccarti così…”.
“Oh, si… tesoro… leccami… dai leccami i piedi…”.
… CONTINUA SU
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LA PRIMA VOLTA CON MIA SUOCERA
Ero finalmente riuscito ad organizzare un weekend in montagna da solo con mia suocera. Ci avevo messo mesi per fare in modo che ogni cosa andasse al suo posto, e finalmente avevo raggiunto il mio obiettivo.
A furia di insistere con mia moglie, e di romperle le scatole per andare a fare passeggiate in Trentino, dove avevo una casa, sapendo che lei odiava la montagna, ero riuscito a farle dire le parole magiche: “cazzo, Ale! Ma basta! Trovati qualcun altro per andare a rompersi le palle in mezzo ai cervi”.
“Oh! Finalmente”, pensai.
“Ma con chi ci vado?”, le chiesi, aggiungendo subito dopo: “l’unica persona che sa apprezzare quegli ambienti è tua madre…”.
Fu in quel momento che lei pronunciò la sentenza: “e allora vacci con lei!”.
Volevo inginocchiarmi e mettermi a piangere. Feci un minimo di resistenza, giusto per dare un senso al copione, ma poi accettai.
Sara, mia suocera, era la donna più sensuale che avessi mai conosciuto. Sessantadue anni, alta un metro e settanta circa, capelli lisci e bianchi, bianchissimi. Se li teneva lunghi fin sotto le spalle, e se li tingeva apposta di bianco per dare a loro un colore tanto pulito da non lasciar trasparire alcuna imperfezione. Sembrava una dea dei ghiacci, resa ancora più divina dagli occhi neri e profondi, intelligenti e fulminanti.
Il suo corpo mi faceva impazzire. Nonostante l’età si era mantenuta in perfetta forma. Rispettava una dieta rigida che le consentiva di portare in giro un fisico asciutto, reso indimenticabile da un paio di tette talmente grandi da impedire agli occhi di qualsiasi uomo di accorgersi dei suoi capelli bianchi prima di una decina di secondi. Era impossibile non fermarsi con lo sguardo su quelle forme gigantesche, ed era impossibile frenare i pensieri peccaminosi di chiunque avesse avuto la fortuna di trovarsela davanti.
Ma coloro che, dimostrando freddezza e intraprendenza, riuscivano a staccarsi da quell’immagine per ammirare quel corpo nella sua interezza, rimanevano folgorati dalla vista di due gambe semplicemente perfette, le cui linee erano state disegnate apposta per togliere la voce agli uomini.
Il fatto, poi, che mettesse sempre scarpe con tacchi a spillo, rendeva quella situazione ancora più piacevole.
Ma se il fisico era un inno al sesso, la testa non lo era da meno. Sara era una donna forte, determinata. Sapeva gestire qualsiasi situazione mettendo in riga anche l’interlocutore più aggressivo. Rimasta vedova una decina d’anni prima, non aveva passato molto tempo a piangersi addosso. Si era rifatta una vita, saltando spesso da un letto all’altro, ma sempre nella più totale riservatezza e senza mai dare adito a pettegolezzi eccessivi.
Aveva scelto di non legarsi più a nessuno, rimanendo fedele solo alle sue due figlie, la maggiore delle quali aveva avuto la fortuna, non più di tre anni prima, di incontrare me. Ci eravamo sposati due anni dopo, ma nemmeno sull’altare avevo smesso di pensare a quanto mi sarebbe piaciuto andare a letto con sua madre.
Mia moglie Nadia, che non aveva mai sospettato nulla, dopo aver pensato che io avrei potuto sopportare la presenza di sua madre per un weekend in montagna, si prese anche la briga di mandarle subito un messaggio che recitava: “L’Ale continua a rompermi le palle per andare in Trentino. Vuoi andare tu con lui?”.
Giuro, non avrei saputo scriverlo meglio.
Era da poco iniziato giugno, non faceva ancora caldissimo, ma il brivido che mi attraversò il corpo quando, pochi minuti dopo, sentii vibrare il telefono di mia moglie era degno del più freddo degli inverni.
“Dice che va bene. Chiamala e arrangiati…”.
Non so cosa successe nei dieci minuti successivi. Non riuscivo a riprendere il controllo della mente, le cui capacità cognitive si erano completamente azzerate.
Quando tornai in me, risposi: “ok”, ma mi accorsi che non c’era nessuno ad ascoltarmi. Mia moglie se ne era già andata e mi aveva lasciato li da solo, in piedi in mezzo alla sala, come un vero cretino.
La chiamai e ci mettemmo d’accordo per il weekend successivo. Sarei andato a prenderla venerdì sera; soltanto tre giorni dopo.
Passai quelle giornate d’attesa in uno stato di confusione mentale. Non riuscivo a concentrarmi su nulla che non fosse l’immagine della sua bocca, delle sue tette, dei suoi piedi.
Contai i minuti e mi immaginai almeno cento modi diversi per portarla a letto. “Ora”, mi dicevo cercando di stare calmo, “l’importante è partire insieme e rimanere da soli io e lei. Poi si vedrà”.
Il grande momento arrivò e mi trovò pronto. Salutai mia moglie con un leggero bacio sulle labbra e con uno sguardo un po' spento. “Dai”, mi disse mentre già stavo per scendere le scale, “non fare quella faccia. Mia madre non sarà il massimo della compagnia, ma almeno te ne vai in montagna. Goditela”.
Le risposi senza riuscire a nascondere un equivoco sorriso: “si… si… me la godo…”, ma evitai di sottolinearle che non stavo facendo riferimento alla montagna.
Mia suocera abitava a meno di cinque chilometri da noi; distanza che percorsi alla velocità della luce.
“Arrivo”, mi rispose al citofono, e la voce che diede corpo a quella sola parola bastò per infiammarmi il sangue.
Me la vidi arrivare vestita come se stesse per andare al centro commerciale. Notai subito il tacco dodici che accompagnava i suoi passi. “Splendida scelta”, pensai. Aveva indossato un paio di scarpe nere molto classiche, chiuse sia sulle dita che sul tallone, rese indimenticabili dalla linea perfetta dei suoi piedi.
La gonna, di un blu tanto scuro da sfiorare il nero, le arrivava giusto sotto il ginocchio, mentre la camicia bianca, che in sé non aveva nulla di particolare, sembrava un’opera del Botticelli grazie alle forme che quel seno enorme le stava dando. Aveva scelto di fermarsi con l’abbottonamento al punto giusto. Sarebbe bastato allacciare solo un bottone in più per privarmi della vista di quella fantastica linea verticale che disegnava i contorni delle sue tette gigantesche.
Non mi accorsi neanche che aveva uno zaino in spalla, e quello zaino era la ragione per cui aveva aperto il bagagliaio. Pensai che sarei dovuto scendere ad aiutarla, ma avevo perso l’attimo. D’altra parte, come avrei potuto distrarmi dall’ammirazione del suo corpo?
Quando si sedette in macchina non ebbi il tempo di dire nulla. Mi baciò sulle guance, come altre mille volte aveva fatto.
“Ciao”, riuscii a balbettare. Poi mi ripresi: “bè, sei bellissima. Hai capito che stiamo andando in montagna, si?”.
La sua risata mi riportò al presente e mi aiutò a riprendere pienamente il controllo.
“Non ti preoccupare”, ma aveva sempre avuto una voce così calda? “mica andiamo per i boschi stasera. Nello zaino ho tutto quello che serve. Dai, vai…”.
Partii soddisfatto del mio istinto. Le avevo fatto un complimento senza nemmeno accorgermene. Pensai che averla approcciata dicendole subito che la trovavo bellissima fosse il modo migliore per impostare il weekend.
Guidai a fatica. Non era facile concentrarsi sulle curve della strada quando al mio fianco c’erano ben altre curve. Ogni tanto lasciavo che qualche occhiata scappasse sulle sue cosce o sul suo seno, e feci in modo che lei se ne accorgesse.
Per tutto il viaggio parlammo del più e del meno, ma il fatto che non diede a vedere segni di fastidio per le scappatelle che le mie pupille si concedevano sul suo corpo mi fece pensare che stesse andando tutto per il meglio.
Cenammo in un ristorante lungo la strada, e quando arrivammo a casa, il buio che ci avvolgeva ci impedì di godere della vista delle bellezze naturali che la Val di Fiemme ci poteva regalare.
A quelle ci dedicammo il giorno dopo, che passammo percorrendo mille sentieri nella fantastica natura del Trentino. Ebbi tutto il tempo per ammirare l’eleganza e la sensualità di mia suocera, che nemmeno l’abbigliamento da alpino poteva frenare.
Fu verso metà pomeriggio che mi fece la domanda che stavo aspettando: “dove mi porti stasera a cena?”.
La sera. Quello era il momento in cui avrei sferrato l’attacco. Avevo già pensato a tutto. L’avrei portata in un ristorante della zona, quello più elegante, l’unico che avrebbe potuto fare da degna cornice a tanta bellezza. L’avrei fatta bere, perché sapevo che se fosse rimasta sobria non avrei avuto nessuna possibilità.
Avremmo riso parecchio. Farla ridere sarebbe stato fondamentale. Come spiegavo sempre ai miei amici, “falla ridere… e l’hai già mezza scopata…”.
E poi, il colpo di grazia. L’avrei portata al Rock Pub. Era un locale li vicino, dove suonavano musica dal vivo. Dopo le undici si scatenava sempre un gran putiferio, fatto di rock, da cui il nome del locale, fiumi di alcool e balli scatenati. Con mia suocera già mezza ubriaca quello sarebbe stato il momento e il luogo in cui mi sarei lanciato nel mio sogno.
Risposi alla sua domanda facendo riferimento solo alla prima tappa, naturalmente. “Andiamo al Conte Frascati”.
“E che posto è?”.
“Bèh, ho pensato che ti avrebbe fatto piacere andare al ristorante più elegante di tutta la provincia di Trento…”.
“Ma dai… c’è un ristorante così da queste parti?”.
“Guarda che la Val di Fiemme è piena di sorprese. Solo qui puoi vivere emozioni che mai avresti pensato di poter provare…”.
La sua risatina mi fece capire che non aveva capito.
Avevo prenotato per le otto, ma già alle sette e mezza eravamo pronti. Me ne stavo seduto sul divano di casa, quando me la vidi arrivare davanti.
Era bellissima. Si era vestita come la sera prima. In effetti, pensai, l’esigua dimensione del bagaglio che aveva portato non poteva permettere una grande scelta. Aveva solo aggiunto un collant di nylon blu scuro, che ben si intonava con il colore della gonna, ma che poco aveva a che fare con il mio desiderio di spogliarla velocemente. Il collant è una brutta bestia, anche se il nylon è amico degli occhi.
Mi accorsi che ci misi un po' troppo tempo per staccarglieli di dosso, ma la vista dei suoi polpacci e dei suoi piedi, incastonati meravigliosamente in quelle scarpe col tacco a spillo, mi tolsero il respiro.
Mi alzai spostando la mia attenzione su quelle che credevo fossero le tette più grosse del mondo, che la sua camicia bianca non riusciva a contenere. Aveva indossato anche una giacca blu, che teneva a aperta e che le dava un tono di maggiore eleganza. Fu solo con grande fatica che riuscii ad incrociare il suo sguardo.
“Sono pronta”, mi disse allegramente facendo finta di non essersi accorta dei miei pensieri.
“Bene…”, e mi stavo riferendo al fatto che la preda stesse per cadere nella trappola, “… allora andiamo”.
Non ricordo esattamente cosa mangiammo, ma so per certo che passai tutto il tempo penetrando mia suocera negli occhi. Non riuscivo ad evitare di guardarla nel profondo di quei suoi occhi scuri, che con tanta eleganza erano in contrapposizione con il bianco assoluto dei capelli.
Passammo due ore a ridere e scherzare. E a bere. Come da programma, la feci bere tanto da portarla a quello stato di felice e spensierata allegria, fondamentale per i miei progetti.
E dopo il bicchiere di rhum con il quale chiudemmo la cena, le feci la mia proposta: “Sara, adesso ti porto in un posto che ti piacerà un sacco…”.
“Ah si? Dove?”.
Mi alzai, la presi per le mani e la aiutai a tirarsi su. A giudicare dalla lentezza dei suoi movimenti capii che eravamo a buon punto.
“Andiamo a sentire un po' di musica”, le dissi senza mettere il punto di domanda alla mia frase.
Il Rock Pub era un locale che conoscevo perfettamente. C’ero stato diverse volte, anche con sua figlia. Era un grande spazio circolare su due piani, tutto in legno. Sotto c’era il bancone del bar, e sul lato opposto chitarre e batteria stavano aspettando che qualcuno salisse sul palco per far partire davvero la serata. C’erano una ventina di tavoli, messi a semicerchio, in modo tale da lasciare un discreto spazio vuoto davanti al palco.
Il piano superiore era, in realtà, una terrazza circolare che percorreva tutto il perimetro del locale. Era piena di tavoli dai quali, guardando in basso, si poteva vedere il piano inferiore in tutta la sua grandezza.
Quando entrammo vidi che Sara ebbe un piccolo gesto di perplessità. Un centinaio di ragazzotti stavano bevendo, soprattutto birra, riempiendo a metà il locale. L’età media dei presenti ebbe un’impennata, quando io e lei ci unimmo a loro.
La luce soffusa e la musica che riempiva l’aria, proveniente da casse appese un po' dappertutto, davano di quel luogo un senso di delicata e momentaneamente silenziosa perdizione.
Era perfetto.
“Ma che posto è?”.
Era la voce di Sara, alla quale fece seguito la mia: “perché? Non ti piace?”.
Ammirai la sua matura e straripante sensualità mentre si guardava in giro.
“Boh! Ma non è un locale… un po' troppo per giovani?”.
Mi misi a ridere. “Ma dai…”.
La presi per mano con la naturalezza di un amante e lei si lasciò guidare. La portai deciso al piano di sopra, dove saremmo stati meno al centro dell’attenzione, e presi subito a ordinare da bere. Birra per me e vino bianco per lei. Scelsi io perché ormai stavo guidando e perché una volta, mesi prima, lei aveva raccontato che quello che la mandava veramente fuori di testa era il vino bianco. Decisamente, non era un caso se avevo scelto quello.
Cominciammo a parlare continuando a ridere e a scherzare. Sentivo caldo. La temperatura dentro di me stava salendo vertiginosamente. Ogni tanto un pensiero mi fulminava nella mente. Cazzo, stavo davvero per provarci con mia suocera. Non era un sogno. Il momento che avevo immaginato centinaia di volte era a un passo da me. Sentivo già la sensazione che avrei provato toccandola dappertutto. Mi sembrava di sentire la sua pelle sulla mia, il suo sudore, il suo sapore. Lei parlava, non so di cosa, e io le guardavo la bocca, quella bocca meravigliosamente perfetta, la porta d’ingresso per il mondo del piacere, e già mi sembrava di entrarci dentro.
Avevo il cazzo durissimo e quando, dopo il quarto bicchiere di vino e dopo l’ennesima risata di Sara, doppiata un’altra volta dalla mia, un gruppo di ragazzini si mise a suonare sul palco, decisi che era venuto il momento di agire.
“Ti va di ballare?”, le chiesi.
E lei, d’istinto: “ma sei matto?”.
“Perché?”.
Si voltò verso destra e guardò in basso, lasciandomi ammirare estasiato la perfezione del suo profilo, reso indimenticabile dal candore dei suoi capelli bianchi, lisci come la seta.
Al piano di sotto, davanti al palco, si era formato un capannello di una trentina di ragazzi che si erano messi a ballare in modo scomposto.
“Ma non vedi che sono tutti ragazzini? Cosa ci andiamo a fare noi? Dai, ma che figura ci facciamo?”.
Mi misi a ridere e le risposi passando all’attacco, per la prima volta nella serata: “ma non ti sei accorta che qua dentro sei la donna più attraente che c’è? Se prendi tutte le ragazze del locale e le metti insieme, non fanno la metà del tuo fascino…”.
Sorrise e provai a leggere il suo sguardo. Aveva attutito l’attacco con un vago senso di inconsapevolezza. Mi sentivo come il predatore che, dopo essere stato per ore nascosto ad osservare la preda facendo finta di non esserne interessato, improvvisamente salta fuori dal nascondiglio e attacca.
Non sono sicuro se capì veramente che il mio complimento era quello che sembrava essere. Non ci pensai molto. Mi alzai e la presi per mano. “Dai, vieni!”.
La tirai a me con una certa forza, alla quale lei non fece grande resistenza. Me la trovai davanti, i suoi occhi dentro i miei, la mia bocca a non più di dieci centimetri dalla sua. Non ci eravamo mai guardati così. Non eravamo mai stati davvero così vicini.
Sentii una vampata del suo profumo entrarmi nel naso e invadermi l’anima. Era un profumo speziato che mi portò lontano, in un antico palazzo orientale dove il sapore delle spezie si mescolava al silenzio della notte. Mi perdetti e per un attimo pensai di baciarla li, in quel momento, ma la luce del dubbio che lessi nel suo sguardo mi fece capire che non era pronta. Dovevo lavorare ancora un po'.
Mi voltai a fatica, e me la tirai dietro, mentre scendevo le scale e la portavo in mezzo alla sala.
Non so cosa stessero suonando. L’alcool e il pensiero che, forse, di li a mezz’ora avrei fatto sesso con mia suocera mi stavano annebbiando la mente. Mi voltai verso di lei e le presi entrambe le mani iniziando un ballo scomposto tanto quanto quello degli altri, ma a differenza del loro, il nostro era un ballo di coppia.
Sara era meravigliosa. Aveva superato le iniziali perplessità e si stava abbandonando alla musica e alla situazione. Sentivo le sue difese razionali abbassarsi lentamente.
Passammo almeno venti minuti, forse di più, a ballare insieme. Mi riempivo dei suoi sorrisi, del suo sguardo che si stava facendo sempre più malizioso. E ad ogni occasione la toccavo, godendo follemente di ogni piccolo contatto. La tenevo per le mani, incrociando le mie dita con le sue, poi gliele appoggiavo delicatamente sui fianchi, vibrando di piacere nel sentire le sue sulle mie spalle.
A un certo punto decisi di andare oltre e spinsi la mia mano sinistra dietro la sua schiena, poco sopra il culo. La attirai a me con un movimento leggero e deciso e credetti di morire quando il suo corpo si appoggiò sul mio. Finalmente sentii il suo enorme seno su di me, sul mio petto. Era morbido, non certo sodo come quello di una ventenne, ma era quello di mia suocera, la donna che da tre anni stava tormentando i miei pensieri.
La guardai per un secondo e sprofondai nei suoi occhi scuri. Riuscii a sorriderle, e quel sorriso contribuì a nascondere il mio desiderio, ma subito dopo uscii allo scoperto e allungai la mia mano sinistra sul suo culo.
Fu un movimento leggero, quasi casuale, ma quando la mia mano si appoggiò delicatamente sulla sua gonna, al centro della sua chiappa destra, ebbi la certezza che il mio sangue mi si stesse gelando nelle vene. Non mi ero mai spinto così in la. Avevo oltrepassato il confine del lecito. Fino a quel momento ogni mio gesto, per quanto equivoco, non era mai andato oltre il consentito. Ma ora stavo ballando al centro della pista, in mezzo a un sacco di gente, stando appiccicato al corpo di mia suocera mentre con la mano sinistra le toccavo il culo.
Quello non poteva essere un gesto innocente.
Pensai che la sua reazione mi avrebbe dato la misura di come sarebbe andata la serata. E la sua reazione fu straordinaria.
Mentre ancora cercavo di capire se il cuore avesse ripreso a battermi nel petto, il mio orecchio sinistro venne invaso dalla sua risata e dalla sua voce allegra: “ma cosa fai, porcellino? Mi tocchi il culo?”.
Non potevo crederci. Questa era la reazione di mia suocera; rideva e scherzava. Non credevo che sarei riuscito a parlare, ma quella che sentii era la mia voce: “beh… ho fra le mani il culo più bello della sala… cosa vuoi che faccia?” e accompagnai la mia risata alla sua.
Continuammo a ballare ancora qualche minuto, che passai tenendola per i fianchi e, di tanto in tanto, accarezzandola sulla schiena e sul culo.
Quando glielo toccavo lo facevo sempre con delicatezza e, ormai, lei non reagiva più. Rideva e si lasciava fare. Aveva un culo abbastanza grande, ma non troppo. Era assolutamente proporzionato; perfetto per una donna della sua età, sebbene non avesse più le forme contenute delle ragazzine che ci stavano ballando attorno. Lo sentivo morbido sotto le mie mani, mentre il sangue mi andava alla testa facendomi perdere il contatto con la realtà.
A un certo punto, trascinata dal ritmo incessante della musica, fece una giravolta davanti a me, ma perse l’equilibrio e mi finì addosso. La presi e la strinsi con forza sentendo tutto il suo corpo addosso al mio. Era evidentemente ubriaca e ne approfittai per stringerla ancora di più.
“Cazzo”, mi soffiò nell’orecchio sinistro, “mi gira tutto…”.
“Forse è meglio se usciamo”.
“Si, portami a casa”.
Uscimmo e ci dirigemmo verso la macchina, che avevo parcheggiato, volutamente, nell’angolo più lontano del piazzale sterrato che stava in parte al locale.
Camminammo non più di un minuto, e fu un tragitto faticoso. Dovetti letteralmente sorreggerla perché faceva fatica a stare in piedi. Mi misi alla sua destra, le passai il braccio sinistro intorno alla vita, stringendola forte, mentre con la mano destra le arpionai il braccio destro cercando di tenerla su, il più dritto possibile.
Stavo godendo nel sentire il suo corpo così addosso al mio. Mettevo tutta la forza che avevo per sorreggerla, ma avrei voluto che quel tragitto fosse più lungo.
Borbottava: “oddio… mi gira tutto…”.
“Perfetto…”, pensai.
Giunti alla macchina, sferrai finalmente l’attacco che tanto a lungo avevo preparato. Arrivammo sul lato destro dell’auto, e quando fummo all’altezza della portiera posteriore finsi di perdere l’equilibrio e feci un movimento repentino al quale lei non ebbe la prontezza e la forza di reagire.
Mi mossi su di lei, la sbattei letteralmente contro la portiera e le caddi addosso. Con il braccio sinistro la abbracciai con forza dietro la schiena, all’altezza della vita, mentre con la destra le strinsi il fianco sinistro. Le andai a sbattere contro e spinsi il bacino in avanti, con decisione, picchiandole il cazzo all’altezza della pancia.
“Ops…”, sussurrai.
Lei si mosse d’istinto, e il suo istinto la portò ad appoggiarmi le mani sulle spalle.
Restammo fermi così alcuni interminabili secondi. Ci guardammo dritto negli occhi rimanendo entrambi in silenzio. Incrociammo i nostri sguardi come non avevamo mai fatto e ci penetrammo mentalmente fino in fondo all’anima.
La sentivo mia. Abbassai lo sguardo e le fissai intensamente le labbra. Erano stupende, carnose, sensuali, meravigliose porte per il paradiso. Non capii più nulla e seguii l’istinto, incurante del fatto che la donna che tenevo tra le braccia era mia suocera, la madre di mia moglie.
Allungai la mano destra sul suo viso e le accarezzai dolcemente la guancia. Fu quando ebbi la percezione che la sua bocca si fosse appena schiusa, forse di un solo millimetro, che mi chinai su di lei e la baciai.
Quando sentii le sue labbra sulle mie credetti di impazzire. Passai un secondo nel corso del quale capii che non mi stava arrivando quella sberla che avrebbe potuto accompagnare il mio gesto, e quando sentii la sua lingua entrarmi in bocca mi si gelò il sangue.
Non potevo crederci, ma stavo davvero limonando con mia suocera. Capii che ormai era fatta e presi coraggio. Risposi alla sua lingua spingendo la mia con forza dentro la sua bocca, allungai la mia mano destra dietro la sua nuca e la tirai con forza contro di me, mentre con la mano sinistra presi a palparle il culo con decisione. Non era più la delicata carezza con la quale l’avevo sfiorato poco prima. Ora glielo stavo davvero toccando con forza, spingendo il suo bacino contro il mio, in modo tale che potesse sentire decisamente il cazzo durissimo che le stavo picchiando sulla pancia.
Ci baciammo a lungo così, mentre godevo come un pazzo nel sentire la sua lingua muoversi sulla mia, entrarmi in bocca cercando quel piacere così intenso la cui disperata ricerca aveva, forse, tolto ore di sonno anche a lei.
Sentivo il suo culo nella mia mano, lo sentivo mio, e ormai non frenavo più l’impeto con il quale glielo palpavo. Dopo un paio di minuti passati a baciarci unendoci in un essere solo, sentii la sua mano sinistra muoversi. Scese sul mio petto, che accarezzò dolcemente, e poi, andando oltre ogni mio fantastico desiderio, la sentii passarmi sulla pancia, per finirmi in mezzo alle gambe. Mi accarezzò il cazzo da sopra i pantaloni, prima dolcemente, e poi me lo prese davvero, stringendolo con forza, nella sua fantastica mano.
Credetti di morire. Pensai che il cuore non avrebbe potuto reggere a tutti quei battiti. Non ci potevo ancora credere, ma stavo scoprendo in mia suocera una vena di troiaggine che fino ad ora avevo sempre e solo immaginato nei miei sogni.
La sua bocca si staccò lentamente dalla mia per avvicinarsi al mio orecchio sinistro. Sentii le sue labbra succhiarmi il lobo, e la sua lingua infilarmisi nell’orecchio.
“Cazzo, Ale… quanto ti voglio…”.
Ci misi un po' a capire che era tutto vero. Anche quelle parole lo erano. Me le aveva soffiate dentro con un filo di voce appena accennato, ma sufficiente a mandarmi il sangue in ebollizione.
Le risposi d’istinto, senza pensare: “oddio, Sara, mi fai impazzire…”.
Accompagnai le mie parole con un gesto che avevo sempre desiderato compiere. Staccai la mia mano destra dalla sua nuca e la abbassai sulla sua tetta sinistra, infilandola sotto la giacca, sopra la camicia. Il contatto con il suo seno diede il colpo di grazia a quel poco di lucidità che ancora mi rimaneva. Lo sentii enorme e morbido. Fu soprattutto la sua morbidezza a colpirmi. Ero abituato alle tette di mia moglie, grosse e sode, mentre quelle di sua madre erano ancora più grosse, ma di una morbidezza che ti spingeva a perderti dentro.
Così come mi fece perdere ulteriormente il soffio che mi regalò lei: “siii… Ale… dai, toccami… toccami che mi piace…”.
“Oddio, Sara… che figa che sei…”.
“Davvero ti piaccio?”.
Il nostro era un dialogo sussurrato che completava il piacere che le nostre mani ci stavano dando. “Mi fai impazzire…”.
Le diedi una strizzata fortissima al seno, stringendole addosso la mano con tutta la forza che avevo in corpo, e non feci nemmeno in tempo a pensare che, forse, stavo esagerando perché avrei potuto farle male, che lei accompagnò il mio gesto stringendomi con ancora più forza il cazzo e con un “ohhh siii… Ale, siii…”, che mi fece ulteriormente capire di avere tra le mani una donna vera, una donna che avrebbe potuto darmi un piacere pazzesco.
Si staccò dal mio orecchio e la sentii di nuovo in bocca. La sua lingua mi riempì con movimenti forsennati ai quali risposi schiacciandomi ancora di più contro di lei. Ci baciammo così ancora alcuni minuti, toccandoci dappertutto.
“Vieni”, le sussurrai a un certo punto. Aprii la portiera posteriore destra, contro la quale l’avevo sbattuta e la spinsi a entrare in macchina.
Le chiusi la porta alle spalle, girai intorno all’auto controllando che nessuno si fosse accorto di noi. Non vidi anima viva e ringraziai il cielo per aver pensato di parcheggiare nell’angolo più lontano del piazzale. Entrai dalla portiera sinistra e mi ritrovai seduto sul sedile posteriore con mia suocera alla mia destra.
Incrociai il suo sguardo e ci penetrammo nell’anima. Ebbi la sensazione di entrarle dentro, in profondità. E quando capii che la nostra unione era perfetta, allungai la mano destra dietro la sua testa, godendo del contatto con i suoi capelli lunghi, lisci e talmente bianchi da riflettere quel poco di luce che la notte ci concedeva, illuminando l’abitacolo che sarebbe stato testimone della nostra unione.
Concedetti ai miei occhi il tempo per ammirare la straripante femminilità della donna che mi stava di fronte. Nonostante i sessant’anni superati, aveva una pelle liscia e perfetta. Le sue mani, con le quali aveva saputo darmi tanto piacere, erano decisamente curate, con le unghie smaltate di bordeaux, e con anelli e braccialetti d’argento su entrambi i polsi che ne esaltavano la sensualità.
La camicia bianca non riusciva più a contenere quel seno gigantesco. Sicuramente le tette più grosse che avessi mai toccato. Non riuscivo a staccare gli occhi da quelle forme enormi, e dal taglio appena accennato che la scollatura lasciava in dono al mio sguardo.
Dopo alcuni istanti in cui rimasi così, in adorazione del suo corpo, spinsi le mie pupille più in basso e presi a guardarle i polpacci, splendidamente disegnati e coperti dal sottile strato di nylon scuro dei collant, che terminavano in un paio di caviglie sottili e delicate. E poi mi fermai sui suoi piedi, bellissimi, resi indimenticabili da quel paio di scarpe dalla linea classica e dal tacco dodici che tante volte avevo sognato di accarezzare.
“Sei bellissima”, le sussurrai mentre la attirai a me.
La sua voce accompagnò quel suo avvicinamento: “oddio… Ale…”, ma non fece in tempo a dire altro. Mi tuffai di nuovo nella sua bocca, nel suo profumo, nella sua saliva, e sulla sua lingua, che sentii entrarmi dentro, in profondità, fino in fondo alla gola.
Fu un bacio caldo e profondo, che durò a lungo. Non riuscivo a muovere un muscolo che non fosse la lingua. Tutte le mie emozioni erano focalizzate li, nella sua bocca, e nella mia.
Mi sentii attraversare dalle mille fantasie che in quegli anni erano passati per la mia testa, quando pensavo a lei e al suo corpo, e fu solo dopo diversi minuti che riuscii ad allungare la mia mano sinistra sulla sua tetta destra, che presi a palpare con forza.
Si riscosse anche lei. Avvertii il movimento della sua mano destra, che mi finii in mezzo alle gambe, alla ricerca del cazzo che aveva toccato poco prima. Questa volta, però, con mio grande piacere, la sentii andare alla ricerca del bottone, che fece saltare velocemente, con una naturalezza che mi confermò la sua abitudine nel trovarsi in situazioni simili.
Non esitò neanche un istante e mi abbassò la cerniera. Ero veramente paralizzato. Sapevo cosa stava per accadere, ma non riuscivo ancora a capacitarmi del fatto che fosse tutto vero. Mi aprì leggermente i pantaloni e sentii la sua mano infilarsi sotto l’elastico delle mutande. Il contatto della pelle con la sua mano fu come la scossa di un fulmine. La sentii scendere velocemente e, finalmente, toccarmi il cazzo.
La sua bellissima mano me lo impugnò e lo tirò fuori. Sentii tutta la mia virilità emergere da sotto i vestiti e svettare libera nell’aria, mentre la sua mano cominciava a muoversi lentamente su e giù.
Facevo davvero fatica a credere che fosse tutto vero, ma mia suocera mi stava facendo una sega mentre continuavamo a limonare con un’intensità che avrebbe potuto abbattere le montagne che circondavano la nostra auto.
Sentivo la sua mano calda come il fuoco che si muoveva lentamente. Mi stava masturbando piano, come in una coccola delicata, e mi stava facendo impazzire. Buttai uno sguardo veloce e, nel vedere le sue dita aggrappate al mio cazzo, le sue bellissime unghie bordeaux sulla mia pelle, mi riempii di quell’immagine, la fotografai mentalmente e me la impressi nella memoria, sicuro che l’avrei ricordata per sempre.
Avevo bisogno del suo corpo. Mi staccai dalla sua bocca e presi a sbottonarle la camicia. Lo feci piano, godendo appieno della vista di quella pelle fantastica che lentamente si stava scoprendo ai miei occhi.
E quando i bottoni finirono, le sfilai la giacca, obbligandola a staccarsi per un attimo dal mio cazzo. Poi le tolsi la camicia e rimasi a guardarla, ammirato dalla devastante bellezza che mi stava davanti.
Mia suocera mi si mostrava con la naturalezza di una consumata amante, mentre il mio sguardo scivolava lascivo su tutto il suo corpo. Mi paralizzai nel guardarle il reggiseno, bianco come la camicia, enorme ed esplosivo. Credetti di morire quando la vidi muoversi. Interpretando perfettamente i miei desideri, si mise le mani dietro la schiena e se lo slacciò. Lo buttò sul sedile davanti e restò immobile a lasciarsi guardare.
Rimasi imbambolato nel fissare le sue tette gigantesche mentre cadevano leggermente sotto il peso della gravità. Non avevano la possibilità di resisterle, ma avevano comunque la capacità di devastarmi il cervello. Erano bellissime. Non riuscivo a staccare gli occhi dai suoi capezzoli, turgidi, spessi e lunghi. L’aureola era abbastanza ampia e scura, e dava a quel seno le proporzioni della perfezione.
“Ti piaccio?”, mi chiese sottovoce.
Per rispondere ebbi bisogno di radunare tutte le mie forze, e ci misi più di quanto avrei dovuto. “Cazzo, Sara… sei stupenda…”.
Mi chinai su di lei, le alzai la tetta destra con la mano sinistra e mi tuffai sul suo capezzolo, che presi a succhiare e a leccare intensamente. Nel frattempo, con la mano destra cominciai a palparle il seno sinistro e a strizzarle il capezzolo che sentivo durissimo nella mia mano.
Non so quanto tempo passai tenendomi i suoi capezzoli in bocca, ma quando mi fui staccato, passai una vita intera a leccarle le tette. Mi faceva impazzire sentire il sapore bagnato della mia saliva mischiarsi a quello dolce e speziato della sua pelle. Le misi la lingua dappertutto, mentre con le sue mani mi accarezzava la testa, facendole passare dolcemente tra i miei capelli.
“Siii… Ale… leccami… leccami tutta…”.
Fu in quel momento che capii che non sarei più riuscito a stare senza la sua voce.
Spinsi la mia lingua in alto e, passando dal collo e dal mento, arrivai di nuovo alla sua bocca, nella quale mi rituffai un’altra volta. La strinsi a me spingendole di nuovo la mano destra dietro la nuca, mentre con la sinistra ricominciai a palparle le tette, che ora sentivo umide, coperte com’erano dalla mia saliva.
Avevo ormai perso il controllo di me stesso e, senza nemmeno accorgermene, cominciai a strizzarle il capezzolo sinistro, stringendolo forte tra il pollice e l’indice.
Solo per un istante temetti che mi avrebbe allontanato, ma il mio cuore fece un tuffo nel vuoto quando sentii il suo respiro farsi affannoso e il soffio della sua voce uscire dalle sue labbra per entrare direttamente nelle mie: “oddio… Ale… siii…”.
Ricambiai il suo respiro: “ti piace?”.
“Cazzo… siii…”.
Le strinsi il capezzolo ancora più forte e godetti nel sentire il suo urlo appena strozzato: “aaaahhhh…”.
Stavo scoprendo che mia suocera godeva nel farsi strizzare le tette e mi convinsi ancora di più di avere tra le mani una grandissima troia.
“Dimmelo, Sara… dimmelo ancora che ti piace…”.
“Aaaaahhh… siii… Ale, siiii…”.
Sentii la sua mano destra allungarsi e tornare ad impugnarmi il cazzo, riprendendo a masturbarmi ma, questa volta, con forza e decisione. Tanto era stato morbido il suo movimento di prima, quanto era veloce e sfrenato quello di adesso.
Fui io a soffiarle in bocca: “oddio, Sara… così mi fai impazzire…”.
“Siii… tesoro, siii…”.
Andammo avanti così diversi minuti. Credevo che sarei morto di piacere mentre le lingue impazzivano nelle nostre bocche, e mentre la mia mano sinistra non voleva saperne di staccarsi da quei capezzoli così duri e spessi. Nei pochi attimi di lucidità che ogni tanto mi attraversavano il cervello, mi rendevo conto che mia suocera mi stava facendo una sega, e trovai in questa consapevolezza un piacere sottile e profondo.
Il suo respiro, sempre più intenso e ansimante, era interrotto ogni tanto dai gridolini che mi strozzava in bocca: “aaahhh… aaahhh…”. Era il suono meraviglioso e devastante che mi regalava ogni volta che le strizzavo e le tiravo i capezzoli con forza.
Rimanemmo a lungo senza dirci nulla, godendo dei nostri corpi e di quella nostra proibitissima unione. Fu lei a interrompere quegli straordinari minuti di silenzio: “oddio, Ale… hai un cazzo fantastico…”.
“Ti piace?”.
“Mi fa impazzire…”.
Non mi ero mai misurato il cazzo, ma sapevo che i venti centimetri li superavo di sicuro. Evidentemente Sara, che nella materia doveva essere un’esperta, aveva capito quanto piacere avrei potuto darle.
Non resistetti oltre. Mi staccai dalla sua bocca, la guardai negli occhi solo per un istante, e poi con un gesto determinato e volgare, mossi la mia mano destra, che le tenevo ancora dietro la nuca, e la spinsi con forza a chinarsi su di me. Non fece alcuna resistenza e, anzi, accompagnò il mio movimento.
Non dimenticherò mai il momento in cui vidi la testa di mia suocera abbassarsi e finirmi in mezzo alle gambe. Il mio cazzo scomparì alla mia vista, sostituito dai suoi capelli bianchi. E quando sentii la sua bocca avvolgermi, chiusi istintivamente gli occhi, buttai la testa all’indietro e mi abbandonai completamente al piacere più intenso della mia vita.
Sentii le sue labbra chiudersi sul mio cazzo e la sua lingua arrivarmi dappertutto. Si mise a leccarmi il cazzo lentamente, avvolgendomelo in un mare morbido e delicato. E poi cominciò a muoversi pianissimo su e giù, percorrendolo in tutta la sua lunghezza.
Fu quando sentii i suoi capelli nella mia mano muoversi su di me, che mi resi conto del fatto che era tutto vero. Mia suocera mi stava facendo un pompino.
Le sue labbra mi arrivarono alle palle ed una scossa elettrica mi attraversò il corpo quando realizzai che se lo stava tenendo tutto in bocca. Sentivo la cappella arrivarle in gola, in profondità. Non erano state molte le donne che erano riuscite a prenderselo tutto così, ma stavo scoprendo che mia suocera i pompini li sapeva fare davvero.
“Oddio, Sara… mi fai morire…”.
Si tirò su lentamente, si tolse il cazzo dalla bocca e me la ritrovai davanti agli occhi. Mi baciò leggermente sulle labbra e mi chiese sottovoce: “ti piace come te lo lecco?”.
“Sei bravissima…”.
Si spostò lentamente vicino al mio orecchio destro e mi sussurrò: “dai… vienimi in bocca…”.
Quando mi resi conto che avevo sentito bene, e che era tutto vero, lei si era di nuovo chinata in mezzo alle mie gambe e se l’era rimesso dentro. Cominciò a muoversi velocemente su e giù, mentre con la mano prese a masturbarmi con forza.
Impazzii e non controllai più le mie parole: “oddio, Sara… che troia che sei… che troia…”.
Rimasi a guardare i suoi capelli bianchi muoversi su di me, mentre la sua lingua non mi dava tregua.
Resistetti ancora un paio di minuti, galleggiando in un mare di emozioni che mai avrei creduto di poter provare. Poi avvertii una scossa devastante partire da lontano e attraversarmi tutto il corpo, per finirmi nel cazzo. Ebbi l’orgasmo più intenso della mia vita, che esplosi dritto nella gola di mia suocera.
Fu mio, il grido che riempì l’abitacolo di quella macchina: “cazzo, Sara… vengo… cazzo, siiii… aaaaahhhhh… aaaaahhhh… aaaaahhhh…”.
Sentii lo sperma uscirmi dal cazzo come sparato da un cannone e finire in quella fantastica bocca. Lei fece un leggero movimento verso l’alto, e poi si fermò tenendoselo in bocca e lasciando che tutto quello sperma la riempisse. Avvertii distintamente i movimenti della sua bocca. Stava deglutendo. Quella porca di mia suocera si stava lasciando invadere dal mio sperma e se lo stava mandando giù, in gola, fino in fondo allo stomaco.
Al pensiero che la stavo riempiendo tutta provai ancora più piacere, e mi parve che quell’orgasmo non mi volesse abbandonare mai. Ci misi molti lunghissimi istanti per rallentare il respiro e riprendere il contatto con la realtà. E quando riaprii gli occhi, la mia vista venne invasa dai suoi capelli bianchi, che si stavano ancora muovendo, ora molto lentamente, percorrendo in su e in giù tutta la lunghezza del mio cazzo.
Chiusi gli occhi di nuovo e mi abbandonai al piacere che quella donna mi stava dando: “oddio… Sara…”.
Le mie parole ebbero l’effetto di una sveglia. Si sollevò, mise la sua mano destra sulla mia guancia sinistra e mi fece voltare verso di lei. Non aprii gli occhi. Non ce la facevo.
Sentii le sue labbra sulle mie, la sua lingua entrarmi in bocca e muoversi delicatamente sulla mia. Venni invaso dalla sua saliva che portava con sé il mio sapore, oltre che il suo, e mi lasciai sopraffare da quel senso di unione che avevo sempre desiderato e che ora era diventato realtà.
Ci baciammo a lungo, e quel bacio mi ridiede l’energia che l’orgasmo mi aveva tolto. Ci vollero alcuni minuti, ma quando mi sentii di nuovo pronto, spinsi Sara all’indietro e la obbligai ad appoggiare la schiena alla portiera. Le sollevai la gamba sinistra e gliela appoggiai sopra lo schienale del sedile, mentre la destra le rimase allungata per terra.
Mi ritrovai così in mezzo alle sue bellissime gambe, che lei teneva completamente aperte. Allungai la mano destra sulla sua caviglia sinistra, che le baciai, lasciandomi invadere dalla crespa sensazione che il nylon mi lasciava in bocca. Percorsi con la mano il suo polpaccio, risalendo fino al ginocchio, e poi ancora più su. Le accarezzai l’interno coscia destro, che sentii morbido e con una forza magnetica irresistibile.
Le sollevai la gonna arrotolandogliela in vita, quasi come fosse stata una cintura, e nel silenzio più totale arrivai ad accarezzarla proprio in mezzo alle gambe, sulla fica. Sentivo la pelle della mia mano a contatto con il nylon dei collant e capii che era giunto il momento di toglierli.
Glieli presi con entrambe le mani, all’altezza dell’elastico che le cingeva la vita, e glieli abbassai lentamente facendo a ritroso il tragitto che avevo appena percorso. Ammirai ogni centimetro delle sue splendide gambe, e quando arrivai alle caviglie, le presi il piede sinistro e, molto lentamente, come se stessi compiendo un rito sacro, feci quello che avevo sognato di fare almeno un milione di volte; le tolsi la scarpa e rimasi in adorazione del suo splendido piede. Fu con una lentezza esasperante che le sfilai il collant liberando definitivamente il piede sinistro, che rimasi ad ammirare nella sua straordinaria sensualità.
Dalla caviglia sottile partiva un piede dalla linea semplicemente perfetta, che terminava nelle dita, sempre curate e con le unghie laccate di bordeaux, come quelle delle mani. Non era facile trovare donne con i piedi così belli, e quelli di mia suocera mi avevano sempre scatenato le fantasie più perverse.
Buttai il collant per terra, senza liberare il piede destro, intorno al quale il nylon andò ad arrotolarsi, e mi dedicai al piede sinistro di mia suocera. Lo presi con entrambe le mani, come fosse stato l’oggetto più prezioso della terra, e cominciai a baciarlo dappertutto, realizzando finalmente un sogno erotico che tante volte aveva animato le mie notti. Passai diversi minuti appoggiando delicatamente le mie labbra su ogni centimetro della sua pelle, godendo del suo profumo, e poi cominciai a leccarla ovunque. Dalla caviglia scesi con la lingua molto lentamente sul collo del piede. La leccai all’interno, dove i piedi delle donne prendono quella forma curvata e grinzosa che mi ha sempre acceso le fantasie più perverse, e finii sulle sue dita, che leccai una ad una.
La sua voce mi giunse da lontano: “oddio… Ale… la tua lingua mi fa impazzire…”.
Le risposi mentre mi accingevo a passargliela sulla pianta di quel suo fantastico piede: “Sara, ho sempre sognato di leccarti così…”.
“Oh, si… tesoro… leccami… dai leccami i piedi…”.
… CONTINUA SU
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