Tutto su Roberta - I lunghi capelli biondi di una testimone di geova maiala e puttana

di
genere
incesti

Il mare non potrà mai puzzare dell'odore nauseabondo di un uomo. Anche dovessero morirci dentro miliardi di esseri umani il mare avrebbe sempre e comunque quel buon profumo di sale e libertà. Il mare non conosce limiti e confini, le brezze violente del mattino possono spazzare via in un attimo ogni tentennamento ed ogni cattivo ricordo maturato nella notte.
La notte è fatte per dormire così come il mare è fatto per nuotare. Qualcuno avrà pur creato il mare per qualche motivo. Il mare è la più grande sostanza libera esistente sulla terra, questa maledetta terra su cui ogni uomo e ogni donna è costretto a vivere sin dall'alba dei propri giorni, sin da quel meraviglioso istante in cui ti strappano violentemente dal corpo di una donna per gettarti nella mischia caotica di questo universo.
La prima cosa che un neonato vede, uscendo da quel corpo sudato e affaticato è la figa della propria madre, quella figa pelosa da cui ogni uomo è attratto dall'età puberale in poi e per la quale ammazzerebbe rivali in amore e pagherebbe fior fior di soldi pur di possedere nottegiorno continuativamente per tutta la vita.
La figa è il principio, la figa è la fine, così come il mare è il principio e la fine di tutto, così come il tempo è l'inizio e la fine di ogni esperienza umana. Dio si è presentato spesso come l'ALFA e l'OMEGA, l'inizio e la fine, il principio e il suo esatto contrario. Il tempo corre così vorticosamente da far dimenticare ad ogni essere umano quale sia l'inizio e quale sia la fine. L'alfa e l'omega, due semplici lettere dell'alfabeto greco che pure caratterizzano la vita di miliardi di persone su questa terra. L'inizio e la fine, l'inizio dove tutto è cominciato, la fine è dove tutto verrà portato a compimento.
L'inizio e la fine coincidono con Dio e quindi essendo Dio parte stessa dell'inizio e della fine, nonchè artefice di tutto quello che vediamo possiamo arrivare alla seguente conclusione: Dio è la figa, la figa è Dio.
Tutto l'essere umano maschile vive la propria esistenza alla ricerca di quella carnosa mandibola femminile capace di far sprizzare gioia e spruzzare sperma.
L'alfa e l'omega, l'inizio di tutto e la fine collimano col proposito divino la figa è parte del proposito divino, forse la parte più importante di questo cazzo di proposito.
Perchè si nasce, perchè si muore, perchè si vuole la figa più della propria stessa anima?
Perchè al solo veder quei peli spuntar fuori dai bordi delle mutandine il mondo di un uomo cambia radicalmente dall'oggi al domani, anzi, dal secondo X al secondo Y.
Un attimo dopo è già passione, un attimo dopo è già FIGA, un attimo dopo è già l'inizio e la fine di tutto.

Roberta era l'esatta definizione dell'Inizio e della Fine. Con lei tutto poteva cominciare e finire in un secondo, il solo suo posare gli occhi su un maschio rendeva il maschio incapace di intendere e volere. Roberta era il proposito divino fattosi carne, il proposito divino materializzatosi nel corpo di una splendida e raffinata trentenne di provincia. Il suo bel culetto sodo era l'inizio di un nuovo giro di giostra, il suo rossetto violaceo sulle labbra la fine di ogni gloriosa avventura sessuale, il marchio di fabbrica di una bella fellatio odorosa, nei bagni pubblici di un centro commerciale poco fuori città. Roberta non era solo questo. Roberta era ciocche di capelli biondi sparpagliati sulle spalle, Roberta era un cono gelato divorato con sensualità nel parcheggio di un ristorante, Roberta era un diavolo assatanato di cazzo sotto le lenzuola di uno squallido motel di periferia.
Tutto questo era Roberta, un pericoloso zigzagare di sguardi tra un balconcino eroticamente sempre insù e due occhioni da cerbiatta pronti a mangiarti con gli occhi quella proboscide malevola che risiede in mezzo alle gambe.

"Eppur si muove!" – esclamò Roberta, appoggiata al termosifone dell'ufficio mentre il suo collega Davide tirava fuori dalla zip dei pantaloni quel bellissimo arnese rosato e odoroso.

"Posso toccarlo?" - chiese la ragazza per nulla infastidita dal vedersi un bel cazzo spuntare nel bel mezzo di una giornata di lavoro noiosa come tutte le altre centomila.

"Toccalo Roberta, toccalo e fammi sognare dai... Fammi vedere quanto sei brava..." - rispose Davide già in estasi, già nella condizione mentale di dover spruzzare il suo bel caldo liquido seminale sul corpo della ragazza.
Davide era il belloccio dell'ufficio, il figo che ogni donna vorrebbe avere al proprio fianco. Alto, magro, slanciato, un fisico atletico e allo stesso tempo non ingombrante, un sorriso ammaliante, dei modi di fare raffinati e allo stesso tempo plebei quando serve.
Quel "Toccalo Roberta" aveva scatenato le più insane fantasie della ragazza. Non era avvezza a toccar cazzi a destra e a manca, il suo mondo fuori da quelle quattro mura lavorative era noioso e pedante, un mondo fatto di regole e regolette, di zero divertimento, di zero contatti sociali.
Come l'uomo viveva in simbiosi col concetto di figa, così la donna vive la propria esistenza alla ricerca spasmodica di un bel cazzo da toccare, da leccare, da sentire tutto suo.
Roberta non era diversa da tutte le altre ragazze della sua età. Trent'anni sono un'età subdola, non sei ancora veramente donna ma allo stesso tempo non sei del tutto una ragazza giovane, alle prime armi.
Sei quella via di mezzo ancora interessante che non sa se buttarsi nel girone dantesco delle Milf o restare inchiodata ai leccalecca e alle treccine come una squallida e perversa teen.

Quel cazzo, quel cazzo madonna santa se le piaceva. Al tatto era vellutato e morbido, un peluche da accarezzarsi piano piano la sera nel letto prima di addormentarsi.
Quanto avrebbe voluto addormentarsi con il cazzo di Davide tra le mani e non doverlo toccare di nascosto solo in ufficio, dove nessuno della sua famiglia poteva vederla o spiarla.
Cosa avrebbero pensato i suoi genitori se l'avessero vista armeggiare con il pisello di un maschio, pubblicamente, senza vergogna, senza provare il benchè minimo rimorso per quello che stava combinando.
Roberta non era ancora una grande esperta di cazzi. Ne aveva visti parecchi sin dalla tarda adolescenza ma la sua conoscenza con il giochino maschile in mezzo alle gambe era ancora poca e da affinare. La tecnica che usava per masturbare i suoi colleghi in quei perversi rapporti occasionali che aveva ogni tanto era ancora acerba e piena di insicurezze.
Ci vuole maestria anche a fare una bella sega e questo Roberta lo sapeva, per questo si esercitava il più possibile quando capitavano queste occasioni.

Davide le aveva tirato fuori il cazzo dai pantaloni così, senza avvertirla. Erano da soli in ufficio, le altre colleghe erano andate a farsi uno spuntino al bar, l'occasione era troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. Roberta guardava Davide tutti i giorni dalla propria postazione. Lo fissava con malizia, cercava il suo sguardo, cercava negli occhi del ragazzo quella scintilla per potersi approcciare in modo più sensuale di quello solito che dovevano tenere in ufficio.
Due palle così a parlare sempre e solo di contratti da far firmare, di bolle e fogli excel...
Ci voleva qualcosa di più interessante per potersi conoscere a fondo, qualcosa di meno formale, di meno impiegatizio.
Davide ardeva dal desiderio di conoscer meglio la ragazza.
Quell'aria porca e allo stesso tempo timida e remissiva lo eccitava ancor più delle altre colleghe d'ufficio.
Le altre erano troie consumate, lo si sapeva, lo sapeva tutto il palazzo. Non c'era bagno di quel grosso palazzo a vetri che non potesse raccontare le sborrate in bocca che si erano prese le varie Francesca, Marcella, Giulia.
C'era più sperma in quelle bocche che in una banca del seme.
Con Roberta era diverso. Roberta era una bambolina ancora da scoprire da quel punto di vista.
Sembrava sempre sul punto di dartela e scavalcare il muro della confidenza, poi si rintanava sempre comodamente nel proprio guscio come una tartaruga.
D'estate poi Roberta era uno spettacolo. Veniva al lavoro con quelle magliettine attillate che le disegnavano un corpo da paura, quelle belle tettone sode e all'insù spuntavano come due cocomeri su un corpicino magrolino e seducente.
Più di un ragazzo se la sarebbe portata volentieri giù negli scantinati, qualcuno addirittura le avrebbe sborrato in faccia senza avvertirla anche mentre stava allo schermo del computer. Era proprio un pezzo di figa con la F maiuscola, una donna da sbattersi per definizione.
Quel pomeriggio la tentazione era diventata finalmente realtà, per entrambi. L'alfa e l'omega, l'inizio e la fine di tutto.
Roberta si era subito trovata a proprio agio col cazzo di Davide tra le mani. Se lo coccolava con dolcezza, ne esplorava con le dita l'intera lunghezza soffermandosi in particolare sulla cappella a fungo che si era aperta e ingrossata a dismisura tra le mani piccole della bionda.
Per quanto fragili e inesperte le mani di Roberta ci sapevano fare.
"Una sega è una sega" – pensava Roberta masturbando il collega.

"Ti va di prenderlo in bocca ora?" - chiese con dolcezza Davide.
"Non ti vede nessuno tranquilla, ci siamo solo io e te ora qui sul piano. Gli altri son tutti in pausa pranzo".
La ragazza ci penso un attimo, si guardò ben bene intorno e sicura di non esser vista da anima viva si lasciò inginocchiare da Davide e prese in bocca il cazzo del ragazzo che era sempre più potente e impaziente di esplodere nella bocca profumata di Roberta.
Si, perchè Roberta aveva una cura speciale del proprio corpo. Profumava sempre come una rosa, mai una goccia di sudore, mai un capello fuori posto, mai una ciglia fuori posto, era sempre una bambolina perfetta, da collezione. Persino il suo alito era sempre profumato e gradevole. Ogni mezz'ora mangiava una caramellina alla menta per mantenere la sua bocca fresca e piacevole.
Ora quella bella bocca santa e al sapore di mentolo stava ingozzandosi col cazzo di Davide come fosse la più lurida delle puttane.
"Inesperta la ragazza ma assolutamente capace" – pensava Davide nell'estasi spompinatoria.
Roberta aveva preso il cazzo del ragazzo e se lo passava ben bene tra le labbra. Quel sapore di pesce non le dava fastidio, come non le davano fatidio la saliva e i liquidi del cazzo che si mescolavano come in una pentola tra la lingua e i denti.
"Vengooooo" – disse Davide eccitandosi e una copiosa sborrata attraversò la bocca della ragazza che istintivamente dovette vincere la sensazione di vomitare sentendosi arrivare quel fiotto in gola. Roberta non voleva ingoiare lo sperma, non era ancora arrivata a superare quel confine, finora, nonostante ogni tanto facesse qualche pompino, si era limitata a farsi venire in bocca ma poi sputava sempre tutto per non mandare giù.
Anche questa volta il coraggio di ingoiare non ebbe il sopravvento sulla sua morale cristiana e voltandosi verso il cestino lasciò cadere la sborra di Davide tra i fogli stropicciati e le cicche di sigaretta.
"Non te la sentivi di ingoiare?" - chiese Davide.
"No Davide scusa, per me ingoiare è ancora difficile, non me la sento di mandarla giù la sborra..." - rispose Roberta.
"E' stato un gran pompino Roberta, lo desideravo da tempo, finalmente me l'hai succhiato... sto da Dio".

Roberta era arrossita, le aveva fatto piacere quel complimento. Esser definita una "brava pompinara" da un uomo era un gran complimento. I maschi vivono esclusivamente per la figa e per farsi fare i pompini, quel complimento, fatto da un essere umano di sesso maschile era la più grande riconoscenza che potesse esserle data.
"Sono davvero una brava pompinara" – si ripeteva mentalmente Roberta asciugandosi la faccia dalla saliva e dallo sperma che le era colato addosso. Era così contenta di poter essere utile a qualcosa in questo mondo, era così contenta di ricevere finalmente un complimento "sincero", un complimento che non fosse solo legato a quello che faceva coi genitori, quella squallida vita tra Sala del Regno e funzioni religiose dove il sesso è un tabù, uno scenario apocalittico legato alle malvagità del diavolo.
Il sesso non poteva ancora esistere nella vita di Roberta: era single, sfortunatamente single nonostante un corpicino da favola e della abilità non da poco nel praticare sontuose fellatio. Nel mondo della sua comunità, così chiuso, così bigotto, non poteva mica parlare di queste cose e nessuno dei maschietti della sua Congregazione era al corrente di come succhiava divinamente il cazzo la bionda pioniera coi capelli lunghi. Per dirla tutta la sua condizione di single a trent'anni spaventava i maschietti, molti presunti pretendenti si tiravano indietro perchè pensavano avesse qualche problema particolare se a quell'età non era stata ancora scelta come moglie da nessun "fratello". La verità era un'altra ma non doveva e non voleva dar spiegazioni a nessuno. I maschietti che aveva conosciuto in congregazione o alle assemblee erano tutti degli sfigati, molli, ragazzi che a parte la religione non aveva nulla in comune con lei. Roberta era un'anima ribelle e libera, non amava le imposizioni, odiava profondamente le regole e l'ipocrisia della setta che frequentava. Era costretta a frequentare i Testimoni di Geova perchè i suoi genitori sarebbero morti dal dispiacere se ne fosse andata.
Fingeva, le veniva bene fingere. Fingeva di essere felice quelle due volte a settimana che era costretta ad andare in adunanza, fingeva di trovarsi a proprio agio in compagnia di quella banda di falliti, fingeva per non rovinare il proprio rapporto con mamma e papà, non avrebbero mai capito la sua decisione di andarsene da quella comunità. Ne sarebbero rimasti sconvolti, l'unica cosa che avevano nella vita era "la verità".
Roberta invece aveva tante cose nella vita, tanti interessi, alcuni amici fuori dalla comunità. Conduceva una doppia vita, santa e casta con genitori e membri della comunità, libertina e indecente fuori da quella gabbia di matti.
E proprio fuori da quella gabbia di matti aveva provato le strade burrascose e umide del sesso, aveva finalmente scoperto cosa volesse dire "scopare" e "farsi scopare", poteva esprimere la propria sessualità senza doversi vergognare o nascondersi dietro ad un finto senso di pudore e timore divino che per inciso non aveva mai avuto.
Adorava il cazzo e non si vergognava ad ammetterlo anche se lo occasioni di poterlo provare non erano tantissime, la vita da Testimone di Geova le riempiva gran parte del tempo, le proprie avventure sessuali doveva andarsele a cercare in quegli angoli di tempo rimasti liberi dalle altre attività.
Il lavoro era una grande occasione di libertà, per poter conoscere gente, per poter flirtare e farsi mettere le mani in mezzo alle cosce. Era ancora un pò inesperta, ancora un pò acerba ma ai maschietti piaceva così. Quell'aria fintamente candida mischiata abilmente con quella bomba di corpo sexy che si ritrovava attirava più maschi che il miele con le api.
Passarono dieci minuti e le colleghe rientrarono, nessuna di loro fece domande, nessuna di loro sospettava qualcosa.
Quel pompino in pausa pranzo era come non ci fosse mai stato in quell'ufficio, era un segreto che Davide e Roberta si sarebbero portati appresso per tanto tempo.


Lei aveva lunghi capelli biondi e il mare tra le dita, quella sera che le chiesi di fermarsi dietro al bar.
Amava il mio profumo tra i capelli e il collo e mi toccava, io amavo le sue mani che esploravano di me, avvicinando gli occhi ai miei potevo scrutare fino in fondo all'anima. Mischiava tenerezza e ingenuità con un pizzico di sale, una passione spicciola da consumarsi in un motel. Aveva le mani così piccole che riuscivo a trattenerne due in una, la scaldavo appoggiata al muro come fossi una coperta, avvolgendola sul mio petto per sentirla un po' più mia.
Ci conoscevamo già da un po' eppure ogni volta era come fosse la prima volta, partivamo con accenni di romantica passione per finire un po' più giù. Io le toccavo il seno, lei non voleva lo facessi, spostava il viso di lato respingendomi, ma solo un po', poi accompagnava le mie mani calme di sudore e silenziose, le nascondeva tra le pieghe del maglione addosso a lei.
Voleva le stringessi i capezzoli prima piano e poi deciso, lei stringeva le mie mani e si stringeva addosso a me. Chiudeva gli occhi per non guardare poi li riapriva con le lacrime, mi stampava in bocca un bacio e sorrideva d'allegria. La nostra età faceva da contorno a questa vita, i trent'anni nell'attesa di un'amore vissuto nei nascondigli al silenzio, spesso e volentieri appoggiati al muro di un vicolo, nascosto agli occhi della gente. Ci abbracciavamo per minuti intensi e immensi, e questi minuti diventavano le nostre ore. Le sue guance rosse e i suoi capelli prendevano sostanza davanti a me, mi abbracciava come fosse l'ultimo momento prima di andar via. Ci stringevamo senza accorgerci che già stavamo facendo l'amore, incuranti della notte, del freddo, della polizia. Il respiro un po' affannoso si confondeva col silenzio, coi rumori delle automobili, il ronzio di qualche bar. Le nostre mani si cercavano e si trovavano da sole, le dita già facevano l'amore, schiudendo un mazzo di rose immaginario carico di passione e nostalgia.
Non potevo che commuovermi guardandola negli occhi, sentivo le sue labbra palpitare, il tremolio delle sue palpebre nel burrascoso affanno di raccogliere tutto di me, quella necessità fisica di non perdermi, di non perdere contatto col mio corpo. Sapevamo di essere nel torto, sapevamo quel vicolo rappresentasse la rottura di un maledetto vincolo che avevamo firmato con la vita, con altri occhi, con altre mani, con altre pareti a guardarci, proteggerci e soffocarci. Sapevamo di appartenere ad altri e non solo a noi, eppure il bisogno di stare l'uno dentro l'altra era più forte di ogni sentimento di vergogna e smarrimento, il senso di colpa non poteva farsi breccia tra le nostre braccia. E in quel vicolo nascosto ci amavamo, ci amavamo di freddo e polvere, rischiando l'incriminazione per atti osceni e qualche linea di febbre. Con gli occhi ci eravamo mangiati e spogliati milioni di volte, con gli occhi le avevo già sfiorato i seni e gli angoli nascosti e più intimi miliardi di volte. Lei mi guardava negli occhi, poi spostava lo sguardo, si spingeva addosso alla parete di mattoni per avermi sempre più addosso. Si levava via i capelli dalla faccia, inarcava la schiena e prendeva forza, fiato e vigore per spingersi ancora un po' più in là con le intenzioni. La terra tremava insieme a noi , insieme ai nostri cuori carichi di rabbia e di rimpianti, il muro sembrava voler crollare come squarciato dall'orgasmo passionale di quel terremoto. E poi le mani, quelle mani che nel silenzio andavano sempre più giù, sempre più dove tutto era o terribilmente eccitante o terribilmente sbagliato. Non esistevano più il bianco e il nero, ciò che è giusto o ciò che è sbagliato, esistevano solo due corpi che volevano fondersi in uno, incuranti del tempo e del destino che li aveva scaraventati su pianeti diversi, in vite distanti, in esistenze contigue.
E le mani, le mie diavolo di mani che percorrevano il suo ventre per slacciarle la cintura dei pantaloni e durante il percorso si soffermavano sui fianchi, alla curvatura dei seni, nel canyon misterioso dell'ombelico. E poi le mani ancora più giù superando ogni suo vano tentativo di resistermi, laggiù dove il destino di ogni uomo e di ogni donna si compie come una battaglia di emozioni e pulsazioni, laggiù dove hanno litigato santi, poeti e navigatori, laggiù dove si scannano le religioni, laggiù dove non esistono più mappe e confini definiti. E le sue mani in principio distanti e riottose diventavano confidenti e amiche, invitano le mie al progresso nella discesa. Strusciavano i miei vestiti, si infilavano sotto la maglietta e dentro i jeans, scardinavano ogni resistenza e bottone per arrivare alla metà più ambita, quella che ci avrebbe condannato per l'ennesima volta a fare l'amore senza guardarci alle spalle, senza poterci guardare negli occhi, con l'istinto di chi ama ma non può, con la voglia di chi ci crede e va fino in fondo, fino a rischiare una polmonite, un arresto o di sentirsi la coscienza impiccata ad un lampione.
Ma a noi non potevano interessare le conseguenze, non c'era tempi, non c'era testa, non c'era modo. Le conseguenze erano solo le ultime armi che paura ed obblighi morali ci mettevano a baluardo del piacere. E le mani continuavano il percorso senza posa, invitando i nostri corpi a unirsi senza più vestiti, col freddo della notte a colpirci nella pelle e una ruvida parete fredda e polverosa di mattoni a farci da cuscino, lenzuola e sveglia del mattino dopo. E le sue mani mi stringevano i fianchi mentre io con i suoi capelli e i suoi pensieri nel viso assaporavo l'aspro sapore delle sue lacrime che scivolavano fluenti nella mia bocca. E mentre ci immergevamo sinuosi in quel lento movimento ansimando contro un muro i nostri corpi chiedevano perdono a chi non c'era ma le nostre anime al contempo succhiavano ogni goccia di rugiada di quell'amore così bello, così puro eppur così sbagliato. Ci stringevamo così forte, così intensamente che la violenza dei nostri corpi sul muro avrebbe potuto far crollare la volta celeste che spiandoci dall'alto cercava di proteggerci dalla curiosità degli aeroplani, e così facendo di quell'amore un lago di lacrime e sudore ci coricammo innamorati tra i rumori della nostra intima penombra.


La giornata di Roberta era cominciata veramente male, aveva perduto il lucidalabbra in automobile. Quando si dice: "Cominciare di merda la giornata".
Avrebbe potuto anche bestemmiare ma non era nel suo stile. Cercare di dire meno parolacce possibile, le bestemmie invece no, non erano ancora entrate nel suo vocabolario.
Poteva essere accettabile dire "cazzo", "culo", "tette" o "pompino" ma bestemmiare proprio no.
Ogni tanto si soffermava a pensare come fosse divenuta ipocrita pure lei. Era uscita di casa dopo aver fatto colazione e la Scrittura del Giorno insieme alla sua famiglia, lodando Geova per quei -mila motivi che le dicevano esser giusti, poi presa l'automobile per andare a lavorare si era imbattuta in tre o quattro vaffanculo rivolti ad automobilisti indisciplinati, in qualche bel culo maschile fissato per più di dieci secondi al semaforo e non contenta di farsi considerare ipocrita ai piani alti del proprio credo religioso si era anche toccata in mezzo alle gambe un paio di volte guidando, perchè la figa le prudeva da tanto avesse necessità di cazzo.
L'alfa e l'omega tornavano sempre nei suoi discorsi. La figa era l'inizio e la fine di questo universo. Dio l'avrebbe punita per come aveva iniziato a darla via con poca circospezione?
Quella romantica scopata appoggiata al muro di un vicolo di qualche sera prima cos'era?
Un ringraziamento a Dio per cosa? Forse era solo una giovanile assetata voglia di sesso. E Roberta viveva per il sesso, era la sua ossessione, un'assuefazione ingenua e perversa.
Dietro alle apparenze di ragazza per bene si nascondeva una porca senza ritegno, una ragazza capace di masturbarsi per tutta la notte al coperto e al riparo dagli sguardi indiscreti di Geova, sotto quelle belle lenzuola candide che i genitori le avevano regalato. Lenzuola con i fiorellini, lenzuola da ragazza tutta "Sala del Regno" e "Servizio", sempre impegnata a promuovere il messaggio del Regno.
Se quelle lenzuola avessero potuto parlare, almeno una volta, almeno per cinque minuti. Avrebbero raccontato di quelle dita sottili che pian piano ogni notte penetravano la carne rossiccia della figa, avrebbero parlato di come Roberta desiderosa di cazzo provava a simulare la penetrazione "umana" aiutandosi con oggetti in plastica comperati su internet.
Il cazzo come unico pensiero, dalla mattina alla sera, senza sosta, senza posa. Sempre nascondendosi dietro a quelle ipocrite apparenze di ragazza religiosa, dedita a Geova, alle adunanze, a tutte quelle ipocrite attività della "setta" dove non poteva vivere una vita serena.
Non avrebbe mai potuto gridare un: MI PIACE IL CAZZO!!!!! dal podio in adunanza durante un'esercitazione per la scuola di Ministero. Quanto avrebbe voluto gridare una frase del genere, per scandalizzare i genitori, gli amici, le persone bigotte della congregazione. Quanto avrebbe voluto succhiare il cazzo a quel fratello giovane e aitante che portava i microfoni durante la Torre di Guardia. Davanti a tutti, così, senza ritegno, abbassandogli la zip dei pantaloni, ingoiando il cazzo fino alla gola mentre gli altri inorriditi continuavano a seguire quella noiosa manfrina della Rivista. Avrebbe dovuto, avrebbe voluto ma non era mai riuscita a trovare il coraggio. L'avrebbero disassociata, lapidata, ostracizzata, avrebbero messo al bando pure la sua famiglia. Avrebbe stravolto la propria esistenza e il gioco non valeva la candela. Poteva fare comunque i cazzi suoi, senza farsi vedere da nessuno, fuori da quelle quattro mura della Sala del Regno.
"Geova non vede che faccio i pompini" – pensava Roberta. - "E se mi vede secondo me desidera che succhio il cazzo pure a lui". Questi pensieri immorali e blasfemi le tormentavano l'anima, d'altronde aveva trent'anni, la figa le prudeva tutti i giorni, aveva bisogno del contatto fisico quotidiano con un bel cazzo enorme. Come quello dei colleghi o come quello che le davano senza troppi complimenti in rapporti occasionali mordi e fuggi dove capitava.
Una sera si era trovata a succhiare il cazzo a un vecchio puzzolente nel camerino di un negozio, al centro commerciale. Lui le aveva fatto un complimento per il vestitino che stava comperando e le aveva sventolato 100 euro vicino alla faccia. Erano bastati pochi sguardi per capire cosa volesse il porco e pure Roberta, in astinenza da cazzo trovava l'occasione da non perdere. Si erano guardati intorno, non c'era nessuno a vederli, si barricarono nel camerino più vicino e lui tirò fuori il cazzo puzzolente e obbligò Roberta a succhiare con voracità. La ragazza non si era tirata indietro, 100 euro le facevano comodo, chissenefrega che poteva essere interpretata come una tariffa da puttana, lei non era una puttana nella vita, era una segretaria d'ufficio. Che male c'è in fondo se un uomo ti paga per farselo succhiare? E' solo un regalo, un modo per sdebitarsi dell'opera di bocca. Lui le era venuto in bocca e lei aveva ingoiato. Una brava pompinara ingoia sempre, non lascia mai il lavoro a metà. E per 100 euro Roberta non se la sentiva di fare la schizzinosa.
La mattina però era cominciata di merda, anzi, tutte le mattine erano mattine di merda. Vivere pericolosamente in equilibrio sulla propria ipocrisia, a contatto con la gente, con le sfighe quotidiane, coi desideri repressi, con le angosce di non potersi comunque esprimere liberamente. Col nervosismo quotidiano a farle compagnia. Con la voglia di cazzo perenne che la faceva uscire di casa già con le mutandine bagnate.
Come quella che le stava salendo addosso in automobile quella mattina, quella voglia incontrollabile di sesso che le avrebbe scardinato i bottoni della camicetta e spalancato le gambe a chiunque l'avesse fatta sorridere e star bene.
Voleva il cazzo, voleva un cazzo, uno qualunque, bastava che fosse un bel cazzo desideroso di entrarle in uno dei suoi preziosi buchetti. Che fosse il culo, la figa o la bocca non importava, l'importante è che fosse un bel cazzo da prendere.
Darla via come medicina antistress. L'alfa e l'omega, l'inizio e la fine. Il cazzo era la sua fine, ne era certa. Da quando aveva cominciato a farne uso si sentiva intrappolata, in estasi, dipendente. Dipendeva dal cazzo, dalla voglia di cazzo. Era diventata una cazzo-dipendente. Sarebbe finita in ospedale con sospetta astinenza da uccello se non avesse scopato il prima possibile. Il cazzo era l'unica medicina funzionante alla necessità di cazzo.
Il suo mondo sarebbe crollato, le sue certezze sarebbero crollate in men che non si dica ma ne aveva bisogno, aveva bisogno di sentirselo tra le gambe, scavalcare le sue belle coscie morbide e conficcarsi come una spada nella sua bella fessura coperta da piccoli timidi peletti castani.
Voleva sentirselo tra le mani, come un trofeo, un trofeo da coccolare e sbaciucchiare, un bellissimo trofeo a cui potersi inginocchiare, un trofeo carico di vita non un essere inanimato come una statua. Voleva quella sensazione di piacere data da un bel pisello intrigante e mai domo che le percorreva l'addome e si incuneava nella passera. Voleva sentirlo sbizzarrirsi come un cavallo in calore tra le sue belle gote rossastre, sentire la sua prepotenza virile finirle in gola, bagnarle la faccia e inumidirle il collo di soave sperma appiccicoso.

Pensava a tutto questo mentre cercava quel cazzo di lucidalabbra.
Le era caduto e non riusciva più a trovarlo sotto i sedili, chissà dov'era andato a nascondersi. Era già il terzo che perdeva quel mese in automobile, era come se la sua bella macchinina se li divorasse i suoi oggetti di bellezza.
In ufficio la aspettavano per le nove, aveva ancora tutto il tempo per farsi una bella colazione e due passi per le strade che iniziavano a brulicare di vita, di persone.
Avrebbe fatto due chiacchiere con Davide, doveva spiegargli come mai l'altra sera era stata costretta a dargli buca. Poveretto, lui si era tenuto libero appositamente per lei, aveva già comprato i biglietti del cinema e prenotato una bella cenetta in un ristorante messicano alla moda.
Lei si era comportata da cafona e un pò da puttana. All'ultimo aveva disdetto l'appuntamento con Davide per andare a divertirsi con le amiche. Non aveva manco avuto il coraggio di fargli una telefonata, l'aveva piantato li così su due piedi, proprio come una vera stronza.
La cosa le dispiaceva, le poteva andar bene passare per puttana ma per stronza proprio no, soprattutto dopo che lui l'aveva nominata sua "succhiacazzi" di fiducia.
Lui si era sbilanciato molto con quell'affermazione, era una mezza dichiarazione d'intenti. Davide, il ragazzo più figo dell'ufficio era disposto a rinunciare a tante scappatelle gratuite per potersi mettere insieme a lei, quasi ufficialmente.
Lui le aveva proprio detto questa frase:

"Ti voglio come mia succhiacazzi di fiducia Roberta. Voglio che tu sia l'unica a succhiarmi il cazzo d'ora in poi. Voglio solo la tua bocca sulla punta del mio uccello. Voglio solo te."
Insomma, una dichiarazione d'amore in piena regola, una grande responsabilità comportava dover diventare la succhiacazzi di fiducia di Davide.
Finora l'unico titolo che le era stato affibbiato era quello di Pioniera Regolare in Congregazione.
Ma vuoi mettere fare la pioniera regolare con il fare la pompinara regolare?
Fare la pompinara regolare dava molte più soddisfazioni poi nell'ultimo periodo sia con Davide che con altri ragazzi si era esercitata assiduamente per poter diventare una regina del Pompino. Aveva persino aperto un'account instagram segreto, che non conoscevano ne i suoi genitori ne suo fratello ne gli altri componenti della congregazione.
Si era chiamata "Miss Fellatio" in questo account e postava regolarmente foto della sua bocca intenta a spompinare un dildo che si era comperata su internet e che teneva nascosto sotto ai vestiti nell'armadio, dove nessuno in famiglia avrebbe mai potuto cercarlo o trovarlo.

La primavera inoltrata portava allegria e lei non aveva ne un amante ne un vero fidanzato, invidiava le coppiette che andavano al cinema a limonare e che si tenevano per mano mentre mangiavano un gelato la sera.
Aveva tanta voglia di prendere un cazzo in bocca, di assaporare il sapore dello sperma tra le labbra, aveva una voglia di cazzo che si poteva vedere da chilometri di distanza.
"Perchè non ho un bel cazzone a trapanarmi la figa?" - pensava Roberta in continuazione. Non le bastavano più le dita, non le bastava solo masturbarsi con i cazzi di gomma. Voleva un pisello vero, un pisello da toccare, un uomo che la possedesse, che la sbattesse contro un muro o su un letto e le togliesse con desiderio e passione i vestiti. Adorava essere leccata la sotto, tra le gambe, dove la sua figa ancora giovane non esitava a bagnarsi al primo contatto. Adorava quando le praticavano il "cunnilingus", adorava sentire la lingua di un "lui" che si infilava nella sua carne morbida ed eccitata. Adorava tutto quello che riguardava il sesso e la sessualità e odiava quella cazzo di famiglia dov'era nata, una famiglia ipocrita e bigotta, religiosa a parole ma poi di una ipocrisia dannata nei fatti. Suo padre quando poteva evadeva le tasse poi in Sala del Regno faceva il santocchione tutto Bibbia e Geova. Poi di nascosto cercava il modo di fottere lo stato ed il prossimo.
"Manica di coglioni" – li chiamava tutti Roberta dentro se, non poteva però esprimersi pubblicamente contro quella manica di coglioni perchè in fondo era tutta la sua vita quella manica di coglioni con cui era costretta a vivere. L'unica alternativa a quella vita noiosa e ipocrita era scopare di nascosto, succhiare cazzi come non ci fossero regole o un domani "certo". Tanto a lei di quelle stronzate che si dicevano in sala non fregava un tubo, non ci credeva, non ci aveva mai creduto. Fingeva solo per quieto vivere. Il suo quieto vivere era poi fuori da quelle quattro mura trovare maschietti disposti a scoparla, senza i riflettori dellea teocrazia geovista ad osservarla. E ai maschietti Roberta piaceva, se la mangiavano tutti con gli occhi: non si trova mica facilmente una trentenne in forma con due tette da urlo e due occhioni ammalianti, brava fra le cosce, brava fra le labbra. Una bomba sexy intrisa di mistero e ambiguità.

Non era più la sua vita quella, da qualche settimana le sue giornate erano scandite dall'orario di lavoro, dai lucidalabbra perduti in automobile ed una lunga e interminabile serie di ditalini che si faceva sul letto. Si stava annoiando. Non poteva esserer tutta la sua vita quella! Doveva esserci per forza qualcosa di più della routine che la stava devastando.
Aveva una voglia matta di bestemmiare. Non lo aveva mai fatto. Voleva sfogarsi, un bel "porcoddio" urlato al mondo! Come eccitazione valeva un'orgasmo!
La mattina era cominciata in qualche modo, perduto il lucidalabbra si sentiva leggermente smarrita, avrebbe dovuto ricomperarlo, perdere del tempo in profumeria e magari portarsi a casa qualche souvenir costoso, un profumo di marca, un set completo da bagno intrigante. Il lucidalabbra aveva un potere erotico non indifferente, mentre se lo passava sulle labbra carnose immaginava fosse un bel pisellone da succhiare.
E i maschietti facevano pensieri tremendi quando la vedevano passarsi il lucidalabbra.
"Dio che pompini fa quella" – esclamavano senza troppe remore di essere sentiti. E lei sorrideva compiaciuta.
In estate, quando capitava, comperava un paio di calippi al giorno e si metteva in bella mostra al parchetto, giusto per eccitare i maschietti che passavano.
"Con quella bocca cazzo se ci sai fare" – gridavano i ragazzotti passandole vicina!
E lei come da manuale sorrideva. Perchè il vero gusto del calippo era far pensare ai maschietti che fosse intenta a fare un succoso e rinfrescante pompino.
"Dio bono che pompino vorrei!" - era la frase che le dicevano più spesso i colleghi di lavoro. Nel palazzo dove il suo ufficio aveva messo radici da anni il suo nome era associato a tutta una serie di complimenti e apprezzamenti su quella boccuccia da favola che si ritrovava!

Quanto le piaceva Davide, quanto amava il suo bel corpo statuario, atletico, sempre pronto ad una bella scopata. Soprattutto Roberta amava l'enorme pisello di Davide, quell'enorme pisello che l'aveva fatta godere come una troia in calore facendola diventare una donna vera, una donna finalmente donna.
Di cazzi ne aveva presi ma quello di Davide aveva qualcosa di speciale. Davide aveva qualcosa di speciale. L'aveva fatta sentire "sua", le aveva messo il cazzo in bocca con maestria, l'aveva convinta ad essere la sua bocchinara di fiducia. Peccato solo lei si sentisse smarrita, insicura, sempre in bilico tra quello che avrebbe voluto fare della sua vita e quello che era costretta a fare per colpa della religione. Come avrebbe potuto presentarsi a casa o in sala del regno dicendo a tutti: "Il mio collega Davide mi scopa e ci siamo messi insieme!"
Già aveva paura solo a pensare "Scopiamo". Era più semplice, nella sua testolina bionda pensare che fosse "lui a scoparla".
Metà della colpa si sarebbe presa, non tutta. Era lui che voleva scoparsela, non lei. Lei era la povera ragazza fragile e sognatrice che era stata sedotta da quel ragazzone.
Ma a chi poteva darla a bere?
Succhiava il cazzo meglio di una pornostar o di una puttana di professione.

Roberta era una bella ragazza, di quelle che attiravano i maschietti, capelli biondi leggermente mossi, tette grosse, culetto in ordine: uno schianto. Il suo potere sessuale e sensuale la precedeva di chilometri. Lo avrebbe utilizzato anche in quella giornata partita col piede sbagliato.

Quella mattina si era recata al solito bar, che stava a meno di duecento metri dall'ufficio. Posò la borsetta sul tavolino e chiese un caffè al cameriere. Ormai aveva una grossa confidenza con Carlos, erano anni che era cliente di quel bar. Carlos era un bel ragazzo peruviano, mulatto, simpatico, sempre gentile. I due scambiavano qualche parola ogni tanto ma nulla più, il muro della confidenza non si era mai rotto del tutto. Quella mattina Carlos vide Roberta un pò imbronciata e portandole il caffè al tavolo tentò un approccio più personale alla conversazione: "Come stai Roberta? Ti vedo triste questa mattina?"
La ragazza sorridendo disse: "Ho perso il mio lucidalabbra in automobile..."
Nel bar non c'era nessuno, erano solo lui e Roberta, quindi Carlos poteva permettersi di dare attenzione alla ragazza per qualche minuto senza dover servire altri clienti. "Sicura è solo per il lucidalabbra?"
Ci stava ovviamente provando e a Roberta quel gioco piaceva.. Il ragazzo meritava una conoscenza approfondita e la voglia di cazzo era sempre tra la punta della lingua e i peli della figa. Sempre in modalità ON.
"Sai com'è... a me piace avere qualcosa che mi lucidi le labbra..."
Il segnale erotico era partito e aveva fatto centro, i due si guardarono con un cenno di complice intesa. Una frase ambigua come quella non lasciava il campo a molte altre interpretazioni. Roberta stava chiedendo a Carlos di sbatterle il cazzo in bocca. Senza remore, senza limiti. Passione allo stato puro. II due continuavano a guardarsi con malizia e complicità. Roberta si passava la lingua sulle labbra con sempre più decisione e aveva slacciato un'altro paio di bottoncini della camicia per mettere ancora più in mostra il suo bel seno sodo e intrigante.
Quelle tette guardavano Carlos e sembravano dirgli: "Mi vuoi? Vuoi farci un giro?"
Carlos prese la ragazza per mano e la portò nel retro del bar dove c'era un piccolo sgabuzzino.
Iniziarono a toccarsi, a baciarsi, a mettersi le mani in ogni angolo del corpo. La situazione si era fatta subito caldissima, niente corteggiamenti romantici, niente perdite di tempo. Si doveva andare subito al sodo.
Carlos prese la camicetta di Roberta e infilando le mani tra i bottoni iniziò a slacciarli uno ad uno, lasciando scoperte un bel paio di tette a punta, grosse e sode. Con un rapido gesto della bocca si avventò sulle tette della ragazza iniziando a leccarle e a succhiarle dolcemente mentre Roberta si teneva i capelli per l'eccitazione. Carlos scese più giù incontrando un bel pancino scolpito e la cintura dei pantaloni. Slacciò con attenzione anche quella e tirata giù la zip sfilò i pantaloni alla ragazza. Davanti al suo naso c'erano le mutandine di Roberta, bianche, candide e si intravedevano i peli della figa. Carlos abbassò le mutande della ragazza e iniziò a leccarle tutto intorno, poi con foga e passione infilò la lingua nella carne viva e iniziò un perfetto cunnilingus. Roberta stava impazzendo dal piacere, era troppo che nessuno la toccava, e la lingua di Carlos era molto più eccitante di farsi un ditalino a casa da sola prima di dormire.
La maestria di Carlos nel leccarle la figa la stava facendo contorcere dal piacere. Quella sontuosa lingua ispanica andava su e giù tra le sue cosce come un serpente nella boscaglia. Il giovane si fece sempre più deciso, era come se divorasse la figa di Roberta con quella bocca. La lingua entrava nella carne della ragazza con la potenza di un bicipite. Roberta ansimava, sudava dal piacere, faceva fatica a trattenersi, voleva gridare, urlare dal piacere. Teneva la testa del ragazzo tra le sue cosce nello stesso modo con cui i ragazzi tenevano la sua testa tra le gambe quando succhiava il cazzo con foga e decisione. Più godeva e più spingeva la testa di Carlos tra le sue gambe.

Il ragazzo si rialzò, slacciò i propri di pantaloni e senza aspettare le mani di Roberta prese il proprio cazzo in mano e iniziò a penetrarla. Erano appoggiati ad un muro freddo come il marmo, ogni colpo di Carlos entrava nella figa di Roberta con precisione e potenza, la ragazza stava godendo come non mai e pure il barista peruviano stava per raggiungere un sontuoso orgasmo. Roberta era li in tutta la sua bellezza, scompigliata dal piacere, con la figa in fiamme e il cuore che batteva all'impazzata. Prima la lingua, ora il cazzo. Carlos ci sapeva fare, cazzo se ci sapeva fare. Se con la lingua aveva dato delle pennellate alla sua figa il suo enorme cazzo sudamericano stava entrando dove nessun maschio era entrato mai. Il suo corpo stava tremando dal piacere, sentiva le forze mancare.
Lei lo teneva stretto al collo mentre lui l'aveva presa a cavalcioni sul proprio bacino, tenendole i polpacci sollevati. Più la teneva e più penetrava quella carne docile ed eccitata. Roberta era venuta, sentiva tutto il suo corpo in fiamme e la figa bagnata.
"Non smettera mai Carlos, scopami a morte...scopami" – gridava la ragzza, incurante delle conseguenze!
"Ti scopo come una puttana, ti scopo troia" – le diceva Carlos per farla eccitare ancora di più. Roberta amava le si dicessero parolacce, le piaceva essere chiamata puttana.
"Lo voglio in bocca ora"...sussurrò tra i gemiti Roberta a Carlos. Il ragazzo non si fece pregarre. Ogni uomo desidera farsi succhiare il cazzo, è il momento più importante dell'intera scopata e se a chiederlo è la donna è ancora più eccitante.
In questo caso la donna che stava chiedendo di essere penetrata in bocca non era una donna qualsiasi. Roberta era la regina del pompino, la donna perfetta a cui infilare il cazzo in bocca. Quella faccina, quella boccuccia, quegli occhioni da cerbiatta ispiravano una voglia di pompini come nessun'altra.

Il ragazzo la lasciò e Roberta si mise in ginocchio. Si tolse la camicia del tutto per non sporcarsi e iniziò a succhiare il cazzo mulatto del barista. Se lo prendeva tutto fino in gola, non lasciando spazio all'immaginazione. Era un pompino con la P maiuscola. Carlos non avrebbe resistito tanto in quella posizione, sentiva già il pulsare dell'orgasmo arrivargli alla punta dell'uccello.
Lui la teneva con le mani sulla nuca, voleva che il suo cazzo non uscisse mai da quella grotta meravigliosa. Era la perfezione fatta natura. Più lei succhiava più lui godeva. La saliva le colava dai lati della bocca, stava succhiando il cazzo con una voglia e una potenza da lasciare il ragazzo senza fiato. Non prendeva neanche una pausa, si era messa in apnea e stava dando fondo a tutte le energie rimaste. Con il cazzo in bocca quella boccuccia era diventata enorme come quella di un dinosauro.

"Ti vengo in bocca?" chiese lui.
Roberta fece un gesto di conferma con le dita, non aveva nemmeno avuto il tempo e la voglia di levarsi il cazzo dalla bocca, le piaceva troppo succhiare quel pisello. Si aiutava con le mani e quasi soffocava nel tenerlo tutto tra le proprie labbra e giù nella gola, con la lingua che lo solleticava.
Poi Carlos lanciò un gemito più prolungato e venne copiosamente nella bocca della ragazza che raccolse tutta la sborra e se la lasciò scivolare agli angoli delle labbra, facendo vedere a Carlos com'era stata brava. Si pulì la bocca con il dorso della mano e la restante sborra la ingoiò.
I due si guardarono con sguardi complici.
"Grazie per la cremina in bocca...l'ho apprezzata molto" disse lei maliziosa mentre si rivestiva per andare in ufficio.
I due erano esausti ma felici. La mattina era cominciata nel migliore dei modi per entrambi. Carlos non ebbe neanche bisogno di pulirsi il cazzo dallo sperma, le ultime gocce rimaste se le era leccate via Roberta con delicata dedizione alla causa.
"Posso farti i complimenti Roberta?"
"Certamente"
"Sai che succhi il cazzo in una maniera divina? Te l'hanno mai detto?"
La ragazza non era per nulla sorpresa dal complimento.
"Anche tu lecchi la figa da paura Carlos" – disse Roberta, poi si avvicinò al cameriere e lo baciò in bocca.
Carlos tornò al bancone del bar, Roberta andò in bagno a riassettarsi che da li a poco doveva presentarsi in ufficio. Era un pò scompigliata ma con una lavata di faccia tornò pressochè normale. Si guardò allo specchio, tracce di sperma sulla faccia o sui capelli non c'erano, poteva uscire tranquillamente dal bar senza che qualcuno potesse vedere gli effetti di quel sontuoso pompino che aveva fatto. Le mutandine erano ancora li per terra, Roberta si chinò e le buttò nel cestino della spazzatura. Sarebbe andata in giro senza, doveva farla sfiammare quella fighetta appena scopata con veeemenza.
"Vuoi una caramella per la bocca?" - chiese Carlos.
"No, voglio tenermi il sapore del tuo sperma in bocca fino a pranzo" - disse Roberta.
"Ci vediamo domani Roberta... passa quando vuoi..."
"Contaci Carlos, ho voglia di un altro bel caffè macchiato domani mattina..."
Entrò un cliente, Carlos doveva dare attenzione all'ordinazione, i due si salutarono e Roberta si incamminò verso l'ufficio passandosi la lingua tra le labbra per assaporare ancora il sapore di quella sborrata mattutina.


Roberta guardava fuori dalla finestra.
La vita era davvero una gran rottura di coglioni. Da quando era cominciata questa tragica quarantena tutto il suo piccolo mondo di abbracci e certezze era caduto improvvisamente in depressione. Da un giorno all'altro era cambiato tutto radicalmente. Neanche il tempo di accorgersi di quanto stesse accadendo.
Aveva tutto poco senso, persino mantenersi in forma e attraente. Passava tutto il giorno in cameretta a guardare il cellulare o a prendere i vestiti dagli armadi per scegliere quali non avrebbe potuto usare anche in quella giornata. La vita in quarantena non permetteva distrazioni sociali, vestiti scollati, aperitivi.
Dopo l'ultima scopata con Carlos nel bagno del bar c'era stato poco tempo per riprendersi. Altre scopate furtive in discoteca, qualche pompa con ingoio e poi la solita routine. L'ufficio, il pranzo, le notizie alla televisione. Tutti i progetti per l'estate buttati in un cestino, tutti i progetti per il futuro spazzati via.
Non aveva più senso un cazzo. Vivere per cosa? Stare rinchiusa con la propria famiglia era una tragedia. Quanto tempo sarebbe durata questa pandemia? Il suo sistema nervoso non avrebbe retto. Rimpiangeva di non essersi fatta una vita "prima" di questa pandemia. Avesse avuto un fidanzato ufficiale, un compagno o un marito sarebbe nella sua bella casetta e non in una cameretta del cazzo, a trent'anni, con genitori e fratellino quasi diciottenne.
La vita trascorreva noiosamente in pigiama, intervallata dalla doccia quotidiana, dai pranzi e cene in famiglia e due volte alla settimana lo streaming delle adunanze, unica occasione in cui era obbligata a vestirsi da Sala del Regno anche se insieme alla famiglia seguiva l'adunanza da casa, sul computer, come da disposizioni dell'organizzazione.
Ogni tanto le tornavano alla mente i weekend spensierati con le amiche, i baci rubati a un ragazzo di un pub in un lercioso bagno del locale. Proprio in una di quelle ultime occasioni di socialità aveva capito come non fosse più interessata alla religione di famiglia.
La pandemia aveva reso evidente quello che già da un pò le frullava per la testa: Non apparteneva a questa religione, non aveva nulla a che spartire con i suoi genitori e con i testimoni di geova. Era un pesce fuor d'acqua, una pecora nera. I suoi pensieri erano rivolti al sesso, al divertimento, ad andare oltre ogni limite, non di certo a Geova e a quelle minchiate anacronistiche che andavano in giro a dire da cento e passa anni.
Non credeva a quelle stronzate inventate dagli uomini per rimbecillire altri uomini, odiava quelle meccaniche ipocrite dei testimoni di geova che faceva da più di vent'anni. Si era resa conto che faceva la Tdg solo per compiacere i genitori e non perché ci credesse. Quelle scopate in bagno, con un perfetto estraneo le aveva cambiato la vita, l'umore, gli odori. Lei aveva cercato di dirgli che era una Tdg, che aveva dei valori, che non sapeva cosa fosse il sesso, ma era stata travolta dall'impeto e dalla passione. Ed erano tutte cazzate perchè sapeva bene cosa fosse il sesso ma ogni tanto le piaceva fingere di essere una povera verginella ingenua, cosa che piaceva tanto anche ai maschietti. Lei sapeva come prenderli per la testa prima ancora che per il cazzo.

Lui le aveva allargato le gambe e tirato fuori il pisello lo aveva spinto con dolcezza e rabbia nella sua fighetta pelosa. Nel mentre le baciava il collo, i capelli, i lobi delle orecchie. Le mani di lui andavano dappertutto, sotto i vestiti, andando a scoprire quei corridoi di pelle tutta la sensualità della ragazza. Roberta non aveva opposto resistenza anzi, aveva voluto quella scopata con tutto il cuore, con tutte le molecole del proprio corpo. Appena era entrata nel locale aveva fatto di tutto per farsi notare da quel bellimbusto, fino a darsi appuntamento nel bagno. Lui le aveva fatto i complimenti per quei soffici capelli biondi e profumati che le disegnavano un'aura quasi angelica attorno al viso. Lei ammirava il fisico scolpito e marmoreo di lui che fuoriusciva da un vestiario che non poteva contenere l'esplosione fisica di lui. Abbassò lo sguardo ad altezza pube e notò quel bel rigonfiamento fallico che avrebbe voluto provare... Troppa l'emozione, troppa la voglia. Roberta si lasciò andare, non aveva più voglia, a trent'anni, di portarsi addosso il peso di una squallida verginità imposta da altri.
Non che fosse vergine, per carità, davanti alle amiche Tdg con cui era andata nel locale doveva però fingere purezza e castità. Mica poteva confidare alle amiche di aver preso più cazzi di una puttana qualsiasi.
E fece l'amore, in quel bagno, in quel lurido bagno di un locale. Lui le stringeva i capezzoli, le mordicchiava il collo, lei toccava il corpo di lui con ammirazione e rispetto. Quando l'enorme uccello la penetró sentí come rinascere la vita dentro se. Più lui spingeva il pene in profondità più il suo cuore batteva all'impazzata, un mix di orgasmo e infarto in corso. Lui aveva un cazzo così grosso che non pensava potesse stare tutto dentro il suo corpicino magro. Roberta era al settimo cielo, godeva come non avrebbe mai creduto in vita sua. Questo sconosciuto era ancor meglio di Carlos e Davide.
Lui la prese poi dalle spalle e la obbligò ad inginocchiarsi.
Quanto adorava gli uomini che la sapevano dominare e sottomettere. Le piaceva che qualcuno la "obbligasse" a fare certe cose.

Roberta rimase fintamente sorpresa, fece finta di esser quella che non si era mai trovata a tu per tu con un cazzo a livello faccia.
Chiese al ragazzo un pò di tempo perchè era una ragazza Tdg, gli disse che aveva sentito parlare del sesso orale, ma ovviamente non sapeva come fosse.
Allo sconosciuto piaceva l'idea di scoparsi una verginella e a lei eccitava quel ruolo da "casta ingenua", avrebbe continuato nella "bugia" a fin di bene. Si trattava di una scopata mica di una confessione in Tribunale!

Lui fu poco gentile in quel frangente ma lei non si era ritratta. Le avvicinò il cazzo alla bocca e senza chiedere se lei volesse o come lo volesse infilò il membro duro e pulsante nella bocca di Roberta, spingendolo fino in gola.

Roberta continuava a recitare la sua parte, con finta ingenuità e simulò un momento di imbarazzo e inesperienza ma fece capire al ragazzo che nonostante l'inesperienza avrebbe saputo come comportarsi in quella situazione.
Lui spingeva il cazzo con forza, incurante di Roberta, voleva solo ficcare il cazzo in quella gola umida, la bocca si era riempita di saliva, lei cercava di aiutarsi con le mani ma quei minuti di apnea l'avevano fatta arrossire e tra conati di vomito repressi e piccoli attacchi di tosse riuscí a portare a termine l'opera.
Rispetto a tutti i pompini che aveva fatto in vita sua questo si era rivelato più complesso, il ragazzo sconosciuto non aveva usato ne tatto ne sensibilità, la stava massacrando in bocca. Non che le dispiacesse, non era però abituata a farsi soffocare dal cazzo di un ragazzo, finora anche le gole profonde che aveva fatto e di cui era perfettamente padrona non erano mai state così estreme. Questo sconosciuto invece, attratto ed eccitato dall'idea di sverginarsi una testimone di geova ci era andato giù pesante.
Senza neanche avvisare lui venne e la bocca di Roberta si riempì di sperma, di caldissimo sperma colante. Quel liquido meraviglioso le aveva insozzato pure i capelli e il collo.

Lui la aiutò a pulirsi e le fece i complimenti per quel godurioso pompino.
"Sei una brava puttanella" – le disse – "Per essere il tuo primo pompino sei stata brava".
Lei arrossì di vergogna ma lo ringraziò. Avrebbe voluto baciarlo ma lui la rifiutò.
"Non bacio la bocca di una che mi ha appena succhiato il cazzo!"
Si guardarono, poi lui le chiese di inginocchiarsi ancora, voleva scattarle una fotografia con il cazzo in bocca.
"Ti va se ti faccio una foto?"
"Ma poi cosa ne fai con questa foto" – chiese Roberta preoccupata.
"La tengo per me tramquilla, voglio solo ricordarmi di come ho fatto fare un pompino a una testimone di geova"
Roberta era pensierosa, non sapeva se era il caso di farsi riprendere o fotografare mentre faceva certe cose, poteva essere rischioso.
"Che dici? Fai la foto mentre ciucci il cazzo o ti vergogni? Se vuoi ti pago pure"
Roberta accettò di farsi fotografare, chiese 100 euro al ragazzo che li tirò fuori volentieri. Si mise in ginocchio, lui col cazzo ancora fuori posizionò il cellulare in modo che si vedesse la faccia di Roberta mentre spompinava.
"Faccio anche un piccolo video, ricomincia a succhiarmelo dai"
Roberta riprese l'attività pompinatoria mentre il ragazzo riprendeva tutta la scena. Aveva guadagnato 100 euro con quel brve filmato. Si era ripagata la serata.

Passò una settimana e il governo decretò la quarantena, distruggendo i sogni erotici di Roberta. Pensava e ripensava a quella scopata, in quel bagno, a quella sborrata in bocca , a quel video porno che lo sconosciuto aveva girato.
Chissà, magari l'avrebbe messo su internet, sarebbe diventata famosa come "pompinara". Non le importava delle conseguenze, difficilmente gli altri testimoni di geova sarebbero venuti a conoscenza di quel video, di norma i Tdg non vanno a guardare i siti pornografici.
Pensava ancora a quel sapore acido tra le labbra, a quei rimasugli appiccicosi sui capelli biondi. Pensava a quando la normalità avrebbe ripreso il suo corso naturale.
Quanto tempo avrebbe aspettato prima di assaporare nuovamente un bel cazzone tra le gambe o nella bocca?
Pensava a tutto questo mentre in bagno, con la quarantena, si masturbava di nascosto dai genitori che erano in salotto ad aspettare la settimanale visione in streaming dell'adunanza.

Roberta puzzava ancora della sborra del padre. Si era lavata la faccia ma quel fortissimo odore era penetrato nel profondo della sua anima oltre che tra le radici dei voluminosi e scomposti capelli biondi.
Quello che era successo trascendeva da ogni limite che si era imposta quando aveva cominciato questa "doppia vita" di scopatrice assidua. Scopare era diventata la sua ragione di vita, i suoi pensieri erano tutti concentrati sul sesso e su tutte le forme del sesso che si potevano provare ma...
C'erano dei limiti alla trasgressione, limiti che si era imposta per non essere completamente preda di pensieri impuri o situazioni ingestibili.
Finora si era permessa solo di scopare con un solo maschio alla volta per esempio, non se la sentiva di far sesso con più uomini contemporaneamente. Non era ancora pronta a questo genere di "imprese". Succhiava, ingoiava, non aveva problemi a farsi venire in faccia. Questi erano i limiti estremi a cui pensava di potersi spingere senza iniziare a sentire dei rimorsi di coscienza.
Suo padre invece... Quello che era successo aveva spostato l'asticella molto più in la.
Sua madre era uscita a far la spesa, le disposizioni sulla quarantena e sull'isolamento dovevano essere per forza rispettate, una sola persona a famiglia poteva uscire e andare al supermercato.
Suo fratello dormiva, da quando la vita si era drasticamente fermata per tutti non faceva altro che starsene a letto a poltrire.
La casa era in disordine, vivere perennemente tra le proprie quattro mura senza uscire di casa dava ovviamente il doppio dell'usura all'abitazione. Mentre suo padre riposava in salotto si era messa di buona volontà e aveva cominciato a far la polvere nelle stanze, spazzare il balcone, pulire la cucina. Per ultimo avrebbe tenuto il bagno.
La sera prima avevano avuto l'adunanza. "Che due coglioni!" aveva pensato Roberta dovendosi vestire lo stesso per seguire l'adunanza in diretta streaming con Zoom.

Da quando non si poteva uscire per andare in Sala del Regno erano costretti a seguire comunque i programmi teocratici da casa. Gli anziani avevano obbligato tutte le famiglie a connettersi con questa nuova applicazione web con cui si poteva seguire il programma settimanale in video conferenza, tutti insieme appassionatamente.
Roberta ci aveva sperato fin da quando il governo aveva decretato la quarantena. Sperava davvero di potersi allontanare dalla congregazione dei testimoni di geova sfruttando l'impossibilità di potersi recare fisicamente in sala. Invece anche stavolta li avevano incastrati, stavolta inventandosi queste cazzo di adunanze in streaming. La cosa che le rompeva più i coglioni era doversi mettere in ordine per assistere alla video conferenza, dovendo per forza comparire in quell'angolo dello schermo per farsi vedere dagli altri.
Doversi vestire di tutto punto poi per restare in casa, in salotto, era una cagata pazzesca, una inutile perdita di tempo a cui erano sottoposti.
A tutto questo Roberta pensava mentre stava pulendo il bagno, con dovizia ed impegno, così come le aveva ordinato sua madre. A trent'anni viveva ancora con i genitori e doveva sottostare ai loro voleri.
"Maledetta pandemia" – pensava Roberta mentre lucidava i sanitari.
Roberta era intenta a pulire il cesso e non si era accorta di suo padre che la osservava da qualche minuto, fuori dal bagno.
Istintivamente Roberta si giró verso suo padre, aveva visto la sua sagoma con la coda dell'occhio. Sembrava stesse aspettando che lei finisse per poter andare in bagno.

"Devi pisciare pà? Ho quasi finito poi ti lascio libero il bagno"

Suo padre non rispose, stava lì a fissarla mentre finiva di lucidare la tazza del cesso come fosse l'argenteria.

"Hai finito Roberta?" chiese il padre spazientito.
"Si papà, ora puoi andare in bagno, ho finito".

Roberta stava per uscire dal bagno quando suo padre la bloccò sulla porta invitandola a restare lì con lui.
"Cosa stava succedendo?" - pensava Roberta.
"Stai qua con me" disse il padre.
La ragazza non sapeva cosa pensare, era spaventata e non capiva perché suo padre la volesse lì con lui mentre pisciava. Avrebbe tanto voluto che la madre fosse di ritorno dal supermercato per toglierla da quella situazione imbarazzante.
"Roberta... So che la nostra famiglia non ti piace, so che vorresti fare altro della tua vita ma siamo testimoni di geova e questo è il nostro vivere."
La ragazza ascoltava il padre, aveva dapprima paura volesse pisciare in sua compagnia, poi la paura divenne fastidio perché invece l'intenzione sembrava farle un predicozzo.
" Vedi Roberta, so anche ti piacciono i ragazzi... E sappiamo che scopi quando sei in giro. Io e tua madre sappiamo tutto"
Roberta arrossì, la conversazione da predicozzo si stava trasformando in un piccolo processo casalingo per immoralità sessuale.
"... Però... Visto che ti piace prendere il cazzo dai maschietti non avrai nulla in contrario a prendere pure il mio".
Roberta deglutí arrossendo, non si era mai immaginata una situazione simile. Suo padre stava facendo sul serio, non stava scherzando. Un uomo così ligio e zelante nella congregazione che chiedeva alla figlia un rapporto sessuale incestuoso.
"Allora Roberta? Lo prendi o no? Fammi vedere cos'hai imparato nella vita".

Il padre tirò fuori l'uccello e rimase impalato davanti alla figlia aspettandone una reazione.
Roberta dapprima rifiutò di toccare il pisello paterno poi si rese conto che se la quarantena fosse durata troppi mesi ancora né sarebbe passato del tempo prima di trovare un altro cazzo fuori di casa.
La ragazza iniziò a carezzare il cazzo del padre, era duro, vellutato, i peli sotto le palle davano un aspetto un po' rustico a quel pisello. Suo padre aveva più di cinquanta anni, non era tonico e in forma ma il suo cazzo era veramente grosso e tozzo, di un bel diametro possente. Roberta lo passó su tutta la faccia, lo annusó per bene, iniziò a dargli dei piccoli bacini sulla punta, poi con la lingua corse giù fino all'orizzonte delle palle, li dove quel wurstel di carne iniziava a prendere forma e consistenza.
Suo padre sembrava gradire molto le leccate che Roberta dava al suo cazzo.
Roberta sentiva il membro del genitore allargarsi e allungarsi ancor più sotto le sue manine inesperte ed ingenue. A trent'anni una ragazza di queste cose ne ha già fatte a dismisura, non poteva che seguire il richiamo erotico della natura.
Il padre la guardava seguendo i movimenti della bocca della figlia sotto di sé. Roberta si era presa coraggio e aveva iniziato a succhiare il pisello con forza e passione, la stessa vorace goduria con cui aveva spompinato uno sconosciuto nei bagni del pub.
Più succhiava quell’enorme cazzo che suo padre le stava dando e più ricordava i movimenti, gli odori e le sensazioni di quel primo pompino.
Il padre mugulava, la situazione stava enormemente piacendo, Roberta ci sapeva fare con la bocca. Il cazzo era duro, la saliva della ragazza lo aveva ricoperto come un calippo che le si stava sciogliendo in bocca. Il padre prese la testa della figlia tra le mani e la spinse forte contro il suo corpo. Il pisello arrivò fino alla gola e Roberta ebbe un istintivo conato di vomito ma la presa del padre si fece più forte e convinta. La ragazza continuava a succhiare, il padre spingeva il bacino fino in fondo alla gola della figlia, aiutandosi con le mani sulla nuca di lei. Roberta piangeva dallo sforzo, la faccia era diventata tutta rossa, dagli occhi uscivano lacrime e saliva. Suo padre paonazzo dal godimento continuava a far succhiare la figlia senza darle un attimo per respirare, poi, come un getto la sborra riempì la bocca della ragazza completamente.
Fiumi di sperma caldo colavano dalla bocca di Roberta fin giù nel pigiama, l'intera faccia era un misto di sperma e saliva. Roberta prese un asciugamano per pulirsi il viso, mentre lo sperma le aveva sporcato i capelli biondi, il pigiama, persino il pavimento.
Suo padre era soddisfatto ma non aveva ancora finito. Roberta lo capiva da come sorrideva malizioso.

"Ti è piaciuto spompinarmi Roberta?"
"Certo papà, è stato emozionante cazzo. Non sapevo fossi così porco. Mi hai inondata di sborra cazzo. Ho il tuo sperma dappertutto, negli occhi, in gola, sul pigiama. Ora devo anche pulire per terra prima che torni mamma".

Suo padre le fece cenno di star ferma e le disse di togliersi la maglia del pigiama. Roberta si levò il pigiama e rimase a tette nude davanti al genitore. Il padre ammirava le enormi tette sode e bianche della ragazza. Due belle tette a punta come piacevano a lui, due tette che sembravano star su da sole.

"Mettiti di nuovo in ginocchio Roberta, non ho ancora finito. Mi scappa da pisciare".
La ragazza anche se un po' sorpresa obbedì. La richiesta del padre era veramente da sporcaccioni ma le piaceva l'idea di provare questa porcata. Si sarebbe fatta pisciare addosso dopo essersi fatta sborrare in faccia dal proprio padre.
L'uomo col cazzo bene in tiro si posizionó sopra la figlia e iniziò a pisciare indirizzando il getto dell'urina sulla faccia della ragazza, che ferma, ad occhi chiusi, lasciava fare.
Il padre le pisció in faccia e sulle tette e il liquido giallo ricoprì il pavimento con un'enorme chiazza puzzolente.
La ragazza era ora completamente sporca, tra piscio e sperma non aveva più un lembo di pelle pulito.
Sorrise al padre, poi con atteggiamento da vera puttana si mise a leccate per terra il misto piscia sperma che si era formato.
"Brava Roberta. Oggi mi sei piaciuta molto"
La ragazza annui, mandò un bacio al genitore e spogliandosi prese a pulire nuovamente il bagno prima che la madre rientrasse.


Finito il film in televisione il padre di Roberta, la moglie e Roberta stessa stavano bevendo un whisky prima di andare a coricarsi. Era stata una giornata noiosa, dura, vivere tutti insieme sotto lo stesso tetto questa spaventosa quarantena stava devastando emotivamente la famiglia.
Roberta cercava di tenersi occupata, lavorava da casa col tablet aziendale ma le mancava l'abitudine consolidata nel tempo di recarsi fisicamente in ufficio. Le mancavano le colleghe, le mancava il cappuccio al bar, le mancava la sensazione di accendere il quadro dell'auto, inserire la marcia e scorrazzare per le strade liberamente.
Le mancava il cazzo di Carlos di prima mattina, le mancava spompinare Davide di nascosto in ufficio. Si erano sentiti per messaggio in quei giorni ma era una situazione strana, non sapevano nemmeno cosa dirsi.
Volevano fare un pò di sexting ma non era così eccitante per Roberta far finta di scopare in chat.
Suo padre a casa senza il lavoro e le adunanze iniziava a dare i primi segni di insofferenza. L'unico a non risentire della quarantena era suo fratello minore che come ogni adolescente passava le giornate a far finta di studiare. Il tempo in isolamento era adatto alle sue attività preferite: dormire e giocare alla playstation.
Roberta non aveva ancora sonno. Durante la giornata si era bevuta tre caffè e la testa non voleva abituarsi all'idea che fosse quasi mezzanotte ed era il caso di andare a dormire.
Suo padre continuava a versare whisky alla moglie e alla figlia. Senza neanche rendersene conto si stavano scolando la bottiglia. L'ambiente stava diventando alticcio, tutti e tre erano abbastanza brilli, su di giri. Suo fratello invece si era barricato in camera sua, con le cuffie nelle orecchie per sfondarsi di musica elettronica.
Nella ubriacatura generale la madre di Roberta iniziò a tirare fuori aneddoti sulla loro giovinezza, su come passavano le serate da fidanzatini lei e suo padre. Ridevano e scherzavano, l'effetto del whisky stava degenerando.
"Roberta, dimmi un po'..." - chiese la madre. - "Ma un fidanzato a casa prima o poi non lo porti? Io e tuo padre vorremmo tanto ti sposassi..."
Roberta passò dal ridere sguaiata al sentirsi improvvisamente sotto osservazione, leggermente imbarazzata per la frase della madre. Non era la prima volta che sua madre le faceva notare che non aveva nessun ragazzo e trent'anni la cosa non era vista molto bene nella loro comunità.
Suo padre notò il piccolo disappunto sul volto della figlia e cercò di sdrammatizzare la situazione ma un po' l'alcool, un po' il voler essere goliardico portò la conversazione su toni a luci rosse, in famiglia non era mai successo che si utilizzassero battute o termini Sessualmente espliciti.
"Enrica! Tua figlia sa a malapena cos'è un pisello, cosa credi che si fidanzi o si sposi! È già tanto che riconosca i maschi dalle femmine. Vero Roberta?"
"Ma che stai a blaterare Giovanni. Si vede che sei ubriaco. Nostra figlia è così bella. Quanto la vorrei sposata"
Roberta era imbarazzata, sua madre rideva come una gallina e le tirava i pizzicotti sulle guance, suo padre, ubriaco marcio era diventato paonazzo e parlava a voce altissima. Lo si sentiva persino da fuori.
"Dai vieni qua Roberta, fai vedere a tua madre se sei donna o meno. Così la smette di chiederti quando ti sposi. Vieni qui e succhia il cazzo a papà, da brava"
Un gelido silenzio bloccò la grottesca serata che stava degenerando nei fumi del whisky. Enrica guardò il marito negli occhi, Giovanni rimase fermo e zitto aspettando la violenta reazione della moglie per la sua frase fuoriluogo. Invece accadde l'esatto contrario.
Dopo 1 minuto di silenzio tombale la madre di Roberta scoppiò in una fragorosa risata e suo marito la seguì a ruota. Ridevano ed erano veramente ubriachi, non sapevano neanche cosa stessero dicendo probabilmente. Questo pensava Roberta osservando il comportamento dei genitori. Poi Enrica si fece nuovamente seria e si rivolse alla famiglia.
"Senti Roberta fai come dice tuo padre. Io non ci credo che hai trent'anni e non hai mai fatto sesso. Non sei proprio una sorella che pensa solo ad adunanze e servizio. Secondo me ci nascondi qualcosa. Hai sicuramente una doppia vita. Va e succhia il cazzo a tuo padre davanti a me".
Roberta era visibilmente scossa e imbarazzata. Sua madre le stava chiedendo di fare un pompino a suo padre. Non era umanamente accettabile una richiesta del genere, anche se erano tutti visibilmente ubriachi.
"Ma mamma io non..."
Suo padre aveva cominciato a slacciarsi la cintura e a tirare fuori il cazzo dai pantaloni.
Roberta tentennava, aveva imbarazzo. Succhiare il cazzo a suo padre con sua madre presente era troppo imbarazzante. Quando lo aveva succhiato a suo padre in bagno non c'era pubblico ed era stato molto più facile.
"Dai Roberta, fammi vedere come sei donna" incalzó Enrica.
"Su su Roberta, non disobbedire. Fai quel che dice tua madre. Finché vivi con noi devi obbedire ai tuoi genitori. Sei maggiorenne, se non obbedisci puoi trovarti una casa in cui vivere. Ora vieni qui e succhiami il cazzo"
La ragazza si convinse, si legò i capelli e si inginocchiò vicino al padre.
"Ok papà. L'avete voluto voi".
Poi lanciando un'occhiata di sfida verso la madre rilanció con strafottenza:
"Ora vi faccio vedere come mi avete allevata. Sembro una santa ma sono una troia. E guarda e impara mamma, che succhiare il cazzo molto meglio di te".
Prese allora il pisello penzolante del padre tra le labbra e cominciò a succhiarlo violentemente e con passione. In un batter d'occhio il cazzo divenne duro come il marmo. Venti centimetri di pisello eretti nella bocca di Roberta. La ragazza si aiutava con le mani, scivolava con le dita sotto le palle del padre a solleticare una zona particolarmente sensibile alle carezze.
Il membro gonfio di suo padre pulsava di piacere dentro la sua bocca. Ogni forte succhiata prendeva un forte respiro per tornare con ancora più veemenza sul cazzo paterno. Sputava sulla pelle vellutata del cazzo per farlo scivolare bene sotto la sua morbida lingua. Per riposare la boccuccia dal continuo spompinare teneva il ritmo masturbando il cazzo paterno con entrambe le mani.
Sua madre guardava la scena con ammirazione ed eccitazione. Mentre suo padre mugulava dal godimento sua madre era tutta un: "Brava Roberta, succhialo che sei brava... Succhialo puttana... Succhialo...".
Enrica non riusciva più a controllarsi, l'eccitazione stava prendendo il sopravvento. Si tolse i pantaloni e indirizzò le proprie dita tra le gambe, masturbandosi avidamente. Non una, non due ma quattro dita infilò nella figa, masturbandosi come non aveva più fatto da almeno vent'anni. La scena era surreale, eccitante, assolutamente inadatta a una famiglia profondamente religiosa come la loro.
La madre era a farsi un ditalino seduta ad un capo del tavolo, la figlia inginocchiata sotto al padre a fargli il più godurioso dei pompini.
A un certo punto Enrica urlò dal troppo orgasmare, la mano era completamente bagnata, aveva squirtato. Prese i liquidi che le con tornavano le dita e li schizzó sulla faccia del marito che rosso di alcool e goduria non accennava a sborrare nella bocca di Roberta, che con folle passione seguitava a spompinare il padre. Enrica si avvicinò alla figlia e si mise pure lei in ginocchio. Madre e figlia si guardarono negli occhi. Enrica era venuta a dare il cambio a Roberta. Il padre allora si alzò in piedi, era molto più facile così guardare la moglie e la figlia che gli facevano un pompino. Enrica non si perse d'animo e prese in bocca il cazzo del marito, ancora bello duro e inumidito dalla bocca di Roberta. Mentre la madre finiva di Succhiare il cazzo Roberta non voleva stare solo a guardare. Si sdraió a terra, e si infilò con la testa tra le gambe della madre che inginocchiata da troia esperta ingoiava il cazzo matrimoniale con ancora più foga e avidità della figlia. Roberta da quella posizione, anche se un po' scomoda, riusciva a vedere la figa della madre e sollevandosi leggermente col busto andò a cercare la patata pelosa e cinquantenne per infilare la lingua in quella fessurina di carne rossa che trent'anni prima le aveva dato la vita. Così mentre Enrica succhiava il cazzo al marito, Roberta leccava la figa della madre in un tripudio incestuoso di godimento reciproco. Con la mano libera Roberta cercò pure la sua di fighetta e infilate le dita iniziò un leggero e dolce ditalino.
"Aaaaaaaameeeeennnn".
Giovanni era venuto, senza riuscire ad avvisare la moglie. Lo sperma uscì di scatto dal cazzo come uno zampillo d'acqua da una roccia. Enrica non fece in tempo ad accogliere tutta la sborra nella bocca, una parte consistente cadde sulla faccia della figlia che incuneata tra le sue gambe seguitava a leccarle la figa.
La scena era delle più belle mai viste prima. Roberta era nuovamente schizzata di sborra, tra i capelli, sul viso, sul vestito, anche sua madre era nella stessa condizione, sporca di sperma, stropicciata ma stranamente sorridente. Roberta ringraziava il cielo che almeno stavolta non era ricoperta di urina, lo sperma aveva un sapore che le piaceva, la piscia era comunque schifosissima piscia. Tutti e tre in fondo si erano eccitati e divertiti, si guardavano soddisfatti. Quello sarebbe stato il loro perverso segreto per l'eternità.


L'occasione che stavano aspettando si materializzò un martedì mattina. Era il turno di Salvatore, il fratello minore di Roberta. Il turno per uscire a far due compere al supermercato. Il ragazzo aveva voglia di sgranchirsi le gambe, la lunga quarantena stava distruggendogli il fisico con quella maledetta overdose di sedentarietà.

Sua madre gli diede la lista delle cose da comprare e il bancomat.
Enrica, Giovanni e Roberta erano di nuovo finalmente soli. Questa volta non erano confusi dall'ebrezza del whisky, volevano volontariamente scoparsi. Giovanni era un padre e marito premuroso. Prima di fottersi moglie e figlia si fece un bel bidet, le sue parti intime dovevano essere linde per quello che aveva in mente. I tre si guardarono maliziosamente, poi Roberta da brava figlia diligente e scrupolosa chiese al padre il permesso di potersi inginocchiare al suo cospetto. In trent'anni era la prima volta che mostrava questo rispetto ai genitori.
Il genitore si mostrò felice della richiesta di Roberta. La ragazza si inginocchiò davanti al padre e allungò le mani verso il rigonfiamento del pigiama che già di prima mattina faceva fatica a contenere il cazzo. Suo padre non era un uomo attraente, fisicamente era bolso e fuori forma ma aveva un cazzo imperioso, olimpico, enorme da far paura. Più lo massaggiava e più sentiva l'eccitazione farsi largo tra le sue cosce. Sua madre Enrica guardava la scena e nel frattempo pure lei si toccava la passera.
"Ti sorprende Roberta che siamo così porci?" chiese Enrica a sua figlia.
"No mamma. A me piace quello che stiamo facendo. Mi sento finalmente parte della famiglia"
"Prima non ti sentivi parte della famiglia?" intervenne il padre.
"Sai bene papà che odio la vita che facciamo. Non mi piace fare la testimone di geova, son nata per godermi la vita non per rinchiudermi in questa setta. Ora almeno facciamo cose in cui tutti noi godiamo veramente"
E mentre Roberta continuava a massaggiare il cazzo del padre attraverso il pigiama le venne un'idea.
"Seguitemi in bagno"
Giovanni ed Enrica seguirono la figlia che velocemente era sgattaiolata in bagno.
Chiusero la porta e si trovarono tutti e tre faccia a faccia. Roberta e sua madre erano di statura simile, il padre era invece un po' più alto. Nonostante i cinquanta sulle spalle Enrica era ancora una donna affascinante, bassettina ma piena di curve interessanti. Aveva una quinta abbondante di reggiseno, due belle tettone su cui il padre amava soffermarsi. Roberta aveva preso da sua madre, pure lei aveva un bel paio di tette da paura, solo un po' più side per l'età più giovane. Roberta era bionda, con questo capelli mossi che le cascavano come una criniera sulle spalle, occhi azzurri intensissimi e un paio di labbra carnose, rosse, una bocca larga, maliziosa, che ispirava oscenità. Enrica era meno bellina di viso, capelli corvini portati un po' più corti delle spalle, lineamenti più sottili del viso, inespressivi e un naso pronunciato.
"Cosa vuoi fare qui in bagno?" chiese Giovanni alla figlia.
"Ti va di ripetere quello che abbiamo fatto la prima volta ma stavolta con mamma pure?" chiese Roberta a suo padre.
"Spiegati meglio" disse Enrica.
"Vedi mamma, settimana scorsa papà quando eri uscita mi ha fatto spompinare qui in bagno. Poi abbiamo fatto una cosa molto più perversa ed eccitante... Papà mi ha pisciato addosso... Mi piacerebbe rifare questa cosa..."
Giovanni ed Enrica si diedero un'occhiata veloce. La madre era d'accordo, non aveva mai provato un'esperienza simile in trent'anni di matrimonio. Con Giovanni la vita sessuale era sempre stata monotona, tradizionale, non avevano mai deviato da quella linea indicativa che era stata imposta dai vertici della comunità. Il sesso non era un'arte in cui sperimentare e provare nuove esperienze secondo i vertici dell'organizzazione, era solo un modo per far incrociare a letto i coniugi con la noiosa posizione del missionario, l'unica consentita dalle pubblicazioni.
Roberta e sua madre cominciarono a spogliarsi. Enrica si levò la maglia del pigiama mostrando le sue belle tettone. La figlia fece lo stesso, rimanendo a seno nudo. Giovanni le guardava con la bava alla bocca e il cazzo che pulsava a più non posso. Erano uno spettacolo da vedere, entrambe a seno nudo, una più giovane e sensuale, l'altra più conturbante e procace. Il padre marito modello stava per trasformarsi nel più porco e incestuoso dei maiali esistenti.
Roberta prese una tetta della madre e cominciò a baciarla, sfiorandole la patata con le mani liberi. Le mani della ragazza attraversarono il pigiama, scostarono le mutandine e si infilarono nella fessurina carnosa della madre con delicatezza. Sua madre si stava già bagnando dalla voglia. Giovanni non perse tempo, si levò i calzoni del pigiama e le mutande e col cazzo bello in tiro si presentò alle spalle di Roberta. Aveva una schiena così magra e bianca la figlia, una pelle così perfetta al tatto. La toccò, si fece largo tra i pantaloni del pigiama della ragazza e con le sue manone spostò le mutandine della figlia sfiorandole con delicatezza quel bel fiore giovane che aveva tra le gambe. Roberta gemeva, le dita del padre la stavano e citando. Giovanni poi si abbassò e sfilò i pantaloni del pigiama della figlia mentre Roberta baciava le tette e il collo della madre. Fu Enrica a prendere la testa della figlia e ficcarle la lingua in gola mentre con la mano sinistra libera Roberta seguitava a sgrillettarla. Giovanni invece si era prostrato davanti a quel bel culo tondo di Roberta e lo ammirava come fosse un'opera d'arte. E in effetti era un opera d'arte in carne e ossa. Un culo rotondo e morbido, così intrigante. Non poteva non mettere la sua testa tra le chiappe della figlia. Le leccava il buco del culo con voraci, la ragazza sentiva un brivido pazzesco lungo la schiena. Voleva il cazzo del padre però nel culo, non solo la lingua. Suo padre era un toro scatenato. Dopo aver leccato il buco del culo della figlia e averci sputato sopra prese il cazzo e senza avvertire la ragazza lo infilò in quella bella grotta stretta e perversa. Roberta trasalì dal dolore, il padre era stato deciso e violento nell'infilare il suo grosso cazzo nel culo della figlia. Giovanni non poteva essere delicato in quel momento, il culo della figlia doveva essere scopato con forza e determinazione. Il cazzo di Giovanni entrava ed usciva da quel buco come un martello pneumatico che sgretola il cemento. La strada per entrare era ormai più che aperta. Più inculava la figlia e più gemevano entrambi. La madre voleva parte attiva nella scopata, molló la bocca della figlia e si spoglió dei pantaloni e delle mutandine. Allontanò la figlia e dando le spalle al marito lo supplicó.
"Ora infilalo nel culo anche a me Giovanni, con la stessa forza".
Giovanni non se lo fece ripetere due volte. La moglie aveva appoggiato le mani sul lavandino per fare da controforza e dallo specchio Giovanni poteva vedere il viso della moglie mentre le infilava il cazzo nel culo. Enrica aveva divaricato le gambe e Giovanni aveva il bel culo e della moglie che faceva contatto col suo corpo. Enrica era ancora una bella donna, un po' più in carne e scura di Roberta ma pur sempre una bella cinquantenne, una prosperosa milf.
Con la stessa voracità con cui aveva sfondato il culo alla figlia Giovanni aveva infilato il cazzo tra le chiappe della moglie sodomizzandola con piacere. Le sbatteva il cazzo così prepotentemente nel culo che dallo specchio il riflesso del viso di Enrica era una maschera di dolore e orgasmo, la donna stava mordendosi le labbra per sopportare il dolore di quell’enorme cazzo che le stava entrando in corpo da quel piccolo buco che aveva nel culo.
"Vienimi nel culo" gridò Enrica.
Giovanni non se lo fece ripetere, una bella sborrata lavica colò tra le chiappe della moglie, esausta come non mai per quella inculava micidiale. Ad entrambe le donne faceva male il culo, si reggevano in piedi a fatica, il dolore per aver subito un'anale così violento si rifletteva sulle energie che iniziavano a mancare. Roberta e sua madre si immaginavano come avrebbero camminato nei giorni successivi, trascinandosi col buco del culo in fiamme.
"Ora mettetevi nella vasca da bagno" ordinò Giovanni alla figlia e alla moglie che perdeva sborra dal culo.
Roberta e sua madre si erano sedute nella vasca da bagno, che era molto grande e poteva tranquillamente accogliere due persone.
"Ora vi benediró e santificheró con la mia piscia"
Giovanni col cazzo direzionato verso Roberta spruzzó la propria piscia sulla faccia e sul corpo della figlia.
"Bevila troia, Bevila" gridava, mentre Roberta, con la bocca aperta cercava di bere più liquido possibile.
Giovanni terminó poi la pisciata sulla faccia della moglie che però aveva tenuto la bocca e gli occhi ermeticamente chiusi. Giovanni, avvicinandosi alla moglie aprì la bocca della consorte premendo il cazzo sulle labbra e le ultime gocce di piscia finirono nella gola di Enrica.
Le due donne erano fradicie, ricoperte di piscio puzzolente da capo a piedi. Roberta con i capelli bagnati e increspati aveva perso un po' della sua raffinatezza e bellezza ma era così eccitante per suo padre vedere moglie e figlia così porche, così devastate dal piacere. Le due donne si scambiarono un bacio al sapore di piscia. Erano veramente una famiglia felice.
Martedi sera.
Nell'aria il profumo pulito della quarantena, di una primavera vestita di solitudine e isolamento. Il cielo era sereno, nessun rumore di automobili in giro, nessuna ressa fuori dai negozi o dai locali. La famiglia si era riunita in salotto, come ogni anno avrebbero fatto la Commemorazione anche se questa volta non sarebbero andati in sala del regno. A causa dell'emergenza Coronavirus ogni attività pubblica era sospesa. Le disposizioni degli anziani erano chiare: Giovanni come capofamiglia aveva predisposto il computer con la registrazione in streaming del discorso della Commemorazione mentre Enrica si era occupata di preparare il pane senza lievito e trovare il vino adatto per simboleggiare il Pasto del Signore.
Tutti e quattro si erano vestiti da adunanza, era comunque un'occasione formale anche se ci si trovava in casa propria. Gli altri anni dopo la Commemorazione c'era il rito di uscire a mangiare la pizza coi fratelli, quest'anno la desolazione in quarantena relegava questo evento ad un banale video di mezz'ora trasmesso in streaming. Pensare che fino qualche ora prima Roberta e sua madre erano ricoperte di piscia e sborra nella vasca da bagno. Per mezz'ora erano invece nuovamente dei zelanti testimoni di geova intenti a celebrare la Commemorazione.
Roberta si era vestita elegantissima, un gioiello raffinato, un vestito che le stringeva il pancino mettendo in risalto le belle tette a pera acquistato a peso d'oro in una boutique del centro.
Per Giovanni era difficile stare attento durante la commemorazione, con la figlia così pezzo di figa a fianco. Ascoltava il discorso del l'oratore distratto continuamente dalle tette di Roberta. Sua figlia aveva attorno alla vita questa gonna stretta stretta con uno spacco ad altezza inguine che lasciava intravedere sotto. La ragazza non portava le mutandine. Sua moglie invece indossava il solito completo elegante che metteva in queste occasioni, un completo formale più adatto alla sua età, non particolarmente sexy e vistoso. L'unica cosa particolarmente in risalto era la quinta di reggiseno che come in ogni vestito indossato da Enrica esplodeva in tutta la propria procace abbondanza. Tra un Amen e un versetto biblico Giovanni ripercorreva mentalmente la scopata del mattino, aveva ancora negli occhi come aveva inculato moglie e figlia, come aveva sborrato nel culo di Enrica, cosa che non le aveva mai permesso in tanti anni di matrimonio. E poi pisciare in bocca a Roberta, di nuovo, era stato così eccitante. Vederla ingoiare i suoi liquidi con amore e soddisfazione.
Guardarono il video in religioso silenzio, si passarono gli emblemi e pregarono per la fine di ogni sofferenza.
La Commemorazione era ufficialmente finita, potevano mettersi comodi, in pigiama e finalmente cenare. Il pane senza lievito ed il vino erano ancora sul tavolo. Il giovane Salvatore non aveva fame e se ne andò nella propria cameretta ad ascoltarsi musica e a giocare alla playstation.
Giovanni era turbato, a commemorazione aveva risvegliato in lui lo zelo spirituale perso negli ultimi giorni con i rapporti incestuosi tra lui, sua moglie e la sua figlia Roberta.
Cinquantanni di fedeltà rovinati da un gravissimo errore. Roberta osservava suo padre che in silenzio sembrava rodersi il cuore per quel che era successo in famiglia.
Si avvicinò e mettendo una mano sulla spalla al genitore gli chiese cosa succedesse.
"Papà, ti vedo scuro in volto, che succede?"
"Roberta... Ti rendi conto che io te e tua madre abbiamo fatto delle porcate incestuose sotto questo tetto? E stasera eravamo qui a passarci gli emblemi come se nulla fosse? Mi sento in colpa. Se davvero esistesse geova, verremmo distrutti. Altro che Sodoma e Gomorra"
La ragazza non sapeva cosa rispondere, in effetti avevano fatto porcate indicibili. Non era quello il tempo per farsi prendere dallo sconforto, dovevano tenere il morale alto e anche il cazzo di suo padre doveva mantenersi eretto e pronto ad ogni scopata improvvisa.
Roberta decise di eccitare il padre approfittando del tema Commemorazione appena concluso.
"Papà, ho un'idea che ti può risollevare il morale... Giochiamo alla Commemorazione sexy?"
Giovanni rimase sorpreso dalla richiesta della figlia ma la cosa lo intrigava parecchio.
"E cosa vorresti fare Roberta, non capisco. Cosa intendi con Giochiamo alla commemorazione sexy?"
La ragazza spiegò al padre cosa aveva in mente. Durante il Pasto del Signore solamente gli Unti potevano bere il vino e mangiare il pane consacrato. Era il SEGNO della chiamata celeste. I famosi 144.000 che secondo le scritture avrebbero governato con Cristo.
Roberta avrebbe finto di essere una degli unti, avrebbe preso gli Emblemi ovvero il pane e il vino. Ma non sarebbero stati il Vino e il Pane tradizionali.
Roberta invitò suo padre ad alzarsi e cominciò a coccolarlo. Con delicatezza gli levò la cravatta e la giacca del completo. La cosa si faceva interessante, il cazzo che si era ammosciato per la preoccupazione stava riprendendo vita e forma, il sangue stava risalendo i 20 centimetri di carne come benzina negli iniettori drl motore di una Ferrari. Enrica era in cucina a preparare la cena quando sentendo dei mugolii dal soggiorno andò a controllare la situazione. E la situazione si era fatta di nuovo calda. Roberta aveva spogliato suo padre. I pantaloni di Giovanni giacevano per terra mentre la ragazza faceva una sega al cazzo del padre. Le mani di Roberta facevano fatica a tenere tutto il cazzo del padre tra le mani e si aiutava con la bocca per farlo sborrare.
Enrica si avvicinò e chiese cosa stessero facendo. Era eccitata pure lei a vedere la figlia che segava suo marito.
"Stiamo giocando alla commemorazione sexy" rispose Giovanni tra un mugolio e l'altro.
"E di cosa si tratta... Posso giocare anche io?" chiese Enrica.
"Certamente mamma" rispose Roberta. "Ti spiego come funziona. Io e te facciamo finta di essere degli Unti e quindi possiamo prendere gli emblemi dopo esserceli passati. E gli emblemi non sono il pane e il vino che ci siamo passati prima... Ma altro..."
Enrica aveva capito dove voleva arrivare la figlia. Roberta stava segando suo padre per farlo sborrare nel bicchiere. Al momento di passarsi il calice col Sangue del cristo avrebbero bevuto lo sperma e non il vino. La cosa era eccitante. Enrica prese un bicchiere dal tavolo e Giovanni sborró dentro. Era abbastanza per accontentare le due troiette che giocavano ad aver ricevuto la chiamata del signore.
"Ora bevete dal calice puttane".
Roberta avvicinò le labbra al bicchiere e bevve metà del contenuto con gusto. Adorava il sapore dello sperma, le piaceva toccarsi con la lingua ogni parte della bocca per far vivere il più lungo possibile quel sapore. Enrica ingurgitó la sborra restante, con la lingua cercò ogni goccia di sborra rimasta nel bicchiere. Entrambe le donne avevano la bocca piena dello sperma di Giovanni. La schiuma biancastra usciva dalle bocche di Enrica e Roberta. La figlia sputó lo sperma nella bocca di sua madre e le due cominciarono a slinguarsi mentre Giovanni guardava compiaciuto.
Il cazzo era ancora bello duro e il padre marito incestuoso prese a masturbarsi aiutandosi con le teste delle due donne che erano inginocchiate sotto lui. Giovanni sfregava il cazzo sui capelli della moglie, sgocciolava sperma sui biondi capelli di Roberta, sporcando ad entrambi le donne i bei vestiti eleganti che avevano indosso.
"Amori miei ho ancora bisogno di voi" supplicava Giovanni... "Dovete mangiare il pane ora... Il pane è il mio cazzo..."
Roberta si strappò il vestito incurante di quanto lo avesse pagato. A seno nudo, con la forza di una puledra in calore prese tra le enormi tette il cazzo del padre e lo strofinó con passione. Il cazzo dell'uomo era sempre più duro, sembrava di marmo, non accennava a sgonfiarsi. Roberta si muoveva velocemente su e giù, tenendosi le tette, strofinando quel bel cazzone con le sue pere. Il cazzo del padre era talmente lungo che le arrivava praticamente in bocca durante la spagnola. Sua madre non voleva esser da meno della figlia. Si slacció la camicia e si tolse il reggiseno. Le tette di Enrica erano più grandi di quella della figlia e il cazzo del marito scomparve tra quelle enormi bocce calde e morbide. Enrica alternava la spagnola succhiando il cazzo del marito. Giovanni le introdusse tutto il cazzo in bocca fino alle palle, le toglieva quasi il respiro.
"Ho voglia del tuo cazzo papà. Dallo anche a me" gridava Roberta eccitata, sgrillettandosi.
Giovanni allora tolse via la moglie e infilando il cazzo nella bocca della figlia trovò le forze per scoparsi quella boccuccia con ardore, quasi con rabbia e violenza. Non stava solo scopando la bocca di Roberta, stava infilando nella bocca della ragazza tutta la rabbia e la frustrazione di 50anni di vita. Faceva ingoiare tutto il cazzo alla figlia, lo spingeva forte fino alla gola tenendo coi pugni stretti i capelli della ragazza. Roberta quasi soffocava, aveva forti conati di vomito, la bocca schiumava saliva, gli occhi lacrimavano, le mascelle le facevano male dallo sforzo.
Il padre non accennava a fermarsi, la gola di Roberta era un bruciare unico, la faccia paonazza e umida, il cazzo sempre più duro e inserito nella sua bocca, non riusciva più a muovere nemmeno la lingua. Sua madre si dimenava per terra infilandosi le dita nella figa, aveva tre dita infilate nella carne e le muoveva come un frullatore impazzito, stava venendo, l'orgasmo le aveva donato l'eccitazione della gioventù.
Giovanni era stremato, aveva infilato il cazzo talmente in profondità nella bocca di Roberta, con così tanta violenza che le energie iniziavano a venir meno.
"Bravissime tutte e due" disse, togliendo il cazzo bagnato di saliva e sperma dalla bocca della figlia, che dopo qualche secondo di smarrimento riprese a respirare.
"Siete state veramente brave, siete state scelte dal divino. Avete mangiato il pane, avete bevuto il vino. Siete ufficialmente delle Unte. Complimenti"
E mentre lo diceva partì uno scroscio di piscia che stava trattenendo da ore e per la seconda volta nell'arco della giornata pisció sulla faccia e sulle tette della moglie e della figlia.
"Bevete il mio piscio puttane, andate in pace, siete Unte e pure pisciate ora, il Pasto del signore è terminato".
Roberta e sua madre ridevano divertite, la Commemorazione era andata molto meglio del previsto. Si guardarono in faccia, ormai ci avevano preso gusto a bere sborra e a farsi pisciare addosso da Giovanni e Roberta iniziava ad apprezzare il sapore della piscia maschile nella propria bocca e sui propri capelli stropicciati.



Compiere 18 anni in regime di quarantena. Per Salvatore il passaggio all'età adulta era per sempre segnato dalla situazione mondiale. Compiere 18anni il giorno dopo la commemorazione, in una famiglia dove non si festeggiano natali, compleanni, capodanni... In pratica era vivere isolati dal mondo 365 giorni all'anno, non solo questi mesi di pandemia. Il compleanno sarebbe passato totalmente inosservato, neanche una pacca sulle spalle. Roberta si era ricordata del compleanno del fratello, era contenta fosse entrato anche lui nell'età adulta.
Entrò nella stanza di Salvatore mentre il fratello era ancora nel letto, intento a guardare il telefonino, con le lenzuola che gli coprivano tutto il corpo.
"Buon compleanno Salvatore. Da oggi sei maggiorenne!"
Salvatore rimase sorpreso, sua sorella non gli aveva mai fatto gli auguri di compleanno, la quarantena doveva averle dato alla testa.
"Son orgogliosa di te fratellino. Ora hai tutta la vita in pugno, sei grande, qualunque cosa tu voglia fare nella vita potrai farla"
"Grazie Roberta. Grazie che ti sei ricordata del mio compleanno. È così strano fare 18 anni e non festeggiarli. Che religione del cazzo che abbiamo"
"Lo so Salva. Che ci possiamo fare? Al massimo d'ora in poi allentiamo un po' le cinghie delle regole, iniziamo a fare quel cazzo che ci pare. In culo la sala che dici?"
"Son d'accordo Roberta. Senti, avrei bisogno di un favore..."
"Dimmi Salvatore."
"Visto che è il mio diciottesimo compleanno e non ne ho mai festeggiato uno... E nessuno in famiglia mi ha mai fatto un regalo di compleanno... Posso chiederti se mi fai un regalo? Così mi sembrerebbe meno strano come compleanno?"
"Certamente Salvatore. Dimmi un po' che regalo vorresti per il tuo compleanno?"
Salvatore ci pensó un attimo, un regalo era pur sempre un regalo, doveva scegliere qualcosa di cui si sarebbe ricordato per sempre. Non era un regalo qualsiasi, era il regalo del diciottesimo compleanno.
Roberta aspettava sorridendo, si chiedeva quale aggeggio elettronico avrebbe chiesto in regalo suo fratello. Lo avrebbe ordinato online. Salvatore squadrava da capo a piedi la sorella maggiore. Si era svegliata da un'oretta, aveva già fatto una doccia, si sentiva dal profumo di pulito che emanava. Il caldo di aprile l'aveva resa ancora più sexy con addosso solo una maglietta bianca da cui penzolavano libere le tettone e dei pantaloncini corti aderenti che lasciavano immaginare quanto fosse eccitante quel bel culetto a mandolino che aveva. I capelli biondi, ancora arruffati cadevano gioiosi sulle spalle quasi a voler cercare la scollatura della maglietta per infilarsi tra quelle belle pere a punta.
Dopo averci pensato un po', Salvatore si sentì pronto per esprimere il suo desiderio alla sorella.
"Ho deciso Roberta. Per il mio compleanno voglio che mi fai un pompino"
Roberta rimase di stucco. Cazzo, pure suo fratello voleva metterle il cazzo in bocca? Non bastava suo padre che da un po' le faceva succhiare il cazzo?
"Vi ho sentito ieri sera Roberta dopo la commemorazione. Ho sentito come succhiavi il cazzo a papà e di come ti sei fatta sborrare e pisciare addosso. Mi sembra giusto che spompini anche me. Fammi questo regalo ora che sono un adulto a tutti gli effetti"
Il ragionamento di Salvatore non era sbagliato. Come aveva succhiato il cazzo paterno e leccato la figa di sua madre era giusto completare l'opera incestuosa scopando il fratello. Roberta doveva solo prendere in bocca un cazzo, non era cosa difficile o particolarmente imbarazzante. Ormai si era abituata a far pompini e a ingoiare i liquidi maschili, quello era solo un cazzo in più da aggiungere alla collezione.
"OK Salvatore. Ti faccio un bel pompino per il tuo compleanno, lo meriti. Ti sei lavato il cazzo stamattina?"
"No Roberta son sempre stato qui nel letto perché? È un problema?"
"Puzzerà un po', sopporteró l'odore, ma la prossima volta se vuoi un pompino da una ragazza lavati il cazzo, è un consiglio"
Salvatore era al settimo cielo, avrebbe ricevuto il primo pompino della sua vita. Si tolse i pantaloni, le mutande e rimase sul letto, seduto, con la schiena appoggiata allo schienale.
Roberta a gattoni si gettò subito a succhiare il cazzo di Salvatore. Doveva aver preso proprio dal padre, il suo fratellino minore aveva un enorme cazzo, come il genitore. 18 anni e più di 18 centimetri. Una goduria per qualsiasi donna trovarsi a contatto con un cazzo di quelle dimensioni.
Roberta non si fece intimidire dalla grandezza del cazzo e dalla situazione. L'imbarazzo e la paura di dispiacere a Geova erano passati da un po', preferiva di gran lunga far pompini che seguire i dettami religiosi. Si era messa in una posizione veramente sexy. A pecora, col culo in alto, la testa andava su e giù per quel bel cazzone giovane. Con la schiena inarcata comandava i movimenti della testolina bionda. Era veramente un aspirapolvere. Succhiava il cazzo con forza, riempiendo il cazzo del fratello con una abbondante dose di saliva per farlo scivolare bene tra le labbra e dentro la bocca. L'estasi del pompino stava dominando la stanza. Roberta si era abituata al cazzo puzzolente e non ci faceva più caso anzi, l'idea di succhiare un cazzo non perfettamente pulito era molto più perverso e trasgressivo.
Quando suo padre entrò nella stanza si trovò una scena troppo bella per essere vera. Era entrato perché sentiva degli strani rumori provenire dalla camera, pensava che il figlio si stesse facendo una sega per festeggiare i 18 anni appena compiuti.
Invece come in un film porno vide suo figlio appoggiato allo schienale del letto e sua figlia che ciucciava il cazzo fraterno con figa e passione. Vista da quella posizione Roberta era uno schianto, già di prima mattina. Il suo bel culetto si muoveva suadente mentre il resto del corpo era impegnato a piegarsi sul cazzo di Salvatore.
Giovanni non poteva resistere, gli stava salendo l'adrenalina al cervello. Doveva unirsi alla coppia, non poteva uscire dalla stanza senza fottersi Roberta. La ragazza, incurante della presenza del padre continuava a ficcarsi in gola il cazzo del fratello. Non aveva legato i capelli e la saliva le aveva bagnato i capelli che continuavano a mischiarsi con i peli del cazzo del fratello. Anche i capelli della ragazza puzzavano tremendamente di cazzo e Salvatore aveva una voglia matta di venire in bocca alla sorella. Roberta continuava a succhiare, senza fermarsi. Le piaceva infilarsi l'intera lunghezza del cazzo in bocca, le piaceva sentire la punta pulsare in gola, le piaceva quella sensazione di apnea e soffocamento che si prova facendo un deep throat estremo. Suo padre si era slacciato I pantaloni, aveva estratto il cazzo dalle mutande e inginocchiato sul letto si era posizionato dietro alla figlia. Con cura sfilò i pantaloni e le mutande della ragazza che mentre continuava il pompino lasciava che il padre la toccasse. Divaricó le gambe per facilitare il lavoro paterno e senza perdere il ritmo del pompino continuava a gemere e ad aspettare la sborrata in bocca del fratello. Voleva ritrovarsi lo sperma collante dalle labbra anche quella mattina.
Giovanni toccava il culo della figlia come fosse un'opera d'arte e in effetti quel culetto sodo e rotondo meritava di essere esposto al Louvre. Con le dita cerco la figa della figlia e trovata la fessurina notò che si stava già bagnando.
"Che puttana Roberta" pensava tra sé e se il padre.
Giovanni prese allora il cazzone tra le mani, ci sputò sopra e col bel culo della figlia in mostra iniziò a penetrarle la passera da quella posizione. Un brivido di piacere percorse la schiena di entrambi. Da quella posizione il cazzo enorme e lungo del padre prese una direzione particolare, Roberta sentiva un godimento unico mentre il cazzo paterno sfregava la sua figa ed entrava con così tanto ardore. Il cazzo di Giovanni, enorme, frizionava dentro la piccola figa della figlia, non ancora slabbrata da anni di esperienza ed usura. Più infilava il cazzo in quella bella grotta carnosa più Giovanni sentiva ringiovanirsi. L'umida morbidezza della figa di Roberta era un toccasana per l'anima, altro che le puttanate religiose che faceva da una vita. Voleva tanto sborrare su quei peli corti ed eleganti che circondavano la patata della figlia.
Stavano per venire, tutti e tre. Roberta aveva una decina di orgasmi e brividi infuocati che le percorrevano la schiena, si sentiva bruciare, un calore infernale le stava arrostendo la figa, la carne della sua passera penetrata dal padre con vigore era bordeaux dalla forte eccitazione e più il padre spingeva in profondità più la figa si infuocava e zampillava tizzoni ardenti.
Mentre Roberta era stanca, sudata, e provata dallo sforzo di esser posseduta contemporaneamente da padre e fratello il giovane Salvatore non fu più in grado di resistere e venne. La bocca di Roberta fu inondata di sborra calda e appiccicosa. Lo sperma le uscì colando come bava dalle labbra. Pure suo padre venne, Roberta sentì un fiume caldo attraversarle la figa e si calmó. Nel giro di pochi secondi due fiotti caldi, rilassanti e generosi le avevano inondato bocca e figa.
Roberta si mise nuovamente in piedi, aveva la schiena che le faceva male dalla posizione che aveva assunto. Il viso era ancora stravolto e la bocca era dolente per lo sforzo fatto. Ma che pompino soddisfacente, suo fratello aveva avuto un bellissimo regalo di compleanno. Era tutta sudata, la maglietta inzuppata di sborra, saliva, sudore e Salvatore, le 4 magnifiche S, le tettone a punta erano ancora cariche di eccitazione, i capezzoli duri facevano capolino dalla stoffa aderente.
Giovanni era lì, col cazzo a penzoloni, soddisfatto di aver sborrato la patatina di Roberta già dalle prime ore del mattino.
Con la figa ancora gocciolante di sperma paterno se ne andó dalla stanza quatta quatta, raccogliendo da terra pantaloncini e mutandine.
"Buon compleanno Salvatore" disse Giovanni.
"Tua sorella è una gran porca. Stasera concludiamo l'opera e la inculiamo io e te, ti va?"
Salvatore annuì. Era così felice. Era così bello diventare grandi, entrare nel mondo dei grandi. Non vedeva l'ora di fottersi il culo a mandolino di Roberta.



Suo padre questa volta aveva esagerato. Roberta era pensierosa. La situazione l'aveva messa parecchio a disagio. Non sapeva se piangere, ridere o lasciarsi tutto alle spalle.

Il giorno prima avevano la solita adunanza in streaming del sabato. Si erano vestiti eleganti come prevedono le disposizioni e nel tardo pomeriggio si erano collegati con zoom all'account della congregazione per assistere tutti insieme l'adunanza. Lo schermo del PC cominciò a riempirsi dei volti dei fratelli e delle sorelle che iniziavano a collegarsi con la Webcam. Roberta odiava farsi riprendere in Webcam ma le ferree disposizioni prevedevano questo. Dovevano farsi vedere, gli altri dovevano sapere che erano in linea e che stavano seguendo. Sua madre e suo padre erano fianco a lei sul divano, Salvatore su una sedia. Tutti e quattro avevano in mano il cellulare per seguire lo svolgimento della rivista.

L'anziano, dal suo quadratino di pixel faceva le domande di riepilogo dei paragrafi e faceva rispondere alle domande e i quadratini si illuminavano.
Al paragrafo 10 si era prenotato Giovanni. Suo padre voleva commentare.
L'anziano diede parola a Giovanni.
Dopo qualche secondo di attesa Giovanni dalla webcam aprì bocca:
"Io mi scopo mia figlia Roberta"
Ci fu un brusio generale di schifo ed imbarazzo, non tutti avevano capito la frase di Giovanni ma quelli che avevano capito erano turbati all'inverosimile. Le reazioni di shock dai quadranti sul PC erano palpabili.
Qualcuno si metteva le mani in testa sconvolto, altri si erano alzati dalla sedia e passeggiavano nervosi per il soggiorno, ripresi dalla webcam.

Roberta, Enrica e Salvatore erano rimasti senza parole, non avevano nemmeno la forza di reagire. Roberta guardava suo padre con odio, non riusciva a comprendere perché li avesse tutti ridicolizzati in quella maniera. L'eco dello scandalo avrebbe travolto la famiglia, nulla sarebbe stato come prima. Roberta desiderava andarsene dai testimoni di geova in modi normali non venendo cacciati come dei pervertiti incestuosi.
L'adunanza si era interrotta anche se lo streaming continuava imperterrito a trasmettere le singole vite da ogni singolo quadrante collegato.

Salvatore cercò di recuperare la situazione aggiungendo ulteriore benzina sul fuoco dell'inevitabile danno che era stato creato. Se lo scandalo era ormai sulla bocca di tutti perché non imprimerlo anche negli occhi di fratelli e sorelle? Il ragazzo si avvicinò alla webcam e annunciò a tutti i collegati : "E adesso vedrete dal vivo come mio padre si fotte mia sorella!"
Fece poi gesto al padre e a Roberta di scopare. Enrica sconvolta e imbarazzata si era precipitata in bagno a piangere, non era quello il modo per confessare i rapporti incestuosi familiari. Suo marito era stato grezzo e inopportuno. Roberta bianca di imbarazzo non muoveva un dito, suo padre cercava di afferrarle la mano ma lei puntualmente si ritraeva.

Allora Salvatore prese il controllo della situazione e si avvicinò a sua sorella, seduta sul divano. L'occhio della webcam stava riprendendo tutta la scena.
Il ragazzo tirò fuori il cazzo e lo mise tra le mani di Roberta.
"Su Roberta, fai vedere a questi bigotti come sei brava..."
Roberta sapeva di non aver più nulla da perdere.
Si alzò e guardando dritta in faccia in webcam in modo che tutti guardassero disse solo: "Comincia lo spettacolo. Masturbatevi a distanza"
I fratelli e le sorelle rimasero ulteriormente scioccati ma nessuno aveva il coraggio di spegnere la diretta, erano morbosamente curiosi di vedere cosa sarebbe accaduto.
Salvatore era lì col suo bel pisello fuori dalla patta dei pantaloni. Roberta con le manine non più così sante lo stava masrurbando. Il brusio in ogni quadrante si ammutolì. Qualcuno si avvicinava ancor più allo schermo per veder meglio la scena.
Giovanni si era alzato dal divano e senza farsi vedere dalla webcam si era slacciato i calzoni e aveva tirato fuori l'uccello. Rientrò nel campo della webcam posizionandosi dietro Roberta. Eccitato dal pubblico in streaming aveva il cazzo ancora più grosso del solito. Pian piano carezzava le spalle della figlia, la schiena, arrivò alle curve del culo e proseguì con la mano sulla sottana della ragazza fino ad arrivare ai bordi inferiori. Sollevò la gonna di quel tanto per raggiungere le mutandine. Con sua somma sorpresa Roberta non si era messa le mutandine. Con le dita allora cercò l'estremità inferiore della figa di Roberta e cominciò a palparla. Roberta era sempre intenta a masturbare Salvatore.

Enrica era uscita dal bagno ed era tornata in soggiorno ad osservare la scena, abbastanza distante dalla visuale della webcam. Dallo schermo solo un paio di quadranti si erano spenti, tutti gli altri continuavano a guardare la diretta senza scomporsi. Uno degli anziani si era levato i pantaloni e si faceva masturbare dalla moglie, quello streaming teocratico era diventato un porno in diretta. Un giovane della congregazione, da poco nominato Servitore di Ministero era già venuto sulla tastiera del PC e aspettava il resto dello streaming per accrescere l'eccitazione.
Giovanni continuava a percorrere con le dita quel lembo di terra segreta che era la figa di Roberta. Alla ragazza piacevano queste carezze, si stava bagnando, il padre la toccava con delicatezza e infilava le grosse dita tozze nella sua carnosa fighetta che stava diventando bordeaux dal fuoco del piacere.
"Ora fratelli e sorelle " annunciò Giovanni "Vi facciamo vedere un esempio pratico di Sodomia. Lo metto nel culo a mia figlia"
Giovanni fece il gesto con violenza, abbandonando la romantica delicatezza con cui aveva cominciato. Abbassò la schiena di Roberta di quasi 90 gradi e dopo aver inumidito l'uccello con uno sputo infilò il cazzo tra le chiappe della figlia che aveva divaricato le gambe per favorire il rapporto anale. Un "oooh" perplesso ed eccitato percorse tutti i quadranti collegati in streaming. Per molti le informazioni erano nuove, non sapevano cosa fosse esattamente il sesso anale. Giovanni penetrava il culo della figlia con passione. La pressione del suo cazzo enorme in quel buco stretto faceva godere la figlia. Giovanni la cingeva per i fianchi spingendo forte il suo bacino peloso sul culo bianco e rotondo della ragazza.
La Webcam riprendeva tutto ovviamente. Salvatore per non essere da meno aveva infilato il cazzo nella bocca di sua sorella e in contemporanea al padre spingeva il proprio cazzo fino alla gola della ragazza. Roberta era presa tra due fuochi, anzi tra due cazzi. Sia il padre che il fratello la stavano penetrando con forza dai buchi opposti del suo corpo. Lei si era lasciata andare completamente, era come un oggetto. Passivamente subita la brutale penetrazione del padre, che aumentava il ritmo della scopata con violenza. Il suo pube peloso e sciatto sbatteva come un Tir sul suo culo, da quel buchino una volta vergine e candido rimanevano fuori solo le palle pelose di Giovanni. Il padre non aveva intenzione di smettere, il cazzo ingrossato a dismisura aveva trovato la sua dimensione ideale in quel bel culetto. A Roberta piaceva prenderlo in culo, sentiva il doppio delle sensazioni mentre il grosso cazzo del padre sfregava le pareti minute del suo didietro. Nella figa era più facile farsi scopare, la natura permetteva al cazzo di allargarsi più comodamente, da dietro invece il piacere sta nel dolore di essere violati, la sensazione di un corpo estraneo che deve farsi largo a fatica in un luogo segreto e meno disponibile ad accogliere oggetti di grosse dimensioni. Questa sensazione di trasgressione e dolore piaceva a Roberta questo rumore nel corpo di un cazzo che sembra penetrare la roccia...
Roberta non voleva ammetterlo, il cazzo nel culo era la cosa più piacevole che avesse fatto in vita propria. E così in diretta streaming, l'adunanza era stata sostituita da questa brutale doppia penetrazione incestuosa. Salvatore usava la bocca della sorella come una figa. Le stava scopando la boccuccia con la stessa foga con cui il padre stava inculando Roberta. Più Roberta teneva la bocca aperta, più Salvatore spingeva a fondo. Il volto di Roberta era un accumulo schiumante di saliva e trucco che andava a sciogliersi , il cazzo del fratello entrava senza posa, ormai era in apnea da diversi minuti e i conati di vomito si intervallavano al bisogno di respirare.
Sua madre da lontano osservava la scena, masturbandosi di nascosto.

"E ora" disse Giovanni in favore di Webcam "Io e mio figlio sborreremo su Roberta, siete pronti a venire anche voi nei fazzoletti?"
Il primo a sborrare fu proprio il padre. Il culo di Roberta era diventato una fontana zampillante di sperma. Lo sperma caldo si era attaccato al culo e colava per terra. Dal collegamento streaming partirono qualche applauso compiaciuto, alcuni gesti di disgusto, uno schizzo solitario di un fratello che aveva sborrato sul proprio schermo.
Salvatore andò avanti ancora qualche secondo poi tenendo i capelli della ragazza stretti a sé svuotó una sontuosa sborrata nella bocca della ragazza obbligandola di fatto ad ingoiare tutto.
Roberta si liberò dalla presa del fratello, era sporca, bagnata, sudata, sconvolta e stropicciata.
In sala adesso tutti conoscevano che famiglia porca e incestuosa erano. La quarantena, il caldo delle proprie abitazioni, una Webcam, una adunanza in streaming trasformata in un video porno in diretta. Roberta si avvicinò alla Webcam e aprendo la bocca mostrò con soddisfazione ai fratelli e alle sorelle collegate la sborra fraterna rimasta sulla sua lingua. Schiumava ancora la porca. L'unica a rimanere distante era Enrica.
Ci voleva un ultimo atto, bisognava sconvolgere definitivamente la congregazione ed Enrica da brava madre di famiglia voleva porre il segno definitivo a questa scopata incestuosa.
Entrò nel raggio d'azione della Webcam e fece solo un cenno alle persone collegate. Prese la figlia per i capelli e la obbligò a sdraiarsi per terra. Si accovacció sulla faccia della ragazza e pisció. La faccia ed il bel vestitino di Roberta erano ora fradici della pisciata materna.
Si staccò il collegamento, l'adunanza era finita.
C'era materiale a sufficienza per passare direttamente allo stroncamento eterno.

Roberta non riusciva proprio a dormire. Aveva ancora in testa quell'orgia incestuosa con mamma e papà, quella cazzutissima orgia in diretta streaming su Zoom. Sapeva che d'ora in avanti la sua vita sarebbe drasticamente cambiata. Tutta la congregazione aveva visto quelle immagini, erano rimasti tutti scioccati anche se per morbosa curiosità erano tutti connessi a guardare la scopata sullo schermo.
Un fratello le aveva mandato un messaggio whatsapp in cui c'era scritto: SEI PROPRIO UN GRAN PUTTANONE ROBERTA. TI VOGLIAMO SEMPRE COSÌ TROIA.

Ma era una goccia nel deserto tra le critiche che erano piovute addosso. A parte quelli che si erano segati vedendo suo padre e Salvatore che la fottevano altri componenti della sala avevano subito cancellato ogni contatto con la famiglia. Erano ufficialmente degli appestati, dei maiali, degli incestuosi.
Anche Giovanni non riusciva a prender sonno, ormai questa cosa che stava succedendo gli aveva completamente preso il cervello.
Non provava né rimorso né vergogna, erano anni che voleva fuggire dalla setta, solo non avrebbe mai immaginato un epilogo incestuoso per potersi mettere dietro le spalle 50 anni di testimoni di geova.



Erano le 4 di notte, Roberta non riusciva proprio a prender sonno. Continuava a rigirarsi nel letto accaldata, si era tolta il pigiama, era rimasta tette di fuori tra le lenzuola, con indosso solo le mutandine.
Il corpo nudo e sensuale profumava di crema e bagnoschiuma. Roberta si toccava i capezzoli dei voluminosi seni e dal brivido le erano diventati durissimi.
Il sonno non accennava a comparire, il caldo era sempre più incessante, le voglie sempre sulla pelle. Roberta aveva bisogno di toccarsi o essere toccata.
La manina di Roberta scivolò sotto le mutandine, iniziò delicatamente a toccarsi, prima contornando la figa con piccole carezze, sfiorando i peli inumidito dal sudore, poi si fece più sicura e vogliosa entrando con decisione nella carne nuda con le dita. Si sentiva già bagnata ed in estasi.
Cercó sul comodino qualcosa di più grosso da potersi infilare per godere di più ma non trovo nulla di utile allo scopo. Doveva comprarsi un cazzo di gomma, ancora non ne possedeva uno.

Giovanni guardava l'ora dallo schermo del telefonino. Le 4 del mattino. Doveva far qualcosa, era inutile stare a letto come un salame. Si alzò senza far rumore, Enrica stava ancora dormendo.
Non era il caso di infilarle il cazzo in bocca o nel culo a sua insaputa.
Andò in cucina, bevve un sorso d'acqua dal rubinetto, aprì il frigorifero e prese uno yogurt. Mangiando lo yogurt gli venne una succulenta idea perversa. Aprì di nuovo il frigo e cercó delle grosse verdure. Trovò un bel paio di enormi zucchine verdi e se le mise in tasca.
Con passo felpato si diresse verso la camera da letto della figlia. Appoggiò l'orecchio alla porta per controllare se la figlia stesse dormendo. Giovanni si eccitó all'istante. Dalla camera di Roberta provenivano dei gemiti inequivocabili. Sua figlia si stava masturbando, ne sentiva la passione e la forza sin dal corridoio, sin da quella porta chiusa che lo divideva da un'altra irresistibile porcata.

Roberta si stava ancora sgrillettando al buio quando suo padre entrò nella stanza. Giovanni fece gesto alla ragazza di restare in silenzio, nessuno in casa doveva sentirli. Dopo le scopate condivise con la moglie e il figlio aveva voglia di fottersi Roberta da solo in santa pace, senza doverla condividere con altri corpi, altre mani.
Giovanni si avvicinò al letto e accese l'abatjour. Non voleva scoparsi la figlia completamente al buio. E Roberta nuda ero uno spettacolo splendido. Un culo da penetrare, due tettone da su chiare, due occhioni da cerbiatto adattissimi ad essere filmati durante un pompino in POV.

Voleva goderne il corpo per la bellezza e sensualità che riusciva a trasmettere e sua figlia in questo era una dea. Il corpo affusolato e sodo di una trentenne ancora non consumata dagli uomini e dal tempo. Le tette della ragazza erano due montagne rosate con in cima due enormi capezzoli rossi, incendiati dalla passione. Il corpo della ragazza era tutto un fremito, la mano destra continuava il lavoro tra le gambe senza fermarsi un secondo, quelle dita morbide e raffinate stavano facendosi sempre più largo in quel suo bel buco carnoso e invitante che era la figa.
Suo padre la guardava e la accarezzava, stava crescendo in lui la voglia di infilare il cazzo in uno dei buchi della figlia ma non voleva rovinare quel momento intimo tra i due. Roberta cercava lo sguardo del padre, voleva che gli occhi del genitore fossero tutt'uno coi suoi mentre quel ditalino infuocato stava consumandole forza ed energie. Più Roberta si penetrava con le dita, più in Giovanni cresceva il desiderio di possedere la figlia. Doveva controllarsi, la ragazza non era ancora venuta, doveva godersi quello spettacolo genuino fino alla fine. La ragazza si mordeva le labbra, inarcava le gambe, apriva e socchiudeva le cosce, inarcava collo e schiena alla ricerca della posizione perfetta per concludere la masturbazione. Suo padre le sfiorava i capelli, accompagnandola nel ditalino con degli incoraggiamenti erotici sottovoce.

La ragazza era venuta. Le dita bagnate, il corpo ormai stanco giacevano sorridenti vicini al padre.
Giovanni aveva un'idea per continuare quel gioco perverso. Guardò negli occhi la figlia e tirò fuori una delle zucchine che aveva preso in frigorifero.

"Infilati questa Roberta"

La ragazza guardó l'ortaggio. Ero molto più tozzo e voluminoso delle sue dita, l'avrebbe fatta godere ancora di più.

"E tu papà cosa fai mentre mi infilò la zucchina nella figa?"
"Ti guardo Roberta. E mi masturbo. Voglio venirti in bocca poi"

La ragazza accettò, la situazione era provocante e maliziosa. Si legò la folta criniera bionda lasciando scoperte due belle spalle magre e invitanti. Le tette a punta guardavano negli occhi il padre, quei due capezzoloni rossi come il fuoco erano pronti per quella nuova esperienza sessuale.
Roberta infilò la punta dell'ortaggio nella figa, con delicatezza, non prima di averlo riempito di saliva per farlo scivolare meglio tra le cosce.
Giovanni si era denudato dalla vita in giù e aveva cominciato a segarsi l'uccello. La ragazza non mostrava remore a infilarsi la zucchina nel corpo, quel bel bestione verde andava su e giù per la figa come fosse un dildo o il vero cazzo di un uomo.
Il godimento era reciproco. Giovanni si masturbava con energia, in piedi, accanto al letto. Il cazzo era diventato talmente grosso e carico di eccitazione che Roberta fu tentata di prenderlo in bocca, abbandonando la zucchina al suo destino, cosa che poi fece qualche minuto dopo, alzandosi di scatti dal letto e inginocchiandosi di fronte al padre.
Giovanni prese allora la chioma della ragazza, mentre Roberta, col cazzo in gola succhiava il padre con tutta l'energia rimasta quella notte.
I capelli di Roberta erano stretti tra le possenti mani del padre. Il volto, prima bianco e angelico era paonazza e colava saliva dalla bocca, il padre stava spingendo il proprio arnese con forza nella bocca della figlia. La ragazza riusciva a prendere respiro solo quando il padre lo permetteva e Giovanni, carico di eccitazione si trasformava in un porco violento e insaziabile in questi frangenti. Non stava solo scopando la bocca della figlia, con quella foga incontrollabile stava sfogandosi di una vita del cazzo passata a non farselo succhiare per anni. Ora, tutte in una volta, le sue manie perverse stavano confluendo in quel pompino che Roberta stava facendo. Roberta succhiava in apnea, aspettava il fluido caldo del padre tra i denti per poter riprendere la respirazione. Suo padre non avvisó nemmeno, il getto caldo le entrò senza preavviso nella bocca, finì giù nella gola e poi nello stomaco. Giovanni tenne forte la testa della figlia attaccata al suo cazzo per non permetterle di sputare.
Accompagnò il gesto sottovoce con un: "Ingoia troia di papà, ingoia da brava puttana Roberta".

Mandata giù la sborra Roberta si sentiva sempre più unita e complice col padre. Finalmente lo stava rendendo felice.
Poi ognuno in camera propria cercó di addormentarsi.



La telefonata si era appena conclusa con un nulla di fatto. Franco non aveva voluto sentir ragioni. Quanto prima li avrebbero disassociati. Era inammissibile per l'intera comunità dei testimoni di geova avere tra le proprie fila una famiglia incestuosa, incurante del giudizio divino e della sensibilità dei fratelli. Non si potevano tollerare simili cose in congregazione. Dovevano solo aspettare la fine della quarantena per potersi incontrare come anziani e allontanare Giovanni e la sua famiglia.

Roberta non era preoccupata, aveva per la testa altri sbattimenti.
L'ultimo dei suoi pensieri era doversi giustificare per quel che era successo.
La primavera fioriva a vista d'occhio dalle finestre che davano sul giardino condominiale.
Come ogni settimana toccava lei far le pulizie di fino in casa, sua madre invece si occupava di spesa, pranzo e cena. Gli unici a non fare un tubo erano i maschi di casa.
Enrica era uscita, il frigorifero era troppo vuoto per poterli sfamare durante il week end. Roberta era rimasta in casa da sola con il padre ed il fratello.
Faceva troppo caldo e Roberta era costretta a far le pulizie in mutandine e reggiseno, incurante degli occhi maliziosi ed eccitati dei familiari.

"Roberta vieni qui un attimo che devo chiederti una cosa" disse Giovanni alla figlia.
La ragazza si avvicinò al padre con il mocio per lavare ancora in mano. Era sudata e affaticata, tutta mattina che spolverata, puliva, lavava mentre il fratello e il padre oziavano.
"Che vuoi?" chiese la ragazza al padre.
"Abbiamo amuchina in casa?" chiese Giovanni.
"No papà, mi sa l'abbiamo finita, perché me lo chiedi?"
"Vedi Roberta, sarebbe il caso usassi l'amuchina per disinfettarti le mani prima di pulire tutta la casa. È più igienico"
"Ma papà, se non abbiamo il disinfettante per le mani che ci posso fare?"
"Me ne occupo io, aspettami"

Giovanni si alzò dal divano lasciando Roberta nel soggiorno, in mutandine e reggiseno con il mocio a farle compagnia.
Dopo una ventina di minuti il padre era tornato in soggiorno, con un barattolino colmo di prodotto disinfettante.
"Ora puoi sanificarti le mani Roberta" disse Giovanni alla figlia.
La ragazza prese la boccetta e versò un po' di liquido sulle mani, quindi le strofinó fino al gomito.
"Che strano odore ha questo disinfettante papà, dove lo hai preso?" chiese Roberta.
"Sapessi figlia mia..."
"Ha davvero un odore strano, dimmi dove l'hai trovato. Lo avevi comperato e nascosto in bagno?"
"No Roberta. L'ho prodotto io"
"Come? Non capisco. Hai trovato una ricetta su internet?"
"Prova ad assaggiarlo Roberta..."
"Ma papà, non ci casco a questi stupidi giochi, ho trent'anni. Mica si ingurgita il disinfettante... È velenoso"
"Fidati figlia mia, assaggiane un goccio".

Roberta vinta dalla curiosità e dall'aria divertita del padre accettò il gioco con malizia e simpatia. Chissà che scherzo le aveva preparato il paparino. Magari il disinfettante lo aveva preparato col limone o con qualcosa di puzzolente.
Prese il barattolo e ne versò una goccia sulle dita, poi si portò il dito alla bocca.
Dopo averlo assaggiato guardò il padre. Quello non era disinfettante. Era sborra. Il padre le aveva riempito il barattolo di sborra e lei si era cosparsa mani e braccia di quel prodotto.
"Ti piace?" chiese Giovanni.
"Insomma papi" rispose Roberta. "Non pensavo mi facessi disinfettare con lo sperma".
In salotto entró pure Salvatore.
"Allora Roberta, ti è piaciuto il nostro disinfettante?".
Il padre e il figlio se la ridevano per come avevano preso in giro la ragazza.
Roberta voleva continuare a giocare, si erano drizzati i capezzoli ed era stufa di pulire.
"Che ne dite se mi disinfetto tutta?"
La ragazza si spalmó per bene il corpo con lo sperma, si lavó persino tutta la faccia con quel liquido appiccicoso.
"Son abbastanza disinfettata così o volete di più?"
Giovanni e il figlio tirarono fuori i cazzi all'unisono. Roberta meritava una bella lezione di igiene. Lo sforzo per produrre il barattolino di sborra aveva prosciugato le loro palle di tutto lo sperma ma c'era pur sempre un bel corpicino da annaffiare.
Roberta si tolse il reggiseno e si inginocchiò. Salvatore e Giovanni sapevano esattamente cosa fare. Le avrebbero pisciato addosso.
"Ora ti disinfettiamo per bene" disse Giovanni a Roberta.
La ragazza stava lì, nuda, con le tette al vento e i capelli biondi raccolti dietro la nuca, aspettando una bella pioggia dorata.
Salvatore non si fece attendere. Si avvicinò col cazzo bello dritto in faccia alla sorella, le aprì leggermente la bocca e lasciò sgorgare una lunga pisciata gialla nella boccuccia di Roberta. L'urina colava dalla bocca al collo fin sulle tette e il resto del corpo. La ragazza bevve tutta la piscia del fratello, eccitata come una troia in calore. Il corpo puzzava di piscio e della sborra che si era spalmata.
Giovanni non volle esser da meno, voleva lasciare un bel ricordino sul corpo della figlia.
Si avvicinò alla ragazza e le mise il cazzo tra i capelli, vicino all'orecchio destro. La piscia spruzzó I bei capelli biondi di Roberta, le entró nelle orecchie, nelle narici, nella bocca. Giovanni ne aveva di piscia e presa la testa fradicia della ragazza la obbligò a ingoiare la piscia che gli era rimasta nel cazzo. Roberta era tutt'uno con i liquidi seminali e le urine di padre e fratello

"Non vedi come si è sporcato il pavimento? Puliscilo" disse Salvatore.
Roberta allora si strusció sul pavimento, asciugando col corpo la piscia. Giovanni e salvatore la presero per i piedi usandola come un mocio. Roberta era visibilmente divertita ed eccitata. Mentre il padre la trascinava per il pavimento, pulendo la piscia coi suoi capelli Roberta si era messa tre dita tra le mutandine e si stava sgrillettando. Salvatore si buttò sulla figa della sorella, che puzzava del suo piscio maleodorante e iniziò a ravanare tra le mutandine, le strappò via e messa la lingua nella carne cominciò a strapazzare la caverna arrossata di Roberta senza dare idea di fermarsi. La lingua di salvatore entrava così in profondità che Roberta toccava il cielo. L'orgasmo di Roberta fu un fiotto di umori che riempì la lingua di Salvatore. Giovanni osservava la scena con invidia, voleva lui leccare la figa della figlia.
Levò Salvatore da Roberta e si mise a leccare con forza la figa, poi girò la figlia con le tette sul pavimento e infilò la lingua pure tra le chiappe della ragazza, leccandole con ardore tutto quel buco del culo.
E il culo di Roberta è un culo che non si dimentica.


La fine della quarantena era arrivata finalmente, acclamata come la liberazione da una guerra. E vera guerra è stata.
La gente iniziava a riprendersi i propri spazi, le proprie abitudini, le proprie necessità. Finalmente i sogni non erano più barricati dietro le quattro mura di casa.
Si poteva finalmente andare in giro senza autocertificazione, prendere la bicicletta e farsi un giro in campagna. Le puttane potevano tornare alle proprie mansioni, succhiare cazzi per guadagnarsi da vivere.
Roberta si era subito fiondata nel parco vicino casa, voleva respirare a pieni polmoni la primavera nel pieno della sua maturità.
"Che bella la primavera" – pensava Roberta. - "E' così bella e l'ho sempre data per scontata".
Prima di uscire si guardò allo specchio: era ancora una figa della madonna, il suo bel corpicino non aveva perso smalto o sensualità. Si sarebbe scopata pure lei fosse stata un'uomo.
Roberta si rendeva conto di "fare sesso" ai maschi, poi con la castità obbligata della quarantena il suo bel corpicino da ammirare e scopare sarebbe stato il più ambito del paesello. Come in ufficio, tutti la volevano scopare, attirava le attenzioni con quelle forme intriganti, quell'atteggiamento da finta "bacchettona" che faceva tirare i cazzi di amici e colleghi.
Un collega le aveva mandato un messaggio la sera prima, all'inizio Roberta ne era rinasta infastidita, poi si rese conto che era un gran complimento quello scritto da Alvaro: "Dopo la quarantena, la prima cosa che vorrei è un bel pompino da te Roberta".
Era talmente importante per questo "Alvaro" che dopo 3 mesi di clausura la sola cosa che gli importasse, per tornare alla normalità era farsi fare un bel pompinazzo da lei. C'era da esserne orgogliosi. Doveva davvero essere così brava se un suo "pompino" rappresentava il simbolo di libertà per altre persone.
Si sarebbe fatta un tatuaggio, stavolta poteva permetterselo, e vaffanculo alla Sala del Regno e a quelle regole del cazzo che vietavano pure di farsi un tatuaggio.
Avrebbe scritto: "Regina del Pompino" sul braccio. Era deciso.

Indossò mascherina per la bocca e i guanti, prese la bicicletta dalla cantina e cominciò a girare per il paese e per le campagne. Ogni tanto si fermava ad ammirare un fiore, scattava fotografie con lo smartphone e si rilassava guardando un mondo che pareva esserle sfuggito negli ultimi due mesi.
Voleva masturbarsi a vedere cotanta bellezza in giro, la sua figa prudeva come una matta ad ogni fiore, ad ogni uccellino che si posava su un ramo. Lei aveva voglia di uccelli, non di uccellini. Uccelli di carne, uccelli di sborra, uccelli che la penetrassero dal culo come un puttanone esagerato, anche a pagamento, non le interessava essere considerata una puttana, voleva scopare e farsi scopare.

Tornando a casa, era appena mezzogiorno, aveva trovato un angolo tranquillo ed isolato poco fuori dal paese, un campo che si perdeva a vista d'occhio nell'orizzonte. Si tolse la mascherina e appoggiò la bicicletta ad un alberello.
Com'era bello respirare la libertà.
Faceva caldo, un caldo asfissiante e il giro in bicicletta l'aveva fatta sudare parecchio. Si tolse quindi la maglietta e rimase tette al vento a passeggiare nella natura.
"Cazzo che tette che ho"- pensava Roberta guardandosi il seno. "Per due tette del genere farebbero tutti pazzie!".
Era veramente eccitata ed emozionata, riusciva a vedere la propria bellezza femminile come mai aveva fatto negli anni passati.
Il telefono squilló. Era suo padre che le chiedeva dove fosse che era quasi pronto il pranzo.
Roberta gli disse dove si trovava, di mangiare tranquillamente senza di lei, sarebbe rimasta a fare un giro per i campi, in solitudine. Si levò pure pantaloncini e mutandine e rimase completamente nuda sul prato.

Nuda sotto al sole, si era messa a sgrillettarsi la figa per la felicità, quella libertà ritrovata l'aveva eccitata. Aveva bisogno di sfogarsi, di stare sola, di masturbarsi senza farsi vedere o sentire dai familiari. Si era anche un po' stufata delle attenzioni morbose del padre e del fratello, in casa non avevano fatto altro che metterle il cazzo in ogni buco. Aveva ingurgitato tanta di quella piscia e sborra da essere sazia per gli anni a venire.
Era lì quindi, sotto al sole, con la testa poggiata ai vestiti e le mani che carezzavano quelle belle cosce affusolate con tenerezza. Si infilò le dita nella figa con ardore aspettando di sentirle bagnate e piene di passione.

Roberta non si era accorta di essere osservata. Tre ragazzi erano sbucati nel campo e si erano trovati davanti questo spettacolo eccitantissimo. Roberta continuava a masturbarsi senza accorgersi del pubblico.
Uno dei ragazzi prese coraggio e chiamò Roberta.

"Ehi tu. Sei mica Roberta che abita in Via dei Fiori Gialli?"

La ragazza si spaventò, non immaginava di essere osservata. Istintivamente si coprì la figa e le tette con le mani.

"Mi state guardando da tanto?" chiese Roberta.

"Da un po'. Scusa ma era uno spettacolo vederti mentre ti masturbavi" rispose uno dei ragazzi.
Roberta non era per nulla infastidita dai tre ragazzi, si erano eccitati a guardarla nuda, aveva veramente un fascino.

"Comunque si, sono Roberta, mi hai riconosciuto. Come fai a sapere chi sono?"
"So che sei testimone di Geova, conosciamo tuo fratello salvatore, ogni tanto fuma di nascosto con noi"
"Ah, conoscete mio fratello? Bene, ora conoscete anche me"
"Ti conoscevamo di fama Roberta."
"Di fama?" chiese stupita la ragazza.
"Beh, tutti i ragazzi parlano di te. Ti considerano un pezzo di figa da paura. A vederti nuda così sai che invidia gli altri ora. Ti vorrebbero scopare tutti ma..."
"Ma cosa?" chiese Roberta insospettita da quella frase lasciata cadere nel vuoto.
I ragazzi si guardarono un po' imbarazzati, non sapevano come essere gentili e allo stesso modo sinceri.
"Su dai, rispondetemi, perché vi siete bloccati?"
"Vedi Roberta, tuo fratello ci ha detto che siete bacchettoni nei testimoni di geova, che non potete scopare e che tu hai trent'anni e non hai mai visto un cazzo in vita tua."
"Ah mio fratello vi ha detto questo?"
"Ha anche aggiunto che probabilmente sei frigida ed è come se tu avessi un palo nel culo da quanto sei casta"

Roberta ebbe un'idea. Se li sarebbe scopati per dimostrar loro chi era veramente.
"Quanti anni avete ragazzi?"
"Più di 18 tranquilla" risposero.
"Bene bene ragazzi, allora datemi i vostri cazzi che vi faccio vedere quanto sono frigia. Sapete cosa ho regalato a mio fratello per il compleanno? Un bel pompino con ingoio"

I tre non persero un secondo. Slacciarono la zip dei pantaloncini e si misero intorno a Roberta. Il sole illuminava le tettone rose della ragazza inginocchiata, era veramente uno spettacolo. Uno dei ragazzi aiutò Roberta a legarsi i capelli, poi a turno infilarono il cazzo nella bocca della ragazza. Come succhiava da dio Roberta. I tre erano sorpresi.
"Minchia" disse uno dei tre non trattenendo l'eccitazione. "Ma tu fai dei pompini da paura Roberta.
Altro che testimone di Geova frigida, tu sei un puttanone"

Roberta annuì, continuando a ciucciare il cazzo del ragazzo.
Uno dei tre la prese in braccio e la mise in piedi.
"Ora te lo infilò nel culo" disse
"Si si ragazzi, fatemi quello che volete, sono la vostra puttana oggi"
Il ragazzo sputó per bene la punta dell'uccello e cercò il buco del culo di Roberta con le dita. Massaggió per bene quella bella zona carnosa e piena di libidine, poi prese con forza i fianchi della ragazza e iniziò a penetrarla con forza. Roberta fece cenno agli altri due di avvicinarsi.
"Voi due scopatemi la bocca dai, voglio ingoiare la vostra sborra".
Mentre il loro amico inculava Roberta con forza gli altri due, eccitati dalla richiesta di Roberta infilavano a turno il cazzo in bocca a Roberta, la ragazza godeva come una matta, voleva prendere più cazzo e più sborra possibile.
I due ragazzi non ce la facevano più, dovevano sborrare. Il primo sborró direttamente in bocca a Roberta mentre l'altro si avvicinò alla faccia e venne sui capelli biondi della ragazza. Anche il loro amico che continuava a scopare il culo di Roberta venne e inondó di sperma il didietro della ragazza. Roberta rimase bagnata di sborra, dai capelli al culo, sorridente, con lo sperma che le colava dal collo alle tettone.

"Ora siete contenti vero? Mi avete sborrata tutta. Parlerete ancora di me come una frigida ?"
"No Roberta, tu sei una puttana esagerata cazzo, che pompini che fai, e come ingoi. Ma siete tutte così tra le testimoni di geova?"
"Succhiamo bene vero? Io mi sento una pompinara nata. Ci vediamo ragazzi"

I tre amici se ne andarono contenti, si erano scopati Roberta e avevano scoperto quanto era maiala, non come le voci che la volevano santarellina.
Roberta rimase ancora un po' sdraiata sul prato. Puzzava di sborra e petali di fiore.


Suo padre l'aspettava a casa leggermente incazzato. Roberta non aveva dato segni di vita per tutto il pomeriggio, sia sua madre che suo fratello avevano cercato di contattarla ma senza ottenere risposta.

"Dove cazzo sei stata puttana?" - si sentì dire Roberta rientrando in casa verso le 6 del pomeriggio.
"Che cazzo vuoi papà? Ero fuori a rilassarmi, mica devo dirvi dove vado, son adulta"
"Senti un pò puttanella del cazzo, io sono tuo padre e mi rispondi bene, capito? Questa casa non è un'albergo. Se vuoi restare sotto questo tetto devi obbedire alle regole. Se io ti chiamo per sapere dove sei, adulta o non adulta, mi devi rispondere porcoddio!"

Giovanni era visibilmente alterato, qualcosa nella giornata doveva essere andato storto per incazzarsi in quella maniera. Roberta accennò uno "scusa" con la mano e suo padre si calmò.Si sedette sul divano e mise la testa fra le mani, sembrava piangesse.
Roberta iniziava a preoccuparsi, c'era qualcosa che non andava nel comportamento del padre.

"C'è qualcosa che non va papà? Mi sembri troppo incazzato, non può essere solo perchè son rientrata adesso senza rispondervi al telefono..."

Suo padre la guardò e annuì con la testa.
"Hai ragione Roberta, non è colpa tua, son incazzato per i fatti miei e me la sono presa con te... ho esagerato perdonami figlia mia"
"Ma cos'è successo papà, dimmelo. Qualcosa di grave?"

Giovanni si alzò dal divano e iniziò a girare per la stanza.
"Problemi al lavoro Roberta. Mi hanno chiamato dalla banca e rischiamo di perdere tutto, pure la casa, sono nervosissimo..."

"Porco dio papà..." - esclamò Roberta esterefatta. - "Ma che cazzo è successo?"

"Ricordi quello stronzo di Gioele, il fratello alto alto che era uno dei nostri clienti? Beh, quel figlio di puttana non ci ha pagato le forniture dell'ultimo anno e ora siamo nella merda. Tutti i lavori che abbiamo fatto per lui sono stati fatti gratis. La banca non mi aiuterà più e io sono nella merda Roberta, non ho più una lira in tasca... non so nemmeno come dirlo a tua madre che stiamo andando a fanculo"

Roberta era demoralizzata, di punto in bianco la felicità per la fine della pandemia veniva rimpiazzata dall'ansia di finire in mezzo una strada.

"Ma papà, perchè quel figlio di puttana non ti ha pagato? Tu non mi sembri uno sprovveduto dai..."

"Vedi Roberta, Gioele era in crisi e mi ha chiesto di poter dilazionare i pagamenti, io come un pirla gli ho dato fiducia, tanto tra noi testimoni di geova mica pensi di beccarti una fregatura. Sto stronzo invece ha lasciato il paese poco prima del lockdown per scappare con la segretaria da qualche parte, ha mollato la moglie e le attività e solo ora ho scoperto che è irrintracciabile. La banca dopo tanti avvisi mi ha chiamato e mi ha detto che siamo in rosso. Quel figlio di troia si starà facendo succhiare il cazzo su qualche spiaggia tropicale e io son qua a non sapere come gestire i debiti adesso. Ovviamente sua moglie mica mi ha avvisato che quel bastardo era scappato via portandosi via tutto il denaro..."

"Senti papà, stai calmo, in qualche modo riusciremo a cavarcela... senti siediti un attimo che ti tranquillizzo io..."

Giovanni si mise nuovamente sul divano.
Roberta si avvicinò al padre e si inginocchiò.
"Adesso lascia fare a Roberta tua papà, ti tranquillizzerai subito..."
La ragazza cominciò col togliersi la magliettina di dosso. Era nuda, con due belle pere al vento, proprio sotto gli occhi del padre.
"Ti piacciono papi? Vuoi toccarle?"
Giovanni annuì e prese le tette della figlia tra le mani con delicatezza"
"Bravo papi, ora strizzami le tette dai, fammi godere..."
Il padre continuava a palpare le enormi tette della figlia, gli stava venendo duro.
"Ora alzati in piedi, papi..."

Giovanni non se lo fece ripetere, aveva il cazzo in tiro, la figlia lo stava eccitando.
Roberta gli slacciò la cintura dei pantaloni e si trovò a tu per tu con l'enorme cazzo paterno. Dolcemente levò le mutande del padre e con la boccuccia iniziò a prendere il membro paterno tra le labbra.
"Ti piace papi quello che sto facendo?"
Roberta era sempre più maliziosa e intrigante.
"Certo Roberta, mi stai facendo godere cazzo..."
Roberta prese tutto il cazzo del padre in bocca e iniziò la solita succhiatura, così come lo aveva abituato. Con le mani massggiava le palle del padre mentre con la bocca riusciva a prendere tutto il cazzo per intero fino alla gola.
Il padre la lasciava fare, era così bello farsi spompinare dalla figlia.
"Ora papi, io rimango ferma, spingilo tu il cazzo nella mia boccuccia"

Giovanni era rosso dalla libidine. Afferrò la testa della figlia con le manone che aveva e con forza e rabbia sbatteva il cazzo fino nella gola della ragazza. Roberta lasciava fare, voleva che il padre riuscisse a sconfiggere l'ansia, doveva essere solo "un buco da penetrare", quel pompino era la miglior forma di antidepressivo che i medici potessero prescrivere a quel cinquantenne in crisi.
"Brava troia succhia" – gridava Giovanni in estasi, tenendo con forza i capelli della figlia.
"Ora vengo puttanaaaaaa..."

Roberta si trovò la bocca piena di sperma, le usciva da tutte le parti, il padre aveva ficcato il cazzo fino alla sua gola, un misto di sborra e saliva le copriva ora tutta la faccia. Roberta tossiva, era stata in apnea per almeno due minuti. Da come il padre le aveva penetrato la bocca le faceva la mandibola.

"Grazie Roberta, sei riuscita a rilassarmi con questo pompino. Sei davvero una brava figlia, una soddisfazione".

Roberta sorrideva contenta, era riuscita a tirar via l'ansia del padre grazie alle sue abilità pompinatorie.

"Vuoi pure pisciarmi addosso o in bocca papi? Sai che ne ho sempre voglia di queste cose."

Giovanni non se lo fece ripetere due volte, avere una figlia così porca e servizievole non era da tutti e in fondo un pò di piscia gli scappava pure.

"Apri bene la bocca Roberta..."

La ragazza allargò la bocca più di quanto potesse fare, il padre infilò la punta del cazzo sulla lingua della figlia e iniziò a sgorgare una bella pisciata zampillante. Roberta non perse nemmeno una goccia del nettare paterno, bevve tutta la piscia in un sol sorso.
Giovanni era devastato dal piacere.
"Ora vado a farmi una doccia papi, se dopo sei ancora triste e in ansia vengo a rilassarti di nuovo a modo mio..." - disse Roberta con quel musetto ambiguo e malizioso.
Giovanni era al settimo cielo, ci voleva proprio un bel pompino da Roberta per riprendere un pò di buonumore.
Roberta si denudò completamente, voleva far vedere pure il culo e la figa al padre, fece una piroetta e salutò il genitore andando sculettando verso il bagno. Lanciò un bacio con le dita al papà mentre un pò di piscio e sborra le stava colando dal collo alle tette.
Era proprio una figa da paura.
Giovanni si masturbava sul divano pensando alla figlia che stava per lavarsi in doccia.
"Porca puttana che figa mia figlia pensava, trentanni, bionda, due tette al vento e un culo a mandolino... farebbe rinsavire un morto..."
scritto il
2021-02-10
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