La cagna (parte I) - Immagini speculari
di
Kugher
genere
sadomaso
Simona sentì suonare al cancello.
Era la nuova cagna.
Per la prima volta, in quel ruolo, si recava da loro, lei e suo marito.
Aprì il cancello per farla accedere al cortile ma non la porta di casa.
La giovane si spogliò completamente e si prostrò davanti alla porta di ingresso, sulla ghiaia.
Fu fatta attendere per un’ora, nel corso della quale cambiò posizione il meno possibile.
In casa c’era solo la Padrona e la osservava dalla telecamera.
Stava guardando la televisione e la lasciò fuori, in attesa. Ogni tanto la guardava, prostrata, immaginando il dolore procuratole dai sassolini, sentendo crescere l’eccitazione.
Quella ragazza, Monia, aveva 27 anni.
I proprietari della schiava erano una coppia, sposati da circa 15 anni ed entrambi introno ai 45 anni. Simona era ancora una bella donna, che lasciava immaginare quanto fosse stata desiderabile (e desiderata) da giovane. Anche suo marito, Fulvio, era ancora un bell’uomo, distinto, elegante non solo nel vestire.
Una coppia attiva, sportiva, ancora in forma.
Erano accomunati dal piacere del dominio. Per loro era una esigenza, una necessità della loro anima che doveva respirare, per farli sentire vivi, sé stessi.
Un rapporto di dominio non è cosa facile, come tutti i rapporti umani, del resto.
Non si parte dalla fine, cioè dai semplici gusti sessuali. Occorre sempre partire a monte, dalla persona, dall’affinità dell’anima e dei pensieri.
Non si domina un corpo, ci si confronta con una mente nella quale occorre stare, reciprocamente.
Per complicare le cose, già di per sé non semplici, vi era quel desiderio espresso e mai soddisfatto, di avere una cagna, ancor prima che una schiava.
Il rapporto cane/Padrone è fatto di una fortissima affinità, una enorme fiducia ed una grande complicità.
Occorreva conoscere la propria cagna, stimarla. Solo allora ci si sarebbe potuto permettere di trattarla come un animale, una proprietà.
Incontrarono Monia, quasi per caso, talmente per caso che ci si chiese se il caso fosse possibile con tanta affinità.
Monia aveva quella bellezza tipica dell’età, la bellezza di una già raggiunta maturità ma senza ancora i difetti che l’esperienza può portare.
La ragazza, persona di carattere, desiderava l’appartenenza, desiderava l’affidamento, la sottomissione unita a quella protezione e dolcezza che può ricevere una cagna.
No, era sbagliato dire che lo desiderasse. Era più corretto dire che ne avesse bisogno per potersi sentire completa.
Non è facile decidere di sottomettersi. Non lo è.
Non è facile nemmeno dominare, che presuppone la conoscenza della dominata per capirne i confini, i contorni, la personalità. Occorre interagire, per possedere. Solo allora si può dominare ed usare.
La ragazza era spaventata dalla differenza di età, ma attratta dall’autorità e dall’esperienza che l’altra età avrebbe potuto avere, darle.
D’altro canto Simona e Fulvio, seppur attratti dalla bellezza che quella giovane età può dare in termini di estetica, erano preoccupati dai contenuti della complicità.
La differenza avrebbe potuto essere tale da non lasciare spazio a pensieri comuni, necessari ed indispensabili per la soddisfazione di esigenze condivise.
Due sassi lanciati in aria hanno poche possibilità di scontrarsi. Poche ma non nulle e loro si incontrarono.
Si frequentarono, conobbero ed approfondirono loro stessi.
Iniziarono con il parlare di sottomissione. Poi, conoscendosi, studiandosi, capendosi, videro in lei una cagna. Ne parlarono ed approfondirono anche questo nel quale la ragazza sempre più ci si trovava e che sempre più cominciava a desiderare e a sentire come impellente.
Nessuna regola, nessuno schema, niente che possa essere incompatibile con le cose umane, fatte di impalpabilità ed irrazionalità al punto da trovarsi ad essere concrete e reali.
Fecero anche un week end assieme, ma in stanze separate e senza ruoli, solo persone.
Per loro non era un modo di fare in maniera strana le cose normali. Per loro il dominio (e la speculare sottomissione) andava vissuto con naturalezza.
Vi sarebbero stati momenti in cui erano Padroni e cagna, Proprietari e schiava.
Vi sarebbero stati anche altri momenti.
Più si frequentavano e più entravano reciprocamente nella mente e nell’anima.
Più questo accadeva, più provavano eccitazione al pensiero di dare concretezza ai loro desideri.
Più i Padroni erano parte dell’anima della cagna, più per loro quella era la loro cagna e provavano il desiderio di averla.
La sensazione era speculare per la ragazza.
Alea iacta est. Il dado è tratto.
Quante volte nella vita ciò accade, a volta senza nemmeno accorgersene.
Questa volta no, la scelta era stata meditata, valutata, tanto che cuore, sesso e mente arrivarono al punto da non poter essere fermati, come una diga stracolma che non riesce più a contenere l’acqua che comincia a fuoriuscire ed è più semplice lasciarla andare e controllarla, che cercare di resisterle.
I Padroni volevano quella cagna.
La cagna voleva quei Padroni.
Gli incontri avrebbero anche potuto essere per più giorni consecutivi, utili per creare il feeling e viverlo.
Fuori faceva caldo ma venne lasciata sotto il sole. In casa si stava bene con l’aria condizionata.
Finalmente andò ad aprirle.
Si fermò sulla soglia guardandola più avanti, ancora prostrata sulla ghiaia. Doveva avere molto dolore.
Alla Padrona il suo dolore interessava nei limiti in cui testimoniava la sua proprietà, il suo potere di farglielo patire.
Alla cagna il dolore ricordava il potere altrui su di lei.
Tutto è sempre speculare.
Le due immagini danzano alla medesima musica, al punto da sembrare un riflesso.
“Avvicinati”.
La schiava si portò ai suoi piedi e iniziò a baciarle le scarpe.
La Padrona la guardava dall’alto. Era bella ed era loro, sua e di suo marito.
E’ una sensazione particolare la prima volta che una persona si prostra, si sottomette. I primi momenti inebriano, al pari di una eccessiva presenza di ossigeno causata da una frequente respirazione e che da quel senso di giramento alla testa.
Una è in piedi, vestita elegantemente.
L’altra è nuda, ai piedi della prima.
I contrasti sono parte delle sensazioni.
Sempre tutto speculare.
Faceva caldo.
Era stata nuda a contatto con la ghiaia.
I cani sporchi non stanno in casa. I cani sporchi stanno fuori, ma lei doveva entrare, doveva passare quella porta che l’avrebbe condotta oltre la sua soglia.
Simona la fece entrare e la mandò in bagno a lavarsi.
Rimase in bagno a lungo per godersi l’acqua ed i prodotti profumati, per cercare di placare i battiti e quel formicolio allo stomaco che la faceva respirare più in fretta.
Sarebbe stata sempre ubbidiente e docile. Sentiva il bisogno di essere ubbidiente e docile.
A disposizione trovò shampoo, balsamo, creme idratanti, tutto ciò che avrebbe potuto servirle, per essere bella per i Padroni.
Fece tutto con forzata calma. Doveva rilassarsi dalle grandi tensioni che l’avevano accompagnata a quella villa e da ciò che per lei avrebbe rappresentato.
Quando si ritenne pronta, uscì per andare dalla Padrona.
Era agitata. Stava per iniziare una nuova avventura, la prima da cagna.
Si ripromise nuovamente di servirli sempre al meglio, per compiacerli. Lei si sentiva di loro proprietà.
Si diresse a 4 zampe verso il salone, dove la Padrona le aveva detto che l’avrebbe aspettata.
Simona era seduta sul divano. Appena la schiava la vide le si contorse lo stomaco.
Quella donna sarebbe stata la sua Padrona, assieme al marito. Avrebbero potuto fare di lei tutto ciò che avrebbero voluto, per la soddisfazione delle loro esigenze e dei loro piaceri, disinteressandosi dei suoi.
Le tremarono le gambe.
Decise di stendersi sul ventre e di strisciare fino ai suoi piedi. Arrivata, le baciò le scarpe e poi pose la guancia a terra.
“Eccomi Padrona, sono sua”.
“Inginocchiati”.
Era la nuova cagna.
Per la prima volta, in quel ruolo, si recava da loro, lei e suo marito.
Aprì il cancello per farla accedere al cortile ma non la porta di casa.
La giovane si spogliò completamente e si prostrò davanti alla porta di ingresso, sulla ghiaia.
Fu fatta attendere per un’ora, nel corso della quale cambiò posizione il meno possibile.
In casa c’era solo la Padrona e la osservava dalla telecamera.
Stava guardando la televisione e la lasciò fuori, in attesa. Ogni tanto la guardava, prostrata, immaginando il dolore procuratole dai sassolini, sentendo crescere l’eccitazione.
Quella ragazza, Monia, aveva 27 anni.
I proprietari della schiava erano una coppia, sposati da circa 15 anni ed entrambi introno ai 45 anni. Simona era ancora una bella donna, che lasciava immaginare quanto fosse stata desiderabile (e desiderata) da giovane. Anche suo marito, Fulvio, era ancora un bell’uomo, distinto, elegante non solo nel vestire.
Una coppia attiva, sportiva, ancora in forma.
Erano accomunati dal piacere del dominio. Per loro era una esigenza, una necessità della loro anima che doveva respirare, per farli sentire vivi, sé stessi.
Un rapporto di dominio non è cosa facile, come tutti i rapporti umani, del resto.
Non si parte dalla fine, cioè dai semplici gusti sessuali. Occorre sempre partire a monte, dalla persona, dall’affinità dell’anima e dei pensieri.
Non si domina un corpo, ci si confronta con una mente nella quale occorre stare, reciprocamente.
Per complicare le cose, già di per sé non semplici, vi era quel desiderio espresso e mai soddisfatto, di avere una cagna, ancor prima che una schiava.
Il rapporto cane/Padrone è fatto di una fortissima affinità, una enorme fiducia ed una grande complicità.
Occorreva conoscere la propria cagna, stimarla. Solo allora ci si sarebbe potuto permettere di trattarla come un animale, una proprietà.
Incontrarono Monia, quasi per caso, talmente per caso che ci si chiese se il caso fosse possibile con tanta affinità.
Monia aveva quella bellezza tipica dell’età, la bellezza di una già raggiunta maturità ma senza ancora i difetti che l’esperienza può portare.
La ragazza, persona di carattere, desiderava l’appartenenza, desiderava l’affidamento, la sottomissione unita a quella protezione e dolcezza che può ricevere una cagna.
No, era sbagliato dire che lo desiderasse. Era più corretto dire che ne avesse bisogno per potersi sentire completa.
Non è facile decidere di sottomettersi. Non lo è.
Non è facile nemmeno dominare, che presuppone la conoscenza della dominata per capirne i confini, i contorni, la personalità. Occorre interagire, per possedere. Solo allora si può dominare ed usare.
La ragazza era spaventata dalla differenza di età, ma attratta dall’autorità e dall’esperienza che l’altra età avrebbe potuto avere, darle.
D’altro canto Simona e Fulvio, seppur attratti dalla bellezza che quella giovane età può dare in termini di estetica, erano preoccupati dai contenuti della complicità.
La differenza avrebbe potuto essere tale da non lasciare spazio a pensieri comuni, necessari ed indispensabili per la soddisfazione di esigenze condivise.
Due sassi lanciati in aria hanno poche possibilità di scontrarsi. Poche ma non nulle e loro si incontrarono.
Si frequentarono, conobbero ed approfondirono loro stessi.
Iniziarono con il parlare di sottomissione. Poi, conoscendosi, studiandosi, capendosi, videro in lei una cagna. Ne parlarono ed approfondirono anche questo nel quale la ragazza sempre più ci si trovava e che sempre più cominciava a desiderare e a sentire come impellente.
Nessuna regola, nessuno schema, niente che possa essere incompatibile con le cose umane, fatte di impalpabilità ed irrazionalità al punto da trovarsi ad essere concrete e reali.
Fecero anche un week end assieme, ma in stanze separate e senza ruoli, solo persone.
Per loro non era un modo di fare in maniera strana le cose normali. Per loro il dominio (e la speculare sottomissione) andava vissuto con naturalezza.
Vi sarebbero stati momenti in cui erano Padroni e cagna, Proprietari e schiava.
Vi sarebbero stati anche altri momenti.
Più si frequentavano e più entravano reciprocamente nella mente e nell’anima.
Più questo accadeva, più provavano eccitazione al pensiero di dare concretezza ai loro desideri.
Più i Padroni erano parte dell’anima della cagna, più per loro quella era la loro cagna e provavano il desiderio di averla.
La sensazione era speculare per la ragazza.
Alea iacta est. Il dado è tratto.
Quante volte nella vita ciò accade, a volta senza nemmeno accorgersene.
Questa volta no, la scelta era stata meditata, valutata, tanto che cuore, sesso e mente arrivarono al punto da non poter essere fermati, come una diga stracolma che non riesce più a contenere l’acqua che comincia a fuoriuscire ed è più semplice lasciarla andare e controllarla, che cercare di resisterle.
I Padroni volevano quella cagna.
La cagna voleva quei Padroni.
Gli incontri avrebbero anche potuto essere per più giorni consecutivi, utili per creare il feeling e viverlo.
Fuori faceva caldo ma venne lasciata sotto il sole. In casa si stava bene con l’aria condizionata.
Finalmente andò ad aprirle.
Si fermò sulla soglia guardandola più avanti, ancora prostrata sulla ghiaia. Doveva avere molto dolore.
Alla Padrona il suo dolore interessava nei limiti in cui testimoniava la sua proprietà, il suo potere di farglielo patire.
Alla cagna il dolore ricordava il potere altrui su di lei.
Tutto è sempre speculare.
Le due immagini danzano alla medesima musica, al punto da sembrare un riflesso.
“Avvicinati”.
La schiava si portò ai suoi piedi e iniziò a baciarle le scarpe.
La Padrona la guardava dall’alto. Era bella ed era loro, sua e di suo marito.
E’ una sensazione particolare la prima volta che una persona si prostra, si sottomette. I primi momenti inebriano, al pari di una eccessiva presenza di ossigeno causata da una frequente respirazione e che da quel senso di giramento alla testa.
Una è in piedi, vestita elegantemente.
L’altra è nuda, ai piedi della prima.
I contrasti sono parte delle sensazioni.
Sempre tutto speculare.
Faceva caldo.
Era stata nuda a contatto con la ghiaia.
I cani sporchi non stanno in casa. I cani sporchi stanno fuori, ma lei doveva entrare, doveva passare quella porta che l’avrebbe condotta oltre la sua soglia.
Simona la fece entrare e la mandò in bagno a lavarsi.
Rimase in bagno a lungo per godersi l’acqua ed i prodotti profumati, per cercare di placare i battiti e quel formicolio allo stomaco che la faceva respirare più in fretta.
Sarebbe stata sempre ubbidiente e docile. Sentiva il bisogno di essere ubbidiente e docile.
A disposizione trovò shampoo, balsamo, creme idratanti, tutto ciò che avrebbe potuto servirle, per essere bella per i Padroni.
Fece tutto con forzata calma. Doveva rilassarsi dalle grandi tensioni che l’avevano accompagnata a quella villa e da ciò che per lei avrebbe rappresentato.
Quando si ritenne pronta, uscì per andare dalla Padrona.
Era agitata. Stava per iniziare una nuova avventura, la prima da cagna.
Si ripromise nuovamente di servirli sempre al meglio, per compiacerli. Lei si sentiva di loro proprietà.
Si diresse a 4 zampe verso il salone, dove la Padrona le aveva detto che l’avrebbe aspettata.
Simona era seduta sul divano. Appena la schiava la vide le si contorse lo stomaco.
Quella donna sarebbe stata la sua Padrona, assieme al marito. Avrebbero potuto fare di lei tutto ciò che avrebbero voluto, per la soddisfazione delle loro esigenze e dei loro piaceri, disinteressandosi dei suoi.
Le tremarono le gambe.
Decise di stendersi sul ventre e di strisciare fino ai suoi piedi. Arrivata, le baciò le scarpe e poi pose la guancia a terra.
“Eccomi Padrona, sono sua”.
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