La cagna (parte II) – La nuova intimità
di
Kugher
genere
sadomaso
E’ sempre particolare quel momento in cui, per la prima volta, una schiava posa le ginocchia a terra.
E’ una porta, un confine varcato verso un mondo del quale faranno parte solo lei ed i Padroni, un mondo fatto di sensazioni ed emozioni, un mondo segreto il cui giardino verrà curato solo da loro.
La Padrona le mise il collare, apprezzando quell’istante in cui la schiava, spostando i capelli, offre il collo.
La cagna sentì il brivido quando la Padrona portò il collare a contatto della sua pelle.
Speculare.
Agganciato.
Il guinzaglio, quella catenella che unisce fisicamente la Padrona alla schiava, quel filo fisico, rappresentativo del filo delle emozioni.
Agganciato.
Il dado tratto aveva smesso di rotolare sul panno e si era fermato.
Le posizioni erano assunte, la proprietà definita.
“Baciami i piedi”.
La ragazza si chinò verso terra e pose le sue labbra sui piedi della donna, comodamente seduta davanti a lei.
Da tempo aveva desiderato quei piedi davanti ai suoi occhi, alle sue labbra.
Li accarezzò con la lingua e poi pose la fronte a terra.
Ci sarebbero stati momenti di dolore e di umiliazione, nulla che la sua anima non desiderasse.
“Stenditi a terra”.
Simona si alzò e pose la scarpa sulla guancia esposta.
La guardava dall’alto ed era eccitatissima.
Si tolse le scarpe e salì sulla schiena, cominciando a camminare su quel bel corpo.
Era bellissimo sentire un corpo umano sotto i propri piedi e camminarci sopra, sentire il duro-morbido del corpo, l’instabilità e lo sforzo di chi sta sotto di compensare i movimenti per non far cadere, il respiro affannato, il fiato che esce dai polmoni quando ci si posiziona sopra. A ciò si aggiunga che una persona viene destinata ad essere il tappeto di altra persona che cammina sopra a piacimento.
Sottomessa. Messa sotto.
Quella ragazza apparteneva a lei e a suo marito.
Quella ragazza, bella e corteggiata, da tempo desiderava trovarsi esattamente dove era adesso, sottomessa e sotto i piedi di quella persona.
Eccita la testa sentirsi proprietà di una persona che desidera averti schiava.
Eccita la testa avere la proprietà di una persona che desidera averti come proprietaria.
Speculare.
Per Simona era diverso dalle serate tra amici alle quali partecipavano a volte e nelle quali c’erano schiave e schiavi mai o poco conosciuti e che, alla fine, erano solo dei corpi coi quali divertirsi.
Il corpo, senza l’anima, è vuoto. Da orgasmo, ma è un piacere effimero.
Continuava a camminare sopra. Capiva che la schiava soffriva ma che sopportava in silenzio.
Era una presa forte di possesso.
Chi sta sopra e chi sta sotto.
Ritornò seduta sul divano.
“Accucciati ai miei piedi”.
La ragazza eseguì, senza parlare. Si accucciò con il viso verso i suoi piedi.
Simona prese un libro e continuò la lettura, comodamente seduta nell’ampio divano.
Il tempo, nella lettura, trascorse piacevolmente.
La Padrona aveva le gambe raccolte sotto di sé e la schiena appoggiata metà allo schienale e metà al bracciolo.
Sul tavolino aveva un bicchiere di acqua fresca.
A terra, vicina alle scarpe, c’era ancora accucciata la schiava nuda.
Sentirono l’auto entrare e parcheggiare in cortile e, poi, girare la chiave nella serratura.
Entrò Fulvio.
La cagna lo guardò e poi volse il suo sguardo alla Padrona la quale le sorrise.
“Vai a salutare il Padrone”.
Lui sapeva che era già arrivata. La moglie gli aveva detto che se la sarebbe tenuta ai piedi in attesa di lui.
La ragazza, a 4 zampe, andò dall’uomo, gli baciò le scarpe e strofinò il viso sulle gambe, muovendo le anche.
Il Padrone le sorrise e si chinò ad accarezzarle la testa ed il fianco. Lei gli diede una leccata sulla mano.
L’uomo si diresse a salutare la moglie, ancora sul divano.
“Ciao Amore”.
“Stanco?”
“Nella norma”.
Si sedette accanto a lei e la abbracciò.
La cagna era rimasta a quattro zampe davanti a loro.
A quel punto il Padrone le dedicò attenzioni, la guardò, la avvicinò a sé tirandole il guinzaglio che la moglie gli aveva passato. La accarezzò sulla testa, sulla schiena e sui fianchi.
La fece girare per guardarle le natiche e le prese in mano i seni, per apprezzarne la consistenza.
Fece conoscenza di tutto il suo corpo, quel corpo che gli apparteneva e col quale si sarebbe anche soddisfatto sessualmente.
“Guarda cosa ti ho portato”.
Fulvio si rivolse alla cagna e cercò nella tasca dei pantaloni.
Assieme al caffè gli avevano dato un biscotto confezionato. Lo scartò e lo gettò a terra. Lei ringraziò il Padrone baciandogli le scarpe e poi, raccogliendolo dal pavimento con la bocca, lo mangiò.
Si accucciò ai loro piedi, mentre i suoi Padroni parlavano di lei commentandola.
Il Padrone andò a farsi la doccia e Simona giocò un po’ con la cagna.
La portò anche a fare un giro per la casa, seguita a quattro zampe avendo cura di non fare mai tendere il guinzaglio. Ogni qual volta il guinzaglio si tendeva, la colpiva col frustino che aveva in mano. Doveva imparare a muoversi come il loro animale. Avrebbe dovuto essere lei a stare al loro passo, non viceversa.
Ogni volta che il guinzaglio si tendeva, il colpo col frustino aumentava di forza.
Nessuna parola, solo il colpo.
Durante l’intimità tipica che la cena sa donare, fecero accucciare la cagna vicino alla tavola, senza che le fosse stato legato il guinzaglio da qualche parte.
In una parte della cucina, vicino al muro, le avevano già messo la ciotola con l’acqua e quella che avrebbe contenuto i loro avanzi.
Prima di accucciarsi a terra, la schiava andò a bere e poi si posizionò vicino a loro.
Accadeva che ogni tanto le lanciassero a terra qualche boccone di cibo che mangiava volentieri.
Da quella sera scoprì che i suoi Padroni l’avrebbero lasciata sempre con un senso di fame, così che avrebbe gradito maggiormente ogni boccone gettato a terra.
Oltre a ciò, dipendere per il cibo da altra persona alimentava il senso di possesso e di appartenenza.
A volte andava a prendere il boccone dalle loro mani.
Non le mancarono le carezze sui capelli e sulla schiena.
Dopo cena Simona e Fulvio erano in sala, intenti a guardarsi un film.
Erano sul divano abbracciati, ancora innamoratissimi.
La schiava, dopo avere mangiato dalla ciotola gli avanzi della cena dei Padroni, era a terra, accucciata ai loro piedi, stesa su un fianco, raggomitolata su sé stessa e col viso verso di loro.
Sarebbe stato un quadretto abbastanza consueto quello in cui i coniugi, stanchi la sera, erano sul divano vicini con la cagna, nuda, ai loro piedi.
Aveva solo il collare. Ne avevano scelto uno di catena chiuso con un lucchettino.
Quella sera vollero provare la lingua della nuova schiava che si portarono in camera.
Una volta soddisfatti di come li avesse preparati, marito e moglie fecero l’amore, usandola solo alla fine, per farsi pulire, tutti complici di una sessualità che li univa.
E’ una porta, un confine varcato verso un mondo del quale faranno parte solo lei ed i Padroni, un mondo fatto di sensazioni ed emozioni, un mondo segreto il cui giardino verrà curato solo da loro.
La Padrona le mise il collare, apprezzando quell’istante in cui la schiava, spostando i capelli, offre il collo.
La cagna sentì il brivido quando la Padrona portò il collare a contatto della sua pelle.
Speculare.
Agganciato.
Il guinzaglio, quella catenella che unisce fisicamente la Padrona alla schiava, quel filo fisico, rappresentativo del filo delle emozioni.
Agganciato.
Il dado tratto aveva smesso di rotolare sul panno e si era fermato.
Le posizioni erano assunte, la proprietà definita.
“Baciami i piedi”.
La ragazza si chinò verso terra e pose le sue labbra sui piedi della donna, comodamente seduta davanti a lei.
Da tempo aveva desiderato quei piedi davanti ai suoi occhi, alle sue labbra.
Li accarezzò con la lingua e poi pose la fronte a terra.
Ci sarebbero stati momenti di dolore e di umiliazione, nulla che la sua anima non desiderasse.
“Stenditi a terra”.
Simona si alzò e pose la scarpa sulla guancia esposta.
La guardava dall’alto ed era eccitatissima.
Si tolse le scarpe e salì sulla schiena, cominciando a camminare su quel bel corpo.
Era bellissimo sentire un corpo umano sotto i propri piedi e camminarci sopra, sentire il duro-morbido del corpo, l’instabilità e lo sforzo di chi sta sotto di compensare i movimenti per non far cadere, il respiro affannato, il fiato che esce dai polmoni quando ci si posiziona sopra. A ciò si aggiunga che una persona viene destinata ad essere il tappeto di altra persona che cammina sopra a piacimento.
Sottomessa. Messa sotto.
Quella ragazza apparteneva a lei e a suo marito.
Quella ragazza, bella e corteggiata, da tempo desiderava trovarsi esattamente dove era adesso, sottomessa e sotto i piedi di quella persona.
Eccita la testa sentirsi proprietà di una persona che desidera averti schiava.
Eccita la testa avere la proprietà di una persona che desidera averti come proprietaria.
Speculare.
Per Simona era diverso dalle serate tra amici alle quali partecipavano a volte e nelle quali c’erano schiave e schiavi mai o poco conosciuti e che, alla fine, erano solo dei corpi coi quali divertirsi.
Il corpo, senza l’anima, è vuoto. Da orgasmo, ma è un piacere effimero.
Continuava a camminare sopra. Capiva che la schiava soffriva ma che sopportava in silenzio.
Era una presa forte di possesso.
Chi sta sopra e chi sta sotto.
Ritornò seduta sul divano.
“Accucciati ai miei piedi”.
La ragazza eseguì, senza parlare. Si accucciò con il viso verso i suoi piedi.
Simona prese un libro e continuò la lettura, comodamente seduta nell’ampio divano.
Il tempo, nella lettura, trascorse piacevolmente.
La Padrona aveva le gambe raccolte sotto di sé e la schiena appoggiata metà allo schienale e metà al bracciolo.
Sul tavolino aveva un bicchiere di acqua fresca.
A terra, vicina alle scarpe, c’era ancora accucciata la schiava nuda.
Sentirono l’auto entrare e parcheggiare in cortile e, poi, girare la chiave nella serratura.
Entrò Fulvio.
La cagna lo guardò e poi volse il suo sguardo alla Padrona la quale le sorrise.
“Vai a salutare il Padrone”.
Lui sapeva che era già arrivata. La moglie gli aveva detto che se la sarebbe tenuta ai piedi in attesa di lui.
La ragazza, a 4 zampe, andò dall’uomo, gli baciò le scarpe e strofinò il viso sulle gambe, muovendo le anche.
Il Padrone le sorrise e si chinò ad accarezzarle la testa ed il fianco. Lei gli diede una leccata sulla mano.
L’uomo si diresse a salutare la moglie, ancora sul divano.
“Ciao Amore”.
“Stanco?”
“Nella norma”.
Si sedette accanto a lei e la abbracciò.
La cagna era rimasta a quattro zampe davanti a loro.
A quel punto il Padrone le dedicò attenzioni, la guardò, la avvicinò a sé tirandole il guinzaglio che la moglie gli aveva passato. La accarezzò sulla testa, sulla schiena e sui fianchi.
La fece girare per guardarle le natiche e le prese in mano i seni, per apprezzarne la consistenza.
Fece conoscenza di tutto il suo corpo, quel corpo che gli apparteneva e col quale si sarebbe anche soddisfatto sessualmente.
“Guarda cosa ti ho portato”.
Fulvio si rivolse alla cagna e cercò nella tasca dei pantaloni.
Assieme al caffè gli avevano dato un biscotto confezionato. Lo scartò e lo gettò a terra. Lei ringraziò il Padrone baciandogli le scarpe e poi, raccogliendolo dal pavimento con la bocca, lo mangiò.
Si accucciò ai loro piedi, mentre i suoi Padroni parlavano di lei commentandola.
Il Padrone andò a farsi la doccia e Simona giocò un po’ con la cagna.
La portò anche a fare un giro per la casa, seguita a quattro zampe avendo cura di non fare mai tendere il guinzaglio. Ogni qual volta il guinzaglio si tendeva, la colpiva col frustino che aveva in mano. Doveva imparare a muoversi come il loro animale. Avrebbe dovuto essere lei a stare al loro passo, non viceversa.
Ogni volta che il guinzaglio si tendeva, il colpo col frustino aumentava di forza.
Nessuna parola, solo il colpo.
Durante l’intimità tipica che la cena sa donare, fecero accucciare la cagna vicino alla tavola, senza che le fosse stato legato il guinzaglio da qualche parte.
In una parte della cucina, vicino al muro, le avevano già messo la ciotola con l’acqua e quella che avrebbe contenuto i loro avanzi.
Prima di accucciarsi a terra, la schiava andò a bere e poi si posizionò vicino a loro.
Accadeva che ogni tanto le lanciassero a terra qualche boccone di cibo che mangiava volentieri.
Da quella sera scoprì che i suoi Padroni l’avrebbero lasciata sempre con un senso di fame, così che avrebbe gradito maggiormente ogni boccone gettato a terra.
Oltre a ciò, dipendere per il cibo da altra persona alimentava il senso di possesso e di appartenenza.
A volte andava a prendere il boccone dalle loro mani.
Non le mancarono le carezze sui capelli e sulla schiena.
Dopo cena Simona e Fulvio erano in sala, intenti a guardarsi un film.
Erano sul divano abbracciati, ancora innamoratissimi.
La schiava, dopo avere mangiato dalla ciotola gli avanzi della cena dei Padroni, era a terra, accucciata ai loro piedi, stesa su un fianco, raggomitolata su sé stessa e col viso verso di loro.
Sarebbe stato un quadretto abbastanza consueto quello in cui i coniugi, stanchi la sera, erano sul divano vicini con la cagna, nuda, ai loro piedi.
Aveva solo il collare. Ne avevano scelto uno di catena chiuso con un lucchettino.
Quella sera vollero provare la lingua della nuova schiava che si portarono in camera.
Una volta soddisfatti di come li avesse preparati, marito e moglie fecero l’amore, usandola solo alla fine, per farsi pulire, tutti complici di una sessualità che li univa.
2
voti
voti
valutazione
9.5
9.5
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
La cagna (parte I) - Immagini speculariracconto sucessivo
La cagna (parte III) – La preparazione per la scopata dei Padroni
Commenti dei lettori al racconto erotico