La cagna (parte III) – La preparazione per la scopata dei Padroni
di
Kugher
genere
sadomaso
I Padroni avevano ricavato in un sottoscala lo spazio per la loro cagna.
Avevano messo un materassino, un anello infisso nel muro per agganciare la catena, spazio per la ciotola dell’acqua e del cibo.
La Padrona era uscita ed aveva incatenato la schiava al suo posto.
Si assicurò di averle lasciato l’acqua, la accarezzò e se ne andò. Non disse nulla circa la sua uscita e, soprattutto, circa il suo ritorno.
Lasciare in casa la schiava incatenata crea un filo invisibile che unisce dominante e dominata in ogni istante della separazione, annullando la distanza fisica per rafforzare il rapporto di appartenenza.
Alla ragazza non restò che accucciarsi ed attendere.
L’attesa, il tempo, lascia spazio per riflettere.
Si era ceduta ai Padroni già da qualche mese. Il rapporto si era consolidato.
Avevano approfondito la loro conoscenza anche sulla base del nuovo rapporto, sicuramente forte.
Non avevano mai smesso di curare il lato umano, sempre essenziale, solo lo coltivavano in altri tempi e modi.
Il lato del dominio è solo uno dei tanti che compongono la figura dell’anima.
Ha la sua importanza, la sua grande importanza, ma non è mai esaustivo.
Non è sufficiente un piede sulla testa, un cazzo in bocca ed un guinzaglio tirato per possedere una cagna.
Occorre ben altro, occorre quel lato umano tanto indispensabile in tutti i rapporti. Occorre la condivisione dei pensieri e delle sensazioni.
I Padroni devono stare bene con la persona che vogliono tenere sotto i piedi.
La schiava deve stare bene con le persone sotto i cui piedi vuole stare.
Il rapporto che le loro anime spingono a vivere, però, è particolare ed ha bisogno di suoi tempi e suoi spazi.
Andavano al cinema, a teatro, al ristorante, a passeggiare.
Va detto che Monia, comunque, aveva sempre un poco di soggezione verso quella coppia.
Ridevano e, quando non si vedevano, si cercavano e chiamavano.
Però anche l’altra parte dell’anima aveva necessità di essere soddisfatta. Così, quando varcava quel cancello, non era l’amica, non era la commensale: era la schiava, la cagna, era la bella ragazza da sottomettere ed usare per la soddisfazione delle esigenze di chi la possedeva.
D’altro canto, Simona e Fulvio, per la ragazza, divenivano coloro che facevano respirare quella parte di lei che abbisognava di essere sottomessa, incatenata, usata per il semplice egoistico piacere dei Padroni.
La cagna rimase accucciata nel suo spazio. In attesa.
Si addormentò fino a quando non sentì aprire la porta di casa.
Era la Padrona. Aveva alcuni sacchetti in mano.
Le passò davanti senza salutarla, avendo fretta di posare i pacchi.
Sentì aprire il frigorifero e smuovere le cose all’interno.
Non sapeva quanto la Padrona fosse stata fuori. Non aveva orologio né dalla sua cuccia era possibile vederne uno.
Simona si prese una bibita fresca e la portò sul tavolino in sala.
Andò a prendere la cagna, le sciolse la catena e non le fece mancare quelle carezze che era solita destinarle al momento dei saluti, che fossero per la partenza o per il ritorno.
A 4 zampe se la portò in sala, tenendo il guinzaglio che ormai non aveva più momenti di tensione avendo imparato a stare al passo dei Padroni.
Si sedette comodamente in poltrona.
“Rinfrescami i piedi”.
Era un uso cui la destinava spesso. Le piaceva moltissimo farsi lavare e rilassare i piedi dalla sua lingua.
La ragazza obbedì mentre la Padrona accendeva il televisore e prendeva il bicchiere per dissetarsi.
Quando era fuori casa, si eccitava al sentirsi i piedi sudati nelle scarpe già pregustandosi il lavoro umiliante del suo animaletto.
Sapeva che agli inizi le sue estremità avevano il sapore del cuoio delle scarpe, ma sapeva anche che al termine del lavoro ogni traccia di sudore o di sapore sarebbe sparito per lasciare il piede pulito e, anche, rilassato.
Ebbe anche modo di appisolarsi, trovando la schiava al lavoro al suo risveglio. Monia sapeva che non avrebbe mai dovuto smettere di eseguire l’ordine.
Tornò anche Fulvio, tempo dopo.
Accarezzò distrattamente la schiava e poi la ignorò, sedendosi sulla poltrona vicino per scambiare alcune parole con la moglie.
Monia, nel frattempo, doveva continuare a leccare i piedi alla Padrona.
Si avvicinava l’ora di cena.
“Amore, vado a farmi una doccia e poi ceniamo? Ho fame”.
“Certo tesoro, è praticamente tutto pronto. Visto il caldo, tutti cibi freschi”.
“Se la schiava ha finito di servirti, me la porterei in bagno”.
“Certo, aspetta che prima mi faccio portare le pantofole”.
La schiava tornò poco dopo con quanto ordinatole tenendole in bocca e le infilò ai piedi della Padrona, posando sopra ancora un bacio.
Il marito si avviò, verso il bagno.
“Vieni, schiava”.
La ragazza si avviò a 4 zampe seguendolo.
Avrebbe dovuto servirlo nella svestizione, sistemargli i vestiti, dargli l’accappatoio, preparargli i vestiti dopo che si fosse lavato e, in ultimo, pulire il bagno.
Prima della doccia le appose ai capezzoli un paio di pinzette, unite da una catenina.
Gli piaceva sapere che durante il suo rilassamento la ragazza stava in una situazione di leggero costante dolore.
La fece sistemare accanto al water e urinò.
Usavano quasi sempre la schiava come carta igienica quando urinavano. Così, anche quella volta.
A lui piaceva, alla fine della minzione, trattenere un piccolo getto che completava poi nella bocca della ragazza che, ovviamente, doveva ingoiare tutto.
Al termine lo puliva tenendolo in bocca.
Decideva lui quando tirarlo fuori.
Solitamente lo lasciava fino al principio di indurimento.
Gli piacevano tante micro-eccitazioni ripetute durante il giorno.
La stessa sottile e diffusa eccitazione gli dava l’uso e la sottomissione della schiava.
Da quando ce l’avevano lui e sua moglie facevano sesso più spesso. La cagna, oltre ad eccitarli fisicamente, aveva anche aumentato la loro complicità.
Arrivavano infatti a sera molto eccitati.
All’uscita dalla doccia il Padrone pretendeva sempre che lei gli leccasse l’ano, i testicoli e un po’ il membro, quel tanto che bastava per stimolarlo.
Per l’ano gli piaceva farla stendere a terra e lui si accovacciava sulla sua bocca, con il viso rivolto verso i seni.
Così, mentre la schiava lo leccava e gli entrava nell’ano con la lingua, lui poteva accarezzarle il seno, i fianchi e, se aveva voglia, micro torture ai capezzoli tirando la catenina che univa le pinzette per divertirsi col suo dolore.
Adorava il lamento sotto il suo ano e le contorsioni del busto che non arrivavano mai a distogliere l’attenzione dall’uso della lingua.
A volte semplicemente accarezzava il bel corpo della giovane schiava.
Aveva quelle carezze tipiche di chi tocca la roba propria, la accarezza e la possiede. Carezze che sono anche delle conferme di possesso. Carezze che attestano la proprietà dei seni che vengono presi in mano e avvolti.
Quando aveva la lingua dentro, ogni tanto si sedeva sul viso sotto di lui sia per fare entrare meglio, sia per il piacere di stare seduto sul bel viso di una giovane ragazza. Si alzava solo quando sentiva che alla sottomessa mancava l’aria, creando così una diversa forma di controllo. Trovava eccitante restare seduto ancora qualche secondo dopo che la schiava aveva iniziato ad agitarsi.
Questo era fonte di tensione nella schiava che, quindi, teneva sempre i polmoni pieni, sapendo che da un momento all’altro il Padrone avrebbe potuto sedersi sopra.
Poi venne il turno dei testicoli. Inizialmente sempre stando accovacciato sulla bocca ma semplicemente spostandosi appena per consentire alla lingua di accarezzarli da sotto.
In quella posizione era anche più agevole che la ragazza li prendesse in bocca.
Nel frattempo la cagna doveva accarezzare il sesso del Padrone.
L’eccitazione cominciava a circolare nelle vene e sentiva il bisogno di dare maggiore concretezza.
Si sedette sulla sedia in bagno e la chiamò a sé, facendosi raggiungere a 4 zampe.
La schiava iniziò ad accarezzare i testicoli e a giocare con la lingua sul sesso e, poi, con le labbra.
Lo infilò appena in bocca sempre stuzzicandolo con la lingua mentre le mani sfioravano le palle.
Lo accarezzò ancora con lingua fino a prenderlo in bocca e, piano piano, farlo entrare fino in fondo, come sapeva che al Padrone piaceva.
Lui la lasciava fare. Da tempo le aveva insegnato ciò che a lui piaceva e lei ora dava esecuzione ai suoi insegnamenti.
Il cazzo raggiunse un buon grado di durezza e capiva che si stava avvicinando troppo al momento in cui sarebbe stato difficile smettere.
Quella sera voleva fare sesso con la moglie e la cagna in quel momento aveva solo il compito di prepararlo, di eccitarlo, come dopo, durante la cena, avrebbe dovuto eccitarli entrambi per prepararli al piacere sessuale.
La prese per i capelli e le tirò indietro la testa per farglielo uscire dalla bocca.
“Sei decisamente brava. Ci servirai ancora questa sera. Voglio scopare con Simona”.
Lei riuscì a dare l’ultimo colpetto di lingua sulla punta dell’erezione.
“Sì, Padrone”.
Lui le sorrise con lo sguardo carico di eccitazione.
Le piaceva molto eccitarli, prepararli, portarli vicino al punto in cui non avrebbero potuto fermarsi e farsi fermare da loro.
Le piaceva essere il loro strumento di piacere per le loro scopate.
Le piaceva pulirli dopo.
Avevano messo un materassino, un anello infisso nel muro per agganciare la catena, spazio per la ciotola dell’acqua e del cibo.
La Padrona era uscita ed aveva incatenato la schiava al suo posto.
Si assicurò di averle lasciato l’acqua, la accarezzò e se ne andò. Non disse nulla circa la sua uscita e, soprattutto, circa il suo ritorno.
Lasciare in casa la schiava incatenata crea un filo invisibile che unisce dominante e dominata in ogni istante della separazione, annullando la distanza fisica per rafforzare il rapporto di appartenenza.
Alla ragazza non restò che accucciarsi ed attendere.
L’attesa, il tempo, lascia spazio per riflettere.
Si era ceduta ai Padroni già da qualche mese. Il rapporto si era consolidato.
Avevano approfondito la loro conoscenza anche sulla base del nuovo rapporto, sicuramente forte.
Non avevano mai smesso di curare il lato umano, sempre essenziale, solo lo coltivavano in altri tempi e modi.
Il lato del dominio è solo uno dei tanti che compongono la figura dell’anima.
Ha la sua importanza, la sua grande importanza, ma non è mai esaustivo.
Non è sufficiente un piede sulla testa, un cazzo in bocca ed un guinzaglio tirato per possedere una cagna.
Occorre ben altro, occorre quel lato umano tanto indispensabile in tutti i rapporti. Occorre la condivisione dei pensieri e delle sensazioni.
I Padroni devono stare bene con la persona che vogliono tenere sotto i piedi.
La schiava deve stare bene con le persone sotto i cui piedi vuole stare.
Il rapporto che le loro anime spingono a vivere, però, è particolare ed ha bisogno di suoi tempi e suoi spazi.
Andavano al cinema, a teatro, al ristorante, a passeggiare.
Va detto che Monia, comunque, aveva sempre un poco di soggezione verso quella coppia.
Ridevano e, quando non si vedevano, si cercavano e chiamavano.
Però anche l’altra parte dell’anima aveva necessità di essere soddisfatta. Così, quando varcava quel cancello, non era l’amica, non era la commensale: era la schiava, la cagna, era la bella ragazza da sottomettere ed usare per la soddisfazione delle esigenze di chi la possedeva.
D’altro canto, Simona e Fulvio, per la ragazza, divenivano coloro che facevano respirare quella parte di lei che abbisognava di essere sottomessa, incatenata, usata per il semplice egoistico piacere dei Padroni.
La cagna rimase accucciata nel suo spazio. In attesa.
Si addormentò fino a quando non sentì aprire la porta di casa.
Era la Padrona. Aveva alcuni sacchetti in mano.
Le passò davanti senza salutarla, avendo fretta di posare i pacchi.
Sentì aprire il frigorifero e smuovere le cose all’interno.
Non sapeva quanto la Padrona fosse stata fuori. Non aveva orologio né dalla sua cuccia era possibile vederne uno.
Simona si prese una bibita fresca e la portò sul tavolino in sala.
Andò a prendere la cagna, le sciolse la catena e non le fece mancare quelle carezze che era solita destinarle al momento dei saluti, che fossero per la partenza o per il ritorno.
A 4 zampe se la portò in sala, tenendo il guinzaglio che ormai non aveva più momenti di tensione avendo imparato a stare al passo dei Padroni.
Si sedette comodamente in poltrona.
“Rinfrescami i piedi”.
Era un uso cui la destinava spesso. Le piaceva moltissimo farsi lavare e rilassare i piedi dalla sua lingua.
La ragazza obbedì mentre la Padrona accendeva il televisore e prendeva il bicchiere per dissetarsi.
Quando era fuori casa, si eccitava al sentirsi i piedi sudati nelle scarpe già pregustandosi il lavoro umiliante del suo animaletto.
Sapeva che agli inizi le sue estremità avevano il sapore del cuoio delle scarpe, ma sapeva anche che al termine del lavoro ogni traccia di sudore o di sapore sarebbe sparito per lasciare il piede pulito e, anche, rilassato.
Ebbe anche modo di appisolarsi, trovando la schiava al lavoro al suo risveglio. Monia sapeva che non avrebbe mai dovuto smettere di eseguire l’ordine.
Tornò anche Fulvio, tempo dopo.
Accarezzò distrattamente la schiava e poi la ignorò, sedendosi sulla poltrona vicino per scambiare alcune parole con la moglie.
Monia, nel frattempo, doveva continuare a leccare i piedi alla Padrona.
Si avvicinava l’ora di cena.
“Amore, vado a farmi una doccia e poi ceniamo? Ho fame”.
“Certo tesoro, è praticamente tutto pronto. Visto il caldo, tutti cibi freschi”.
“Se la schiava ha finito di servirti, me la porterei in bagno”.
“Certo, aspetta che prima mi faccio portare le pantofole”.
La schiava tornò poco dopo con quanto ordinatole tenendole in bocca e le infilò ai piedi della Padrona, posando sopra ancora un bacio.
Il marito si avviò, verso il bagno.
“Vieni, schiava”.
La ragazza si avviò a 4 zampe seguendolo.
Avrebbe dovuto servirlo nella svestizione, sistemargli i vestiti, dargli l’accappatoio, preparargli i vestiti dopo che si fosse lavato e, in ultimo, pulire il bagno.
Prima della doccia le appose ai capezzoli un paio di pinzette, unite da una catenina.
Gli piaceva sapere che durante il suo rilassamento la ragazza stava in una situazione di leggero costante dolore.
La fece sistemare accanto al water e urinò.
Usavano quasi sempre la schiava come carta igienica quando urinavano. Così, anche quella volta.
A lui piaceva, alla fine della minzione, trattenere un piccolo getto che completava poi nella bocca della ragazza che, ovviamente, doveva ingoiare tutto.
Al termine lo puliva tenendolo in bocca.
Decideva lui quando tirarlo fuori.
Solitamente lo lasciava fino al principio di indurimento.
Gli piacevano tante micro-eccitazioni ripetute durante il giorno.
La stessa sottile e diffusa eccitazione gli dava l’uso e la sottomissione della schiava.
Da quando ce l’avevano lui e sua moglie facevano sesso più spesso. La cagna, oltre ad eccitarli fisicamente, aveva anche aumentato la loro complicità.
Arrivavano infatti a sera molto eccitati.
All’uscita dalla doccia il Padrone pretendeva sempre che lei gli leccasse l’ano, i testicoli e un po’ il membro, quel tanto che bastava per stimolarlo.
Per l’ano gli piaceva farla stendere a terra e lui si accovacciava sulla sua bocca, con il viso rivolto verso i seni.
Così, mentre la schiava lo leccava e gli entrava nell’ano con la lingua, lui poteva accarezzarle il seno, i fianchi e, se aveva voglia, micro torture ai capezzoli tirando la catenina che univa le pinzette per divertirsi col suo dolore.
Adorava il lamento sotto il suo ano e le contorsioni del busto che non arrivavano mai a distogliere l’attenzione dall’uso della lingua.
A volte semplicemente accarezzava il bel corpo della giovane schiava.
Aveva quelle carezze tipiche di chi tocca la roba propria, la accarezza e la possiede. Carezze che sono anche delle conferme di possesso. Carezze che attestano la proprietà dei seni che vengono presi in mano e avvolti.
Quando aveva la lingua dentro, ogni tanto si sedeva sul viso sotto di lui sia per fare entrare meglio, sia per il piacere di stare seduto sul bel viso di una giovane ragazza. Si alzava solo quando sentiva che alla sottomessa mancava l’aria, creando così una diversa forma di controllo. Trovava eccitante restare seduto ancora qualche secondo dopo che la schiava aveva iniziato ad agitarsi.
Questo era fonte di tensione nella schiava che, quindi, teneva sempre i polmoni pieni, sapendo che da un momento all’altro il Padrone avrebbe potuto sedersi sopra.
Poi venne il turno dei testicoli. Inizialmente sempre stando accovacciato sulla bocca ma semplicemente spostandosi appena per consentire alla lingua di accarezzarli da sotto.
In quella posizione era anche più agevole che la ragazza li prendesse in bocca.
Nel frattempo la cagna doveva accarezzare il sesso del Padrone.
L’eccitazione cominciava a circolare nelle vene e sentiva il bisogno di dare maggiore concretezza.
Si sedette sulla sedia in bagno e la chiamò a sé, facendosi raggiungere a 4 zampe.
La schiava iniziò ad accarezzare i testicoli e a giocare con la lingua sul sesso e, poi, con le labbra.
Lo infilò appena in bocca sempre stuzzicandolo con la lingua mentre le mani sfioravano le palle.
Lo accarezzò ancora con lingua fino a prenderlo in bocca e, piano piano, farlo entrare fino in fondo, come sapeva che al Padrone piaceva.
Lui la lasciava fare. Da tempo le aveva insegnato ciò che a lui piaceva e lei ora dava esecuzione ai suoi insegnamenti.
Il cazzo raggiunse un buon grado di durezza e capiva che si stava avvicinando troppo al momento in cui sarebbe stato difficile smettere.
Quella sera voleva fare sesso con la moglie e la cagna in quel momento aveva solo il compito di prepararlo, di eccitarlo, come dopo, durante la cena, avrebbe dovuto eccitarli entrambi per prepararli al piacere sessuale.
La prese per i capelli e le tirò indietro la testa per farglielo uscire dalla bocca.
“Sei decisamente brava. Ci servirai ancora questa sera. Voglio scopare con Simona”.
Lei riuscì a dare l’ultimo colpetto di lingua sulla punta dell’erezione.
“Sì, Padrone”.
Lui le sorrise con lo sguardo carico di eccitazione.
Le piaceva molto eccitarli, prepararli, portarli vicino al punto in cui non avrebbero potuto fermarsi e farsi fermare da loro.
Le piaceva essere il loro strumento di piacere per le loro scopate.
Le piaceva pulirli dopo.
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