Il Bull e la coppia schiava (parte 1)

di
genere
sadomaso

Monica stava pensando quale profumo avrebbe potuto usare.
Attribuiva ad agitazione e nervosismo ciò che, in realtà, era eccitazione, anche se strana, di quella che parte dalla testa prima che dagli organi sessuali, quella che fa tremare la bocca dello stomaco, un po’ come quando si sale, lentamente, il primo dislivello nelle montagne russe, in attesa di giungere in cima e poi cadere nel vuoto.
I primi caldi erano finalmente arrivati. Il tipico risveglio ormonale della primavera arrivava dopo il sopimento dell’inverno, inteso quale stagione fredda, ferma, quale è stato il periodo con il marito. Da troppo tempo non provava più forti emozioni erotiche con lui.
Decise di non mettere mutandine e reggiseno ma di profumarsi il collo e tra i seni.
Sapeva però che non sarebbe stato sufficiente: avrebbe dovuto spruzzarsi il profumo anche sulla figa.
Era l’ordine di Simone, il Master o, come preferiva essere chiamato lui, il Padrone.
Simone per lei rappresentava i suoi feromoni agitati, la primavera, l’uscita dal lungo inverno nel quale i suoi istinti erano rimasti coperti dalla coltre di neve invernale, fredda, dalla coltre troppo spessa.
L’avventura che sarebbe iniziata quella sera era nata mesi addietro, per gioco, per provocazione, per noia, per voglia di provare sensazioni nuove, per desiderio di vivere emozioni, tutte finte scuse per reggere la scusa più grande, quella di ridare vita al matrimonio che da tempo era in discesa.
“Matteo, dobbiamo eseguire l’ordine del Padrone”.
L’evidenza dell’alibi che si erano dati, sarebbe emersa nella sua pienezza se solo si fosse resa conto che il compimento di quell’atto era determinato dal suo piacere, dalla sua emozione, dalla sua eccitazione, senza pensare a quello che avrebbe potuto provare suo marito.
L’idea di essere ceduta dal coniuge alle voglie ed alle esigenze di uno sconosciuto, la eccitava da impazzire. Era un pensiero che le entrava diretta nello stomaco, senza passare dal cervello per recarsi alla figa, bagnata già dalla sera precedente, quando si era coricata con l’entusiasmo di chi stava per vivere un'esperienza nuova.
La eccitava pure l’idea che il marito sarebbe stato presente e sarebbe spettato a lui collaborare per la sua preparazione.
Sarebbe stato un evento che, separatamente, avrebbero vissuto assieme.
Le dava una strana sensazione dover ubbidire ad un ordine in assenza del Padrone. Questa circostanza le aumentava il piacere della costrizione alla quale si era offerta, anzi, ceduta, volontariamente.
“Prima di uscire tuo marito ti deve spruzzare il profumo sulla figa mentre, in autoreggenti e tacchi a spillo, sei stesa sul vostro letto ornato da un lenzuolo bianco, pulito”.
L’ordine era preciso ed invadente, in quanto voleva andare a violare molteplici intimità della coppia.
La preparazione alla cessione di una parte della coppia con la complicità dell’altra, era iniziata con l’asportazione delle lenzuola usate per la notte, che raccoglievano l’odore ed il calore dei coniugi, con nuove, intonse, bianche, che nelle loro fibre non avessero nulla dell’intimità della coppia.
Entrambi avevano contribuito a preparare e a sistemare il letto con quelle nuove, come per segnare una svolta, un cambio, un territorio vergine nel quale, con l’esecuzione dell’ordine, altra persona avrebbe fatto ingresso con la sua autorità.
Monica si era vestita o, meglio, svestita come il Padrone voleva, con un abbigliamento tale che avrebbe anticipato il destino di quel corpo giovane.
La donna si stese sulla schiena e allargò le gambe, non oscenamente ma abbastanza per avere coscienza che quel sesso stava per entrare nella disponibilità di altri.
Il marito si inginocchiò a terra, tra le cosce delle quali aveva già perso l’accesso.
Il profumo preferito dalla moglie venne spruzzato sulla figa. L’alcol in esso contenuto fece contrarre i muscoli già tesi della donna che inarcò la schiena e tra le mani strinse le lenzuola che, in quel momento, avevano iniziato a perdere la verginità ad opera di persona che in quel momento non era in quella stanza.
Restò ferma nel suo dolore, conservando le cosce aperte come le era stato imposto, in modo da vincere con la volontà altrui la ribellione del proprio corpo.
Se Monica avesse potuto osservare la nudità del marito inginocchiato tra le sue cosce, avrebbe potuto vedere che l’azione non era rimasta priva di effetti, denunziando l’eccitazione cui quella serata sembrava andare incontro.
Quel semplice atto aveva consentito a Simone, al Padrone, di violare il corpo della donna nella sua parte più intima, consegnandola ad un dolore provocato dalla coppia stessa che, così, era stata violata sul talamo, depositario della più segreta intimità dei coniugi.
L’abito nero, aderente, conferiva sobrietà ad una serata deputata all’esatto opposto.
I coniugi uscirono esattamente all’orario indicato, avendo consegnato al Padrone anche la gestione del loro tempo, oltre che dei loro corpi e delle loro emozioni.
Prima di uscire Monica gettò lo sguardo a tutte le fotografie ritraenti la coppia, rovesciate in modo da lasciare l’immagine nascosta, quasi a voler cancellare, con un atto non provvisorio, quell’unità che il matrimonio crea.
di
scritto il
2024-09-12
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