La figlia del socio (parte 7)
di
Kugher
genere
sadomaso
Quella schiava non piaceva particolarmente a Mattia.
Oddio, era bella, anzi, sicuramente gnocca e sapeva che effetto faceva il suo giovane corpo sull’amico che, in quel momento, le stava spingendo il piede in bocca.
A lui non trasmetteva granché. Gli piacevano più in carne. Adorava sentire affondare le mani nella carne, adorava il suono pieno del frustino sulle natiche e sulla schiena, adorava il seno abbondante stretto nel reggiseno. Lo facevano impazzire i capezzoli delle tettone stretti tra le dita fino a vedere le lacrime nei loro occhi fedeli e succubi.
Per lui Simone era un “ibrido”. Era stato Mattia a fargli scoprire il piacere del dominio, di avere una ragazza che striscia ai propri piedi e con la quale fare ciò che si vuole, dal semplice servizio a tavola, nuda, alla frustata mentre la si scopa. A Simone, però, piaceva anche il sesso tradizione, dedicato a donne più vicine alla loro età, quelle mature con le quali lui nemmeno voleva pensare di avere rapporti.
Mattia no, a lui piaceva solo il dominio. Si eccitava con le ragazze incatenate e legate, sottomesse, schiave.
Voleva Micaela perché non sopportava suo padre, il suo socio.
Sapeva che Simone aveva stima di quell’uomo e che, come gli aveva confessato una sera davanti a qualche whisky di troppo, gli ricordava l’educazione che il padre gli aveva impartito.
Era stato Simone a volerlo in società, in un momento in cui era necessario avere una mente ferma, rigida, che ricordasse a Mattia che occorreva avere freni e a Simone che la disciplina, che gli stava venendo sempre meno, era in grado di stimolare al meglio la sua mente geniale nel lavoro.
Sapeva tutto questo, Mattia, però non lo sopportava, pur comprendendo le potenzialità ed i benefici che aveva portato all’azienda.
Si stava eccitando moltissimo all'idea di avere ai piedi la sua figlioletta adorata.
Si sentiva il cazzo scoppiare dal piacere. Tolse il piede dalla figa e lo appoggiò sulla catenella, nel punto in cui si univano i morsetti attaccati alle grandi labbra.
La ragazza sentì il piede e la lieve tensione verso il basso e si irrigidì, avendo sicuramente capito cosa stava per accadere.
Mattia cominciò a spingere verso il basso il piede appoggiato alla catenella, tirando così i morsetti che amplificavano il dolore alla schiavetta.
La ragazza istintivamente strinse i denti sulle dita del piede di Simone che le erano entrate in bocca.
L’uomo l’aveva forzata ad allargare al massimo le labbra per fare entrare quante più dita possibili in bocca.
“Puttana, le dita!”.
La frusta la colse mentre la sua attenzione era su quei maledetti morsetti che tiravano verso il basso.
Era incapace di muoversi.
In testa aveva troppi pensieri.
Sentiva il dolore dei morsetti. Si concentrava sul tavolino che reggeva sulla schiena e cercava di concentrarsi su quel cazzo di piede che aveva in bocca.
Non sapeva più a cosa dedicare maggiore attenzione.
Se pensava a quei cazzo di morsetti che sembrava le stessero strappando la figa, stringeva i denti e questo le costava una frustata.
Aveva il timore di far cadere il tavolino e si vedeva con le ginocchia sopra i vetri della bottiglia mentre leccava il pavimento.
Così si concentrò sull’immobilità. In quel momento, dopo avere ristabilito l’equilibrio, l’uomo dietro di lei premette col piede sulla catenella.
Eppure non ebbe il pensiero di ribellarsi, di andarsene, di mandare tutti affanculo. Pensava solo ad ubbidire, sentensodsi precipitare nel vortice di quell’avventura cercata e voluta fortemente, proprio con quei due uomini che le garantivano il piacere del superpropibito, del divieto assoluto da infrangere, della barriera delle remore infranta per il piacere della carne, del sesso, della figa bagnata che nonostante tutto si sentiva in quel momento.
Quasi non si accorse di non avere più in bocca il piede di Simone il quale le tolse il tavolino dalla schiena, segnale che qualcosa sarebbe cambiato e del loro intendimento di alzare il livello del divertimento.
La schiava era rimasta a quattro zampe. Adesso anche il piede di Simone era sulla catenella e spingeva verso il basso, quasi volesse strappare i capezzoli con quei cazzo di morsetti che glieli tiravano in basso, verso quel pavimento sempre distante perché non voleva abbassare le braccia.
Le braccia, ferme, in modo che il Padrone potesse tirare verso il basso la catenella col piede. Se avesse portato il busto a terra sarebbe venuto meno il dolore ma non aveva ricevuto quell’ordine.
L’ordine, il volere altrui, la cessione del potere, il potere altrui. Cazzo se la eccitava questa cosa, sentirsi un pezzo di carne, proprio lei, abituata a fare ciò che voleva con i giovani maschietti che le ronzavano intorno.
Ubbidire, adesso era il suo unico pensiero.
Più sentiva dolore più si sentiva il sangue circolare ed il livello del piacere che dava altro sapore al dolore provocato dai quei piedi che sicuramente stavano trasmettendo eccitazione ai rispettivi cazzi.
Oddio, era bella, anzi, sicuramente gnocca e sapeva che effetto faceva il suo giovane corpo sull’amico che, in quel momento, le stava spingendo il piede in bocca.
A lui non trasmetteva granché. Gli piacevano più in carne. Adorava sentire affondare le mani nella carne, adorava il suono pieno del frustino sulle natiche e sulla schiena, adorava il seno abbondante stretto nel reggiseno. Lo facevano impazzire i capezzoli delle tettone stretti tra le dita fino a vedere le lacrime nei loro occhi fedeli e succubi.
Per lui Simone era un “ibrido”. Era stato Mattia a fargli scoprire il piacere del dominio, di avere una ragazza che striscia ai propri piedi e con la quale fare ciò che si vuole, dal semplice servizio a tavola, nuda, alla frustata mentre la si scopa. A Simone, però, piaceva anche il sesso tradizione, dedicato a donne più vicine alla loro età, quelle mature con le quali lui nemmeno voleva pensare di avere rapporti.
Mattia no, a lui piaceva solo il dominio. Si eccitava con le ragazze incatenate e legate, sottomesse, schiave.
Voleva Micaela perché non sopportava suo padre, il suo socio.
Sapeva che Simone aveva stima di quell’uomo e che, come gli aveva confessato una sera davanti a qualche whisky di troppo, gli ricordava l’educazione che il padre gli aveva impartito.
Era stato Simone a volerlo in società, in un momento in cui era necessario avere una mente ferma, rigida, che ricordasse a Mattia che occorreva avere freni e a Simone che la disciplina, che gli stava venendo sempre meno, era in grado di stimolare al meglio la sua mente geniale nel lavoro.
Sapeva tutto questo, Mattia, però non lo sopportava, pur comprendendo le potenzialità ed i benefici che aveva portato all’azienda.
Si stava eccitando moltissimo all'idea di avere ai piedi la sua figlioletta adorata.
Si sentiva il cazzo scoppiare dal piacere. Tolse il piede dalla figa e lo appoggiò sulla catenella, nel punto in cui si univano i morsetti attaccati alle grandi labbra.
La ragazza sentì il piede e la lieve tensione verso il basso e si irrigidì, avendo sicuramente capito cosa stava per accadere.
Mattia cominciò a spingere verso il basso il piede appoggiato alla catenella, tirando così i morsetti che amplificavano il dolore alla schiavetta.
La ragazza istintivamente strinse i denti sulle dita del piede di Simone che le erano entrate in bocca.
L’uomo l’aveva forzata ad allargare al massimo le labbra per fare entrare quante più dita possibili in bocca.
“Puttana, le dita!”.
La frusta la colse mentre la sua attenzione era su quei maledetti morsetti che tiravano verso il basso.
Era incapace di muoversi.
In testa aveva troppi pensieri.
Sentiva il dolore dei morsetti. Si concentrava sul tavolino che reggeva sulla schiena e cercava di concentrarsi su quel cazzo di piede che aveva in bocca.
Non sapeva più a cosa dedicare maggiore attenzione.
Se pensava a quei cazzo di morsetti che sembrava le stessero strappando la figa, stringeva i denti e questo le costava una frustata.
Aveva il timore di far cadere il tavolino e si vedeva con le ginocchia sopra i vetri della bottiglia mentre leccava il pavimento.
Così si concentrò sull’immobilità. In quel momento, dopo avere ristabilito l’equilibrio, l’uomo dietro di lei premette col piede sulla catenella.
Eppure non ebbe il pensiero di ribellarsi, di andarsene, di mandare tutti affanculo. Pensava solo ad ubbidire, sentensodsi precipitare nel vortice di quell’avventura cercata e voluta fortemente, proprio con quei due uomini che le garantivano il piacere del superpropibito, del divieto assoluto da infrangere, della barriera delle remore infranta per il piacere della carne, del sesso, della figa bagnata che nonostante tutto si sentiva in quel momento.
Quasi non si accorse di non avere più in bocca il piede di Simone il quale le tolse il tavolino dalla schiena, segnale che qualcosa sarebbe cambiato e del loro intendimento di alzare il livello del divertimento.
La schiava era rimasta a quattro zampe. Adesso anche il piede di Simone era sulla catenella e spingeva verso il basso, quasi volesse strappare i capezzoli con quei cazzo di morsetti che glieli tiravano in basso, verso quel pavimento sempre distante perché non voleva abbassare le braccia.
Le braccia, ferme, in modo che il Padrone potesse tirare verso il basso la catenella col piede. Se avesse portato il busto a terra sarebbe venuto meno il dolore ma non aveva ricevuto quell’ordine.
L’ordine, il volere altrui, la cessione del potere, il potere altrui. Cazzo se la eccitava questa cosa, sentirsi un pezzo di carne, proprio lei, abituata a fare ciò che voleva con i giovani maschietti che le ronzavano intorno.
Ubbidire, adesso era il suo unico pensiero.
Più sentiva dolore più si sentiva il sangue circolare ed il livello del piacere che dava altro sapore al dolore provocato dai quei piedi che sicuramente stavano trasmettendo eccitazione ai rispettivi cazzi.
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