Terra mia

di
genere
sentimentali

Irene volse lo sguardo al fienile nel quale erano ospiti all’insaputa dei proprietari.
Stava ancora assaporando la sensazione di estremo rilassamento che l’orgasmo le regala, sciogliendo dal corpo ogni tensione, lasciandola con la mente leggera.
Erano stesi sulla coperta che lei teneva sempre in macchina. Il suo fidanzato l’aveva presa in giro chiedendole se le serviva per la camporella. Le battute avevano in lei sempre l’effetto di stimolare risposte pungenti, soprattutto quando chi provoca non pensa, o non è pronto, alla possibile risposta: “certo, mica penserai di essere stato l’unico uomo della mia vita”. Le aveva dato piacere la risatina forzata e, soprattutto, spiazzata di Matteo.
La donna si spostò leggermente alla ricerca di posizione più comoda. Si voltò a guardare il suo compagno che, come al solito, dopo il sesso si addormentava.
Il fienile era in disuso e, con i suoi dettagli, narrava di una storia passata, storia di persone e anche di animali, per le cui emozioni lei aveva gran rispetto, avendo imparato a conoscerle.
Franco, il proprietario, le aveva detto che pensava di ricavare un ristorante, tipo agriturismo. Andava di moda. Alcuni della zona lo avevano già fatto e rendeva.
Dalla sua postazione riusciva a vedere fuori. Era già nata la luna e la immaginava splendere sugli uliveti. Conosceva bene quel panorama che si soffermava spesso ad ammirare, così sconosciuto alla città nella quale viveva. Chiuse gli occhi e lo immaginò, sapendo che era appena lì fuori, le sarebbe bastato uscire da quel locale per vederlo.
C’era silenzio, quello tipico della campagna, quando i grossi trattori hanno finito il loro lavoro.
In lontananza sentì un bimbo piangere. Era Mirko, di pochi mesi. Immaginò la sua mamma, Monica, che si ostinava ad allattarlo con il suo seno magro, ancora conseguenza dell’anoressia della quale aveva sofferto.
Si voltò a guardare Matteo.
No, decisamente lei non voleva un figlio.
La sua mente si fermò alla non volontà, senza indagare se quella decisione fosse assoluta o dovuta ai sentimenti che sentiva vacillare verso il suo compagno.
Ritornò il silenzio. Si sentivano solo i grilli ma, per lei, i grilli erano parte del silenzio, perché il loro canto ne costituiva il sottofondo, lo cullava, quasi quegli animaletti ne fossero i custodi.
Suo nonno, Domenico, le raccontava che ai suoi tempi c’erano anche le lucciole, la sera, nel prato, anche vicino casa, ed era bellissimo osservarle mentre danzavano, creando giochi di luce nel buio non violato dall'inquinamento luminoso.
“Nonno, anche qui in città ci sono le lucciole”.
Lui non era mai riuscito ad abituarsi alla città, sentendosi sempre un intruso, come se fosse lì per caso, lontano dalla sua terra, terra della quale le raccontava le bellezze insegnandole a cercare i particolari che racchiudono le storie di un paese.
Il nonno, contadino inurbato, abitava pochi isolati lontano da lei, in quella caotica città. Trascorreva con lui il tempo che la frenetica vita le consentiva di ritagliarsi. Amava ascoltare le sue storie, le storie di quella terra dove adesso lei si trovava e che lui definiva “amara”, dalla quale, dolorosamente, aveva dovuto scappare, fuggire da quei cieli infiniti quando gli abitanti avevano volti come pietra, arrabbiato con quella terra che l’aveva costretto ad andarsene, ma che tanto amava e che definiva “terra mia”. Era ancora giovane quando, con le mani incallite e senza speranza, era andato in città a cercare lavoro in fabbrica.
Irene provò commozione nel pensare a suo nonno che era riuscito a tornare nella sua amata terra poco prima di morire, finalmente a casa, per ricongiungersi con essa e fare pace.
Scacciò quei pensieri e si soffermò a guardare la scala di legno appoggiata alla parete. Nei pioli più alti c’era ancora la corda di paglia con la quale Matteo l’aveva legata col busto alla scala e, così immobilizzata, l’aveva denudata.
Per l’uomo quella era stata una novità, non solo il fienile, ma anche la legatura. Doveva essergli piaciuto molto in quanto, dopo averla legata, aveva già il pene durissimo e non aveva atteso tempo per penetrarla, quasi fosse preso da un’urgenza non rinviabile.
Era piaciuto molto anche a lei.
Sorrise nell’immaginare i pensieri del suo compagno che avrebbe avuto (forse) la conferma sull’uso della coperta per la camporella.
Dovevano ricordarsi di togliere dalla scala a pioli le prove dell’uso erotico. Con un pizzico di amaro, lei avrebbe preferito se l’idea del fienile e della scala fosse stata di Matteo che, con impeto, l’avesse trascinata lì dentro per legarla nonostante la sua (finta) resistenza.
Invece aveva dovuto trascinarlo lei in quel posto.
“Dai cittadino, stai tranquillo, seguimi, adesso per le campagne non c'è più nessuno, non ci scopriranno e sarà divertente il brivido di violare una regola”.
“Cittadino”, lo chiamava sempre così quando voleva prenderlo in giro, forte della sua fierezza delle sue origini campagnole.
Era cambiata quella terra, gli uliveti e i vigneti ne avevano fatto la fortuna, una terra alla quale, verso sera, il sole, che ancora accarezza la valle e la collina, regala ulteriore bellezza.
Ripensò a Matteo. Quell’uomo non le “stimolava” la testa e, questo, per lei era un limite fortissimo all’interno del rapporto.
La settimana di ferie trascorsa nella casa del nonno, invece di avvicinarla al suo compagno, l’aveva avvicinata maggiormente a quella terra, alla sua gente che camminava lentamente e che la salutava incontrandola, riconoscendo in lei la nipote di Domenico e la bambina che con quell’uomo trascorreva le ferie estive.
Fu strappata dai suoi pensieri dal braccio con il quale il compagno l’aveva cercata per abbracciarla in un contatto che, seppur non respinto, l’aveva infastidita un poco, quasi fosse stato una invadenza nell’intimità dei suoi ricordi.
Quel contatto le provocò qualcosa che non si aspettava o, almeno, non lo aspettava in quel momento.
Sentì che la confusione che aveva dentro aveva appena trovato un ordine, un ordine che forse aveva sempre avuto ma che lei non vedeva, un ordine maturato col tempo, con tanti tasselli e tanti pensieri isolati che, piano piano, avevano preso posto ordinato nella sua libreria interiore.
“Matteo, io domani non torno in città. Io resto qui, in questa terra che sento mia”.
di
scritto il
2024-10-02
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