Serve improvvisate (parte 1)

di
genere
sadomaso

I vestiti sul letto erano sparsi in apparente disordine.
Eliana ne aveva provati alcuni e, altri, già scartati e posati sulla poltrona. Li avrebbe ritirati più tardi, magari al suo rientro o, anche, il giorno successivo.
Aveva acceso tutte le luci, in modo che i colori e, soprattutto, lei allo specchio si potessero vedere bene.
Ai vestiti neri, che adorava, era affidato il compito di slanciare la figura ancora snella. Era però indecisa per quello bianco crema. Trovava che le avrebbe evidenziato la sua abbronzatura integrale e uniforme, lasciando, in chi l’avrebbe vista, la fantasia dell’immagine della sua nudità esposta per molte ore al sole.
Era un particolare del corpo, sempre apprezzato, da mostrare quando qualcuno le avrebbe strappato il vestito, preso dal desiderio di sesso che lei stessa avrebbe curato di fargli crescere dentro, sempre più, fino a rendere improrogabile la presa del suo corpo, tra complimenti per la sua bellezza e l’eccitazione che ne derivava, testimoniata dal cazzo duro.
Era indecisa. Nonostante facesse abbastanza caldo, voleva mettere le autoreggenti che, per lei, erano solo quelle nere col pizzo.
Provò entrambi gli abiti, si ammirò allo specchio e, alla fine, fece la sua scelta per quello scuro.
Accatastò tutti gli altri abiti sulla stessa poltrona in pelle, sulla quale il suo compagno si siede solitamente quando vuole da lei un pompino, pratica che adora, magari durante una telefonata di lavoro.
Marco ha un rito che, da anni, ha sempre l’effetto di eccitarlo, facendogli desiderare sempre più la bocca che si sarebbe presa cura del suo piacere. Ama farla denudare, lentamente per rivelare la vista delle sue curve curate, fatta eccezione per le autoreggenti e le scarpe col tacco. Non gli interessa nulla della scomodità della donna, eccitato dal corpo slanciato sui tacchi.
A lei piace eccitarlo, se lo sente in pugno, in pugno della sua bellezza.
L’ultima volta lui era rimasto in accappatoio e lei aveva dovuto mettersi carponi per raggiungerlo sculettando come una gatta, fino a prendergli il cazzo in bocca.
Quando aveva cercato di alzarsi per il male alle ginocchia e per riattivare un poco la circolazione nelle gambe, lui l’aveva presa per i capelli e schiacciato la testa sul cazzo, attività che ebbe l’effetto di eccitarlo oltre al risultato già ottenuto.
Gli atti con i quali lui le imponeva la modalità per soddisfarlo le davano sempre un fremito. Si sentiva sua, di sua proprietà, una cosa bella della quale lui si sarebbe sempre preso cura.
Aveva dovuto andare avanti fino al momento in cui le godette in bocca.
Come al solito lei non aveva goduto e lui, dopo averle ordinato di pulirlo con la lingua, si era alzato ignorandola. Stronzo. Eppure quanto la eccitava questo suo lato che odiava fino al punto da desiderarlo.
Nonostante gli anni di convivenza, lui la desiderava sempre anche lei se aveva il sospetto che, nei suoi viaggi di lavoro, si scopasse ogni tanto qualche donna. Ma non le importava. Anche lei si concedeva qualche “uscita” ogni tanto, come avrebbe fatto quella sera.
Gli occhi le caddero sulla fotografia che la ritraeva in una serata elegante, anni addietro, al culmine di quella bellezza che non aveva mai iniziato il declino, secondo lei.
Lo scatto conservato in un portafoto in argento, le restituiva l’immagine di un momento passato che, sospeso, per lei continuava a essere presente, narrando di una bellezza che lei si vedeva mai mutata, capace, allora come ora, di far sbavare gli uomini dal desiderio di scoparla.
Non aveva mai fatto finta di essersi sposata per amore, né di essere stata scelta per amore.
Lui i soldi, la Maserati e la villa a Rapallo, lei la bellezza e la classe, quell’eleganza sexy che gli avrebbe sempre fatto fare bella figura negli eventi mondani.
Si mise davanti allo specchio e si confrontò con quella foto. Era ancora una magnifica donna. Molti uomini ancora si voltavano a guardarla e lei, stronza, sapeva come farsi guardare con i suoi vestiti aderenti e corti, su quei tacchi mai inferiori ai 10 cm.
Adorava farsi guardare, ammirare, desiderare. Provava piacere nel vedere gli sguardi degli uomini e capire di averli in pugno. Sapeva muovere le gambe, scosciarle, accavallarle guardando di sbieco un uomo e fargli capire che quel gesto era per lui, benché si trovassero in una cena con altri.
Cacciò via i pensieri e si concentrò sulla serata, anzi, su quella che sarebbe stata la sua serata, una di quelle delle quali non si privava quando il marito si assentava per qualche giorno.
Si sarebbe divertita, avrebbe provocato con la sua bellezza e, se avesse trovato un tipo interessante, avrebbe anche scopato cercando negli occhi di lui l’ammirazione per il suo corpo.
Con l’emozione tipica di chi anticipa l’emozione che proverà, si soffermò a guardare gli abiti in competizione.
Scelse il vestito più corto, nero, che le fasciava bene il corpo rendendo i fianchi più sottili, a beneficio del culo e dei seni che, in quel modo, sarebbero sembrati più grandi.
Aveva una seconda ma, con la cura per il suo corpo, lo sport, i massaggi e tutto quanto era riuscita a fare per rallentare, secondo lei con successo, l’inesorabilità della clessidra, era ancora sodo e appuntito.
Con quel vestito si sarebbero visti i capezzoli, cosa sempre gradita agli uomini.
Si tolse le mutandine ed infilò le autoreggenti. Il caldo non avrebbe avuto la meglio su di lei che, quella sera, voleva privilegiare la bellezza.
Sicuramente sarebbe stata l’unica donna con le calze.
Meglio così, lei adorava essere unica, diversa dalle altre, immaginare che gli uomini, ignorati dal suo sguardo, avrebbero distratto gli occhi dalle loro compagne per guardare lei.
Andò a sedersi davanti ad uno specchio e provò ad accavallare le lunghe gambe avvolte nel colore nero.
Con un movimento controllato, giocando col vestito, avrebbe potuto scegliere di far vedere l’inizio del pizzo delle autoreggenti.
Con molta malizia, avrebbe anche potuto far capire che la figa era priva di difesa. Sarebbe bastato alzare un poco il vestito per entrare e scoparla, magari da dietro mentre era tenuta ferma contro il muro.
In doccia aveva dedicato particolare attenzione alla depilazione, non solo delle gambe ma anche della figa.
Quella sera voleva essere la più bella, anche della sua amica Micaela, single, della quale invidiava la libertà nei periodi in cui il marito non la lasciava a casa da sola, come se l’assenza del divertimento procurato dal desiderio degli sconosciuti, le provocasse una sorta di claustrofobia.
Odiava Micaela tanto quanto la amava. Le separavano 4 anni, ovviamente a favore di Micaela, più fresca. Lei era sicura che, nonostante la sua maggiore età, era lei la più bella.
Sapeva che, quando facevano assieme le uscite notturne, gli uomini la guardavano in maniera diversa rispetto alla sua amica. Non si era posta il dubbio che, forse, lei vedeva diversamente gli sguardi che la bramavano.
Non aveva importanza, le piaceva pensarlo.
di
scritto il
2024-10-15
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