Gli zii perbene - Parte 04

di
genere
dominazione

«Non ci siamo, Eugenio ti aveva ben ordinato di abbassare i calzoni» lei sobbalzò, riappoggiò i piedi a terra e le dita cercarono il bottone davanti, ma esitò: aveva messo le mutandine di pizzo, erano quasi trasparenti, si sarebbe visto tutto!
«Sbrigati, anche questo errore avrà conseguenze, non sbagliare ancora» la voce di Eugenio ora rivaleggiava coi tuoni sempre più fragorosi.
Lei slacciò i calzoni e li abbassò fino alle caviglie, poi riprese la posizione indicata, ma tenne le gambe strette fino a far dolere le ginocchia.
Marisa si avvicinò «Mettilo bene in fuori quel culetto, o il battipanni non lavorerà al meglio.»
Ah, è quello il nome di quel banjio mancat—
Il primo colpo la colse del tutto impreparata, ma non sentì dolore, restò semplicemente come sospesa nel tempo, prima che il secondo colpo giungesse a segno, sempre troppo presto.
Al terzo il sedere cominciò a formicolare e al quarto la mano destra scattò d’istinto a protezione davanti al fondoschiena prima che arrivasse il quinto «Ahi! Basta, fa male!»
Sentì Eugenio ridacchiare e Marisa rispose «Ovvio che fa male, ne hai altri undici da prendere da me e altrettanti da Eugenio»
Lacrime copiose ruscellarono sulle guance, Sabrina si voltò di scatto «Trenta? Sono troppi, non… » la frase le morì in gola mentre Eugenio si faceva da parte e indicava la porta.
Lei tornò ad appoggiare le mani sullo schienale «Non è giusto, trenta-»
«Trenta per matematica, poi c’è italiano e c’è educazione fisica, il comportamento indisciplinato e per chiudere in bellezza lo ‘stronzo’ che mi hai rifilato» Eugenio passò dietro il divano e la guardò diritta in faccia «Credevi che l’avresti passata liscia?»
Sabrina sentì venir meno il sangue dalla faccia.
«Quanti ne hai presi finora, signorina?» la domanda di Marisa le pareva avere il tono di un’interrogazione.
«Quattro, me ne hai dati quahia!» il quinto giunse e le strappò un grido più acuto, tornò a coprirsi il sedere con entrambe le mani.
«Ogni mancanza come questa ti costerà altri dieci colpi, torna in posizione!» Marisa roteò il battipanni e le strappò un altro gridolino quando l’aria mossa dall’attrezzo le sfiorò le natiche dolenti.
«Se vuoi puoi chiedermi di tenerti ferma per tutta la durata della punizione» Eugenio le porse le mani, un gesto in apparenza affettuoso, accogliente.
Lei fece per afferrarle, ma lui scansò la sua presa e le afferrò il polso destro con la mano sinistra e il sinistro con l’altra e poi le incrociò le braccia prima di fissarle sullo schienale del divano con tutto il suo peso.
Mise la faccia davanti alla sua e i loro nasi si sfiorarono «Ricordati che in qualsiasi momento ci puoi interrompere, in quel caso prendi le tue cose e te ne vai.»
Sabrina chiuse gli occhi e abbassò la esta. Per rialzarla all’arrivo del colpo numero sei, di scatto.
Marisa ci ha messo più forza?
Ebbe appena il tempo di pensare che arrivò il colpo successivo e a quel punto urlare, piangere, dire «Più piano, fa maleee!!!» ebbe il solo effetto di far arrivare i successivi con maggiore durezza.
Al quindicesimo Marisa si fermò, Eugenio le liberò i polsi e lei ne approfittò per massaggiarsi il fondoschiena, ma neanche il tempo di darsi sollievo che il battipanni colpì di nuovo
«Nessuno ti ha dato il permesso di lasciare la posizione!» la voce di Marisa, accompagnata da un rovescio di pioggia, la fece tornare aggrappata allo schienale con le braccia incrociate.
Eugenio impugnò il battipanni, Marisa le offrì le mani e lei accettò di nuovo. La presa della donna era, se possibile, ancora più rude e serrata.
Certo che mi ha fatto male, è pure più forte di Eugenio!
«Adesso sentirai peggio» Marisa le bloccò le mani sullo schienale, caricò tutto il suo peso, e la costrinse ad esporre ancora di più il sedere.
«Cosa, no… » Sabrina si voltò all’indietro, i lunghi capelli neri gli finirono in parte sugli occhi e scosse la testa per toglierli. Nel farlo vide il battipanni impugnato da suo zio sfiorare le travi del soffitto.
L’uomo si fermò «Vuoi che smettiamo?» i muscoli tesi, pronti a scatenare il colpo che - ne era certa - le avrebbe distrutto i glutei «Ti basta un sì, ti rivesti, sparisci da questa casa e dalla vita di mio fratello come è sparita quella zoccola di tua madre. Allora, ragazzina, che intendi fare?»
Il bruciore le sembrò attenuarsi, la pausa prolungata stava trasformando quel dolore acuto in una sensazione più calda e pulsante. Sabrina chinò la testa e i capelli caddero tutt’intorno al viso, come un velo che nascondeva ai suoi occhi ciò che stava per accaderle.
Si ritrovò a dire, con un fil di voce «Continua».
Il sibilo del battipanni in avvicinamento la fece urlare in anticipo, ma Eugenio non la colpì subito: lasciò che si inarcasse, che scambiasse lo spostamento d’aria per il colpo e reagisse, colpì subito dopo, non troppo forte, ma nella posizione inarcata e con la zia che le bloccava i polsi contro lo schienale l’effetto fu anche peggiore perché non poté assorbire nemmeno una frazione del colpo.
Non fece in tempo a urlare o a cambiare posizione che giunse il secondo colpo, più forte perché senza la finta del precedente, e subito un terzo e un quarto che la fece urlare e scoppiare in lacrime ormai impossibili da trattenere o anche solo da smorzare. Non riusciva più a contare, gli schiocchi del battipanni preceduti dal sibilo del vimini erano seguiti da scariche di dolore cui abituarsi o anche solo resistere era impossibile.
Urlò a ogni colpo, che fosse vero o finto e ogni volta restava senza fiato. Continuò incapace di contare e di capire se quella tortura avrebbe mai avuto una fine.
Marisa le lasciò i polsi e lei si lasciò cadere sui cuscini del divano, di fianco. Le mani corsero a massaggiare i glutei che le sembravano essere diventati di fuoco, ma appena sfiorò la pelle nuove scariche di dolore si aggiunsero e aumentarono i singhiozzi che la scuotevano da capo a piedi.
«Tirati su e vai in quell’angolo» la voce di Eugenio le giunse come da una distanza molto maggiore della larghezza della stanza. Vide il battipanni agitarsi e poi lo sguardo severo di suo zio. Appoggiò i piedi a terra, i pantaloni finiti attorno alle caviglie le davano fastidio e si chinò per rialzarli.
«No, signorina, i calzoni li lasci ben calati… anzi, toglili proprio che fino a cena non ti serviranno!» il tono di Marisa era, se possibile, ancora più minaccioso.
Sabrina andò a posizionarsi oltre il divano accanto al camino spento.
«Mani sulla testa, signorina, bene intrecciate così le terrai davvero ferme» Marisa le fu accanto e la forzò a mettersi nella posizione richiesta finché non cedette.
«Così va… va bene?» riusciva stento di parlare, anche se il supplizio si era concluso.
«Sarebbe andato bene se avessi eseguito il comando subito!» Marisa scandì ogni parola scandita come fosse stata un colpo di battipanni «Invece ti sei adagiata sul divano e ti sei toccata il sedere, riceverai una punizione ulteriore.»
«Ma non è giu— » uno schiaffo sul culo, a mano aperta, le fece interrompere la protesta con un urlo.
«Altra mancanza, signorina» Marisa si massaggiò la mano con cui l’aveva appena colpita «Azzardati ancora a rispondere senza chiedere il permesso o a fare qualcosa che non ti sia stato espressamente ordinato e quello che hai appena passato ti sembrerà una carezza.»
Eugenio ridacchiò «La lascio alle tue cure, vado in cucina a preparare la cena, quando hai finito ci diamo il cambio.»
«Per me solo una minestra di dado, non ho fame» la voce di Marisa risuonò dall’altra parte della stanza, ma il suono di un cassetto che si chiudeva la fece sobbalzare.
«Neanche io ho molta fame» Eugenio lasciò il suo campo visivo e aggiunse «allora minestra per tre… Sabrina, per te va bene o preferisci non mangiare?»
«Va bene…» Sabrina trattenne il fiato e si domandò, troppo tardi, se aveva avuto il permesso di rispondere, ma ormai era fatta; si voltò per un istante, ma incrociò lo sguardo di Marisa in piedi accanto alla credenza e tornò subito a fissare il muro accanto al caminetto. Sentì dei passi dietro di sé e una porta che si chiudeva, con la coda dell’occhio percepì Marisa che armeggiava con la credenza sulla parete opposta, Eugenio non era più in quella stanza.
«Quando io o Eugenio ti facciamo una domanda devi rispondere, hai agito bene.»
Sabrina non si era accorta di aver tirato il fiato finché non udì quelle parole.
«Adesso voltati» lei eseguì, vide Marisa sedersi sul divano e poi appoggiare qualcosa accanto a sé, ma lo schienale le impediva di vedere cosa fosse «Vieni qui davanti a me»
Sabrina tolse le mani da dietro la nuca e si avviò, ma quando arrivò davanti la donna la sua espressione tirata la costrinse a fare un passo indietro.
Accanto a lei un tagliere di legno, non tanto grande, cercò il battipanni, ma era tornato appeso alla parete e lasciò andare un sospiro di sollievo.
«Sai perché ti stiamo punendo?» Marisa unì le dita delle mani, lunghe e dall’aspetto ingannevolmente soffice, davanti al volto. Una ruga le attraversò la fronte.
«Perché mi hanno dato tre materie e mio padre non è —»
La destra si levò in un gesto di diniego «Perché hai offeso e insultato praticamente tutti i tuoi insegnanti, tuo padre e buona parte delle persone che lavorano per lui e che si sono occupate anche del tuo benessere, ecco perché!» stese con le mani la gonna a pois bianchi «Ora stenditi a pancia in giù sulle mie ginocchia e appoggia le mani a terra»
Sabrina rimase in silenzio. Le parole di Camillo le ritornarono in mente, come si ricordò di alcune, se non tutte, delle volte che aveva insultato lui, la cuoca e la donna delle pulizie.
«Ragazzina, hai di nuovo disatteso un mio ordine» la voce di Marisa si indurì ancora di più «Adesso ripeti “Mi perdoni, signora Marisa, ho sbagliato, merito qualsiasi punizione lei decida di impormi”»
Sabrina si riscosse dalla pioggia di ricordi che l’aveva appena travolta «Zia, aspetta, io…»
Marisa alzò gli occhi al cielo e scosse la testa «Non sei stata attenta e pagherai anche questa, non preoccuparti, ora ripeti la frase o vestiti e vattene!» l’ultima parola superò persino il fragore dei tuoni che si inseguivano all’esterno.
«Puniscimi, zia, perché me lo merito» improvvisò quello che doveva aver detto sua zia, era distratta e non l’aveva ascoltata bene.
scritto il
2024-10-18
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