Gli zii perbene - Parte 06
di
Esperançia D'Escobar
genere
dominazione
Eugenio fece il suo ingresso con una pentola fumante tra le mani e un grembiule da cucina sopra i vestiti «Tutti a tavola!»
Il momento che Sabrina aveva temuto era arrivato. Strinse le gambe il più possibile e serrò i denti per non pensare allo sguardo di suo zio che passava sopra le sue curve.
«Ecco la minestrina che hai chiesto, cara, vuoi un po’ di formaggio?» un rumore di sedia trascinata accompagnò la frase, seguita dal tintinnare di posate.
«Vestiti e vieni a tavola» Sabrina non si fece pregare, non stavolta, ma dovette trattenere il fiato quando l’orlo dei pantaloni strusciò là dove era stata colpita. Il bruciore la travolse come se l’avessero di nuovo schiaffeggiata sulle natiche.
Anche la sedia a lei riservata non era per nulla adatta: invece della seduta col cuscino gli era stata riservata una seggiola di legno, col sedile duro e irregolare abbastanza da farle desiderare di cenare in piedi.
«Non ho molta fame, posso—»
«No, non puoi, resterai seduta finché non avremo finito» Marisa tornò a parlare col marito, ma Sabrina non aveva voglia di sentir parlare di cavalli e finimenti, paddock e gente che li frequenta. Pensò a Gemma e ad Alisa, le sue amiche, di certo in quel momento si erano imbarcate sulla “Costa Dreamline” e se la stavano spassando in discoteca.
«E tu cosa ne pensi, Sabrina?» la frase di Eugenio ebbe il potere di farla piombare nel terrore.
«N… non ho sentito, scusa, puoi ripetere?»
Marisa intervenne «Prima mi hai sentito, e anche bene, per cui mi hai preso in giro… con questa il conto delle tue mancanze sale a sedici cui si aggiungono i trenta colpi che devi ancora ricevere.»
Improvvisamente la scomoda sedia su cui si trovava divenne rovente, o così le parve mentre la zia si alzava in piedi e prese a fissarla dritto negli occhi «Oppure mi hai appena mancato di rispetto non prestando attenzione a cosa veniva detto a cena.»
Sabrina sgranò gli occhi, passando lo sguardo da Eugenio, che ridacchiava, a Marisa che invece non rideva affatto.
«Pensa a sparecchiare, Marisa, mentre io mi occupo di nostra nipote. Dopo che le avrò somministrato i trenta colpi che le spettano per aver preso il debito anche in educazione fisica penseremo a come farle scontare tutte le mancanze di cui si è macchiata oggi.» Eugenio si alzò in piedi e si sfilò la cintura dei pantaloni. «Tu, faccia al muro, togli i pantaloni e poi metti le mani sopra la testa.» puntò la cintura piegata a metà contro di lei.
Sabrina guardò l’oggetto in mano allo zio, lanciò un’occhiata alla minestra lasciata a metà e si costrinse ad alzarsi in piedi prima che venisse detto altro. Per contro le natiche martoriate smisero di dolergli, magra soddisfazione di fronte alla minaccia che Eugenio le stava sventolando davanti.
Si avviò verso il muro, una lacrima prese a scorrere e l’asciugò col dorso della mano.
«I pantaloni!» sentì i passi dello zio che si avvicinava, alle sue spalle, e si affrettò ad abbassarli come richiesto.
"Tanto ormai… meno male che ci sono solo loro in casa!"
«AHIA!» l’urlo le uscì così in fretta da non poter decidere se adesso le bruciava di più il culo o la gola.
La cintura schioccò sulla sua pelle una seconda volta «Ti ho detto di mettere le mani dietro la nuca!»
Invece di obbedire subito, mise d’istinto le mani sul sedere «Mi fa malissimo, ti prego, no!»
«Sai che puoi sempre andartene in qualsiasi momento, metti le mani dietro la nuca, adesso!» e assestò un nuovo colpo.
Sabrina si morse il labbro e cacciò un gemito quando la cintura morse la pelle una terza volta, intrecciò le dita dietro la nuca e il quarto colpo atterrò prima che potesse anche solo pensare di controllare il dolore.
Urlò, le mani si serrarono e non potè metterle a protezione del fondoschiena in tempo per parare il colpo successivo.
«Rimetti le mani a posto o invece di trenta te ne darò il doppio!» la minaccia fu seguita dal rumore di stoviglie che venivano rimosse dal tavolo.
«Quando Eugenio avrà finito, vorrai ancora un po’ di minestra o posso togliere?» la voce di Marisa era neutra, come se avesse commentato il meteo o parlato dell’ultima moda in fatto di occhiali.
«Non ho più fam—» la cintura si abbattè su entrambe le natiche con uno schiocco più forte degli altri, seguita da altri tre colpi in rapida successione e poi si ritrovò in ginocchio, a piangere come una ragazzina, ma la cintura la raggiunse anche se s’era abbassata e la centrò su tutta la coscia destra.
Finalmente riuscì a districare le dita e a coprirsi il didietro.
«Togliti quelle mani di dosso, ne mancano ancora…» Eugenio si interruppe «Quante ne mancano, signorina? Rialzati e rispondi.»
Sabrina si rialzò in piedi, ma con le mani si tastò le natiche per alleviare un poco il tremendo bruciore che si levava dalla pelle martoriata.
«Undici…» sperò di aver contato bene.
«Diciannove ne mancano, sai contare? Mi sa di no. Ci credo che hai preso il debito in matematica!» la voce dello zio fu accompagnata dal sibilo della cintura che la costrinse a stringere le natiche, nel tentativo di opporre un po’ di resistenza al colpo che le strappò un gemito «Per questa volta non avrai altre conseguenze, ma se ti interrogo e tu sbagli a rispondere sai che il conto delle tue mancanze crescerà di nuovo. Già stasera sarà molto salato.» la cintura colpì di nuovo, stavolta nella stretta zona di confine tra gluteo e coscia.
Trattenne un urlo e pensò dodici!
Al tredicesimo cominciò a piangere senza più controllarsi e da lì i colpi schioccarono uno dopo l’altro come tanti fiori infuocati che sbocciavano sul culo, difeso solo da un sottile strato di pizzo. Colpi e pianti si alternavano senza soluzione di continutà.
"Almeno mi ha lasciato gli slip!"
Eugenio si fermò «Quante ne mancano adesso?»
«Ancora una» rispose lei tra i singhiozzi.
Eugenio colpì e stavolta la cintura atterrò singola, il colpo la avvolse cingendo le natiche, un fianco e la punta sbatté sul davanti, lasciandola senza fiato.
Decine di ragazzi si erano inchinati davanti a quel ventre e le avevano donato momenti tanto belli quanto intensi. Quello che le aveva appena fatto suo zio le parve un affronto, una profanazione, un gesto che…
«Ricomponiti e lasciaci sole» la voce di Marisa interruppe ogni altro pensiero.
«Vado, cara, ma mi raccomando: sii molto severa, mio fratello ha chiesto che non le si facciano sconti.» Eugenio reinfilò la cintura attorno alla vita e lasciò la stanza.
Il momento che Sabrina aveva temuto era arrivato. Strinse le gambe il più possibile e serrò i denti per non pensare allo sguardo di suo zio che passava sopra le sue curve.
«Ecco la minestrina che hai chiesto, cara, vuoi un po’ di formaggio?» un rumore di sedia trascinata accompagnò la frase, seguita dal tintinnare di posate.
«Vestiti e vieni a tavola» Sabrina non si fece pregare, non stavolta, ma dovette trattenere il fiato quando l’orlo dei pantaloni strusciò là dove era stata colpita. Il bruciore la travolse come se l’avessero di nuovo schiaffeggiata sulle natiche.
Anche la sedia a lei riservata non era per nulla adatta: invece della seduta col cuscino gli era stata riservata una seggiola di legno, col sedile duro e irregolare abbastanza da farle desiderare di cenare in piedi.
«Non ho molta fame, posso—»
«No, non puoi, resterai seduta finché non avremo finito» Marisa tornò a parlare col marito, ma Sabrina non aveva voglia di sentir parlare di cavalli e finimenti, paddock e gente che li frequenta. Pensò a Gemma e ad Alisa, le sue amiche, di certo in quel momento si erano imbarcate sulla “Costa Dreamline” e se la stavano spassando in discoteca.
«E tu cosa ne pensi, Sabrina?» la frase di Eugenio ebbe il potere di farla piombare nel terrore.
«N… non ho sentito, scusa, puoi ripetere?»
Marisa intervenne «Prima mi hai sentito, e anche bene, per cui mi hai preso in giro… con questa il conto delle tue mancanze sale a sedici cui si aggiungono i trenta colpi che devi ancora ricevere.»
Improvvisamente la scomoda sedia su cui si trovava divenne rovente, o così le parve mentre la zia si alzava in piedi e prese a fissarla dritto negli occhi «Oppure mi hai appena mancato di rispetto non prestando attenzione a cosa veniva detto a cena.»
Sabrina sgranò gli occhi, passando lo sguardo da Eugenio, che ridacchiava, a Marisa che invece non rideva affatto.
«Pensa a sparecchiare, Marisa, mentre io mi occupo di nostra nipote. Dopo che le avrò somministrato i trenta colpi che le spettano per aver preso il debito anche in educazione fisica penseremo a come farle scontare tutte le mancanze di cui si è macchiata oggi.» Eugenio si alzò in piedi e si sfilò la cintura dei pantaloni. «Tu, faccia al muro, togli i pantaloni e poi metti le mani sopra la testa.» puntò la cintura piegata a metà contro di lei.
Sabrina guardò l’oggetto in mano allo zio, lanciò un’occhiata alla minestra lasciata a metà e si costrinse ad alzarsi in piedi prima che venisse detto altro. Per contro le natiche martoriate smisero di dolergli, magra soddisfazione di fronte alla minaccia che Eugenio le stava sventolando davanti.
Si avviò verso il muro, una lacrima prese a scorrere e l’asciugò col dorso della mano.
«I pantaloni!» sentì i passi dello zio che si avvicinava, alle sue spalle, e si affrettò ad abbassarli come richiesto.
"Tanto ormai… meno male che ci sono solo loro in casa!"
«AHIA!» l’urlo le uscì così in fretta da non poter decidere se adesso le bruciava di più il culo o la gola.
La cintura schioccò sulla sua pelle una seconda volta «Ti ho detto di mettere le mani dietro la nuca!»
Invece di obbedire subito, mise d’istinto le mani sul sedere «Mi fa malissimo, ti prego, no!»
«Sai che puoi sempre andartene in qualsiasi momento, metti le mani dietro la nuca, adesso!» e assestò un nuovo colpo.
Sabrina si morse il labbro e cacciò un gemito quando la cintura morse la pelle una terza volta, intrecciò le dita dietro la nuca e il quarto colpo atterrò prima che potesse anche solo pensare di controllare il dolore.
Urlò, le mani si serrarono e non potè metterle a protezione del fondoschiena in tempo per parare il colpo successivo.
«Rimetti le mani a posto o invece di trenta te ne darò il doppio!» la minaccia fu seguita dal rumore di stoviglie che venivano rimosse dal tavolo.
«Quando Eugenio avrà finito, vorrai ancora un po’ di minestra o posso togliere?» la voce di Marisa era neutra, come se avesse commentato il meteo o parlato dell’ultima moda in fatto di occhiali.
«Non ho più fam—» la cintura si abbattè su entrambe le natiche con uno schiocco più forte degli altri, seguita da altri tre colpi in rapida successione e poi si ritrovò in ginocchio, a piangere come una ragazzina, ma la cintura la raggiunse anche se s’era abbassata e la centrò su tutta la coscia destra.
Finalmente riuscì a districare le dita e a coprirsi il didietro.
«Togliti quelle mani di dosso, ne mancano ancora…» Eugenio si interruppe «Quante ne mancano, signorina? Rialzati e rispondi.»
Sabrina si rialzò in piedi, ma con le mani si tastò le natiche per alleviare un poco il tremendo bruciore che si levava dalla pelle martoriata.
«Undici…» sperò di aver contato bene.
«Diciannove ne mancano, sai contare? Mi sa di no. Ci credo che hai preso il debito in matematica!» la voce dello zio fu accompagnata dal sibilo della cintura che la costrinse a stringere le natiche, nel tentativo di opporre un po’ di resistenza al colpo che le strappò un gemito «Per questa volta non avrai altre conseguenze, ma se ti interrogo e tu sbagli a rispondere sai che il conto delle tue mancanze crescerà di nuovo. Già stasera sarà molto salato.» la cintura colpì di nuovo, stavolta nella stretta zona di confine tra gluteo e coscia.
Trattenne un urlo e pensò dodici!
Al tredicesimo cominciò a piangere senza più controllarsi e da lì i colpi schioccarono uno dopo l’altro come tanti fiori infuocati che sbocciavano sul culo, difeso solo da un sottile strato di pizzo. Colpi e pianti si alternavano senza soluzione di continutà.
"Almeno mi ha lasciato gli slip!"
Eugenio si fermò «Quante ne mancano adesso?»
«Ancora una» rispose lei tra i singhiozzi.
Eugenio colpì e stavolta la cintura atterrò singola, il colpo la avvolse cingendo le natiche, un fianco e la punta sbatté sul davanti, lasciandola senza fiato.
Decine di ragazzi si erano inchinati davanti a quel ventre e le avevano donato momenti tanto belli quanto intensi. Quello che le aveva appena fatto suo zio le parve un affronto, una profanazione, un gesto che…
«Ricomponiti e lasciaci sole» la voce di Marisa interruppe ogni altro pensiero.
«Vado, cara, ma mi raccomando: sii molto severa, mio fratello ha chiesto che non le si facciano sconti.» Eugenio reinfilò la cintura attorno alla vita e lasciò la stanza.
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