Gli zii perbene 08
di
Esperançia D'Escobar
genere
dominazione
Sabrina cercò di trattenere le lacrime, senza molto successo. Sapeva che di lì a poco avrebbe visto le stelle; le sue mani iniziarono dai bottoni della camicetta così da ritardare la punizione il più possibile.
«Intanto prepariamo tutto» Marisa tirò fuori i cuscini da sotto le lenzuola e sfilò la coperta «Hai mancato ai tuoi doveri, hai dato dello stronzo a mio marito, non hai obbedito con la dovuta prontezza, hai prestato scarsa attenzione» Marisa elencò tutte le mancanze di cui, a suo dire, s’era macchiata. A ogni voce di quella lista il groppo che sentiva in gola cresceva e il sedere le doleva come se sua zia l’avesse già colpita. Mantenenne un dignitoso silenzio mentre, un indumento dietro l’altro, restava solo con il reggiseno, gli slip e la pelle d’oca di fronte a sua zia.
«E hai eseguito gli ordini in modo parziale pure adesso: se dico spogliati è spogliati, devi toglierti tutto e alla svelta, sei arrivata a venticinque: quante ne vuoi prendere stasera?»
«Ma zia, mi vergogno, anche poco fa… »
«Ventisei, mi hai detto tu che avresti accettato qualunque punizione, no?» Marisa incrociò le braccia sul petto.
Sabrina si godette il fresco della stanza, ogni secondo che riusciva a ritardare la punizione le pareva prezioso «Sì, ma mi hai costretto: hai visto che tempo c’è fuori? E poi, senza un soldo, non andrei molto lontano, no?»
«E quali responsabilità vorresti addossarmi, ventisette? Controllo io il meteo? C’entro qualcosa coi tuoi catastrofici risultati scolastici? Dipende da me il fatto che TUO padre ti ha tagliato i viveri?» le indicò la pila di cuscini sulla quale piazzò la coperta ben piegata «Adesso finisci di spogliarti e ti metti là sopra a pancia sotto: sono duecentoottanta colpi e, ti assicuro, li sentirai tutti!»
Rassegnata non riuscì a soffocare un singhiozzo, infilò un dito tra le coppe del reggiseno e lo sganciò. I capezzoli rosa, eretti al centro di due coppe sode grandi quanto le sue mani ottennero un cenno di assenso dal volto arcigno della zia. Le venne istintivo coprirsi con un braccio.
«Ventinove: anche gli slip, poi raccogli i vestiti, piegali come si deve e appoggiali sulla scrivania. Svelta!» incrociò le braccia sul petto.
Sabrina esitò, ma sua zia prese a battere il piede a terra «Trenta, mi sa che faremo notte!» e lei decise che non era più il caso di indugiare. Pochi istanti dopo era stesa prona sul letto. La pila di cuscini la costringeva ad esporre il fondoschiena bene in alto e la coperta ruvida, sotto la pancia, la aumentava ancora più il suo disagio.
«Contando anche le ultime mancanze sei arrivata a quota trecento.»
«COSA?!?»
«Trecentodieci, mi hai parlato sopra e mi hai interrotto. Dicevo: hai chiesto tu di essere punita, per ogni mancanza e che sconterai la punizione di sera, cioè adesso, in questa posizione a meno che io non disponga diversamente.»
«Non è giusto» piagnucolò Sabrina che strinse i pugni per protesta.
«Avevo pensato pensato di non punirti per i libri dimenticati a casa, avevo pensato che il tuo bel culetto sarebbe stato smontato in via definitiva se ci avessi aggiunto i cento colpi che meriti per questa mancanza, ma visto che il tuo senso della disciplina è totalmente assente, solo adesso mi hai interrotto una marea di volte, adesso le prendi tutte» la sentì allontanarsi da lei, ma prima che uscisse dalla porta aggiunse «E le prenderai con lo strumento che ti dato più dolore, a proposito qual è stato, secondo te?»
Sabrina quasi si strozzò col suo stesso respiro «Cosa? E perché dovrei rispondere?»
«Perché se mentirai, e lo saprò subito: conosco già la risposta, te le raddoppio: prima con lo strumento che hai indicato tu, poi con quello vero. Rispondi.»
Sospirò, mentire non aveva senso «Mi hanno fatto tutti male allo stesso modo, ma forse la cosa peggiore è stata quando tu mi hai bloccato i polsi ed Eugenio usava quel coso di vimini…»
«Ah, il battipanni, un classico quasi quanto lo zoccolo di legno» Marisa oltrepassò la porta «Non muoverti, torno subito.»
Sabrina non si mosse, ma il rumore dei passi che si allontanavano, scendevano le scale cigolanti e poi tornavano indietro non fece altro che spingere il suo cuore a battere all’impazzata. La coperta, sotto di lei, pungeva e prudeva. Grattarsi peggiorò soltanto la situazione. Avrebbe voluto mettere la coperta alla base della pila, ma era sicura che sua zia l’avrebbe punita anche per questo.
È una sadica, una stronzissima sadica!
Quando Marisa rientrò stringeva in mano l’odioso attrezzo di vimini e una borsa di quelle che si usano al supermercato per trasportare i surgelati. Uno strano formicolio si sostituì al prurito e si estese al ventre e al resto delle parti a contatto con la coperta, il respiro accelerò e lei strinse i pugni sulle lenzuola mentre sua zia le diceva «Conta bene, mi raccomando, perché a ogni errore aggiungerò altri dieci colpi» e il battipanni atterrò proprio tra glutei e cosce. Sabrina si rese conto che zia non doveva averci messo tutta la forza, o forse aveva il culo talmente dolorante che s’era anestetizzato da solo. I successivi nove colpi piovvero su di lei in una raffica bruciante, ma che non le tolse il fiato. Attenta a non perdere il conto non emise neanche un lamento, concedendosi solo di far scorrere lacrime su lacrime.
Scossa dai singhiozzi udì appena sua zia che le poneva la prima domanda «Quanti te ne ho dati finora?»
Il panico le mozzò il respiro «Io… trenta… trentotto!» si corresse subito.
Per tutta risposta Marisa le assestò due colpi fortissimi sulla parte alta del culo. Lei tirò indietro la testa e si contrasse tutta mentre l’aria le usciva dai polmoni per sostenere le urla più forti che avesse mai cacciato in tutta la sua vita.
Strinse le lenzuola fino a sfar sbiancare le nocche, le addentò e così riuscì a trasformare le urla in un mugolio.
«E adesso sono quaranta» commentò sua zia «Facciamo pausa, tu non ti muovere per nessun motivo.» Si allontanò di qualche passo e armeggiò con la busta dei surgelati.
Pausa… se mi avessero bagnata con dell’alcool e dato fuoco adesso brucerebbe di meno.
«Mettiti in ginocchio, svelta.» eseguì l’ordine senza neanche pensarci, ma istintivamente si coprì il seno.
Marisa tolse cuscini e coperte «Ora stenditi di nuovo» e le indicò le lenzuola col battipanni. Lei si stese e attese la nuova serie di colpi, mentre il cuore tornava a sprofondare e il respiro a farsi sempre più corto.
Qualcosa di gelido si appoggiò sulla pelle martoriata del fondoschiena. Il contrasto le strappò un altro grido, più acuto, e si voltò per vedere cosa stesse accadendo.
«Intanto prepariamo tutto» Marisa tirò fuori i cuscini da sotto le lenzuola e sfilò la coperta «Hai mancato ai tuoi doveri, hai dato dello stronzo a mio marito, non hai obbedito con la dovuta prontezza, hai prestato scarsa attenzione» Marisa elencò tutte le mancanze di cui, a suo dire, s’era macchiata. A ogni voce di quella lista il groppo che sentiva in gola cresceva e il sedere le doleva come se sua zia l’avesse già colpita. Mantenenne un dignitoso silenzio mentre, un indumento dietro l’altro, restava solo con il reggiseno, gli slip e la pelle d’oca di fronte a sua zia.
«E hai eseguito gli ordini in modo parziale pure adesso: se dico spogliati è spogliati, devi toglierti tutto e alla svelta, sei arrivata a venticinque: quante ne vuoi prendere stasera?»
«Ma zia, mi vergogno, anche poco fa… »
«Ventisei, mi hai detto tu che avresti accettato qualunque punizione, no?» Marisa incrociò le braccia sul petto.
Sabrina si godette il fresco della stanza, ogni secondo che riusciva a ritardare la punizione le pareva prezioso «Sì, ma mi hai costretto: hai visto che tempo c’è fuori? E poi, senza un soldo, non andrei molto lontano, no?»
«E quali responsabilità vorresti addossarmi, ventisette? Controllo io il meteo? C’entro qualcosa coi tuoi catastrofici risultati scolastici? Dipende da me il fatto che TUO padre ti ha tagliato i viveri?» le indicò la pila di cuscini sulla quale piazzò la coperta ben piegata «Adesso finisci di spogliarti e ti metti là sopra a pancia sotto: sono duecentoottanta colpi e, ti assicuro, li sentirai tutti!»
Rassegnata non riuscì a soffocare un singhiozzo, infilò un dito tra le coppe del reggiseno e lo sganciò. I capezzoli rosa, eretti al centro di due coppe sode grandi quanto le sue mani ottennero un cenno di assenso dal volto arcigno della zia. Le venne istintivo coprirsi con un braccio.
«Ventinove: anche gli slip, poi raccogli i vestiti, piegali come si deve e appoggiali sulla scrivania. Svelta!» incrociò le braccia sul petto.
Sabrina esitò, ma sua zia prese a battere il piede a terra «Trenta, mi sa che faremo notte!» e lei decise che non era più il caso di indugiare. Pochi istanti dopo era stesa prona sul letto. La pila di cuscini la costringeva ad esporre il fondoschiena bene in alto e la coperta ruvida, sotto la pancia, la aumentava ancora più il suo disagio.
«Contando anche le ultime mancanze sei arrivata a quota trecento.»
«COSA?!?»
«Trecentodieci, mi hai parlato sopra e mi hai interrotto. Dicevo: hai chiesto tu di essere punita, per ogni mancanza e che sconterai la punizione di sera, cioè adesso, in questa posizione a meno che io non disponga diversamente.»
«Non è giusto» piagnucolò Sabrina che strinse i pugni per protesta.
«Avevo pensato pensato di non punirti per i libri dimenticati a casa, avevo pensato che il tuo bel culetto sarebbe stato smontato in via definitiva se ci avessi aggiunto i cento colpi che meriti per questa mancanza, ma visto che il tuo senso della disciplina è totalmente assente, solo adesso mi hai interrotto una marea di volte, adesso le prendi tutte» la sentì allontanarsi da lei, ma prima che uscisse dalla porta aggiunse «E le prenderai con lo strumento che ti dato più dolore, a proposito qual è stato, secondo te?»
Sabrina quasi si strozzò col suo stesso respiro «Cosa? E perché dovrei rispondere?»
«Perché se mentirai, e lo saprò subito: conosco già la risposta, te le raddoppio: prima con lo strumento che hai indicato tu, poi con quello vero. Rispondi.»
Sospirò, mentire non aveva senso «Mi hanno fatto tutti male allo stesso modo, ma forse la cosa peggiore è stata quando tu mi hai bloccato i polsi ed Eugenio usava quel coso di vimini…»
«Ah, il battipanni, un classico quasi quanto lo zoccolo di legno» Marisa oltrepassò la porta «Non muoverti, torno subito.»
Sabrina non si mosse, ma il rumore dei passi che si allontanavano, scendevano le scale cigolanti e poi tornavano indietro non fece altro che spingere il suo cuore a battere all’impazzata. La coperta, sotto di lei, pungeva e prudeva. Grattarsi peggiorò soltanto la situazione. Avrebbe voluto mettere la coperta alla base della pila, ma era sicura che sua zia l’avrebbe punita anche per questo.
È una sadica, una stronzissima sadica!
Quando Marisa rientrò stringeva in mano l’odioso attrezzo di vimini e una borsa di quelle che si usano al supermercato per trasportare i surgelati. Uno strano formicolio si sostituì al prurito e si estese al ventre e al resto delle parti a contatto con la coperta, il respiro accelerò e lei strinse i pugni sulle lenzuola mentre sua zia le diceva «Conta bene, mi raccomando, perché a ogni errore aggiungerò altri dieci colpi» e il battipanni atterrò proprio tra glutei e cosce. Sabrina si rese conto che zia non doveva averci messo tutta la forza, o forse aveva il culo talmente dolorante che s’era anestetizzato da solo. I successivi nove colpi piovvero su di lei in una raffica bruciante, ma che non le tolse il fiato. Attenta a non perdere il conto non emise neanche un lamento, concedendosi solo di far scorrere lacrime su lacrime.
Scossa dai singhiozzi udì appena sua zia che le poneva la prima domanda «Quanti te ne ho dati finora?»
Il panico le mozzò il respiro «Io… trenta… trentotto!» si corresse subito.
Per tutta risposta Marisa le assestò due colpi fortissimi sulla parte alta del culo. Lei tirò indietro la testa e si contrasse tutta mentre l’aria le usciva dai polmoni per sostenere le urla più forti che avesse mai cacciato in tutta la sua vita.
Strinse le lenzuola fino a sfar sbiancare le nocche, le addentò e così riuscì a trasformare le urla in un mugolio.
«E adesso sono quaranta» commentò sua zia «Facciamo pausa, tu non ti muovere per nessun motivo.» Si allontanò di qualche passo e armeggiò con la busta dei surgelati.
Pausa… se mi avessero bagnata con dell’alcool e dato fuoco adesso brucerebbe di meno.
«Mettiti in ginocchio, svelta.» eseguì l’ordine senza neanche pensarci, ma istintivamente si coprì il seno.
Marisa tolse cuscini e coperte «Ora stenditi di nuovo» e le indicò le lenzuola col battipanni. Lei si stese e attese la nuova serie di colpi, mentre il cuore tornava a sprofondare e il respiro a farsi sempre più corto.
Qualcosa di gelido si appoggiò sulla pelle martoriata del fondoschiena. Il contrasto le strappò un altro grido, più acuto, e si voltò per vedere cosa stesse accadendo.
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