Gli zii perbene 07
di
Esperançia D'Escobar
genere
dominazione
«Vuole un gran bene a suo fratello, sai?» Marisa ciabattò fino a lei, avvolta nella pesante vestaglia a quadri blu e rossi, la presenza di Eugenio svanì «Alzati, ragazza, infila quei pantaloni e seguimi… e non pensare che sia finita.»
«Cosa?» la domanda di Sabrina cadde nel vuoto, afferrò il trolley e si affrettò a seguire la zia su per le scale che portavano al piano superiore. Un breve corridoio dove si aprivano quattro porte, scarsamente illuminato, la accolse. Vide Marisa fermarsi davanti a una di esse e indicò le altre: «Quelle due in fondo sono i bagni, tu userai quello di sinistra. In caso di necessità c’è un altro bagno al pianterreno dietro la cucina e uno nel seminterrato, accanto alla lavanderia. Ora entra.»
Si trascinò a fatica, le natiche infuocate strusciavano contro i jeans e le facevano vedere le stelle a ogni passo.
La stanza conteneva un letto con la testata in ferro battuto, coperte a quadri e un armadio, una scrivania e degli scaffali vuoti completavano l’arredo.
«Qui puoi metterci libri e vestiti» indicò i mobili «da domattina si studia come non hai mai immaginato… » Marisa si fermò «Apri quel trolley, voglio controllare una cosa.»
Sabrina appoggiò il bagaglio sul letto e lo aprì ricordandosi solo all’ultimo del sex toy che aveva arrotolato tra felpe e calzoni.
"Se zia lo vede…"
«Non ci siamo, Sabrina, non ci siamo proprio. Cos’è questa storia?»
Suo malgrado lei arrossì come e peggio di quando le aveva abbassato gli slip.
Marisa si avvicinò, la spinse da parte e prese a rovistare tra i vestiti mettendoli fuori alla rinfusa.
"Merda, adesso vede il dildo e mi picchierà pure per quello… ma io me ne vado, me ne—"
«Perché non ci sono libri qui? Non li avrai mica lasciati a casa?» la voce carica di rabbia di sua zia interruppe il pensiero e le domande imbarazzanti che aveva immaginato.
"I libri, e chi ci pensava?" Per lei la regola era, dopo l’ultimo giorno di scuola, mettere i libri nel dimenticatoio fino a settembre, per poi rivenderli che tanto papà gli comprava i libri per l’anno successivo.
«Vuoi rispondere o devo scioglierti la lingua col battipanni? Ci metto un minuto a prenderlo!»
«Li ho lasciati a casa, non pensavo…»
«Ecco, brava, non pensare, tanto non sei capace.» la risposta acida le fece montare la rabbia in petto, ma prima che potesse sbottare la zia proseguì «Mentre vado a dire due parole a tuo zio a proposito dei libri tu metti in ordine il tuo bagaglio, ti spogli e mi aspetti in piedi accanto al letto.»
«P… perché?» si tappò la bocca con le mani. Marisa estrasse un taccuino e una matita da una delle tasche della vestaglia e aggiunse una voce a una lunga lista.
Gliela mise a un palmo dagli occhi, in cima c’era la data di oggi e ogni riga iniziava con un orario seguito da una frase «Sono tutte le tue mancanze, da quando hai messo piede in casa!».
Sabrina spalancò la bocca ma non fece in tempo a contare le righe, a occhio una quindicina, mentre cominciava a realizzare cosa avevano voluto dire i suoi zii poco prima che le trasformassero il fondoschiena in uno stellare ammasso di dolore.
Sua zia uscì dalla stanza lasciandola sola.
Afferrò il telefono e chiamò subito suo padre.
Al terzo squillo udì la sua voce «Che vuoi?»
«Papino, ti prego, fammi tornare a casa» scoppiò in lacrime «Ho… ho capito la lezione, te lo giuro, pap—»
«Mi ha messaggiato Marisa, mi ha scritto che hai lasciato i libri di studio a casa. Domani manderò Camillo a portarteli, ma per colpa tua resterò senza autista mezza giornata, userò un taxi come tutti i comuni mortali, ma non la passerai liscia.» La voce di suo padre suonava così distante che in confronto l’orbita di Plutone le sembrò di averla a portata di mano «Eugenio deve averti spiegato che se vuoi andartene puoi farlo in qualsiasi momento e ti ho già spiegato che se non verrai ammessa al quinto anno… »
«Lo so, lo so» singhiozzò «è che tuo fratello e sua mog—»
«Allora fai in modo che io non senta più parlare di te fino a che non avrai superato quegli esami, non ho altro da dirti, buonanotte.» lui le parlò sopra e finita la frase interruppe la comunicazione.
La porta della camera si spalancò di botto «Così preferisci telefonare invece che eseguire gli ordini che ti vengono dati? Adesso facciamo i conti.» La voce di zia Marisa la fece sobbalzare e quando i passi di lei risuonarono sul pavimento sentì il cuore sprofondarle in fondo al ventre. Le sue mani corsero a parare il fondoschiena.
«Vedo che hai capito» disse la zia «Tuo padre lo aveva ben detto che sei una ragazza intelligente oltreché ostinata, ma se vuoi sfuggire alla punizione che ti aspetta, sai cosa devi fare.»
Sabrina si ritrasse nell’angolo più vicino alla finestra, la pioggia batteva insistente sui vetri. Ci appoggiò il sedere sopra in cerca di un po’ di sollievo dal bruciore che, all’annuncio di Marisa, aveva cominciato a pulsare sempre più forte.
«Adesso vieni qui e ripeti la frase che hai imparato poco fa.»
Sabrina scosse la testa e si spinse contro i doppi vetri come se questi potessero permetterle di passare attraverso e sfuggire a ciò che l’aspettava, senza altre conseguenze.
«Mi stai costringendo a ripetere l’ordine? Devo aggiungere un’altra mancanza a questo elenco? Sei già a quota venti, fai un po’ tu…»
Sabrina chinò il capo: o rispondere o partire.
La sua voce, come animata da una volontà che non le apparteneva, ruppe il silenzio «Mi perdoni, signora Marisa, ho sbagliato, merito qualsiasi punizione lei decida di impormi.»
Marisa le sorrise, ma lei non riuscì a trovare niente di rassicurante in quello che si stava trasformando rapidamente in un ghigno ai suoi occhi. Avanzò di un passo, poi un altro e ancora finché Marisa non la afferrò per un polso e la strattonò verso di sé.
«Adesso ti spogli e ti stendi sul letto a pancia sotto» le indicò la ruvida coperta marrone posta sopra le lenzuola.
«Cosa?» la domanda di Sabrina cadde nel vuoto, afferrò il trolley e si affrettò a seguire la zia su per le scale che portavano al piano superiore. Un breve corridoio dove si aprivano quattro porte, scarsamente illuminato, la accolse. Vide Marisa fermarsi davanti a una di esse e indicò le altre: «Quelle due in fondo sono i bagni, tu userai quello di sinistra. In caso di necessità c’è un altro bagno al pianterreno dietro la cucina e uno nel seminterrato, accanto alla lavanderia. Ora entra.»
Si trascinò a fatica, le natiche infuocate strusciavano contro i jeans e le facevano vedere le stelle a ogni passo.
La stanza conteneva un letto con la testata in ferro battuto, coperte a quadri e un armadio, una scrivania e degli scaffali vuoti completavano l’arredo.
«Qui puoi metterci libri e vestiti» indicò i mobili «da domattina si studia come non hai mai immaginato… » Marisa si fermò «Apri quel trolley, voglio controllare una cosa.»
Sabrina appoggiò il bagaglio sul letto e lo aprì ricordandosi solo all’ultimo del sex toy che aveva arrotolato tra felpe e calzoni.
"Se zia lo vede…"
«Non ci siamo, Sabrina, non ci siamo proprio. Cos’è questa storia?»
Suo malgrado lei arrossì come e peggio di quando le aveva abbassato gli slip.
Marisa si avvicinò, la spinse da parte e prese a rovistare tra i vestiti mettendoli fuori alla rinfusa.
"Merda, adesso vede il dildo e mi picchierà pure per quello… ma io me ne vado, me ne—"
«Perché non ci sono libri qui? Non li avrai mica lasciati a casa?» la voce carica di rabbia di sua zia interruppe il pensiero e le domande imbarazzanti che aveva immaginato.
"I libri, e chi ci pensava?" Per lei la regola era, dopo l’ultimo giorno di scuola, mettere i libri nel dimenticatoio fino a settembre, per poi rivenderli che tanto papà gli comprava i libri per l’anno successivo.
«Vuoi rispondere o devo scioglierti la lingua col battipanni? Ci metto un minuto a prenderlo!»
«Li ho lasciati a casa, non pensavo…»
«Ecco, brava, non pensare, tanto non sei capace.» la risposta acida le fece montare la rabbia in petto, ma prima che potesse sbottare la zia proseguì «Mentre vado a dire due parole a tuo zio a proposito dei libri tu metti in ordine il tuo bagaglio, ti spogli e mi aspetti in piedi accanto al letto.»
«P… perché?» si tappò la bocca con le mani. Marisa estrasse un taccuino e una matita da una delle tasche della vestaglia e aggiunse una voce a una lunga lista.
Gliela mise a un palmo dagli occhi, in cima c’era la data di oggi e ogni riga iniziava con un orario seguito da una frase «Sono tutte le tue mancanze, da quando hai messo piede in casa!».
Sabrina spalancò la bocca ma non fece in tempo a contare le righe, a occhio una quindicina, mentre cominciava a realizzare cosa avevano voluto dire i suoi zii poco prima che le trasformassero il fondoschiena in uno stellare ammasso di dolore.
Sua zia uscì dalla stanza lasciandola sola.
Afferrò il telefono e chiamò subito suo padre.
Al terzo squillo udì la sua voce «Che vuoi?»
«Papino, ti prego, fammi tornare a casa» scoppiò in lacrime «Ho… ho capito la lezione, te lo giuro, pap—»
«Mi ha messaggiato Marisa, mi ha scritto che hai lasciato i libri di studio a casa. Domani manderò Camillo a portarteli, ma per colpa tua resterò senza autista mezza giornata, userò un taxi come tutti i comuni mortali, ma non la passerai liscia.» La voce di suo padre suonava così distante che in confronto l’orbita di Plutone le sembrò di averla a portata di mano «Eugenio deve averti spiegato che se vuoi andartene puoi farlo in qualsiasi momento e ti ho già spiegato che se non verrai ammessa al quinto anno… »
«Lo so, lo so» singhiozzò «è che tuo fratello e sua mog—»
«Allora fai in modo che io non senta più parlare di te fino a che non avrai superato quegli esami, non ho altro da dirti, buonanotte.» lui le parlò sopra e finita la frase interruppe la comunicazione.
La porta della camera si spalancò di botto «Così preferisci telefonare invece che eseguire gli ordini che ti vengono dati? Adesso facciamo i conti.» La voce di zia Marisa la fece sobbalzare e quando i passi di lei risuonarono sul pavimento sentì il cuore sprofondarle in fondo al ventre. Le sue mani corsero a parare il fondoschiena.
«Vedo che hai capito» disse la zia «Tuo padre lo aveva ben detto che sei una ragazza intelligente oltreché ostinata, ma se vuoi sfuggire alla punizione che ti aspetta, sai cosa devi fare.»
Sabrina si ritrasse nell’angolo più vicino alla finestra, la pioggia batteva insistente sui vetri. Ci appoggiò il sedere sopra in cerca di un po’ di sollievo dal bruciore che, all’annuncio di Marisa, aveva cominciato a pulsare sempre più forte.
«Adesso vieni qui e ripeti la frase che hai imparato poco fa.»
Sabrina scosse la testa e si spinse contro i doppi vetri come se questi potessero permetterle di passare attraverso e sfuggire a ciò che l’aspettava, senza altre conseguenze.
«Mi stai costringendo a ripetere l’ordine? Devo aggiungere un’altra mancanza a questo elenco? Sei già a quota venti, fai un po’ tu…»
Sabrina chinò il capo: o rispondere o partire.
La sua voce, come animata da una volontà che non le apparteneva, ruppe il silenzio «Mi perdoni, signora Marisa, ho sbagliato, merito qualsiasi punizione lei decida di impormi.»
Marisa le sorrise, ma lei non riuscì a trovare niente di rassicurante in quello che si stava trasformando rapidamente in un ghigno ai suoi occhi. Avanzò di un passo, poi un altro e ancora finché Marisa non la afferrò per un polso e la strattonò verso di sé.
«Adesso ti spogli e ti stendi sul letto a pancia sotto» le indicò la ruvida coperta marrone posta sopra le lenzuola.
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