L'arrivo dei coniugi schiavi (parte 3)
di
Kugher
genere
sadomaso
I due nuovi acquisti erano stati trasportati in Africa da un cargo commerciale.
Benché fossero due coniugi italiani, in realtà erano stati acquistati da un rivenditore di Parigi.
In Africa il commercio di esseri umani era molto florido ed erano molto ambiti quelli europei.
I due Padroni assistettero allo sbarco di una trentina di persone in schiavitù.
Avevano conosciuto qualche altro Padrone e Padrona in attesa che venissero espletate le formalità doganali. I dazi su quei prodotti erano abbastanza alti.
Videro ciò che aveva acquistato la Padrona con la quale avevano fatto conoscenza. Era una ragazza tedesca, rossa, molto carina. Ciò che colpì Ayana era il suo sguardo, da cagnolina sperduta, tenera ed indifesa. Per un attimo se la vide accucciata ai suoi piedi, legata al guinzaglio alla gamba della sua poltrona mentre leggeva un libro.
Si immaginò anche che con qualche colpo di frustino ben dato, in poco tempo le avrebbe anche insegnato a leccarle bene la figa.
Gli schiavi viaggiavano in gabbie molto piccole, per risparmiare spazio, in posture molto scomode essendo privilegiato il risparmio di spazio.
C’erano beni ed anche altri animali, soprattutto di razza.
Le gabbie erano poste su pianali e prese da muletti per essere depositati a terra, anche impilati uno sull’altra, mischiando schiavi, con animali ed altri oggetti.
Poi, lentamente, venne fatta la separazione.
Solitamente le operazioni di sbarco erano precluse alla vista dei clienti, ma loro, così come la Padrona con la quale avevano fatto amicizia, conoscevano il responsabile funzionario della dogana che li aveva fatti passare.
I due schiavi erano stati acquistati da catalogo. Li vendevano sia separatamente, in offerte singole, sia nella sezione dei coniugi, in coppia. Erano alla loro prima esperienza di schiavitù, appena condannati dal Tribunale.
I Padroni avevano visto qualche foto prima di selezionarli e manifestare il loro interesse all’acquisto. Poi vi erano stati anche alcuni collegamenti in video affinché potessero esaminare meglio la merce che intendevano acquistare.
Li riconobbero e si avvicinarono alla gabbia, sulla quale era apposto un sigillo ed i documenti di trasporto che identificavano i destinatari degli oggetti.
Ayana fu molto soddisfatta di entrambi i giovani, trovandoli molto belli. Anzi, dal vivo la tridimensionalità restituiva un oggetto di maggior pregio e bellezza.
La gabbia della schiava era a terra e quella dello schiavo appoggiata sopra, accatastati accanto ad altre gabbie.
Si era chinata per osservare il corpo della schiava e l’aveva trovato molto gradevole.
Cominciò a sentire alla bocca dello stomaco l’eccitazione per l’acquisto prendere sempre più corpo e consistenza.
Alzatasi in piedi aveva infilato tra le sbarre un piede.
La schiava era accucciata e la Padrona appoggiò il tacco sul suo fianco. Cominciò a schiacciare per procurare piacere a sé stessa a mezzo del dolore della ragazza.
Oltre all’erotismo voleva affermare da subito il confine e l’abisso tra i due ruoli e definire con precisione che lei era la Padrona ed aveva, in quanto tale, ogni diritto su di lei.
La schiava cercò di resistere il più possibile. Maggiore era la volontà di non dare segni di patimento, maggiore era la spinta del tacco nella sua carne.
La “lotta” era impari, non essendoci rapporto tra la poca fatica nello spingere il tacco e la grande sofferenza che esso procurava.
La schiava fu costretta a soccombere. A denti stretti e con un piccolo iniziale lamento, dichiarò la propria soccombenza. La gabbia era piccola. Cercava di spostarsi ma inutilmente.
Alla Padrona sembrò di scorgere, nella resistenza al dolore, una sorta di orgoglio e di volontà di non cedere al potere altrui, partita, peraltro, persa in partenza ma che diede piacere ad Ayana in quanto vi era proporzione tra la quantità di orgoglio della schiava e la quantità del suo piacere nell’ottenere la sottomissione.
Quando l’orgoglio della schiava cedette per lasciare posto al solo dolore, la Padrona infilò la punta della scarpa in prossimità del viso offrendola alla bocca della ragazza ingabbiata.
Aveva fermato la punta della calzatura davanti al viso del suo nuovo acquisto.
Voleva che fosse la schiava a colmare l’ultima distanza, aprendo la bocca ed infilando dentro il piede.
Furono eccitantissimi quei pochi secondi nei quali le parve di scorgere i pensieri della ragazza che, con grande lentezza, schiuse le labbra, evidentemente controvoglia, per portare avanti la testa e far entrare in bocca la punta della scarpa di colei che era la sua nuova Padrona, la quale cominciò a muovere la suola sulla lingua e a spingere maggiormente la scarpa in bocca.
Ayana avrebbe anche voluto vedere il cazzo dello schiavo posto più in alto, ma la gabbia era molto stretta e non riuscì. Avrebbe forse potuto infilare appena un braccio tra le cosce e raggiungerlo con la mano, ma lo schiavo era molto sporco e non le andava di toccarlo.
Entrambi i Padroni erano sicuri che quei due nuovi acquisti sarebbero stati fonte di rinnovati piaceri.
Benché fossero due coniugi italiani, in realtà erano stati acquistati da un rivenditore di Parigi.
In Africa il commercio di esseri umani era molto florido ed erano molto ambiti quelli europei.
I due Padroni assistettero allo sbarco di una trentina di persone in schiavitù.
Avevano conosciuto qualche altro Padrone e Padrona in attesa che venissero espletate le formalità doganali. I dazi su quei prodotti erano abbastanza alti.
Videro ciò che aveva acquistato la Padrona con la quale avevano fatto conoscenza. Era una ragazza tedesca, rossa, molto carina. Ciò che colpì Ayana era il suo sguardo, da cagnolina sperduta, tenera ed indifesa. Per un attimo se la vide accucciata ai suoi piedi, legata al guinzaglio alla gamba della sua poltrona mentre leggeva un libro.
Si immaginò anche che con qualche colpo di frustino ben dato, in poco tempo le avrebbe anche insegnato a leccarle bene la figa.
Gli schiavi viaggiavano in gabbie molto piccole, per risparmiare spazio, in posture molto scomode essendo privilegiato il risparmio di spazio.
C’erano beni ed anche altri animali, soprattutto di razza.
Le gabbie erano poste su pianali e prese da muletti per essere depositati a terra, anche impilati uno sull’altra, mischiando schiavi, con animali ed altri oggetti.
Poi, lentamente, venne fatta la separazione.
Solitamente le operazioni di sbarco erano precluse alla vista dei clienti, ma loro, così come la Padrona con la quale avevano fatto amicizia, conoscevano il responsabile funzionario della dogana che li aveva fatti passare.
I due schiavi erano stati acquistati da catalogo. Li vendevano sia separatamente, in offerte singole, sia nella sezione dei coniugi, in coppia. Erano alla loro prima esperienza di schiavitù, appena condannati dal Tribunale.
I Padroni avevano visto qualche foto prima di selezionarli e manifestare il loro interesse all’acquisto. Poi vi erano stati anche alcuni collegamenti in video affinché potessero esaminare meglio la merce che intendevano acquistare.
Li riconobbero e si avvicinarono alla gabbia, sulla quale era apposto un sigillo ed i documenti di trasporto che identificavano i destinatari degli oggetti.
Ayana fu molto soddisfatta di entrambi i giovani, trovandoli molto belli. Anzi, dal vivo la tridimensionalità restituiva un oggetto di maggior pregio e bellezza.
La gabbia della schiava era a terra e quella dello schiavo appoggiata sopra, accatastati accanto ad altre gabbie.
Si era chinata per osservare il corpo della schiava e l’aveva trovato molto gradevole.
Cominciò a sentire alla bocca dello stomaco l’eccitazione per l’acquisto prendere sempre più corpo e consistenza.
Alzatasi in piedi aveva infilato tra le sbarre un piede.
La schiava era accucciata e la Padrona appoggiò il tacco sul suo fianco. Cominciò a schiacciare per procurare piacere a sé stessa a mezzo del dolore della ragazza.
Oltre all’erotismo voleva affermare da subito il confine e l’abisso tra i due ruoli e definire con precisione che lei era la Padrona ed aveva, in quanto tale, ogni diritto su di lei.
La schiava cercò di resistere il più possibile. Maggiore era la volontà di non dare segni di patimento, maggiore era la spinta del tacco nella sua carne.
La “lotta” era impari, non essendoci rapporto tra la poca fatica nello spingere il tacco e la grande sofferenza che esso procurava.
La schiava fu costretta a soccombere. A denti stretti e con un piccolo iniziale lamento, dichiarò la propria soccombenza. La gabbia era piccola. Cercava di spostarsi ma inutilmente.
Alla Padrona sembrò di scorgere, nella resistenza al dolore, una sorta di orgoglio e di volontà di non cedere al potere altrui, partita, peraltro, persa in partenza ma che diede piacere ad Ayana in quanto vi era proporzione tra la quantità di orgoglio della schiava e la quantità del suo piacere nell’ottenere la sottomissione.
Quando l’orgoglio della schiava cedette per lasciare posto al solo dolore, la Padrona infilò la punta della scarpa in prossimità del viso offrendola alla bocca della ragazza ingabbiata.
Aveva fermato la punta della calzatura davanti al viso del suo nuovo acquisto.
Voleva che fosse la schiava a colmare l’ultima distanza, aprendo la bocca ed infilando dentro il piede.
Furono eccitantissimi quei pochi secondi nei quali le parve di scorgere i pensieri della ragazza che, con grande lentezza, schiuse le labbra, evidentemente controvoglia, per portare avanti la testa e far entrare in bocca la punta della scarpa di colei che era la sua nuova Padrona, la quale cominciò a muovere la suola sulla lingua e a spingere maggiormente la scarpa in bocca.
Ayana avrebbe anche voluto vedere il cazzo dello schiavo posto più in alto, ma la gabbia era molto stretta e non riuscì. Avrebbe forse potuto infilare appena un braccio tra le cosce e raggiungerlo con la mano, ma lo schiavo era molto sporco e non le andava di toccarlo.
Entrambi i Padroni erano sicuri che quei due nuovi acquisti sarebbero stati fonte di rinnovati piaceri.
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