La commercialista

di
genere
tradimenti

Era una bella donna. Poco sopra i 30 anni, bionda, alta, tutte le curve al punto giusto e due belle gambe lunghe e magre, che amava valorizzare indossando minigonne e scarpe col tacco alto. Lavorava come commercialista nello studio del marito, col quale ormai il rapporto era entrato nella più classica delle routines: lavoro, casa, sesso poco o nulla. Ma a Cristina il sesso piaceva, le piaceva il cazzo, sentirsi presa e preda di un maschio. Le piacevano gli occhi degli uomini addosso, le piaceva che la guardassero, la spogliassero con gli occhi, che immaginassero di possederla. Soprattutto le piacevano i maschi maturi, i cinquantenni o sessantenni libidinosi e porci. I loro occhi addosso la facevano letteralmente bagnare, anche quando semplicemente la fissavano per strada, o magari nel palazzo dove lavorava. Proprio in quel palazzo abitava Marco, un cinquantacinquenne scapolo, brizzolato con gli occhi verdi, che amava tenersi in forma e soprattutto amava scoparsi le ragazze più giovani, se sposate ancora meglio. Marco aveva già incrociato Cristina spesso nel palazzo e, da esperto cacciatore, aveva già intuito le potenzialità nascoste di quella bella biondina. Aveva scrutato quel visino che gli occhiali rendevano estremamente provocante. Aveva ammirato la curva dei seni evidenziati dalle scollature mai eccessive. Aveva percorso con gli occhi le gambe, sognando spesso di aprirle per tuffarci prima la lingua in mezzo e poi il suo cazzo grosso e duro. Cristina aveva spesso notato gli sguardi di Marco, le piacevano, lui le piaceva. Ma non avrebbe mai fatto nulla per farglielo capire.
Un pomeriggio in cui era sola in ufficio, il marito nello studio del capoluogo e le due dipendenti a casa in ferie, sentì suonare il campanello. Aprì la porta e si trovò di fronte Marco.
“Buongiorno, piacere, sono Marco Veronesi, abito qui nel palazzo ed avrei necessità di una consulenza fiscale”, disse lui. Lei non si scompose e si presentò: “Piacere, Cristina C., prego, si accomodi nel mio ufficio”. Lo fece entrare e lo precedette lungo il corridoio che portava al suo ufficio, dandogli così modo di ammirare il suo culo ondeggiante nella minigonna, e le gambe lunghe che terminavano in uno splendido paio di sandaletti rossi. Una volta accomodati ai lati opposti della scrivania, Marco iniziò ad esporre il suo problema: era entrato recentemente in possesso di un paio di immobili in eredità e voleva affittarli; necessitava però di chiarificazioni sulla tassazione a cui sarebbe andato incontro. Cristina iniziò a dargli delucidazioni ma si rese subito conto che lui non l’ascoltava. Sentiva i suoi occhi scrutarle le labbra, il volto, ogni tanto lui appoggiava il suo sguardo sul seno. Lei finì di parlare e gli chiese se necessitasse di altro, lui si scosse e rispose secco:” Sì, di te!”. Lei rimase spiazzata, aveva capito di piacergli ma non si aspettava tanta sfacciataggine. Iniziò a balbettare un “Guardi che io sono spo…” ma lui non la lasciò finire. In un attimo girò intorno alla scrivania e le abbrancò una tetta con la mano. Lei fece per urlare ma lui le infilò lesto la lingua in bocca. Lei non reagì inizialmente ma sentiva il capezzolo duro e le sue mutandine erano bagnate, anzi, zuppe. Istintivamente iniziò a rispondere al bacio e Marco capì che era fatta. Senza smettere di baciarla girò la sedia di lei verso di sé e, con la mano libera, accarezzò le sue gambe prima delicatamente e poi la forzò ad aprirle per arrivare ad accarezzarle la fica attraverso le mutandine. Le sentì bagnate e non resistette: smise di baciarla, s’inginocchiò fra di esse e le tolse il perizoma furiosamente, per poi fiondarsi su quella fichetta depilata e grondante umori. Lei gemette di piacere quando sentì la lingua iniziare a torturarle il clitoride, con una mano iniziò a torturarsi le tette mentre l’altra andò tra i folti capelli di Marco ad intrappolarlo sulla sua fica. Era bravo, molto bravo: la sua lingua, il luogo, la situazione improvvisa ed inaspettata…tutto contribuiva a farla sentire troia e Cristina adorava sentirsi la troia di un daddy. L’orgasmo montò veloce: abbandonò la tetta e si tappò la bocca con la mano; non poteva certo farsi sentire da tutto il palazzo, anche se la sua vena esbizionista non ne sarebbe certo stata dispiaciuta. Marco si calmò, si calmò la sua furia, sollevò il viso dalla sua fica, la bocca impiastricciata di umori. Si allungò e la baciò oscenamente in bocca obbligandola a sentire il suo stesso sapore, cosa che lei non apprezzava particolarmente, ma non aveva forze né lucidità per rifiutarsi. Senza che nemmeno se ne rendesse conto lui aveva già aperto i pantaloni e tirato fuori il cazzo, un bel cazzo. Lungo, ma soprattutto grosso e venoso. E depilato, come piaceva a lei. Sì sentì afferrare per i capelli e si trovò col cazzo di fronte alle labbra: ne sentì l’odore ed aprì la bocca, iniziando a leccarlo. Ma Marco premeva sulla sua testa e si trovò col cazzo in bocca, un grosso cazzo che le scopava la bocca. Aveva un buon sapore e senza pensarci si lasciò guidare fino a quando lui non la lasciò libera di spompinarlo come a lei più piaceva. E Cristina decise che lo avrebbe fatto impazzire. Impugnò quel cazzo ed iniziò a succhiarlo lentamente, avvolgendolo con la lingua, stuzzicandone il glande, mentre ammirava la faccia estatica di questo porco. Poi scese a leccargli i coglioni: “Lo sapevo che eri una troia!” disse lui guardandola negli occhi. Lei s’interruppe un attimo e poi si lasciò cadere in ginocchio e tornò ad imboccare il cazzo decisa a farlo impazzire. Andò avanti un bel cinque minuti a lucidarglielo di saliva ma, quando fu bello duro, s’interruppe. “Ce l’hai un preservativo?”. Lui ghignò ed infilò una mano in tasca estraendone un goldone, glielo porse e le disse: “Mettimelo tu”: lei eseguì docile, poi si alzò, si appoggiò alla scrivania e, sollevandosi la minigonna, disse solo “Scopami!”. Lui non se lo fece ripetere, strusciò il cazzo lungo lo spacco della fica e poi lo infilò con un colpo secco, iniziando a scoparla come un animale. Nessuna parola, solo colpi secchi, sudore ed odore di sesso riempivano l’ufficio. Ogni tanto qualche gemito mentre lui le strizzava una tetta o le leccava il collo infilandole il cazzo fino ai coglioni. La mano di lei scese ad accarezzarsi il grilletto per accelerare il piacere. Anche lui voleva godere e, se possibile, accelerò ancora di più. “Sborrami in faccia!”. Lui s’interruppe sorpreso: era più troia di quanto la facesse. Si tolse da lei e si sfilò il preservativo: “Inginocchiati!”. Lei eseguì e lo ammirò segarsi a pochi centimetri dal suo volto. Ogni tanto con la lingua lambiva la cappella e lo osservava in volto, paonazzo. Non disse nulla lui ma uno schizzo abbondante la colse sulla guancia, seguito da altri 4 che le sporcarono labbra, naso, occhiali e capelli. Non si formalizzò più di tanto e imboccò di nuovo il cazzo per pulirlo e gustare il sapore della sua sborra, che trovò molto gradevole. Talmente tanto che con le dita andò anche a raccogliere quella sul suo volto e se la portò alla bocca mentre lui la guardava ammirato.
Nessuna parola mentre si rassettavano per rendersi presentabili. Solamente quando lui stava per uscire dal suo ufficio le disse: “La sua consulenza è stata molto preziosa. Potrei avere ancora bisogno dei suoi servigi”. Lei gli sorrise e, maliziosa, rispose: ”Sarà un piacere, magari in un luogo più appartato”.
scritto il
2021-06-04
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