E l’infermiere disse: “Sta bene. Ci vediamo dopo”….. E poi tornò con il clistere!
di
Giuditta
genere
prime esperienze
Sono Giuditta.
Ho letto con una certa curiosità il racconto “Esperienza in clinica” e gli altri due racconti della stessa autrice che mi sembrano rispondenti al vero. Quello che è capitato a me è, per tanti versi, il contrario.
In ospedale non ho incontrato personale che mi dava del “Lei” e che mi trattava con i guanti, anzi….. Però è stata una esperienza che – sia pure in altre condizioni – sarei disposta a ripetere.
Ve lo racconto alla mia maniera. Perdonatemi qualche errore di grammatica ma non sono laureata e abbozzare una lettera per me è già una impresa.
Dopo due fidanzamenti falliti, riesco finalmente a trovare il mio amore che spero mi accompagnerà per tutta la vita.
Facciamo le cose per bene e pensiamo a sistemarci.
All’inizio dei preparativi per il matrimonio, una brutta sorpresa.
Inizio a sentirmi male. Pancia gonfia, perdite, cicli irregolari e via discorrendo.
Non rimane che affidarmi alle cure dei medici.
Noi in famiglia siamo tutti operai, non abbiamo santi in paradiso e il mio fidanzato meno che mai.
Inizio con una serie di analisi preventive (prescritte dal medico di base), poi si vedrà….
I primi risultati sono impietosi: cisti ovarica.
Quindi ricovero in ospedale per attuare il resto delle analisi più approfondite.
Entro in ospedale e mi dirottano verso la clinica ginecologica. Qui una serie di analisi e risultato confermato: cisti ovarica. Urge intervento, soprattutto in vista del matrimonio.
Mi fanno cambiare reparto ed entro in quello di chirurgia.
Qui non funziona come la ginecologia ove il personale è quasi tutto femminile, ad eccezione dei Dottori. In chirurgia ci sono nello stesso corridoio stanze (due o tre letti) per uomini e stanze per donne ed il personale è – come loro stessi dicevano – promiscuo.
Di fatto, proprio per gli infermieri professionali vi era una netta predominanza numerica degli uomini.
In particolare c’è l’infermiere professionale più anziano che detta legge, anche sui giovani dottori. E’ un tipo di oltre la cinquantina, pochi capelli, sempre puliti ed ordinati, grassottello, camicia sbottonata che lascia intravedere la foresta di peli del petto. Un soggetto autoritario ma che a dire di tutti, è il più in gamba. Però è antipatico, terribilmente antipatico. Dà del “tu” un po’ a tutti e parla senza mezzi termini. Rude ma non malvagio. Lo si sente sempre ripetere: “Sta bene. Ci vediamo dopo.”
Dopo altre analisi (una serie di ecografie e due TAC) si decide per l’intervento. Una OSS (operatrice socio sanitaria) mi dà qualche consiglio e mi invita a depilarmi da sola ed anche immediatamente.
Comunque è una fortuna che io sia già ricoverata; in tal maniera non devo fare “lista di attesa” che comporta settimane se non mesi di ritardo.
Prima dell’intervento vengo sottoposta ad una serie di visite. In quella cardiologica il cardiologo rileva un qualcosina che non va al cuore. Nulla di grave, ma avvisa l’anestesista. Questi vede la documentazione (elettrocardiogramma, altre analisi ed altro) e decide il ricovero il “terapia intensiva” dopo l’intervento, per un tempo da valutare al momento.
Il giorno prima dell’intervento, digiuno assoluto.
La sera prima dell’intervento inizio ad avere un po’ di paura.
Alle 20 – 20,30 vengono allontanati tutti i parenti ed i visitatori.
Alle 21 – 21,15 iniziano le terapie, stanza per stanza, ai vari pazienti.
Tutto l’occorrente è riposto su di un carrello per infermeria che inizia a fare su e giù per tutto il corridoio.
Sfortuna vuole che quell’essere antipatico sopra descritto è di turno. Nel reparto il personale è scarso. Vi è un giovane medico di guardia (credo davvero alle prime armi) ed una Operatrice Socio sanitaria.
L’infermiere entra senza bussare nella mia stanza (per fortuna ci sono solo io, almeno per quella notte) e mi ordina:
“Abbassati le mutandine.”
Gli dico: “Devo fare una iniezione?”
“Una? Due! Ti devo bucare il culetto per due volte.”
Ed appoggia sul comodino un piccolo vassoietto in metallo con le due siringhe.
“Stai calma altrimenti ti farai male”.
E via la prima…… poi la seconda……
Poi, andando via, la solita frase: “Sta bene. Ci vediamo dopo”.
Verso le 22,15 mi preparo per la notte. Sto ponendo gli orecchini, il braccialetto e la collanina (tutto di nessun valore) in una tasca della valigia, quando vedo entrare questo infermiere con la sacca blu del clistere (che ho visto vendere in farmacia) e due asciugamani: uno più grande, l’altro più piccolo, come si dice: ospite.
“Abbassati le mutandine e vai sul letto a pancia sotto. Ti devo fare il clistere.”
Rimango senza fiato. Chiedo soltanto “Perché?”
“Perché è necessario” – risponde – “L’addome deve essere completamente pulito per non creare problemi al campo operatorio. Poi ho visto che dopo l’intervento devi andare in terapia intensiva. Quelli della terapia intensiva si incazzano come bestie se vedono un paziente che sporca e se la prendono con noi del reparto per una errata preparazione”.
Poi ancora, mentre ha sistemato l’asciugamano grande sul letto, “Avanti, non perdere altro tempo. Da quanti giorni non vai di corpo?”
“Credo con oggi sono quattro giorni.”
E lui con arroganza: “Cazzo! E stiamo ancora discutendo?”
Poi: “Stai ferma.”
Mi apre le chiappe ed inserisce la piccola cannula bianca nel mio culo.
Sento che il liquido purgante entrare nel mio corpo.
Dico: “Basta. Non posso resistere”.
“Basta? Abbiamo appena cominciato! Aspetta”.
“Basta non ce la faccio più.”
E subito dopo rilascio uno schizzo di liquido e cacca che bagna il lenzuolo e l’asciugamano grande.”
Lui: “Cazzo hai visto cosa hai fatto? Sei una zozzona! Ed è entrato meno di mezzo litro. Con meno di mezzo litro non fai nulla. Ma se l’intestino è pieno è inutile insistere. Vai a cesso.
“MI alzo e corro in bagno.
Lui intanto recupera tutto e va via. Ma prima dice come al suo solito: “Sta bene. Ci vediamo dopo”.
Quando esco dal bagno vedo che la Operatrice socio sanitaria sta cambiando le lenzuola. Le dico: “Grazie. Non era nelle mie intenzioni.”
Sento la pancia tutta indolenzita.
Dopo circa mezz’ora – e sono quasi le 23 – rieccolo di nuovo.
Naturalmente entra senza bussare e dice:
“Dobbiamo ripetere il clistere.”
Questa volta porta con sé non la solita sacca blu ma un contenitore più grosso e colore avorio con un tubo lungo ed una cannula nera enorme. Non so se sia la stessa ma sembra quella per i lavaggi vaginali. Ovviamente altri due asciugamani.
Protesto: “Voglio parlare con il medico di guardia!”
“Per fare cosa? E’ lui che mi ha autorizzato.”
“Sono convinta che il medico di guardia di sua iniziativa non ha autorizzato un bel niente. E’ stato Lei che ha proposto tutto.”
“E anche se fosse? Sul rapportino vi è la sigla del medico per l’autorizzazione. Lui mi ha autorizzato e io eseguo. Punto! Non mi va di discutere oltre!”
Difatti è così. Non ho scelta. Mi pongo sul letto e mi scopro.
Lui appende il contenitore al grosso braccio di metallo che si trova sul letto e che serve per aiutare il paziente ad alzarsi. Poi lubrifica il mio buchetto e la grossa cannula e dice, paradossalmente con un po’ di calma:
“Stai serena. Stai serena.”
Io continuo a muovermi nervosamente ed a osservare l’apparecchio che mi incute paura.
Lui: “Ti ho detto di stare serena. Su, su, non pensare al clistere. Pensa alle cose belle. Pensa di stare al mare a prendere il sole. Pensa al tuo fidanzato. Eh, ce l’hai il fidanzato?”
Ho un attimo di rilassamento e lui: “Adesso apri le gambe!”
Faccio così e mi sento quella grossa cannula penetrare, ma questa volta in maniera diversa, non mi vergogno a dirlo: quasi piacevole……
“Bene, ora facciamo con calma.”
Ed inizia a far defluire il liquido con lentezza.
Con la cannula, tirandola su e spingendola giù con movimenti ritmici, mi massaggia il buco del culo. Poi dice:
“Non è mia abitudine fare apprezzamenti sui pazienti. Però te lo devo dire. Te lo devo proprio dire: tu hai davvero un bel culo!”
Mi sembra di non essere più me stessa ed inizio a godere.
Lui si accorge della situazione e ai movimenti ritmici di su e giù, aggiunge un altro: quello di ruotare la cannula dentro di me. La sua mano destra – quella che reggeva la cannula – inizia a percorrere dei piccoli cerchi, ovvero una rotazione a destra ed un’altra a sinistra della cannula. Questa operazione mi affascina, mi eccita ancora di più e comincio a toccarmi…..
Lui segue la situazione e mi dice a bassa voce: “Fai pure.”
Sto per arrivare all’orgasmo quando sento la sua voce: “Ancora un po’. Ora devo aprire tutto il rubinetto e spingere la cannula dentro.”
Sento il mio corpo invaso dal liquido purgante e la cannula tutta dentro di me. Mi tocco ancora ed arrivo all’orgasmo. Una esperienza unica ed indimenticabile.”
Lui: “Finito! Questa volta sei stata bravissima. Trattieni il tempo che puoi e poi vai a cesso”.
Lui recupera tutto e va via. Uscendo non dice la solita frase: “Sta bene. Ci vediamo dopo”, ma soltanto “Arrivederci.”
Dopo essermi liberata, mi metto a letto per dormire. Ma la notte altro non è che un ripensare a quanto accaduto. Mi tocco e mi ritocco tutto il corpo con grande soddisfazione fino a che non casco dal sonno.
La mattina dopo c’è l’intervento che riesce benissimo.
Sosto per circa dieci ore in terapia intensiva, poi mi riportano in stanza.
Alla vista del mio fidanzato, ho un piccolo tremito. Non gli racconto nulla della esperienza trascorsa. Gli dico solo che prima dell’intervento la infermiera operatrice socio sanitaria mi ha fatto un clistere. Non voglio suscitare sensi di gelosia. E anche perché quella esperienza è stata per me edificante. Il ricordo di essere stata succube di una persona autoritaria ed intransigente, che non ammette discussioni e pretende la esecuzione dei suoi ordini, il tutto per un fine non cattivo o illegale, suscita in me una sensazione particolare. E mi sento più donna.
Alla domanda: “Lo rifaresti?” Risponderei senz’altro di sì, magari con il mio fidanzato – attuale marito - e in ambiente “provocante”, che non sia, ovviamente, il solito letto nuziale.
Giuditta.
Ho letto con una certa curiosità il racconto “Esperienza in clinica” e gli altri due racconti della stessa autrice che mi sembrano rispondenti al vero. Quello che è capitato a me è, per tanti versi, il contrario.
In ospedale non ho incontrato personale che mi dava del “Lei” e che mi trattava con i guanti, anzi….. Però è stata una esperienza che – sia pure in altre condizioni – sarei disposta a ripetere.
Ve lo racconto alla mia maniera. Perdonatemi qualche errore di grammatica ma non sono laureata e abbozzare una lettera per me è già una impresa.
Dopo due fidanzamenti falliti, riesco finalmente a trovare il mio amore che spero mi accompagnerà per tutta la vita.
Facciamo le cose per bene e pensiamo a sistemarci.
All’inizio dei preparativi per il matrimonio, una brutta sorpresa.
Inizio a sentirmi male. Pancia gonfia, perdite, cicli irregolari e via discorrendo.
Non rimane che affidarmi alle cure dei medici.
Noi in famiglia siamo tutti operai, non abbiamo santi in paradiso e il mio fidanzato meno che mai.
Inizio con una serie di analisi preventive (prescritte dal medico di base), poi si vedrà….
I primi risultati sono impietosi: cisti ovarica.
Quindi ricovero in ospedale per attuare il resto delle analisi più approfondite.
Entro in ospedale e mi dirottano verso la clinica ginecologica. Qui una serie di analisi e risultato confermato: cisti ovarica. Urge intervento, soprattutto in vista del matrimonio.
Mi fanno cambiare reparto ed entro in quello di chirurgia.
Qui non funziona come la ginecologia ove il personale è quasi tutto femminile, ad eccezione dei Dottori. In chirurgia ci sono nello stesso corridoio stanze (due o tre letti) per uomini e stanze per donne ed il personale è – come loro stessi dicevano – promiscuo.
Di fatto, proprio per gli infermieri professionali vi era una netta predominanza numerica degli uomini.
In particolare c’è l’infermiere professionale più anziano che detta legge, anche sui giovani dottori. E’ un tipo di oltre la cinquantina, pochi capelli, sempre puliti ed ordinati, grassottello, camicia sbottonata che lascia intravedere la foresta di peli del petto. Un soggetto autoritario ma che a dire di tutti, è il più in gamba. Però è antipatico, terribilmente antipatico. Dà del “tu” un po’ a tutti e parla senza mezzi termini. Rude ma non malvagio. Lo si sente sempre ripetere: “Sta bene. Ci vediamo dopo.”
Dopo altre analisi (una serie di ecografie e due TAC) si decide per l’intervento. Una OSS (operatrice socio sanitaria) mi dà qualche consiglio e mi invita a depilarmi da sola ed anche immediatamente.
Comunque è una fortuna che io sia già ricoverata; in tal maniera non devo fare “lista di attesa” che comporta settimane se non mesi di ritardo.
Prima dell’intervento vengo sottoposta ad una serie di visite. In quella cardiologica il cardiologo rileva un qualcosina che non va al cuore. Nulla di grave, ma avvisa l’anestesista. Questi vede la documentazione (elettrocardiogramma, altre analisi ed altro) e decide il ricovero il “terapia intensiva” dopo l’intervento, per un tempo da valutare al momento.
Il giorno prima dell’intervento, digiuno assoluto.
La sera prima dell’intervento inizio ad avere un po’ di paura.
Alle 20 – 20,30 vengono allontanati tutti i parenti ed i visitatori.
Alle 21 – 21,15 iniziano le terapie, stanza per stanza, ai vari pazienti.
Tutto l’occorrente è riposto su di un carrello per infermeria che inizia a fare su e giù per tutto il corridoio.
Sfortuna vuole che quell’essere antipatico sopra descritto è di turno. Nel reparto il personale è scarso. Vi è un giovane medico di guardia (credo davvero alle prime armi) ed una Operatrice Socio sanitaria.
L’infermiere entra senza bussare nella mia stanza (per fortuna ci sono solo io, almeno per quella notte) e mi ordina:
“Abbassati le mutandine.”
Gli dico: “Devo fare una iniezione?”
“Una? Due! Ti devo bucare il culetto per due volte.”
Ed appoggia sul comodino un piccolo vassoietto in metallo con le due siringhe.
“Stai calma altrimenti ti farai male”.
E via la prima…… poi la seconda……
Poi, andando via, la solita frase: “Sta bene. Ci vediamo dopo”.
Verso le 22,15 mi preparo per la notte. Sto ponendo gli orecchini, il braccialetto e la collanina (tutto di nessun valore) in una tasca della valigia, quando vedo entrare questo infermiere con la sacca blu del clistere (che ho visto vendere in farmacia) e due asciugamani: uno più grande, l’altro più piccolo, come si dice: ospite.
“Abbassati le mutandine e vai sul letto a pancia sotto. Ti devo fare il clistere.”
Rimango senza fiato. Chiedo soltanto “Perché?”
“Perché è necessario” – risponde – “L’addome deve essere completamente pulito per non creare problemi al campo operatorio. Poi ho visto che dopo l’intervento devi andare in terapia intensiva. Quelli della terapia intensiva si incazzano come bestie se vedono un paziente che sporca e se la prendono con noi del reparto per una errata preparazione”.
Poi ancora, mentre ha sistemato l’asciugamano grande sul letto, “Avanti, non perdere altro tempo. Da quanti giorni non vai di corpo?”
“Credo con oggi sono quattro giorni.”
E lui con arroganza: “Cazzo! E stiamo ancora discutendo?”
Poi: “Stai ferma.”
Mi apre le chiappe ed inserisce la piccola cannula bianca nel mio culo.
Sento che il liquido purgante entrare nel mio corpo.
Dico: “Basta. Non posso resistere”.
“Basta? Abbiamo appena cominciato! Aspetta”.
“Basta non ce la faccio più.”
E subito dopo rilascio uno schizzo di liquido e cacca che bagna il lenzuolo e l’asciugamano grande.”
Lui: “Cazzo hai visto cosa hai fatto? Sei una zozzona! Ed è entrato meno di mezzo litro. Con meno di mezzo litro non fai nulla. Ma se l’intestino è pieno è inutile insistere. Vai a cesso.
“MI alzo e corro in bagno.
Lui intanto recupera tutto e va via. Ma prima dice come al suo solito: “Sta bene. Ci vediamo dopo”.
Quando esco dal bagno vedo che la Operatrice socio sanitaria sta cambiando le lenzuola. Le dico: “Grazie. Non era nelle mie intenzioni.”
Sento la pancia tutta indolenzita.
Dopo circa mezz’ora – e sono quasi le 23 – rieccolo di nuovo.
Naturalmente entra senza bussare e dice:
“Dobbiamo ripetere il clistere.”
Questa volta porta con sé non la solita sacca blu ma un contenitore più grosso e colore avorio con un tubo lungo ed una cannula nera enorme. Non so se sia la stessa ma sembra quella per i lavaggi vaginali. Ovviamente altri due asciugamani.
Protesto: “Voglio parlare con il medico di guardia!”
“Per fare cosa? E’ lui che mi ha autorizzato.”
“Sono convinta che il medico di guardia di sua iniziativa non ha autorizzato un bel niente. E’ stato Lei che ha proposto tutto.”
“E anche se fosse? Sul rapportino vi è la sigla del medico per l’autorizzazione. Lui mi ha autorizzato e io eseguo. Punto! Non mi va di discutere oltre!”
Difatti è così. Non ho scelta. Mi pongo sul letto e mi scopro.
Lui appende il contenitore al grosso braccio di metallo che si trova sul letto e che serve per aiutare il paziente ad alzarsi. Poi lubrifica il mio buchetto e la grossa cannula e dice, paradossalmente con un po’ di calma:
“Stai serena. Stai serena.”
Io continuo a muovermi nervosamente ed a osservare l’apparecchio che mi incute paura.
Lui: “Ti ho detto di stare serena. Su, su, non pensare al clistere. Pensa alle cose belle. Pensa di stare al mare a prendere il sole. Pensa al tuo fidanzato. Eh, ce l’hai il fidanzato?”
Ho un attimo di rilassamento e lui: “Adesso apri le gambe!”
Faccio così e mi sento quella grossa cannula penetrare, ma questa volta in maniera diversa, non mi vergogno a dirlo: quasi piacevole……
“Bene, ora facciamo con calma.”
Ed inizia a far defluire il liquido con lentezza.
Con la cannula, tirandola su e spingendola giù con movimenti ritmici, mi massaggia il buco del culo. Poi dice:
“Non è mia abitudine fare apprezzamenti sui pazienti. Però te lo devo dire. Te lo devo proprio dire: tu hai davvero un bel culo!”
Mi sembra di non essere più me stessa ed inizio a godere.
Lui si accorge della situazione e ai movimenti ritmici di su e giù, aggiunge un altro: quello di ruotare la cannula dentro di me. La sua mano destra – quella che reggeva la cannula – inizia a percorrere dei piccoli cerchi, ovvero una rotazione a destra ed un’altra a sinistra della cannula. Questa operazione mi affascina, mi eccita ancora di più e comincio a toccarmi…..
Lui segue la situazione e mi dice a bassa voce: “Fai pure.”
Sto per arrivare all’orgasmo quando sento la sua voce: “Ancora un po’. Ora devo aprire tutto il rubinetto e spingere la cannula dentro.”
Sento il mio corpo invaso dal liquido purgante e la cannula tutta dentro di me. Mi tocco ancora ed arrivo all’orgasmo. Una esperienza unica ed indimenticabile.”
Lui: “Finito! Questa volta sei stata bravissima. Trattieni il tempo che puoi e poi vai a cesso”.
Lui recupera tutto e va via. Uscendo non dice la solita frase: “Sta bene. Ci vediamo dopo”, ma soltanto “Arrivederci.”
Dopo essermi liberata, mi metto a letto per dormire. Ma la notte altro non è che un ripensare a quanto accaduto. Mi tocco e mi ritocco tutto il corpo con grande soddisfazione fino a che non casco dal sonno.
La mattina dopo c’è l’intervento che riesce benissimo.
Sosto per circa dieci ore in terapia intensiva, poi mi riportano in stanza.
Alla vista del mio fidanzato, ho un piccolo tremito. Non gli racconto nulla della esperienza trascorsa. Gli dico solo che prima dell’intervento la infermiera operatrice socio sanitaria mi ha fatto un clistere. Non voglio suscitare sensi di gelosia. E anche perché quella esperienza è stata per me edificante. Il ricordo di essere stata succube di una persona autoritaria ed intransigente, che non ammette discussioni e pretende la esecuzione dei suoi ordini, il tutto per un fine non cattivo o illegale, suscita in me una sensazione particolare. E mi sento più donna.
Alla domanda: “Lo rifaresti?” Risponderei senz’altro di sì, magari con il mio fidanzato – attuale marito - e in ambiente “provocante”, che non sia, ovviamente, il solito letto nuziale.
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