Martina
di
ZioMarco
genere
incesti
C’è solo un posto libero in sala imbarchi, vicino al gate 7. Mi dici: dai zio, siediti, io mi metto sulle tue ginocchia. Cerco di ribattere, non hai più 5 anni, mi sovrasti di due o tre centimetri e hai compiuto i 18… Mi morderei la lingua: me lo hai già ripetuto 3 volte, solo oggi. Ho 18 anni, zio.
Non riesco a impedirtelo, non riesco a impedirmelo. Mi siedo sulla poltroncina, e tu sulle mie ginocchia. Noti il mio disagio e mi chiedi se ho paura che qualcuno possa pensare male, ma sai già che non me ne frega niente.
Mi domando perché tua mamma e tua zia - mia moglie – abbiano insistito perché prendessimo il volo insieme. Hai girato mezza Europa da sola da quando hai 16 anni, avresti potuto fare questo viaggio senza essere accompagnata da me. Evito di chiedertelo, temo ci sia il tuo zampino. E tremo all’idea di saperlo; meglio l’ignoranza, a volte.
Parli, mi racconti cose, mi incalzi di domande. Non smetti un attimo. Mi parli come fossi un tuo amico, un tuo coetaneo, ma non dici sciocchezze da adolescente.
E’ sempre stato così. Sei sempre stata la mia preferita, perché anche quando avevi 5 anni era un piacere parlare con te. E a te piaceva parlare con me, forse perché ero uno dei pochi che ti parlava come si parla agli adulti.
Sei sempre stata un passo avanti. Intelligente, sveglia, determinata. E ne sei sempre stata consapevole; e non ti sei mai risparmiata nel farlo notare. Ed è per questo che molti ti considerano una stronza. Compresi i tuoi genitori. E sei sempre stata bella, inoltre. Anche di questo sei sempre stata consapevole, ma non fino in fondo. O, per lo meno, non l’hai mai fatto pesare.
Una bella bambina, intelligente. Da mordere. La mia nipotina preferita. Anni luce avanti tuo fratello e tutti gli altri cugini. Finché un’estate, all’improvviso, non sei sbocciata: ti avevo vista bambina, a inizio primavera, poi non c’era stata più occasione di incontrarsi fino a settembre. Ed eri già una giovane, splendida donna.
Perché tu abbia cominciato a guardarmi a quel modo, non l’ho mai capito. Ok, non sono Danny De Vito, ma i capelli bianchi non fanno di me un Geoge Clooney. E in più sono tuo zio.
Acquisito, ok. Me lo hai già detto. Nessun vincolo di sangue, ma resto tuo zio.
Ho cercato di vederti più spesso, poi ho cercato di vederti meno spesso per non farmi ribollire il sangue nelle vene. Il mio trasferimento in UK ha aiutato, in questo.
Le passerà, pensavo. E passerà anche a me. Ma sono passati 3 anni, e non solo non è passato, ma sembra essere aumentato, soprattutto per te.
Se almeno tu non mi guardassi a quel modo, sarebbe più facile per me.
Se almeno tu non mi dicessi certe cose, sarebbe più facile per me.
Ora mi stai facendo delle domande piccanti, e dirette. No, Martina, non ho mai tradito zia Simona, nemmeno nelle mie trasferte di lavoro, e se anche lo avessi fatto non lo racconterei certo a te. Mi dici che mi credi, perché sai che non ti so resistere e sapresti come farmi confessare la verità. Non esserne così sicura, Martina, ti dico, ma in fondo non ne sono convinto.
Mi racconti che quando l’anno scorso stavi con Manolo, lo hai tradito con Marco, un tuo compagno di conservatorio. Marco, bello come il sole, sarà il nome mi dici. Non sei d’accordo, zio Marco? Ma subito specifichi di non pensare male. Solo qualche bacio e qualche carezza sopra i vestiti… o forse sotto, fai sorgere il dubbio, civettuola.
Perché fai così, Martina? Perché così esplicita? Con la tua intelligenza, la tua eloquenza e la tua dialettica potresti fare di meglio. Un po’ mi delude, questa cosa. Ma colpisce nel segno. Oltre al caldo inizio a provare, giù nello stomaco, i morsi della gelosia. Mi domando con quale diritto, tra l’altro.
Sembri leggermi nel pensiero: mi dici tranquillo zio, che non l’hai mai fatto completamente, né con Marco, né con Manolo, né con Jonny, né con Luca… ogni nome un morso allo stomaco… che stai aspettando di poterlo fare con quello che è il tuo vero amore. Ti lanci, ancora più esplicita, magari questa vacanza creerà l’occasione propizia.
Cerco di sviare il discorso, ma incespico, impacciato e la mia domanda provocatoria su Luca mi torna indietro come un boomerang: gli vuoi bene, è gentile, ed è pure innamorato perso, ma per te non è abbastanza, sotto tutti i punti di vista. Non ha che pallidi ideali e ambizioni da ragazzino. E ancora non ha capito come baciarti né come accarezzarti. Quando torni a casa, poi, sei costretta a ripetere da sola la lezione.
Io non ce la faccio più, sto impazzendo. Ti dico adesso basta non voglio parlare con te di certe cose. Ma non è vero, vorrei proseguire all’infinito. Adoro le tue mani da pianista, le tue dita affusolate, le unghie – tagliate corte per pigiare sui tasti ma ben curate, oggi blu elettrico ed ogni volta dei colori più strani. E le immagino muoversi piano, mentre ripeti la lezione, da sola, nel tuo letto. Le immagino insinuarsi sotto il bordo di mutandine in cotone, come quelle che indossavi da bambina. Chissà se le inossi ancora, o se ora metti della biancheria più sexy? Anche se per me, forse, è più intrigante immaginarti con le mutandine di cotone.
Tu lo sai. Sai che non desidero davvero che tu smetta, e prosegui, continui a parlare. Ti dico adesso fammi alzare, devo andare in bagno e ho bisogno di sgranchirmi, ma non mi lasci passare nemmeno questa: mi dici che lo so di non potermi alzare, con tutta quella gente in giro, che la prossima volta è meglio che mi metta dei jeans al posto dell’abito di lana. Anzi, non me lo dici, me lo sussurri nell’orecchio.
Vorrei dirti di continuare, di non spostare le tue labbra lisce e carnose, di sussurrarmi ancora qualcosa. Vorrei chiederti di baciarmi l’orecchio, con quelle labbra che mi sogno per settimane dopo ogni volta che ci incontriamo. Anzi, no, vorrei dirti di non fare la furba, che ho trent’anni più di te e che sono tuo zio. Ma mi risponderesti che ora hai 18 anni, non come l’estate scorsa. E che, comunque, non c’è alcun legame di sangue.
E allora scendo sul tuo campo di battaglia, ti dico che è meglio che tu smetta, perché prima o poi mi dovrò alzare per l’imbarco e non vorrai far fare delle figuracce al tuo vecchio zio. Ma tu sei perfida, ha ragione tua madre, mi dici che è un problema mio, che tu intanto ti stai divertendo e ti piace sentire l’effetto che mi fai; che, anzi, vorresti sentirlo più vicino quell’effetto. E peccato sia inverno, altrimenti al posto dei jeans avresti messo quella gonna che avevi l’estate scorsa, quella blu che mi piaceva tanto, e potresti sentire l’effetto quasi sulla pelle.
L’estate scorsa. Ci sei quasi riuscita a farmi cadere. Di fronte alle tue gambe così lunghe e tornite, coperte da una gonna che arrivava a coprirti appena i glutei, ho vacillato. Così come vacillo oggi, di fronte alle tue cosce fasciate dai jeans stretch. Li amo, qui jeans. Amo il modo in cui rendono le cosce ancora più affusolate, amo la curva dei glutei, amo come ricoprono il monte di venere, amo come ti cingono la vita così sottile e la pancia così piatta, come solo una diciottenne può avere.
L’estate scorsa mi avevi fatto notare qualche smagliatura, un po’ pelle a buccia d’arancia, ma di quelle gambe adoro anche le imperfezioni. Ogni tua imperfezione mi fa impazzire, come questo tuo essere così diretta, quasi volgare, in questa mezz’ora di attesa prima dell’imbarco.
Non ti rispondo. Desisto, ormai, sapendo che ogni mia parola sarebbe per te un aggancio per provocarmi ancora e ancora.
Parli tu, d’altronde. Non sei mai stata zitta, da quando hai iniziato a parlare prima degli 11 mesi. Mi dici di stare tranquillo, zio, che tanto qualcosa di carino l’hai messo comunque nel trolley, anche se non quella gonna estiva che a Londra, a gennaio, proprio non va. Continuo a non risponderti, provo la tecnica dell’opossum, mi fingo morto. Fa capolino nei miei pensieri una battutaccia sul rigor mortis, vorrei dirtela – so che la apprezzeresti, hai sempre riso delle mie battute strane, anche quelle che gli altri non capivano – ma decido di tenerla per me.
Mi chiedi del programma della settimana, per decidere cosa visitare da sola quando noi avremo i nostri impegni di lavoro. Finalmente, penso, un po’ di tregua. Allora: Nel week-end andiamo a Kensington, a Buckingam Palace, il ponte di Londra, Portobello. Lunedì e martedì i cugini sono ancora in vacanza, potrete organizzarvi e andare in giro voi tre, so che Luna e Mirko avevano in mente qualcosa, ti diranno. Io e Zia Simo lavoriamo, un po’ in ufficio e un po’ in smart, ma venerdì lo abbiamo preso libero così facciamo ancora qualcosa insieme. Mercoledì e giovedì puoi girare un po’ da sola… non avevi anche un’amica da andare a trovare? Sì, mi rispondi distratta, e mi domandi se io e zia Simo abbiamo già deciso quando fare smart working e quando saremo in ufficio. Mi rilasso un po’, finalmente; e il “rigor mortis” inizia lentamente a scemare. Tiri fuori dalla tasca un burro cacao un po’ malandato, lo osservo pensando sia - finalmente - una cosa da ragazzina. Te lo spalmi sulle labbra e poi le stringi per spalmarlo meglio. Intravvedo la punta della lingua che con movimento circolare lecca via l’eccesso di burro cacao all’interno delle labbra socchiuse. Sussulto, il cuore salta un battito. Sei perfida, penso.
Prendo fiato e proseguo: credo che la zia sia a casa lunedì e martedì; io ho un incontro con un cliente martedì e una riunione giovedì, per il resto lavorerò da casa… Mi metti le braccia intorno al collo, avvicini le tue labbra – ancor più morbide grazie al burro cacao – al mio orecchio e sfiorandolo appena sussurri: “perfetto! Mercoledì credo che resterò a casa a riposare un po’. Vuoi che ti descriva quello che indosserò o preferisci una sorpresa?” provo a ribellarmi. Esclamo il tuo nome, come stessi sgridando una bambina. Insinui la punta della lingua nel mio orecchio: “Ho 18 anni, zio. E non ci sono vincoli di sangue. Questa volta non hai scampo.”
Ultima chiamata per l’imbarco. Ti alzi di scatto, ti chini a sistemare qualcosa, lasciandomi la visione di quei glutei così tondi e così sodi. Nessun segno di mutandine, il perizoma sbuca appena sopra la cintura de jeans. Mi dici andiamo zio, non vorrai perdere il volo…
Mi alzo anche io, il cuore in gola e la gola in fiamme, cercando di coprirmi con la giacca rivoltata sopra al braccio.
So che hai ragione. Questa volta non ho scampo.
Non riesco a impedirtelo, non riesco a impedirmelo. Mi siedo sulla poltroncina, e tu sulle mie ginocchia. Noti il mio disagio e mi chiedi se ho paura che qualcuno possa pensare male, ma sai già che non me ne frega niente.
Mi domando perché tua mamma e tua zia - mia moglie – abbiano insistito perché prendessimo il volo insieme. Hai girato mezza Europa da sola da quando hai 16 anni, avresti potuto fare questo viaggio senza essere accompagnata da me. Evito di chiedertelo, temo ci sia il tuo zampino. E tremo all’idea di saperlo; meglio l’ignoranza, a volte.
Parli, mi racconti cose, mi incalzi di domande. Non smetti un attimo. Mi parli come fossi un tuo amico, un tuo coetaneo, ma non dici sciocchezze da adolescente.
E’ sempre stato così. Sei sempre stata la mia preferita, perché anche quando avevi 5 anni era un piacere parlare con te. E a te piaceva parlare con me, forse perché ero uno dei pochi che ti parlava come si parla agli adulti.
Sei sempre stata un passo avanti. Intelligente, sveglia, determinata. E ne sei sempre stata consapevole; e non ti sei mai risparmiata nel farlo notare. Ed è per questo che molti ti considerano una stronza. Compresi i tuoi genitori. E sei sempre stata bella, inoltre. Anche di questo sei sempre stata consapevole, ma non fino in fondo. O, per lo meno, non l’hai mai fatto pesare.
Una bella bambina, intelligente. Da mordere. La mia nipotina preferita. Anni luce avanti tuo fratello e tutti gli altri cugini. Finché un’estate, all’improvviso, non sei sbocciata: ti avevo vista bambina, a inizio primavera, poi non c’era stata più occasione di incontrarsi fino a settembre. Ed eri già una giovane, splendida donna.
Perché tu abbia cominciato a guardarmi a quel modo, non l’ho mai capito. Ok, non sono Danny De Vito, ma i capelli bianchi non fanno di me un Geoge Clooney. E in più sono tuo zio.
Acquisito, ok. Me lo hai già detto. Nessun vincolo di sangue, ma resto tuo zio.
Ho cercato di vederti più spesso, poi ho cercato di vederti meno spesso per non farmi ribollire il sangue nelle vene. Il mio trasferimento in UK ha aiutato, in questo.
Le passerà, pensavo. E passerà anche a me. Ma sono passati 3 anni, e non solo non è passato, ma sembra essere aumentato, soprattutto per te.
Se almeno tu non mi guardassi a quel modo, sarebbe più facile per me.
Se almeno tu non mi dicessi certe cose, sarebbe più facile per me.
Ora mi stai facendo delle domande piccanti, e dirette. No, Martina, non ho mai tradito zia Simona, nemmeno nelle mie trasferte di lavoro, e se anche lo avessi fatto non lo racconterei certo a te. Mi dici che mi credi, perché sai che non ti so resistere e sapresti come farmi confessare la verità. Non esserne così sicura, Martina, ti dico, ma in fondo non ne sono convinto.
Mi racconti che quando l’anno scorso stavi con Manolo, lo hai tradito con Marco, un tuo compagno di conservatorio. Marco, bello come il sole, sarà il nome mi dici. Non sei d’accordo, zio Marco? Ma subito specifichi di non pensare male. Solo qualche bacio e qualche carezza sopra i vestiti… o forse sotto, fai sorgere il dubbio, civettuola.
Perché fai così, Martina? Perché così esplicita? Con la tua intelligenza, la tua eloquenza e la tua dialettica potresti fare di meglio. Un po’ mi delude, questa cosa. Ma colpisce nel segno. Oltre al caldo inizio a provare, giù nello stomaco, i morsi della gelosia. Mi domando con quale diritto, tra l’altro.
Sembri leggermi nel pensiero: mi dici tranquillo zio, che non l’hai mai fatto completamente, né con Marco, né con Manolo, né con Jonny, né con Luca… ogni nome un morso allo stomaco… che stai aspettando di poterlo fare con quello che è il tuo vero amore. Ti lanci, ancora più esplicita, magari questa vacanza creerà l’occasione propizia.
Cerco di sviare il discorso, ma incespico, impacciato e la mia domanda provocatoria su Luca mi torna indietro come un boomerang: gli vuoi bene, è gentile, ed è pure innamorato perso, ma per te non è abbastanza, sotto tutti i punti di vista. Non ha che pallidi ideali e ambizioni da ragazzino. E ancora non ha capito come baciarti né come accarezzarti. Quando torni a casa, poi, sei costretta a ripetere da sola la lezione.
Io non ce la faccio più, sto impazzendo. Ti dico adesso basta non voglio parlare con te di certe cose. Ma non è vero, vorrei proseguire all’infinito. Adoro le tue mani da pianista, le tue dita affusolate, le unghie – tagliate corte per pigiare sui tasti ma ben curate, oggi blu elettrico ed ogni volta dei colori più strani. E le immagino muoversi piano, mentre ripeti la lezione, da sola, nel tuo letto. Le immagino insinuarsi sotto il bordo di mutandine in cotone, come quelle che indossavi da bambina. Chissà se le inossi ancora, o se ora metti della biancheria più sexy? Anche se per me, forse, è più intrigante immaginarti con le mutandine di cotone.
Tu lo sai. Sai che non desidero davvero che tu smetta, e prosegui, continui a parlare. Ti dico adesso fammi alzare, devo andare in bagno e ho bisogno di sgranchirmi, ma non mi lasci passare nemmeno questa: mi dici che lo so di non potermi alzare, con tutta quella gente in giro, che la prossima volta è meglio che mi metta dei jeans al posto dell’abito di lana. Anzi, non me lo dici, me lo sussurri nell’orecchio.
Vorrei dirti di continuare, di non spostare le tue labbra lisce e carnose, di sussurrarmi ancora qualcosa. Vorrei chiederti di baciarmi l’orecchio, con quelle labbra che mi sogno per settimane dopo ogni volta che ci incontriamo. Anzi, no, vorrei dirti di non fare la furba, che ho trent’anni più di te e che sono tuo zio. Ma mi risponderesti che ora hai 18 anni, non come l’estate scorsa. E che, comunque, non c’è alcun legame di sangue.
E allora scendo sul tuo campo di battaglia, ti dico che è meglio che tu smetta, perché prima o poi mi dovrò alzare per l’imbarco e non vorrai far fare delle figuracce al tuo vecchio zio. Ma tu sei perfida, ha ragione tua madre, mi dici che è un problema mio, che tu intanto ti stai divertendo e ti piace sentire l’effetto che mi fai; che, anzi, vorresti sentirlo più vicino quell’effetto. E peccato sia inverno, altrimenti al posto dei jeans avresti messo quella gonna che avevi l’estate scorsa, quella blu che mi piaceva tanto, e potresti sentire l’effetto quasi sulla pelle.
L’estate scorsa. Ci sei quasi riuscita a farmi cadere. Di fronte alle tue gambe così lunghe e tornite, coperte da una gonna che arrivava a coprirti appena i glutei, ho vacillato. Così come vacillo oggi, di fronte alle tue cosce fasciate dai jeans stretch. Li amo, qui jeans. Amo il modo in cui rendono le cosce ancora più affusolate, amo la curva dei glutei, amo come ricoprono il monte di venere, amo come ti cingono la vita così sottile e la pancia così piatta, come solo una diciottenne può avere.
L’estate scorsa mi avevi fatto notare qualche smagliatura, un po’ pelle a buccia d’arancia, ma di quelle gambe adoro anche le imperfezioni. Ogni tua imperfezione mi fa impazzire, come questo tuo essere così diretta, quasi volgare, in questa mezz’ora di attesa prima dell’imbarco.
Non ti rispondo. Desisto, ormai, sapendo che ogni mia parola sarebbe per te un aggancio per provocarmi ancora e ancora.
Parli tu, d’altronde. Non sei mai stata zitta, da quando hai iniziato a parlare prima degli 11 mesi. Mi dici di stare tranquillo, zio, che tanto qualcosa di carino l’hai messo comunque nel trolley, anche se non quella gonna estiva che a Londra, a gennaio, proprio non va. Continuo a non risponderti, provo la tecnica dell’opossum, mi fingo morto. Fa capolino nei miei pensieri una battutaccia sul rigor mortis, vorrei dirtela – so che la apprezzeresti, hai sempre riso delle mie battute strane, anche quelle che gli altri non capivano – ma decido di tenerla per me.
Mi chiedi del programma della settimana, per decidere cosa visitare da sola quando noi avremo i nostri impegni di lavoro. Finalmente, penso, un po’ di tregua. Allora: Nel week-end andiamo a Kensington, a Buckingam Palace, il ponte di Londra, Portobello. Lunedì e martedì i cugini sono ancora in vacanza, potrete organizzarvi e andare in giro voi tre, so che Luna e Mirko avevano in mente qualcosa, ti diranno. Io e Zia Simo lavoriamo, un po’ in ufficio e un po’ in smart, ma venerdì lo abbiamo preso libero così facciamo ancora qualcosa insieme. Mercoledì e giovedì puoi girare un po’ da sola… non avevi anche un’amica da andare a trovare? Sì, mi rispondi distratta, e mi domandi se io e zia Simo abbiamo già deciso quando fare smart working e quando saremo in ufficio. Mi rilasso un po’, finalmente; e il “rigor mortis” inizia lentamente a scemare. Tiri fuori dalla tasca un burro cacao un po’ malandato, lo osservo pensando sia - finalmente - una cosa da ragazzina. Te lo spalmi sulle labbra e poi le stringi per spalmarlo meglio. Intravvedo la punta della lingua che con movimento circolare lecca via l’eccesso di burro cacao all’interno delle labbra socchiuse. Sussulto, il cuore salta un battito. Sei perfida, penso.
Prendo fiato e proseguo: credo che la zia sia a casa lunedì e martedì; io ho un incontro con un cliente martedì e una riunione giovedì, per il resto lavorerò da casa… Mi metti le braccia intorno al collo, avvicini le tue labbra – ancor più morbide grazie al burro cacao – al mio orecchio e sfiorandolo appena sussurri: “perfetto! Mercoledì credo che resterò a casa a riposare un po’. Vuoi che ti descriva quello che indosserò o preferisci una sorpresa?” provo a ribellarmi. Esclamo il tuo nome, come stessi sgridando una bambina. Insinui la punta della lingua nel mio orecchio: “Ho 18 anni, zio. E non ci sono vincoli di sangue. Questa volta non hai scampo.”
Ultima chiamata per l’imbarco. Ti alzi di scatto, ti chini a sistemare qualcosa, lasciandomi la visione di quei glutei così tondi e così sodi. Nessun segno di mutandine, il perizoma sbuca appena sopra la cintura de jeans. Mi dici andiamo zio, non vorrai perdere il volo…
Mi alzo anche io, il cuore in gola e la gola in fiamme, cercando di coprirmi con la giacca rivoltata sopra al braccio.
So che hai ragione. Questa volta non ho scampo.
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