Nei bagni del centro commerciale
di
Murky
genere
masturbazione
“Pronto?”
“Hey, come va?”
“Stravolto. Tu?”
“Anche io. Ho ancora un paio di visite, finirò tardi. Sei già arrivato?”
“Sono ancora in autostrada, ma a pochi minuti dal casello.”
“Riesci a fermarti al supermercato a prendere qualcosa per cena?”
“Certo, cosa ti andrebbe?”
“Fai tu, non ho molta fame. Una cosa leggera.”
“Va bene. Ci vediamo a casa, bacio.”
“Bacio.”
Il traffico della sera mi uccide.
Se vado all’Esselunga so già che perdo almeno un’ora, meglio andare alla Conad dentro al piccolo centro commerciale. Li non c’è mai nessuno.
Quel posto mi mette tristezza. Metà dei negozi all’interno sono sfitti e quelli ancora aperti sono sempre vuoti. Non deve essere facile per quella gente.
A giudicare dal numero di auto nel parcheggio avevo ragione, ho fatto bene a venire qua. Dovrei cavarmela velocemente.
Mi fanno male i piedi, il nodo della cravatta mi stringe la gola e appena uscito dall’auto, la nebbia fredda mi provoca un brivido intenso lungo la schiena: devo pisciare.
Sono già stato altre volte in questo centro commerciale, ma non ho idea di dove si trovino i bagni.
Supero le porte scorrevoli all’ingresso e cerco un’indicazione. Seguo l’unico corridoio che fiancheggia il supermercato, lo supero e finalmente vedo un cartello che indica i servizi con una freccia a sinistra. Supero due negozi vuoti, un bar ed un centro estetico. Poi finalmente, vedo il cartello WC.
Di fronte a me una ragazza cammina in direzione opposta alla mia. Avrà circa una trentina d’anni, la mia età. Capelli castani raccolti, jeans attillati che lasciano poco spazio alla fantasia e mettono in risalto gambe sensuali ed atletiche. Penso sia un peccato che il piumino che indossa non lasci intravedere minimamente il seno, ma me lo immagino, piccolo e sodo, perfettamente proporzionato con tutto il resto. Più ci avviciniamo, più i suoi occhi verdi brillano e si fanno notare.
Raggiungo il cartello insieme a lei: come me deve andare in bagno. Ci sono delle scale che scendono, i bagni devono essere al piano inferiore. Per galanteria lascio che sia lei a scendere per prima. Dopo due rampe di scale, ecco di fronte a noi la porta della Toilette. È aperta, di fronte a noi ci sono due lavandini e a sinistra due porte, una a fianco all’altra. Dietro ogni porta un gabinetto senza distinzione di genere. Di sicuro i bagni non sono mai stati ristrutturati in tutti questi anni. Lei entra in quello di sinistra ed io a destra. Una parete con mattonelle grigie démodé alta circa due di metri, ci separa alla vista, garantendo il minimo indispensabile della privacy. Di certo non potremo vederci, ma sentiremo perfettamente ogni minimo rumore.
Appena entrato non perdo tempo, chiudo a chiave la porta, mi abbasso la zip dei pantaloni, sposto i boxer di quel tanto che basta e mi lascio andare. Dirigo il getto caldo e potente nel pozzetto. Provo una sensazione strana: sapere che una perfetta sconosciuta, per giunta molto carina, è praticamente al mio fianco e mi sta sentendo fare pipì, mi scuote e mi risveglia dal torpore del lungo viaggio in auto.
Come se non bastasse, sento che dall’altra parte, dopo aver appeso la borsa al gancio dietro la porta, lei si sta spogliando. Riesco perfettamente a distinguere il momento in cui si abbassa i pantaloni e altrettanto distintamente intuisco quando si cala le mutandine.
Ho finito, ma ora desidero ascoltarla. Rimango immobile, con il pisello che sgocciola gonfio nella mia mano.
All’improvviso, ecco quel che aspettavo: uno scroscio fragoroso a prova che anche lei, dopo di me, si sta liberando. Sento il sibilo forte della pipì che esce. Il rumore mi toglie il fiato, sembra una cascata da quanto è potente e me lo immagino uscire dalla sua fessura. Adesso il mio uccello è duro come la roccia e d’istinto comincio a toccarmi. Dopo quasi un minuto sento il getto cominciare a diminuire di intensità, fino a fermarsi. Allora accelero il movimento, voglio raggiungere l’orgasmo prima che tutto finisca, ma non c’è tempo. Lo scroscio che fino a qualche secondo fa ha nascosto il rumore della mia mano, si è fermato. Sono completamente esposto, ma non riesco a fermarmi. Sento la sua fica sgocciolare ancora qualche ultima volta. Ora lei è immobile, sta indubbiamente ascoltando i rumori che provengono dal mio cubicolo e non deve averci messo molto a capire cosa sto facendo. Mi aspetto che da un secondo all’altro si rivesta in tutta fretta e se ne vada, disturbata. Ma non è così, è ancora immobile e resta in ascolto.
Devo darmi una mossa, allora decido di abbassarmi i pantaloni per potermi toccare meglio, senza intralci, così da godere più in fretta possibile. Mi slaccio la cintura, i due bottoni e abbasso i pantaloni e i boxer. Ora sono più libero e posso finalmente toccarlo come piace a me, su e giù profondi con una mano, mentre con l’altra mi stringo i testicoli.
Lei non accenna ad andarsene, è in ascolto. Il pensiero che sia lì a godersi lo spettacolo mi eccita ancora di più e finalmente sento l’orgasmo arrivare. Il cazzo mi sta per esplodere tra le mani, è duro come non mai. Le gambe mi tremano e con la mano sento il glande gonfiarsi sempre di più. Mi fermo all’improvviso, come faccio sempre e in quel momento ecco i primi due getti caldi schizzare fuori senza controllo, addosso alla parete di fronte a me. Non riesco a trattenermi e mi sfugge un gemito di piacere. Poi di nuovo: mi sfrego, mi fermo, e altri due o tre schizzi ancora più copiosi si infrangono sulle mattonelle. Il rumore è inequivocabile. E così ancora, almeno altre due volte, finché la mia eccitazione, finalmente, si placa.
Mentre recupero il controllo, sento che lei si pulisce, si riveste ed esce dal gabinetto.
Faccio lo stesso e mi dirigo verso il lavandino per lavarmi le mani.
Siamo fianco a fianco e per un istante i nostri sguardi si incrociano nello specchio. La situazione è imbarazzante per entrambi, ma mi sembra di cogliere un’aria divertita nei suoi occhi.
Inaspettatamente, dopo essersi asciugata le mani, prima di andarsene si volta indietro, verso di me, accenna un sorriso e prima di lanciarsi su per le scale mi dice: “Ciao!”.
FINE
M.
“Hey, come va?”
“Stravolto. Tu?”
“Anche io. Ho ancora un paio di visite, finirò tardi. Sei già arrivato?”
“Sono ancora in autostrada, ma a pochi minuti dal casello.”
“Riesci a fermarti al supermercato a prendere qualcosa per cena?”
“Certo, cosa ti andrebbe?”
“Fai tu, non ho molta fame. Una cosa leggera.”
“Va bene. Ci vediamo a casa, bacio.”
“Bacio.”
Il traffico della sera mi uccide.
Se vado all’Esselunga so già che perdo almeno un’ora, meglio andare alla Conad dentro al piccolo centro commerciale. Li non c’è mai nessuno.
Quel posto mi mette tristezza. Metà dei negozi all’interno sono sfitti e quelli ancora aperti sono sempre vuoti. Non deve essere facile per quella gente.
A giudicare dal numero di auto nel parcheggio avevo ragione, ho fatto bene a venire qua. Dovrei cavarmela velocemente.
Mi fanno male i piedi, il nodo della cravatta mi stringe la gola e appena uscito dall’auto, la nebbia fredda mi provoca un brivido intenso lungo la schiena: devo pisciare.
Sono già stato altre volte in questo centro commerciale, ma non ho idea di dove si trovino i bagni.
Supero le porte scorrevoli all’ingresso e cerco un’indicazione. Seguo l’unico corridoio che fiancheggia il supermercato, lo supero e finalmente vedo un cartello che indica i servizi con una freccia a sinistra. Supero due negozi vuoti, un bar ed un centro estetico. Poi finalmente, vedo il cartello WC.
Di fronte a me una ragazza cammina in direzione opposta alla mia. Avrà circa una trentina d’anni, la mia età. Capelli castani raccolti, jeans attillati che lasciano poco spazio alla fantasia e mettono in risalto gambe sensuali ed atletiche. Penso sia un peccato che il piumino che indossa non lasci intravedere minimamente il seno, ma me lo immagino, piccolo e sodo, perfettamente proporzionato con tutto il resto. Più ci avviciniamo, più i suoi occhi verdi brillano e si fanno notare.
Raggiungo il cartello insieme a lei: come me deve andare in bagno. Ci sono delle scale che scendono, i bagni devono essere al piano inferiore. Per galanteria lascio che sia lei a scendere per prima. Dopo due rampe di scale, ecco di fronte a noi la porta della Toilette. È aperta, di fronte a noi ci sono due lavandini e a sinistra due porte, una a fianco all’altra. Dietro ogni porta un gabinetto senza distinzione di genere. Di sicuro i bagni non sono mai stati ristrutturati in tutti questi anni. Lei entra in quello di sinistra ed io a destra. Una parete con mattonelle grigie démodé alta circa due di metri, ci separa alla vista, garantendo il minimo indispensabile della privacy. Di certo non potremo vederci, ma sentiremo perfettamente ogni minimo rumore.
Appena entrato non perdo tempo, chiudo a chiave la porta, mi abbasso la zip dei pantaloni, sposto i boxer di quel tanto che basta e mi lascio andare. Dirigo il getto caldo e potente nel pozzetto. Provo una sensazione strana: sapere che una perfetta sconosciuta, per giunta molto carina, è praticamente al mio fianco e mi sta sentendo fare pipì, mi scuote e mi risveglia dal torpore del lungo viaggio in auto.
Come se non bastasse, sento che dall’altra parte, dopo aver appeso la borsa al gancio dietro la porta, lei si sta spogliando. Riesco perfettamente a distinguere il momento in cui si abbassa i pantaloni e altrettanto distintamente intuisco quando si cala le mutandine.
Ho finito, ma ora desidero ascoltarla. Rimango immobile, con il pisello che sgocciola gonfio nella mia mano.
All’improvviso, ecco quel che aspettavo: uno scroscio fragoroso a prova che anche lei, dopo di me, si sta liberando. Sento il sibilo forte della pipì che esce. Il rumore mi toglie il fiato, sembra una cascata da quanto è potente e me lo immagino uscire dalla sua fessura. Adesso il mio uccello è duro come la roccia e d’istinto comincio a toccarmi. Dopo quasi un minuto sento il getto cominciare a diminuire di intensità, fino a fermarsi. Allora accelero il movimento, voglio raggiungere l’orgasmo prima che tutto finisca, ma non c’è tempo. Lo scroscio che fino a qualche secondo fa ha nascosto il rumore della mia mano, si è fermato. Sono completamente esposto, ma non riesco a fermarmi. Sento la sua fica sgocciolare ancora qualche ultima volta. Ora lei è immobile, sta indubbiamente ascoltando i rumori che provengono dal mio cubicolo e non deve averci messo molto a capire cosa sto facendo. Mi aspetto che da un secondo all’altro si rivesta in tutta fretta e se ne vada, disturbata. Ma non è così, è ancora immobile e resta in ascolto.
Devo darmi una mossa, allora decido di abbassarmi i pantaloni per potermi toccare meglio, senza intralci, così da godere più in fretta possibile. Mi slaccio la cintura, i due bottoni e abbasso i pantaloni e i boxer. Ora sono più libero e posso finalmente toccarlo come piace a me, su e giù profondi con una mano, mentre con l’altra mi stringo i testicoli.
Lei non accenna ad andarsene, è in ascolto. Il pensiero che sia lì a godersi lo spettacolo mi eccita ancora di più e finalmente sento l’orgasmo arrivare. Il cazzo mi sta per esplodere tra le mani, è duro come non mai. Le gambe mi tremano e con la mano sento il glande gonfiarsi sempre di più. Mi fermo all’improvviso, come faccio sempre e in quel momento ecco i primi due getti caldi schizzare fuori senza controllo, addosso alla parete di fronte a me. Non riesco a trattenermi e mi sfugge un gemito di piacere. Poi di nuovo: mi sfrego, mi fermo, e altri due o tre schizzi ancora più copiosi si infrangono sulle mattonelle. Il rumore è inequivocabile. E così ancora, almeno altre due volte, finché la mia eccitazione, finalmente, si placa.
Mentre recupero il controllo, sento che lei si pulisce, si riveste ed esce dal gabinetto.
Faccio lo stesso e mi dirigo verso il lavandino per lavarmi le mani.
Siamo fianco a fianco e per un istante i nostri sguardi si incrociano nello specchio. La situazione è imbarazzante per entrambi, ma mi sembra di cogliere un’aria divertita nei suoi occhi.
Inaspettatamente, dopo essersi asciugata le mani, prima di andarsene si volta indietro, verso di me, accenna un sorriso e prima di lanciarsi su per le scale mi dice: “Ciao!”.
FINE
M.
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