Mia mamma al mare, da sola col mio capo.
di
giusagoma
genere
masturbazione
Frequentavo ancora le scuole superiori quando decisi di cominciare a guadagnarmi la mia paghetta sbrigando qualche lavoretto, nei pomeriggi e nei ritagli di tempo libero, per conto di uno studio della zona che realizzava montaggi video.
Non avevo ancora conseguito la patente e non potevo recarmi presso lo studio che aveva sede in un comune vicino ma, fortunatamente, potevo comodamente lavorare da casa col mio pc. E così era il proprietario dello studio stesso che veniva fino a casa mia per portarmi i lavori da svolgere e successivamente ritirarli quando erano pronti.
Col tempo fra lui e la mia famiglia si instaurò un rapporto reciproco di amicizia che andava ben oltre la semplice frequentazione lavorativa.
Capitava spesso, infatti, che venisse a commissionarmi un lavoro e successivamente si fermasse per la cena, così come capitava che venisse a farci compagnia in occasione delle feste.
Ma che questa amicizia fosse diventata un po’ troppo "intima" lo scoprii l’estate successiva.
Con la mia famiglia vivevo in una località turistica, affacciata sul mare, dove in estate è quasi d'obbligo divertirsi in spiaggia rilassandosi al sole e trastullandosi in fantastiche nuotate. Ma, poiché il mio papà lavorava in ufficio quasi per l’intera giornata, io e la mia mamma trascorrevamo le giornate soli soletti, in casa. Fu così che quell’estate il mio datore di lavoro, un uomo non particolarmente bello, sulla cinquantina, si offrì di accompagnarci al mare con la sua auto.
L’idea fu proposta, a mia insaputa, alla mia mamma che l’accolse molto volentieri. E così una mattina presto, mentre dormivo profondamente all’oscuro di tutto, lui si presentò sotto casa nostra. Così mamma mi svegliò e, spiegandomi che era venuto per accompagnarci al mare, in fretta e furia mi fece infilare il costume.
Lei, tipica donna mediterranea 43enne mora tinta di biondo, al contrario di me, invece era già pronta da un pezzo con addosso un costume nero intero che sagomava perfettamente le sue prosperose forme, coperto solo da un prendisole bianco.
Quel che mi sorprese fu la location scelta per questa mattinata di divertimento: una spiaggia non facilmente accessibile. Ci si arrivava percorrendo una stradina stretta, sterrata, a tratti coperta dalla vegetazione. Si seguiva il percorso di un torrente in secca e si arrivava alla sua foce. Parcheggiando lì, a piedi ci siamo spostati lontano dallo sbocco del torrente dove la spiaggia era più pulita e le acque del mare limpide e cristalline. Vicino a noi non c'era praticamente nessuno. A perdita d'occhio si scorgeva qualche altro ombrellone di altri avventurieri di quel posto, come noi, ma erano sagome indistinguibili per quanto fossero lontane.
Per farla breve, il mio capo non poteva scegliere un posto più isolato e tranquillo di quello che vi ho appena descritto.
La mattinata trascorse tranquilla. Io quasi tutto il tempo in acqua a nuotare e loro a prendere il sole in spiaggia scambiandosi continue occhiatine come se fossero due amanti. Io li osservavo da lontano: lei, sdraiata al sole, con le gambe che si continuavano a incrociare fra loro, continuava a ridere sulle sue battute. E fu così che mi si infilò la famosa pulce in un orecchio.
La mattina dopo mi svegliai molto presto. In tutta la casa sentivo solo un bisbigliare provenire dalla camera da letto. Mi alzai e, in punta di piedi, mi avvicinai alla camera.
Senza farmi scorgere, vidi la mia mammina che parlava sottovoce al telefono. Il tono basso mi fece capire poche parole di quella telefonata. Una frase in particolare mi colpì: "sì, lo stesso posto di ieri, sì, certo. No, lui ancora dorme, ma ora lo vado a svegliare altrimenti faremo tardi…"
Nelle sue parole non c'era nulla di perverso ma, mentre con la mano destra impugnava il telefono, con la sinistra si accarezzava tutto il corpo concentrando in particolare il palmo prima su un seno, poi sull’altro, successivamente portando, con movimenti fulminei, le dita fra le cosce bianche.
Vederla toccarsi e sentire quel tono di voce così smielato, stile call erotica, proiettò il mio pensiero su di una mamma troia che fremeva in attesa di qualcosa di proibito, lussuriosa.... insomma, una cagna in calore.
La mia reazione fu controversa. Da un lato mi eccitai di brutto su quanto avevo appena visto e sentito. Dall'altro mi incazzai di brutto e volli impedire a tutti i costi che loro due si rivedessero, come nella giornata precedente, per l’intera mattinata. Così mi rifiutai categoricamente di voler andare al mare, anche con la scusa di avere un forte mal di testa.
Ma il mio tentativo di farla desistere fu vano. Già perché... provate a indovinare cosa fece quella troia di mia madre? Se ne andò al mare, da sola con lui, lasciandomi a casa come un salame.
E così, mentre io le spiegavo che volevo rimanere a casa, lei senza batter ciglio, si sfilò la vestaglia e le mutandine bianche che indossava sotto di essa, rimanendo completamente nuda. Le mammelle, una fantastica quinta taglia con areole marroncine e capezzoloni turgidi al centro, rimbalzavano davanti ai miei occhi senza riuscire ad assestarsi in una posizione stabile. Il pelo folto e ricciolino sul pube brillava quasi come fosse pieno di umori, o forse lo era davvero, dopo quella telefonata. Successivamente prese il costume, quello stesso costume nero del giorno prima, e sollevando prima un piede e poi l’atro, lo infilò dal basso e tirandolo su, lungo le cosce.
E, mentre continuavo a dirle che non volevo andare al mare, lei continuava a sistemare il suo corpo da vacca dentro quel costume. Dapprima allargandolo con le mani sul sedere, poi sistemandolo sui fianchi, e infine portando le coppe su quelle bianchissime e morbidose mammelle che spingeva dentro con le dita. Quando finì di sistemarsi le spalline mi guardò ed esclamò: “non c’è problema. tu rimani a casa a riposarti. con lui vado io, da sola”. Gli occhi le brillavano di eccitazione.
Fu così che assistetti, impotente, alla visione di lei che, indossato il solito prendisole bianco che lasciava libere le sue abbondanti cosce, usciva di casa salutandomi quasi con indifferenza.
Mi appostai dietro al vetro del balcone del nostro appartamento al primo piano e la vidi salire, come una battona, sull’auto del mio capo: un uomo che, per certi versi, era pur sempre uno sconosciuto.
Nel sedersi osservai il prendisole salire fino a lambire il bacino, scoprendole interamente le bianche ed enormi coscione che sparivano dietro lo sportello che stava chiudendo. Successivamente il capo salì sull’auto e partì, direzione spiaggia, scomparendo alla mia vista.
Mi allontanai dal balcone e chiusi gli occhi sentendo nel contempo, fra le gambe, un formicolio farsi sempre più intenso. Da quel momento nella mia testa partirono tutta una serie di pensieri perversi, stile film erotici della miglior specie.
La prima immagine che si realizzò nella mia mente fu di lui che guidava con un occhio che guardava la strada e con l’altro sulle sue cosce vellutate. La mano sinistra che impugnava il volante e la destra che, dal cambio, scivolava sul ginocchio di lei. Lei che, a quel gesto, poggiava il palmo della mano sinistra sul dorso della mano del capo e la spingeva dapprima verso l’interno coscia e successivamente la portava su, verso l’inguine. La mano destra, invece, la poggiava sulla pancia e delicatamente la faceva salire fin sul seno prosperoso sul quale sporgevano, come due enormi chiodoni, i capezzoli ormai turgidi per l’eccitazione.
Immaginavo il loro viaggio di andata verso quella spiaggia isolata con i preliminari appena descritti e senza rendermene conto, mi stavo masturbando con conseguente abbondante eiaculazione che mi portò fin quasi allo svenimento.
Potrebbe essere superfluo aggiungere che trascorsi l’intera mattinata immaginando scene impetuose di sesso selvaggio fra loro due in quella spiaggia altrettanto selvaggia, circondata da canneti che favorivano il loro isolamento dal resto del mondo, e continuando a segarmi di brutto con più venute fino a prosciugarmi del tutto. Con mio forte rammarico quella fu l’unica volta in cui la mia mamma Troia trascorse una giornata al mare col mio lussurioso Capo.
Non avevo ancora conseguito la patente e non potevo recarmi presso lo studio che aveva sede in un comune vicino ma, fortunatamente, potevo comodamente lavorare da casa col mio pc. E così era il proprietario dello studio stesso che veniva fino a casa mia per portarmi i lavori da svolgere e successivamente ritirarli quando erano pronti.
Col tempo fra lui e la mia famiglia si instaurò un rapporto reciproco di amicizia che andava ben oltre la semplice frequentazione lavorativa.
Capitava spesso, infatti, che venisse a commissionarmi un lavoro e successivamente si fermasse per la cena, così come capitava che venisse a farci compagnia in occasione delle feste.
Ma che questa amicizia fosse diventata un po’ troppo "intima" lo scoprii l’estate successiva.
Con la mia famiglia vivevo in una località turistica, affacciata sul mare, dove in estate è quasi d'obbligo divertirsi in spiaggia rilassandosi al sole e trastullandosi in fantastiche nuotate. Ma, poiché il mio papà lavorava in ufficio quasi per l’intera giornata, io e la mia mamma trascorrevamo le giornate soli soletti, in casa. Fu così che quell’estate il mio datore di lavoro, un uomo non particolarmente bello, sulla cinquantina, si offrì di accompagnarci al mare con la sua auto.
L’idea fu proposta, a mia insaputa, alla mia mamma che l’accolse molto volentieri. E così una mattina presto, mentre dormivo profondamente all’oscuro di tutto, lui si presentò sotto casa nostra. Così mamma mi svegliò e, spiegandomi che era venuto per accompagnarci al mare, in fretta e furia mi fece infilare il costume.
Lei, tipica donna mediterranea 43enne mora tinta di biondo, al contrario di me, invece era già pronta da un pezzo con addosso un costume nero intero che sagomava perfettamente le sue prosperose forme, coperto solo da un prendisole bianco.
Quel che mi sorprese fu la location scelta per questa mattinata di divertimento: una spiaggia non facilmente accessibile. Ci si arrivava percorrendo una stradina stretta, sterrata, a tratti coperta dalla vegetazione. Si seguiva il percorso di un torrente in secca e si arrivava alla sua foce. Parcheggiando lì, a piedi ci siamo spostati lontano dallo sbocco del torrente dove la spiaggia era più pulita e le acque del mare limpide e cristalline. Vicino a noi non c'era praticamente nessuno. A perdita d'occhio si scorgeva qualche altro ombrellone di altri avventurieri di quel posto, come noi, ma erano sagome indistinguibili per quanto fossero lontane.
Per farla breve, il mio capo non poteva scegliere un posto più isolato e tranquillo di quello che vi ho appena descritto.
La mattinata trascorse tranquilla. Io quasi tutto il tempo in acqua a nuotare e loro a prendere il sole in spiaggia scambiandosi continue occhiatine come se fossero due amanti. Io li osservavo da lontano: lei, sdraiata al sole, con le gambe che si continuavano a incrociare fra loro, continuava a ridere sulle sue battute. E fu così che mi si infilò la famosa pulce in un orecchio.
La mattina dopo mi svegliai molto presto. In tutta la casa sentivo solo un bisbigliare provenire dalla camera da letto. Mi alzai e, in punta di piedi, mi avvicinai alla camera.
Senza farmi scorgere, vidi la mia mammina che parlava sottovoce al telefono. Il tono basso mi fece capire poche parole di quella telefonata. Una frase in particolare mi colpì: "sì, lo stesso posto di ieri, sì, certo. No, lui ancora dorme, ma ora lo vado a svegliare altrimenti faremo tardi…"
Nelle sue parole non c'era nulla di perverso ma, mentre con la mano destra impugnava il telefono, con la sinistra si accarezzava tutto il corpo concentrando in particolare il palmo prima su un seno, poi sull’altro, successivamente portando, con movimenti fulminei, le dita fra le cosce bianche.
Vederla toccarsi e sentire quel tono di voce così smielato, stile call erotica, proiettò il mio pensiero su di una mamma troia che fremeva in attesa di qualcosa di proibito, lussuriosa.... insomma, una cagna in calore.
La mia reazione fu controversa. Da un lato mi eccitai di brutto su quanto avevo appena visto e sentito. Dall'altro mi incazzai di brutto e volli impedire a tutti i costi che loro due si rivedessero, come nella giornata precedente, per l’intera mattinata. Così mi rifiutai categoricamente di voler andare al mare, anche con la scusa di avere un forte mal di testa.
Ma il mio tentativo di farla desistere fu vano. Già perché... provate a indovinare cosa fece quella troia di mia madre? Se ne andò al mare, da sola con lui, lasciandomi a casa come un salame.
E così, mentre io le spiegavo che volevo rimanere a casa, lei senza batter ciglio, si sfilò la vestaglia e le mutandine bianche che indossava sotto di essa, rimanendo completamente nuda. Le mammelle, una fantastica quinta taglia con areole marroncine e capezzoloni turgidi al centro, rimbalzavano davanti ai miei occhi senza riuscire ad assestarsi in una posizione stabile. Il pelo folto e ricciolino sul pube brillava quasi come fosse pieno di umori, o forse lo era davvero, dopo quella telefonata. Successivamente prese il costume, quello stesso costume nero del giorno prima, e sollevando prima un piede e poi l’atro, lo infilò dal basso e tirandolo su, lungo le cosce.
E, mentre continuavo a dirle che non volevo andare al mare, lei continuava a sistemare il suo corpo da vacca dentro quel costume. Dapprima allargandolo con le mani sul sedere, poi sistemandolo sui fianchi, e infine portando le coppe su quelle bianchissime e morbidose mammelle che spingeva dentro con le dita. Quando finì di sistemarsi le spalline mi guardò ed esclamò: “non c’è problema. tu rimani a casa a riposarti. con lui vado io, da sola”. Gli occhi le brillavano di eccitazione.
Fu così che assistetti, impotente, alla visione di lei che, indossato il solito prendisole bianco che lasciava libere le sue abbondanti cosce, usciva di casa salutandomi quasi con indifferenza.
Mi appostai dietro al vetro del balcone del nostro appartamento al primo piano e la vidi salire, come una battona, sull’auto del mio capo: un uomo che, per certi versi, era pur sempre uno sconosciuto.
Nel sedersi osservai il prendisole salire fino a lambire il bacino, scoprendole interamente le bianche ed enormi coscione che sparivano dietro lo sportello che stava chiudendo. Successivamente il capo salì sull’auto e partì, direzione spiaggia, scomparendo alla mia vista.
Mi allontanai dal balcone e chiusi gli occhi sentendo nel contempo, fra le gambe, un formicolio farsi sempre più intenso. Da quel momento nella mia testa partirono tutta una serie di pensieri perversi, stile film erotici della miglior specie.
La prima immagine che si realizzò nella mia mente fu di lui che guidava con un occhio che guardava la strada e con l’altro sulle sue cosce vellutate. La mano sinistra che impugnava il volante e la destra che, dal cambio, scivolava sul ginocchio di lei. Lei che, a quel gesto, poggiava il palmo della mano sinistra sul dorso della mano del capo e la spingeva dapprima verso l’interno coscia e successivamente la portava su, verso l’inguine. La mano destra, invece, la poggiava sulla pancia e delicatamente la faceva salire fin sul seno prosperoso sul quale sporgevano, come due enormi chiodoni, i capezzoli ormai turgidi per l’eccitazione.
Immaginavo il loro viaggio di andata verso quella spiaggia isolata con i preliminari appena descritti e senza rendermene conto, mi stavo masturbando con conseguente abbondante eiaculazione che mi portò fin quasi allo svenimento.
Potrebbe essere superfluo aggiungere che trascorsi l’intera mattinata immaginando scene impetuose di sesso selvaggio fra loro due in quella spiaggia altrettanto selvaggia, circondata da canneti che favorivano il loro isolamento dal resto del mondo, e continuando a segarmi di brutto con più venute fino a prosciugarmi del tutto. Con mio forte rammarico quella fu l’unica volta in cui la mia mamma Troia trascorse una giornata al mare col mio lussurioso Capo.
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