Soltanto tu
di
ashtrae
genere
etero
Ci eravamo lasciati da almeno un anno ormai.
Quindi era stato quasi uno shock impattare contro la sua schiena qualche ora prima, sotto la pioggia leggera di Settembre, che lava via quel che resta dell'estate.
Tre mesi lunghi e lenti, spesi tutti a dimenticarmi della sua esistenza.
Ma il destino sa essere beffardo.
Si diverte con queste casualità meschine.
Così eccoci a scambiarci chiacchiere composte tra due che sono stati tutto e adesso non sono niente.
Sai, ho cambiato casa.
Vivo qui vicino.
È successo da poco, in realtà.
Qualche mese.
Ero convinta che più lontana ti sarei stata, più facilmente saresti sbiadito.
Come le immagini sul fondo di una foto, non messe a fuoco.
Sì, anch'io ho lasciato il mio appartamento.
Quello che era nostro.
E adesso vivo dentro a quello di un'altra.
Nel suo letto.
Nel suo corpo.
Da poco, qualche mese.
Magari ci siamo spostati nello stesso momento ai margini di una mappa non segnata.
Equidistanti.
È una mossa stupida, di cui mi pentirò.
Lo faccio per rabbia, per invidia, per malinconia.
Ti invito.
Accetti.
E adesso parliamo davanti ad un caffè, preparato con gesti meccanici.
La stessa quantità di sempre, l'acqua che sfiora la valvola.
Le stesse cose di sempre.
Mi chiedi cose stupide sull'arredamento.
Dove ho preso i cuscini.
Io neanche me lo ricordo.
Hai il respiro caldo che sa di miscela arabica.
Che sa di mattina presto e del dover finire in fretta, prima di andare a lavoro.
Ma adesso non c'è nessuna fretta.
E allora scivoliamo lenti in queste stanze.
Ci appoggiamo ai muri.
Ci premiamo l'uno sull'altro come due che oscillano in mezzo ad un terremoto.
Che si ancorano alle cose per restare in piedi.
Insieme.
Io risalgo lungo la tua schiena, una terra conosciuta dove affondano come radici le mie unghie.
Tu mi strappi quasi la pelle tirandola come fosse edera velenosa.
Ma non mi fai male.
Al contrario.
Come petali caduti poi, seminiamo i vestiti sul pavimento.
M'ama, non m'ama.
E intanto restiamo nudi.
Una distesa di nei e incavi in cui non potrei mai perdermi.
Conosco tutte le tue svolte.
Tu conosci tutte le mie.
Finiamo sul letto.
Allunghi la mano, nel buio, lasciandola affondare più volte, finché la lampada non riversa nella stanza una luce dorata.
Sei un groviglio di ombre e frammenti.
"Non ti piaceva farlo al buio?" ti chiedo.
"Voglio guardarti" mi dici.
E lo fai, mi guardi negli occhi.
Ci leggi dentro la domanda che non riesco a porti.
E lei? Quella con cui abiti adesso?
Con lei c'è sempre la luce?
Scuoti la testa, i tuoi capelli mi sfiorano una guancia.
"Ci sei soltanto tu" mi sussurri all'orecchio, prima di seminare una scia di baci lungo il mio collo.
Quando separi le labbra per divorare altra pelle, per affondarci i denti, passa un vento caldo.
Un sibilo sommesso.
Sento il tuo corpo bruciare contro il mio.
Siamo un incendio.
I tuoi fianchi che levigano i miei, mentre ti affanni tra i miei seni.
Segui la curva in mezzo ad essi con altri baci.
Poi risali con la lingua dalla piega sotto di essi e arrivi ai capezzoli.
Cominci a succhiarli come se potessi davvero nutrirti del mio corpo.
Ti sento aspirare con veemenza, e una scarica di eccitazione mi inonda l'inguine e poi dritto tra le cosce.
Un'ondata di eccitazione che mi risveglia ogni senso.
Voglio darti lo stesso.
Cerco con le mani, in modo impacciato, il tuo petto premuto sulla mia pancia.
Mi faccio spazio e la sento, la tua voglia di avermi.
Di riavermi.
Lascio scorrere un dito al di sotto del tuo ombelico, su quella striscia di peli sottile.
Ci chiudo attorno una mano, e lo sento tentennare un momento, prima che si irrigidisca ancora.
Muovo le dita verso il basso e tu affondi i denti sul mio seno.
Un gemito basso ci soffoca entrambi.
Non mi bastano le tue labbra.
Voglio che mi tocchi.
Desidero sentire la tua mano che si fa strada tra le mie cosce.
Ti chiamo per nome.
Un altro gemito che è una richiesta.
Intanto, i miei movimenti si alternano.
Adesso la mia mano sale e scende lungo la tua erezione, e adesso le dita premono delicatamente sui testicoli o segnano la circonferenza del tuo glande con la punta di esse.
Mentre sfrego l'indice sulla punta umida del tuo cazzo, tu mi infili in bocca le tue dita.
Hai staccato i fianchi dai miei, ma mi sei sopra.
Mi togli l'aria.
Spingi sempre più in fondo le dita, io annego nella mia stessa saliva.
E i tuoi occhi risplendono della luce dorata e di desiderio.
Mi premi il pollice sul labbro inferiore mentre estrai le altre due dalla mia bocca.
Mi bagni il mento di sfuggita e mi ripulisci con un bacio profondo.
Torni a riempirmi la bocca ma con la tua lingua.
Non fa cerimonie invece la tua mano.
Mi spalanca le gambe come si farebbe col cancello di una proprietà.
Come una cosa tua per cui non si chiede il permesso.
E prendi tutto lo spazio.
Come hai fatto con l'altro dei miei incavi umidi, le spingi fino in fondo.
Sento le tue nocche battere ritmicamente contro le labbra gonfie della mia figa.
Fiumi di umori che si spargono ovunque.
Sulla tua pelle, sulle lenzuola, dentro il mio corpo.
Sono un lago, e tu ti tuffi sempre più in profondità.
Sempre più vicino alla fonte del mio piacere più assoluto.
La stanza è troppo stretta per contenere il riverbero dei nostri gemiti.
Di tutta l'aria che consumiamo mentre ci aggrovigliamo.
Andiamo avanti per poco, comincia a diffondersi un calore devastante.
Le finestre sono chiuse.
E l'odore del sesso e dei nostri corpi fa venire sete ad entrambi.
Ti guardo ritrarti, con un sospiro di dissenso.
Ti stendi accanto a me.
Mi guardi, con uno sguardo che conosco bene.
Ti sposti i capelli dal viso.
Faccio in fretta a tirarmi su, e a prendere posto sul tuo viso.
Le mie gambe ti contornano il viso come fossi un ritratto.
La tua barba mi solletica l'interno coscia mentre risali piano verso il mio sesso caldo pronto ad essere assaggiato.
Sento le tue mani premere sulle mie cosce, un abbraccio brusco, mentre affondi la lingua dentro di me.
Un bacio alla francese tra due diverse labbra.
La tua saliva, i miei umori.
Un miscuglio di sapori e consistenze.
La sapienza dei tuoi movimenti.
Il fatto che ti ricordi che mi fa impazzire il modo in cui passi su e giù dall'entrata della mia figa fino al clitoride e viceversa, premendo con la punta del muscolo umido su quella piccola porzione piena di terminazioni che mi mandano in paradiso.
Ed è con la difficoltà dei gemiti che continuano a riversarsi dalla mia bocca che trovo spazio a fatica per spingerci dentro la tua erezione.
È calda, rigida e ne riempie ogni spazio.
Incavo le guance il più possibile e comincio a frizionare lungo di essa, aiutandomi con una mano sulla metà inferiore.
Tengo stretta la base con le dita e la massaggio verso l'alto, nel momento in cui il resto sparisce nella mia gola.
In alternanza, le dita umide della saliva di cui ti ricopro scendono a stimolati anche i testicoli, mentre con la lingua ricalco il tuo glande e la pelle tirata al di sotto di esso.
Ci scambiamo piacere reciprocamente.
Ci accarezziamo distrattamente tutto attorno alla zona su cui siamo concentrati.
Mi è sempre piaciuto da morire questo modo di incastrarci.
Questo equilibrio bagnato e ritmico.
Quasi più della penetrazione vera e propria.
Eppure, adesso ne sento una necessità incessante.
Voglio sentire il tuo cazzo invadermi.
Allargarmi a dovere, fare in modo di forzare i miei tessuti ad adattarsi alla sua forma.
Te lo dico.
Che ti voglio, dico.
Te lo ripeto.
Sospiri pesantemente tirando indietro la testa.
Un verso che è di assenso.
Mi rimetto dritta, ruoto i fianchi.
Sono sopra di te, mi metti una mano attorno al collo, che calza perfetta come una collana su misura.
Avvicini il mio viso al tuo e mi spingi la lingua in bocca.
Il mio respiro, il tuo.
Inarco la schiena, mi sollevo di qualche centimetro.
Affondi dentro di me con una spinta decisa.
Mi riempi improvvisamente e un'ondata di piacere mi travolge ancora.
E diventa un andirivieni continuo.
Mi tieni fermi i seni con le mani, li stringi.
Ti tengo i palmi premuti sul petto per aiutarmi con le spinte.
Non te l'ho detto.
Ho smesso con le misure di sicurezza.
Ma a te non interessa.
Non ci chiediamo niente.
Continuiamo solo a prenderci e a tenerci.
Ci mescoliamo e incastriamo in innumerevoli modi.
Prima piano, con un ritmo incerto.
Come si entra nelle case vacanze che non vedi da un anno.
E poi sempre con più naturalezza come quando ti ricordi che è casa tua.
E poi con la disperazione di quando realizzi che dovrai tornare alla vita di sempre e dovrai lasciarti le vacanze e quella realtà alle spalle.
È dopo un tempo infinito che gravi con tutto il peso del tuo corpo sul mio che sparisco sotto le tue spalle larghe.
La tua mano è incastrata ai miei capelli e mi preme una guancia sul materasso.
Il sudore della mia schiena è solo un'estensione di quello che scivola verso il basso sul tuo petto.
Il tuo inguine batte ad un ritmo disordinato contro il mio sedere.
Sono gli ultimi scatti di una maratona in cui tu arriverai primo inondando il mio sesso del tuo piacere, e io arriverò seconda mentre le tua mani tremanti mi accarezzano piano il clitoride.
Ti sento uscire.
Fiotti caldi di piacere che mi colano lungo le gambe.
Mi ricopri la schiena di baci.
Lo facevi ogni volta, prima di crollarmi accanto in un lentissimo silenzio soddisfatto.
Non ricordo cosa succede dopo.
Piove di nuovo, contro le tapparelle abbassate.
Nella luce gialla strizzo gli occhi.
Sul comodino c'è un biglietto.
"Metti ancora troppo zucchero nel caffè."
Quindi era stato quasi uno shock impattare contro la sua schiena qualche ora prima, sotto la pioggia leggera di Settembre, che lava via quel che resta dell'estate.
Tre mesi lunghi e lenti, spesi tutti a dimenticarmi della sua esistenza.
Ma il destino sa essere beffardo.
Si diverte con queste casualità meschine.
Così eccoci a scambiarci chiacchiere composte tra due che sono stati tutto e adesso non sono niente.
Sai, ho cambiato casa.
Vivo qui vicino.
È successo da poco, in realtà.
Qualche mese.
Ero convinta che più lontana ti sarei stata, più facilmente saresti sbiadito.
Come le immagini sul fondo di una foto, non messe a fuoco.
Sì, anch'io ho lasciato il mio appartamento.
Quello che era nostro.
E adesso vivo dentro a quello di un'altra.
Nel suo letto.
Nel suo corpo.
Da poco, qualche mese.
Magari ci siamo spostati nello stesso momento ai margini di una mappa non segnata.
Equidistanti.
È una mossa stupida, di cui mi pentirò.
Lo faccio per rabbia, per invidia, per malinconia.
Ti invito.
Accetti.
E adesso parliamo davanti ad un caffè, preparato con gesti meccanici.
La stessa quantità di sempre, l'acqua che sfiora la valvola.
Le stesse cose di sempre.
Mi chiedi cose stupide sull'arredamento.
Dove ho preso i cuscini.
Io neanche me lo ricordo.
Hai il respiro caldo che sa di miscela arabica.
Che sa di mattina presto e del dover finire in fretta, prima di andare a lavoro.
Ma adesso non c'è nessuna fretta.
E allora scivoliamo lenti in queste stanze.
Ci appoggiamo ai muri.
Ci premiamo l'uno sull'altro come due che oscillano in mezzo ad un terremoto.
Che si ancorano alle cose per restare in piedi.
Insieme.
Io risalgo lungo la tua schiena, una terra conosciuta dove affondano come radici le mie unghie.
Tu mi strappi quasi la pelle tirandola come fosse edera velenosa.
Ma non mi fai male.
Al contrario.
Come petali caduti poi, seminiamo i vestiti sul pavimento.
M'ama, non m'ama.
E intanto restiamo nudi.
Una distesa di nei e incavi in cui non potrei mai perdermi.
Conosco tutte le tue svolte.
Tu conosci tutte le mie.
Finiamo sul letto.
Allunghi la mano, nel buio, lasciandola affondare più volte, finché la lampada non riversa nella stanza una luce dorata.
Sei un groviglio di ombre e frammenti.
"Non ti piaceva farlo al buio?" ti chiedo.
"Voglio guardarti" mi dici.
E lo fai, mi guardi negli occhi.
Ci leggi dentro la domanda che non riesco a porti.
E lei? Quella con cui abiti adesso?
Con lei c'è sempre la luce?
Scuoti la testa, i tuoi capelli mi sfiorano una guancia.
"Ci sei soltanto tu" mi sussurri all'orecchio, prima di seminare una scia di baci lungo il mio collo.
Quando separi le labbra per divorare altra pelle, per affondarci i denti, passa un vento caldo.
Un sibilo sommesso.
Sento il tuo corpo bruciare contro il mio.
Siamo un incendio.
I tuoi fianchi che levigano i miei, mentre ti affanni tra i miei seni.
Segui la curva in mezzo ad essi con altri baci.
Poi risali con la lingua dalla piega sotto di essi e arrivi ai capezzoli.
Cominci a succhiarli come se potessi davvero nutrirti del mio corpo.
Ti sento aspirare con veemenza, e una scarica di eccitazione mi inonda l'inguine e poi dritto tra le cosce.
Un'ondata di eccitazione che mi risveglia ogni senso.
Voglio darti lo stesso.
Cerco con le mani, in modo impacciato, il tuo petto premuto sulla mia pancia.
Mi faccio spazio e la sento, la tua voglia di avermi.
Di riavermi.
Lascio scorrere un dito al di sotto del tuo ombelico, su quella striscia di peli sottile.
Ci chiudo attorno una mano, e lo sento tentennare un momento, prima che si irrigidisca ancora.
Muovo le dita verso il basso e tu affondi i denti sul mio seno.
Un gemito basso ci soffoca entrambi.
Non mi bastano le tue labbra.
Voglio che mi tocchi.
Desidero sentire la tua mano che si fa strada tra le mie cosce.
Ti chiamo per nome.
Un altro gemito che è una richiesta.
Intanto, i miei movimenti si alternano.
Adesso la mia mano sale e scende lungo la tua erezione, e adesso le dita premono delicatamente sui testicoli o segnano la circonferenza del tuo glande con la punta di esse.
Mentre sfrego l'indice sulla punta umida del tuo cazzo, tu mi infili in bocca le tue dita.
Hai staccato i fianchi dai miei, ma mi sei sopra.
Mi togli l'aria.
Spingi sempre più in fondo le dita, io annego nella mia stessa saliva.
E i tuoi occhi risplendono della luce dorata e di desiderio.
Mi premi il pollice sul labbro inferiore mentre estrai le altre due dalla mia bocca.
Mi bagni il mento di sfuggita e mi ripulisci con un bacio profondo.
Torni a riempirmi la bocca ma con la tua lingua.
Non fa cerimonie invece la tua mano.
Mi spalanca le gambe come si farebbe col cancello di una proprietà.
Come una cosa tua per cui non si chiede il permesso.
E prendi tutto lo spazio.
Come hai fatto con l'altro dei miei incavi umidi, le spingi fino in fondo.
Sento le tue nocche battere ritmicamente contro le labbra gonfie della mia figa.
Fiumi di umori che si spargono ovunque.
Sulla tua pelle, sulle lenzuola, dentro il mio corpo.
Sono un lago, e tu ti tuffi sempre più in profondità.
Sempre più vicino alla fonte del mio piacere più assoluto.
La stanza è troppo stretta per contenere il riverbero dei nostri gemiti.
Di tutta l'aria che consumiamo mentre ci aggrovigliamo.
Andiamo avanti per poco, comincia a diffondersi un calore devastante.
Le finestre sono chiuse.
E l'odore del sesso e dei nostri corpi fa venire sete ad entrambi.
Ti guardo ritrarti, con un sospiro di dissenso.
Ti stendi accanto a me.
Mi guardi, con uno sguardo che conosco bene.
Ti sposti i capelli dal viso.
Faccio in fretta a tirarmi su, e a prendere posto sul tuo viso.
Le mie gambe ti contornano il viso come fossi un ritratto.
La tua barba mi solletica l'interno coscia mentre risali piano verso il mio sesso caldo pronto ad essere assaggiato.
Sento le tue mani premere sulle mie cosce, un abbraccio brusco, mentre affondi la lingua dentro di me.
Un bacio alla francese tra due diverse labbra.
La tua saliva, i miei umori.
Un miscuglio di sapori e consistenze.
La sapienza dei tuoi movimenti.
Il fatto che ti ricordi che mi fa impazzire il modo in cui passi su e giù dall'entrata della mia figa fino al clitoride e viceversa, premendo con la punta del muscolo umido su quella piccola porzione piena di terminazioni che mi mandano in paradiso.
Ed è con la difficoltà dei gemiti che continuano a riversarsi dalla mia bocca che trovo spazio a fatica per spingerci dentro la tua erezione.
È calda, rigida e ne riempie ogni spazio.
Incavo le guance il più possibile e comincio a frizionare lungo di essa, aiutandomi con una mano sulla metà inferiore.
Tengo stretta la base con le dita e la massaggio verso l'alto, nel momento in cui il resto sparisce nella mia gola.
In alternanza, le dita umide della saliva di cui ti ricopro scendono a stimolati anche i testicoli, mentre con la lingua ricalco il tuo glande e la pelle tirata al di sotto di esso.
Ci scambiamo piacere reciprocamente.
Ci accarezziamo distrattamente tutto attorno alla zona su cui siamo concentrati.
Mi è sempre piaciuto da morire questo modo di incastrarci.
Questo equilibrio bagnato e ritmico.
Quasi più della penetrazione vera e propria.
Eppure, adesso ne sento una necessità incessante.
Voglio sentire il tuo cazzo invadermi.
Allargarmi a dovere, fare in modo di forzare i miei tessuti ad adattarsi alla sua forma.
Te lo dico.
Che ti voglio, dico.
Te lo ripeto.
Sospiri pesantemente tirando indietro la testa.
Un verso che è di assenso.
Mi rimetto dritta, ruoto i fianchi.
Sono sopra di te, mi metti una mano attorno al collo, che calza perfetta come una collana su misura.
Avvicini il mio viso al tuo e mi spingi la lingua in bocca.
Il mio respiro, il tuo.
Inarco la schiena, mi sollevo di qualche centimetro.
Affondi dentro di me con una spinta decisa.
Mi riempi improvvisamente e un'ondata di piacere mi travolge ancora.
E diventa un andirivieni continuo.
Mi tieni fermi i seni con le mani, li stringi.
Ti tengo i palmi premuti sul petto per aiutarmi con le spinte.
Non te l'ho detto.
Ho smesso con le misure di sicurezza.
Ma a te non interessa.
Non ci chiediamo niente.
Continuiamo solo a prenderci e a tenerci.
Ci mescoliamo e incastriamo in innumerevoli modi.
Prima piano, con un ritmo incerto.
Come si entra nelle case vacanze che non vedi da un anno.
E poi sempre con più naturalezza come quando ti ricordi che è casa tua.
E poi con la disperazione di quando realizzi che dovrai tornare alla vita di sempre e dovrai lasciarti le vacanze e quella realtà alle spalle.
È dopo un tempo infinito che gravi con tutto il peso del tuo corpo sul mio che sparisco sotto le tue spalle larghe.
La tua mano è incastrata ai miei capelli e mi preme una guancia sul materasso.
Il sudore della mia schiena è solo un'estensione di quello che scivola verso il basso sul tuo petto.
Il tuo inguine batte ad un ritmo disordinato contro il mio sedere.
Sono gli ultimi scatti di una maratona in cui tu arriverai primo inondando il mio sesso del tuo piacere, e io arriverò seconda mentre le tua mani tremanti mi accarezzano piano il clitoride.
Ti sento uscire.
Fiotti caldi di piacere che mi colano lungo le gambe.
Mi ricopri la schiena di baci.
Lo facevi ogni volta, prima di crollarmi accanto in un lentissimo silenzio soddisfatto.
Non ricordo cosa succede dopo.
Piove di nuovo, contro le tapparelle abbassate.
Nella luce gialla strizzo gli occhi.
Sul comodino c'è un biglietto.
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