La studentessa
di
Guastho
genere
etero
L’aula era quasi piena, la cercai con lo sguardo e incontrai i suoi occhi accesi come carboni ardenti.
Mi aveva tenuto il posto, mi sedetti accanto a lei e incrociai il suo sorriso.
Indossava un vestito corto e delle calze che le lasciavano scoperto qualche centimetro di coscia, sentii un vuoto nello stomaco, come se avessi affrontato improvvisamente un giro infernale sulle montagne russe.
La Professoressa entrò, prese posto, lei impugnò la penna e assunse un’aria concentrata.
Adoravo il modo in cui la sua fronte si corrugava quando stimolava i suoi pensieri.
Per me era diverso, non prendevo appunti.
Aspettai che la lezione iniziasse e cercai di mantenere la concentrazione, ma sentivo il suo respiro così vicino al mio che mi deconcentrava.
Quei pochi centimetri di pelle nuda della sua gamba mi stava provocando un’erezione che avrei faticato a nascondere.
La guardai, lei forse sentendosi osservata mi guardò a sua volta.
Mi sorrise e io, imbarazzato, abbassai lo sguardo.
La lezione era noiosa ma lei continuava a prendere appunti, come se fosse importante.
Non potendo resistere, la mia mano cercò quei centimetri.
La appoggiai delicatamente e lei non la spostò.
Accarezzai quei centimetri che la sua pelle mi concedeva, delicatamente, scorrendo il mio palmo e sollevandole leggermente la gonna.
La vidi arrossire leggermente, ma non mi scostò.
Continuai a far scorrere le mie dita sulla sua pelle, sollevando un centimetro per volta quell’abito che celava la mia lussuria.
Arrivai quasi senza accorgermene a sentire il tessuto delle mutandine, lei rimase ferma, forse allargò leggermente le gambe.
Fu come un invito per me, quel piccolo gesto inconsapevole.
Superai quel tessuto già umido con l’indice, spostandolo leggermente, cercai la fessura come un minatore cerca una vena d’oro.
La sentii, bagnata, calda.
La vidi trattenere un sospiro, cercare di ritrovare la concentrazione.
Trovai la sua clitoride e iniziai ad accarezzarla, il suo respiro iniziò a perdere regolarità, ma cercò di mantenere un contegno.
Inserii il medio dentro, col pollice continuai a stimolarle la clitoride.
La sua mano sinistra abbandonò il banco e si appoggiò sul mio interno coscia.
Aumentai il mio ritmo, lei scivolò cercando il mio obelisco di carne da sopra i pantaloni della tuta, accarezzandolo, con un lento su e giù ma senza afferrarlo.
Si fermò, come cercando la concentrazione strappò una pagina del suo quaderno.
“Dopo, bagno.”
Guardai di nuovo quegli occhi ardenti di desiderio, l’avrei baciata lì, davanti a tutti.
Ma avrei aspettato.
La lezione finì, io la seguii verso i bagni dell’istituto.
Non riuscivo a togliere gli occhi dal suo fondoschiena, come ipnotizzato dal suo ondulare.
Sorrisi quando vidi che sceglieva il bagno degli uomini.
Entrammo, le saltai letteralmente addosso incollando le mie labbra alle sue e cercando la sua cavità con la mia lingua.
Mi attaccai a lei, le mani irrequiete nel palpare ogni centimetro del suo corpo, scoprii un suo seno, lo avvolsi con la mia bocca e iniziai a ruotare la lingua sul suo capezzolo, il suo respiro si bloccò.
Avevo voglia di lei, come non mai la mia mano sollevò il suo vestito.
Avevo un palo di carne tra le gambe, turgido come quello di una statua di Priapo in marmo.
Lo sentì, mi abbassò la tuta scoprendolo, mentre io continuavo a baciarle collo e seno.
Ma volevo sentire il suo sapore, la girai.
Volevo lei sulla mia lingua.
Appoggiò le mani sulle pareti del bagno, mi abbassai sollevandole il vestito e scoprendole le natiche.
Spostai le mutandine, ormai fradice, e affondai la lingua in lei, la sentii trattenere il respiro, mentre scorrevo la lingua e la facevo ruotare sul suo clitoride.
Leccai la sua essenza mentre gemeva, come fosse in preda ad un esorcismo.
Dio se amavo mentre gemeva.
Ma io stavo per scoppiare.
Lo capì, si girò immediatamente appena mi staccai, inginocchiandosi.
Avvicinò la lingua al mio glande, iniziando a ruotare la lingua, reclinai la testa godendomi la sua bocca.
Quando iniziò a succhiare, afferrandolo voracemente tra le labbra ebbi un fremito, non potevo venire!
Volevo la sua essenza.
La feci sollevare, baciandola intensamente, mentre con la mano le accarezzavo il seno.
La sollevai, cercando il suo mio.
Entrai dentro di lei, sentii il suo calore invadere il mio membro pulsante.
Le sue pareti furono come un abisso caldo, iniziai ritmicamente a farla mia, la mia mano scivolò sul suo seno, lo strinsi, incontrai il capezzolo turgido e lo intrappolai tra pollice e indice.
Continuai a entrare dentro di lei, cercando di andare in fonda al suo corpo, ma anche alla sua anima.
Mi prese l’indole animale mentre lei inarcava la schiena e reclinava la testa, le afferrai i capelli mentre spingevo.
La sentii gemere, stava venendo, i suoi ormoni scivolarono lenti sulla mia estremità.
Volevo di più, volevo sentirla urlare, in quel bagno angusto.
Mi staccai, la feci voltare.
Volevo affondare dentro di lei con la mia bocca, cominciai a leccarla a pecorina inebriato dai suoi sospiri.
Il mio membro pulsava ad ogni suo gemito.
Lei comprese e si girò inginocchiandosi, era venuta una seconda volta con la mia lingua e voleva di più, ma nonostante l’eccitazione volevo anche io di più.
Mi ingoiò, come fosse l’ultima cosa al mondo che avrebbe fatto.
La sua lingua calda intrappolò i miei sensi, la guardavo, mentre mi succhiava con avidità, con passione, come avevo fatto io poco prima, per dare piacere, per ricevere piacere.
Mi guardò negli occhi, quegli occhi ardenti come l’inferno.
Ma volevo godere ancora un po’ del suo corpo, del suo calore, di quella parte dell’Eden che all’uomo era negata.
La feci alzare, la baciai con passione, le lingue intrecciate come l’amore dei serpenti, come un turbine, come la follia.
La girai, baciandola sul collo, sulla schiena, mentre il mio pene cercava la sua cavità.
Entrai, cominciai a spingere continuando a baciarla sul collo, tenendola per i capelli, mentre lei strillava il suo piacere.
“Sto per venire”, le dissi sussurrando, i sensi continuamente ottenebrati.
“Ti voglio bere” Sussurrò anche lei in preda agli spasmi.
Uscii a malincuore, ma quando si inginocchiò, il paradiso mi avvolse.
Mi prese tutto, come se fosse acqua per un disperso nel deserto.
Fino all’ultima goccia di passione.
Fino all’ultimo spasmo, come se il mondo finisse quel giorno.
Avevamo un’altra lezione.
Era difficile ricomporsi ma lo facemmo, la baciai, il suo sapore mischiato al mio.
Non so se sarei riuscito a prendere il minimo appunto mentale quel giorno.
Per commenti, chiarimenti e suggerimenti, feniced_arabia@hotmail.it.
Saró felice di ascoltevi tutti!
Mi aveva tenuto il posto, mi sedetti accanto a lei e incrociai il suo sorriso.
Indossava un vestito corto e delle calze che le lasciavano scoperto qualche centimetro di coscia, sentii un vuoto nello stomaco, come se avessi affrontato improvvisamente un giro infernale sulle montagne russe.
La Professoressa entrò, prese posto, lei impugnò la penna e assunse un’aria concentrata.
Adoravo il modo in cui la sua fronte si corrugava quando stimolava i suoi pensieri.
Per me era diverso, non prendevo appunti.
Aspettai che la lezione iniziasse e cercai di mantenere la concentrazione, ma sentivo il suo respiro così vicino al mio che mi deconcentrava.
Quei pochi centimetri di pelle nuda della sua gamba mi stava provocando un’erezione che avrei faticato a nascondere.
La guardai, lei forse sentendosi osservata mi guardò a sua volta.
Mi sorrise e io, imbarazzato, abbassai lo sguardo.
La lezione era noiosa ma lei continuava a prendere appunti, come se fosse importante.
Non potendo resistere, la mia mano cercò quei centimetri.
La appoggiai delicatamente e lei non la spostò.
Accarezzai quei centimetri che la sua pelle mi concedeva, delicatamente, scorrendo il mio palmo e sollevandole leggermente la gonna.
La vidi arrossire leggermente, ma non mi scostò.
Continuai a far scorrere le mie dita sulla sua pelle, sollevando un centimetro per volta quell’abito che celava la mia lussuria.
Arrivai quasi senza accorgermene a sentire il tessuto delle mutandine, lei rimase ferma, forse allargò leggermente le gambe.
Fu come un invito per me, quel piccolo gesto inconsapevole.
Superai quel tessuto già umido con l’indice, spostandolo leggermente, cercai la fessura come un minatore cerca una vena d’oro.
La sentii, bagnata, calda.
La vidi trattenere un sospiro, cercare di ritrovare la concentrazione.
Trovai la sua clitoride e iniziai ad accarezzarla, il suo respiro iniziò a perdere regolarità, ma cercò di mantenere un contegno.
Inserii il medio dentro, col pollice continuai a stimolarle la clitoride.
La sua mano sinistra abbandonò il banco e si appoggiò sul mio interno coscia.
Aumentai il mio ritmo, lei scivolò cercando il mio obelisco di carne da sopra i pantaloni della tuta, accarezzandolo, con un lento su e giù ma senza afferrarlo.
Si fermò, come cercando la concentrazione strappò una pagina del suo quaderno.
“Dopo, bagno.”
Guardai di nuovo quegli occhi ardenti di desiderio, l’avrei baciata lì, davanti a tutti.
Ma avrei aspettato.
La lezione finì, io la seguii verso i bagni dell’istituto.
Non riuscivo a togliere gli occhi dal suo fondoschiena, come ipnotizzato dal suo ondulare.
Sorrisi quando vidi che sceglieva il bagno degli uomini.
Entrammo, le saltai letteralmente addosso incollando le mie labbra alle sue e cercando la sua cavità con la mia lingua.
Mi attaccai a lei, le mani irrequiete nel palpare ogni centimetro del suo corpo, scoprii un suo seno, lo avvolsi con la mia bocca e iniziai a ruotare la lingua sul suo capezzolo, il suo respiro si bloccò.
Avevo voglia di lei, come non mai la mia mano sollevò il suo vestito.
Avevo un palo di carne tra le gambe, turgido come quello di una statua di Priapo in marmo.
Lo sentì, mi abbassò la tuta scoprendolo, mentre io continuavo a baciarle collo e seno.
Ma volevo sentire il suo sapore, la girai.
Volevo lei sulla mia lingua.
Appoggiò le mani sulle pareti del bagno, mi abbassai sollevandole il vestito e scoprendole le natiche.
Spostai le mutandine, ormai fradice, e affondai la lingua in lei, la sentii trattenere il respiro, mentre scorrevo la lingua e la facevo ruotare sul suo clitoride.
Leccai la sua essenza mentre gemeva, come fosse in preda ad un esorcismo.
Dio se amavo mentre gemeva.
Ma io stavo per scoppiare.
Lo capì, si girò immediatamente appena mi staccai, inginocchiandosi.
Avvicinò la lingua al mio glande, iniziando a ruotare la lingua, reclinai la testa godendomi la sua bocca.
Quando iniziò a succhiare, afferrandolo voracemente tra le labbra ebbi un fremito, non potevo venire!
Volevo la sua essenza.
La feci sollevare, baciandola intensamente, mentre con la mano le accarezzavo il seno.
La sollevai, cercando il suo mio.
Entrai dentro di lei, sentii il suo calore invadere il mio membro pulsante.
Le sue pareti furono come un abisso caldo, iniziai ritmicamente a farla mia, la mia mano scivolò sul suo seno, lo strinsi, incontrai il capezzolo turgido e lo intrappolai tra pollice e indice.
Continuai a entrare dentro di lei, cercando di andare in fonda al suo corpo, ma anche alla sua anima.
Mi prese l’indole animale mentre lei inarcava la schiena e reclinava la testa, le afferrai i capelli mentre spingevo.
La sentii gemere, stava venendo, i suoi ormoni scivolarono lenti sulla mia estremità.
Volevo di più, volevo sentirla urlare, in quel bagno angusto.
Mi staccai, la feci voltare.
Volevo affondare dentro di lei con la mia bocca, cominciai a leccarla a pecorina inebriato dai suoi sospiri.
Il mio membro pulsava ad ogni suo gemito.
Lei comprese e si girò inginocchiandosi, era venuta una seconda volta con la mia lingua e voleva di più, ma nonostante l’eccitazione volevo anche io di più.
Mi ingoiò, come fosse l’ultima cosa al mondo che avrebbe fatto.
La sua lingua calda intrappolò i miei sensi, la guardavo, mentre mi succhiava con avidità, con passione, come avevo fatto io poco prima, per dare piacere, per ricevere piacere.
Mi guardò negli occhi, quegli occhi ardenti come l’inferno.
Ma volevo godere ancora un po’ del suo corpo, del suo calore, di quella parte dell’Eden che all’uomo era negata.
La feci alzare, la baciai con passione, le lingue intrecciate come l’amore dei serpenti, come un turbine, come la follia.
La girai, baciandola sul collo, sulla schiena, mentre il mio pene cercava la sua cavità.
Entrai, cominciai a spingere continuando a baciarla sul collo, tenendola per i capelli, mentre lei strillava il suo piacere.
“Sto per venire”, le dissi sussurrando, i sensi continuamente ottenebrati.
“Ti voglio bere” Sussurrò anche lei in preda agli spasmi.
Uscii a malincuore, ma quando si inginocchiò, il paradiso mi avvolse.
Mi prese tutto, come se fosse acqua per un disperso nel deserto.
Fino all’ultima goccia di passione.
Fino all’ultimo spasmo, come se il mondo finisse quel giorno.
Avevamo un’altra lezione.
Era difficile ricomporsi ma lo facemmo, la baciai, il suo sapore mischiato al mio.
Non so se sarei riuscito a prendere il minimo appunto mentale quel giorno.
Per commenti, chiarimenti e suggerimenti, feniced_arabia@hotmail.it.
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