L' allenatore
di
Guastho
genere
tradimenti
La squadra si era allenata bene, nonostante fossero solo bambini dopo un anno di lavoro erano migliorati molto.
Fischiai la fine, i genitori sugli spalti applaudirono i loro figli con entusiasmo mentre entravamo negli spogliatoi.
Entrai con loro, feci i complimenti di rito e mi diressi verso lo spogliatoio degli arbitri per la meritata doccia.
Aprii l’acqua calda mentre mi toglievo la felpa e la maglietta della società.
Qualcuno bussò alla porta, pensai che fosse Anselmo, il vecchio custode, sempre pronto a qualche lamentela.
Tolsi il chiavistello, aprii.
“Marika?”
Marika era la mamma di Gabriele, uno degli ultimi ad aggregarsi alla squadra, ma che comunque iniziava a muoversi bene.
Guardai alle sue spalle alla ricerca del marito, ma probabilmente era al bar del campo sportivo con gli altri genitori a fare l’aperitivo di rito.
“Posso fare qualcosa per te?” le chiesi.
“Ti volevo parlare…” Senza chiedere permesso entrò nell’angusto spogliatoio.
Aveva due occhi color ghiaccio, maliziosi quanto quelli di una bambina capricciosa.
Nonostante i vent’anni che ci separavano mi trattava come un suo coetaneo.
Compensava un seno tutt’altro che generoso con un fondoschiena alto e snello e due gambe lunghe e affusolate.
Avevo visto più di un padre di famiglia indugiare su quel ben di Dio.
Delle labbra carnose, sempre pronte ad aprirsi in un sorriso, un viso ovale, incorniciato da dei capelli corvini portati a caschetto.
Dimostrava di meno dei suoi quarant’anni e sembrava esserne consapevole.
“Che succede?”
“Gabry è triste, perché non lo hai convocato alla partita?”
“Marika, sono solo due settimane che è con noi, fallo prendere confidenza…”
I suoi occhi si accesero.
“Tu non hai figli Alex, una mamma farebbe di tutto per vederli felici…e Gabry non lo è…”
Sentivo il suo fiato caldo contro il mio mentre mi parlava.
Probabilmente questo, aggiunto alla presenza di una donna in una situazione possibilmente compromettente mi fece iniziare a fare scorrere il sangue.
Cercai di mantenermi lucido.
Gli occhi fissi nei suoi, mentre il cuore stava galoppando fin troppo velocemente.
“Arriverà il suo momento, tu rassicuralo.”
Mi appoggiò una mano sulla spalla, il suo palmo morbido sulla mia pelle aumentò la tensione.
Sentii qualcosa muoversi lì sotto, mentre cercavo di mantenere un atteggiamento di naturalezza.
“Alex, ti prego…”
Si era avvicinata ancora di più, quasi cercasse il contatto fisico, la sua mano ancora sulla spalla, i suoi occhi di ghiaccio nei miei.
Feci un passo indietro, per quanto quello spazio angusto me lo permettesse.
Fu in quel momento che, forse per seguire con lo sguardo il movimento dei miei piedi i suoi occhi scivolarono in basso.
La tuta che indossavo lasciava poco all’immaginazione.
Cercai di concentrarmi sullo scroscio della doccia per calmarmi, ma lei si mosse di nuovo verso di me.
“C’è qualcosa che posso fare per convincerti a convocarlo Domenica?”
“Non credo, ho preso la mia decisione…”
“Il tuo amico sembra di un parere diverso…”
Non potei impedire alla sua mano di accarezzare la stoffa del pantalone.
“Dai, che fai! Tuo marito potrebbe arrivare a cercarti in ogni momento…”
“Lo sai che è a bere con gli altri.” Detto questo chiuse il chiavistello della porta.
L’imbarazzo aveva lasciato il posto all’eccitazione, in parte per la situazione, in parte per il timore di essere scoperto, che poteva farmi, oltre a rischiare la morte per mano del marito anche farmi perdere il posto.
Si avvicinò a me.
“Sono io a farti questo effetto?” Mi chiese, gli occhi glaciali colmi di malizia.
“Beh, sono un uomo, anche se giovane.”
“Sei un ragazzino, in realtà, ma magari qualcosa la sai fare.” Mi canzonò, ma senza ombra di intenti offensivi, stava giocando con me.
Tornò ad avvicinarsi, appiccicando il suo corpo a me, la mano che scivolò sul cavallo dei pantaloni mentre le sue labbra si socchiudevano cercando le mie.
Sentii la sua lingua morbida, ricambiai mentre il cuore martellava nuovamente nel petto, quasi volesse esplodere.
La sua mano era dolce, esperta, decisa.
Mi accarezzava il glande per poi scivolare giù, lentamente.
Accelerò d’un tratto per poi fermarsi quando sentì il mio respiro bloccarsi.
“Non ora, non così. ” Sussurrò.
La sua mano calda allargò l’elastico dei pantaloni, insinuandosi nei miei boxer.
Quel calore mi portò ad avere un fremito, mentre con la sinistra mi faceva scivolare i pantaloni lungo i fianchi.
Iniziò a baciarmi il collo, sentivo la sua lingua indugiare nei punti che sapeva più sensibili.
Lo scroscio della doccia, pensai, lo scroscio della doccia.
Quasi potesse salvarmi.
Era arrivata al petto, il suo fiato sulla pelle mi stava letteralmente uccidendo.
Quando arrivò giù tornò a guardarmi negli occhi, mentre con la lingua scivolava sull’asta.
Prima di farmi entrare nel caldo umido della sua bocca.
La sua lingua sul frenulo fu una botta di adrenalina.
Infilai le mani tra i suoi capelli corvini mentre lei pompava con la bocca, facendolo uscire ogni tanto per accarezzarmi i testicoli.
La sua saliva me lo rendeva lucido, la sua abilità di marmo.
Passò nuovamente la lingua sul glande, indugiando sul frenulo con la punta, mentre con le mani spingeva le mie natiche verso di lei.
Capì che stavo arrivando al limite.
Si fermò, guardandomi negli occhi nuovamente.
“Ragazzino, pensi di finire così?”
Con una sola mossa si sfilò la felpa e la maglietta che indossava lasciandole cadere a terra.
Il suo seno nudo, sebbene di piccole dimensioni, svettava come dolci colline.
I capezzoli turgidi attrassero la mia bocca, li avvolsi tra le mie labbra, la lingua che li accarezzava, a turno, mentre con l’altra mano facevo scivolare i leggins lungo i suoi fianchi, operazione complicata dal fondoschiena inarcato e tornito.
Iniziai a baciare la sua pelle, volevo riprendere respiro e darle piacere.
Mi avvicinavo alla sua cavità, senza però sfiorarla, facendole soltanto sentire il calore del mio respiro.
Ero in ginocchio davanti al suo sesso, mentre lei, come una Dea pagana si godeva il mio sacrificio.
Mi alzai, afferrandola per le spalle la feci ruotare.
Di spalle, col mio sesso turgido contro le natiche le sussurrai:
“Adesso ti fa vedere il ragazzino.”
Mi abbassai, allargandole le natiche con entrambe le mani, cercando il suo sesso con la lingua.
Passai da un labbro all’altro, con la lingua larga, arrivando a leccare anche il secondo buco.
Poi, quando vidi che le sue ginocchia iniziavano a cedere cercai il clitoride.
Indurii la lingua e iniziai a torturarlo, ruotandola intorno al suo piacere che si faceva sempre più rigido.
Il mio dito che cercava il punto più sensibile al suo interno con rapidi tocchi.
La sentii trattenere il fiato, le gambe iniziarono a tremare.
I suoi umori inebriarono la mia bocca mentre lei cercava di riprendere il controllo.
“Oddio, dove hai imparato quella cosa con il dito?” mi chiese tra i sospiri mentre cercava di riprendere fiato.
“Da buon ragazzino, alla Play Station…” Risposi.
Ma sapevo che non potevamo restare ancora lì a lungo.
Sempre girata come era, mi alzai, le entrai dentro, di spalle.
Iniziai a cavalcarla, i miei testicoli che sbattevano contro di lei nella furia dei colpi, ansioso del mio lieto.
La sentii nuovamente tremare e trattenere il fiato.
Fu il capolinea.
Mentre gemeva sentii che stavo per arrivare, niente poteva più fermarmi.
Lo sentì anche lei, il mio pene che pulsava di piacere e mi bloccò.
“Non prendo la pillola…”
Rapida mi fece uscire, inginocchiandosi.
Scaraventai il mio piacere sulla sua lingua, sulla sua faccia, sui suoi capelli, sul muro dello spogliatoio.
“Bel disastro, ragazzino…” Sorrise maliziosa.
Si pulì alla meglio con i miei vestiti, cercando di rassettarsi.
“Allora per Gabry?”
“Vedrò che posso fare…”
Mi sorrise uscendo.
Infilai in doccia.
Quando uscii il marito mi offrì una birra, felice della convocazione del figlio.
Fischiai la fine, i genitori sugli spalti applaudirono i loro figli con entusiasmo mentre entravamo negli spogliatoi.
Entrai con loro, feci i complimenti di rito e mi diressi verso lo spogliatoio degli arbitri per la meritata doccia.
Aprii l’acqua calda mentre mi toglievo la felpa e la maglietta della società.
Qualcuno bussò alla porta, pensai che fosse Anselmo, il vecchio custode, sempre pronto a qualche lamentela.
Tolsi il chiavistello, aprii.
“Marika?”
Marika era la mamma di Gabriele, uno degli ultimi ad aggregarsi alla squadra, ma che comunque iniziava a muoversi bene.
Guardai alle sue spalle alla ricerca del marito, ma probabilmente era al bar del campo sportivo con gli altri genitori a fare l’aperitivo di rito.
“Posso fare qualcosa per te?” le chiesi.
“Ti volevo parlare…” Senza chiedere permesso entrò nell’angusto spogliatoio.
Aveva due occhi color ghiaccio, maliziosi quanto quelli di una bambina capricciosa.
Nonostante i vent’anni che ci separavano mi trattava come un suo coetaneo.
Compensava un seno tutt’altro che generoso con un fondoschiena alto e snello e due gambe lunghe e affusolate.
Avevo visto più di un padre di famiglia indugiare su quel ben di Dio.
Delle labbra carnose, sempre pronte ad aprirsi in un sorriso, un viso ovale, incorniciato da dei capelli corvini portati a caschetto.
Dimostrava di meno dei suoi quarant’anni e sembrava esserne consapevole.
“Che succede?”
“Gabry è triste, perché non lo hai convocato alla partita?”
“Marika, sono solo due settimane che è con noi, fallo prendere confidenza…”
I suoi occhi si accesero.
“Tu non hai figli Alex, una mamma farebbe di tutto per vederli felici…e Gabry non lo è…”
Sentivo il suo fiato caldo contro il mio mentre mi parlava.
Probabilmente questo, aggiunto alla presenza di una donna in una situazione possibilmente compromettente mi fece iniziare a fare scorrere il sangue.
Cercai di mantenermi lucido.
Gli occhi fissi nei suoi, mentre il cuore stava galoppando fin troppo velocemente.
“Arriverà il suo momento, tu rassicuralo.”
Mi appoggiò una mano sulla spalla, il suo palmo morbido sulla mia pelle aumentò la tensione.
Sentii qualcosa muoversi lì sotto, mentre cercavo di mantenere un atteggiamento di naturalezza.
“Alex, ti prego…”
Si era avvicinata ancora di più, quasi cercasse il contatto fisico, la sua mano ancora sulla spalla, i suoi occhi di ghiaccio nei miei.
Feci un passo indietro, per quanto quello spazio angusto me lo permettesse.
Fu in quel momento che, forse per seguire con lo sguardo il movimento dei miei piedi i suoi occhi scivolarono in basso.
La tuta che indossavo lasciava poco all’immaginazione.
Cercai di concentrarmi sullo scroscio della doccia per calmarmi, ma lei si mosse di nuovo verso di me.
“C’è qualcosa che posso fare per convincerti a convocarlo Domenica?”
“Non credo, ho preso la mia decisione…”
“Il tuo amico sembra di un parere diverso…”
Non potei impedire alla sua mano di accarezzare la stoffa del pantalone.
“Dai, che fai! Tuo marito potrebbe arrivare a cercarti in ogni momento…”
“Lo sai che è a bere con gli altri.” Detto questo chiuse il chiavistello della porta.
L’imbarazzo aveva lasciato il posto all’eccitazione, in parte per la situazione, in parte per il timore di essere scoperto, che poteva farmi, oltre a rischiare la morte per mano del marito anche farmi perdere il posto.
Si avvicinò a me.
“Sono io a farti questo effetto?” Mi chiese, gli occhi glaciali colmi di malizia.
“Beh, sono un uomo, anche se giovane.”
“Sei un ragazzino, in realtà, ma magari qualcosa la sai fare.” Mi canzonò, ma senza ombra di intenti offensivi, stava giocando con me.
Tornò ad avvicinarsi, appiccicando il suo corpo a me, la mano che scivolò sul cavallo dei pantaloni mentre le sue labbra si socchiudevano cercando le mie.
Sentii la sua lingua morbida, ricambiai mentre il cuore martellava nuovamente nel petto, quasi volesse esplodere.
La sua mano era dolce, esperta, decisa.
Mi accarezzava il glande per poi scivolare giù, lentamente.
Accelerò d’un tratto per poi fermarsi quando sentì il mio respiro bloccarsi.
“Non ora, non così. ” Sussurrò.
La sua mano calda allargò l’elastico dei pantaloni, insinuandosi nei miei boxer.
Quel calore mi portò ad avere un fremito, mentre con la sinistra mi faceva scivolare i pantaloni lungo i fianchi.
Iniziò a baciarmi il collo, sentivo la sua lingua indugiare nei punti che sapeva più sensibili.
Lo scroscio della doccia, pensai, lo scroscio della doccia.
Quasi potesse salvarmi.
Era arrivata al petto, il suo fiato sulla pelle mi stava letteralmente uccidendo.
Quando arrivò giù tornò a guardarmi negli occhi, mentre con la lingua scivolava sull’asta.
Prima di farmi entrare nel caldo umido della sua bocca.
La sua lingua sul frenulo fu una botta di adrenalina.
Infilai le mani tra i suoi capelli corvini mentre lei pompava con la bocca, facendolo uscire ogni tanto per accarezzarmi i testicoli.
La sua saliva me lo rendeva lucido, la sua abilità di marmo.
Passò nuovamente la lingua sul glande, indugiando sul frenulo con la punta, mentre con le mani spingeva le mie natiche verso di lei.
Capì che stavo arrivando al limite.
Si fermò, guardandomi negli occhi nuovamente.
“Ragazzino, pensi di finire così?”
Con una sola mossa si sfilò la felpa e la maglietta che indossava lasciandole cadere a terra.
Il suo seno nudo, sebbene di piccole dimensioni, svettava come dolci colline.
I capezzoli turgidi attrassero la mia bocca, li avvolsi tra le mie labbra, la lingua che li accarezzava, a turno, mentre con l’altra mano facevo scivolare i leggins lungo i suoi fianchi, operazione complicata dal fondoschiena inarcato e tornito.
Iniziai a baciare la sua pelle, volevo riprendere respiro e darle piacere.
Mi avvicinavo alla sua cavità, senza però sfiorarla, facendole soltanto sentire il calore del mio respiro.
Ero in ginocchio davanti al suo sesso, mentre lei, come una Dea pagana si godeva il mio sacrificio.
Mi alzai, afferrandola per le spalle la feci ruotare.
Di spalle, col mio sesso turgido contro le natiche le sussurrai:
“Adesso ti fa vedere il ragazzino.”
Mi abbassai, allargandole le natiche con entrambe le mani, cercando il suo sesso con la lingua.
Passai da un labbro all’altro, con la lingua larga, arrivando a leccare anche il secondo buco.
Poi, quando vidi che le sue ginocchia iniziavano a cedere cercai il clitoride.
Indurii la lingua e iniziai a torturarlo, ruotandola intorno al suo piacere che si faceva sempre più rigido.
Il mio dito che cercava il punto più sensibile al suo interno con rapidi tocchi.
La sentii trattenere il fiato, le gambe iniziarono a tremare.
I suoi umori inebriarono la mia bocca mentre lei cercava di riprendere il controllo.
“Oddio, dove hai imparato quella cosa con il dito?” mi chiese tra i sospiri mentre cercava di riprendere fiato.
“Da buon ragazzino, alla Play Station…” Risposi.
Ma sapevo che non potevamo restare ancora lì a lungo.
Sempre girata come era, mi alzai, le entrai dentro, di spalle.
Iniziai a cavalcarla, i miei testicoli che sbattevano contro di lei nella furia dei colpi, ansioso del mio lieto.
La sentii nuovamente tremare e trattenere il fiato.
Fu il capolinea.
Mentre gemeva sentii che stavo per arrivare, niente poteva più fermarmi.
Lo sentì anche lei, il mio pene che pulsava di piacere e mi bloccò.
“Non prendo la pillola…”
Rapida mi fece uscire, inginocchiandosi.
Scaraventai il mio piacere sulla sua lingua, sulla sua faccia, sui suoi capelli, sul muro dello spogliatoio.
“Bel disastro, ragazzino…” Sorrise maliziosa.
Si pulì alla meglio con i miei vestiti, cercando di rassettarsi.
“Allora per Gabry?”
“Vedrò che posso fare…”
Mi sorrise uscendo.
Infilai in doccia.
Quando uscii il marito mi offrì una birra, felice della convocazione del figlio.
2
voti
voti
valutazione
5
5
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
La studentessaracconto sucessivo
Il commesso
Commenti dei lettori al racconto erotico