Bestiame cap. 3 parte 2

di
genere
dominazione

Erano arrivati, il Re e la figlia scesero dalle loro cavalcature. Di fronte si trovava un’ampia baracca con il lato davanti tutto aperto, lì fuori c’erano delle altre cavalle con i loro padroni. Le cavalle erano legate a delle poste, fatte con un palo orizzontale all’altezza di circa un metro e due pali verticali che reggevano il primo. Erano lì in attesa, mentre i padroni chiacchieravano tra loro. Il maniscalco era un uomo di mezza età smilzo, ma forte, aveva alle sue dipendenze un giovanotto tarchiato, che era lì per imparare il mestiere, e diversi schiavi. In quel momento, erano con lui, una femmina ed un maschio. Erano tutti vestiti più o meno allo stesso modo, stivali robusti, pantaloni e una giubba, un largo grembiule di cuoio che partiva dal petto e scendeva fino a metà gamba, guanti di pelle.
Si fermarono tutti all’arrivo del Re per salutarlo. Solo il maniscalco si inchinò e gli strinse la mano, chinò il capo di fronte a Freja sorridendole, mentre tutti gli altri, ragazzotto compreso, si inchinarono per salutarli.
- Vedo una nuova puledra – esordì allegro il maniscalco. Stava stringendo un nuovo sottopancia alla giumenta che aveva per le mani. Una castana con due grosse tette pendule e dai fianchi larghi. I tre che erano lì a spettegolare, due uomini ed una donna, fissavano Regina. – Che ve ne pare? – chiese il Re per levarli dall’imbarazzo.
Tutti si sperticarono in complimenti, Regina era terrorizzata e umiliata, gli occhi bassi a fissare il terreno, di fronte a lei uomini e donne tutti vestiti, tranne le cavalle e lei, che sarebbe diventata una puledra.
Il maniscalco si affrettò a dire, - la prepariamo subito Signore, le altre giumente possono aspettare. –
I pettegoli si affrettarono ad annuire. La signora che era arrivata lì in calesse, umilmente, con un sorrisetto ironico, chiese – l’ha già provata, Signore? –
Il Re conosceva tutti, come ogni abitante del luogo, sorrise a sua volta – no, Enni, ancora no, ma quando avverrà te lo farò sapere. – Scoppiarono tutti a ridere.
Il maniscalco condusse Regina alla posta più alta che aveva, era una posta particolare perché a distanza di mezzo metro ce ne era una uguale, ma un po’ più bassa. Infatti, il maniscalco fece piegare Regina sulla prima e la legò sulla seconda asta. Il maniscalco aveva mani forti e sicure, Regina in un attimo si trovò a novanta gradi, con le gambe divaricate ed il culo proteso in aria. Oscenamente esposta allo sguardo dei presenti che infatti la osservarono con interesse. Il maniscalco le diede una pacca sul culo, umiliante e rassicurante al tempo stesso. I due schiavi, infatti, mentre il maniscalco legava la puledra per il morso all’asta davanti, la legavano per le caviglie, tirando per farle allargare le gambe, ai pali di dietro. Una grande umiliazione, nuda, con le cosce aperte, i genitali offerti e le tette penzolanti, ma Regina non provò neanche ad opporsi. Era talmente confusa che non aveva neanche capito cosa aveva detto la donna e la risposta del Re, di cui tutti avevano riso, ma aveva capito che stavano ridendo di lei.

Il maniscalco le mise un collare molto alto che le impediva di guardare in basso e le rendeva difficile girare la testa. Il collare la costringeva a guardare avanti, anche se in quel momento, piegata come si trovava, poteva solo guardare a terra. La schiava, con un rasoio in mano, si chinò tra le gambe di Regina e iniziò a depilare la vulva, poi passò alle ascelle e dovunque vide un pelo. Regina era agitata, il cuore in tumulto, spaventata, ma quando capì cosa stava facendo la schiava si calmò, non voleva rischiare di tagliarsi. La schiava proseguì con un pettine e una forbice, le sfoltì i capelli sul davanti, portandoli tutti indietro e raccogliendoli in una coda. Infine la schiava si spalmò, le mani inguantate, con una crema che passò sul pube, sotto le ascelle, sulle braccia e sulle gambe di Regina. Lì, anche con il contributo della sua nuova dieta, non sarebbe più cresciuto un pelo, almeno per un bel po’ di tempo. Il peggio stava per arrivare, Regina si domandò come poteva essere successo così rapidamente.

Fu molto doloroso. L’inanellarono ai capezzoli e sentì male. Le tette pendevano nel vuoto tra le due stanghe. Il fabbro prese il capezzolo in mano e tirò allungandolo, nell’altra mano aveva una spilla e bucò, poi fece passare l’anello. Regina urlò, ma l’urlo si perse nel morso. Sudava e la schiava tamponò il sudore mentre il suo padrone passava all’altro capezzolo. Ancora più doloroso fu quando la pinzarono al clitoride. Il maniscalco lo catturò con una pinzetta, lo tirò in fuori e bucò, fu terribile.
Il piccolo pubblico guardava affascinato il maniscalco lavorare sui punti sensibili. Gli abitanti della valle avevano visto quelle operazioni già parecchie volte, ma era sempre orribilmente affascinante. Alcune confessavano, alle amiche, che mentre assistevano a quelle operazioni avevano avuto un orgasmo e si erano dovute mordere le labbra per non gridare. Gli uomini sicuramente rizzavano, la puledra sotto i ferri ovviamente soffriva e non faceva neanche caso a quello che succedeva intorno a lei, troppo presa dal male che sentiva. La schiava intanto detergeva il sudore sulla fronte di Regina e disinfettava. Regina immobilizzata tra le stanghe davanti e di dietro, per quello che poteva, si contorceva piangendo. Il grosso ago che penetrava faceva male, peggio era la disperazione e l’umiliazione. Quando le misero gli anelli alle grandi labbra e ai capezzoli pianse avvilita. Durò parecchio, il maniscalco lavorava con calma, non si poteva permettere di sbagliare, si trattava della nuova puledra del Re. Spesso accarezzava benevolmente Regina per tranquillizzarla e apprezzava. La puledra del Re era fantastica.

Il fabbro se la cavava bene anche con il cuoio, ma si riposò un po’ mentre il suo assistente si accinse a compiere un’operazione molto delicata. Prima ridussero completamente il gioco delle caviglie e strinsero la cintura sulla vita della puledra. Per quanto era possibile, Regina fu immobilizzata.
Su un braciere, un ferro si stava arroventando, il giovanotto lo prese e guardò verso il Re e verso la Principessa, entrambi annuirono. Implacabile, il garzone lo spinse sulla natica della puledra che emise uno strillo belluino cercando di dimenarsi, senza riuscirci. Il giovanotto tenne il ferro per tre secondi sulla natica mentre la puledra continuava a soffrire e gridare come ormai poteva, poi lo levò e su quella splendida e morbida natica, in rilievo comparve un segno, una piccola corona. Regina entrava così a far parte della scuderia reale. Nella valle, a meno di gravi insubordinazioni, venivano marchiati solo cavalli e vacche. Il marchio indicava il proprietario, il bestiame comune veniva marchiato con il simbolo del Posto Segreto: un vulcano stilizzato.
Poi fu tutto più semplice e veloce, sicuramente meno doloroso anche se la puledra continuò a tremare e piangere per tutto il tempo. Il Re si avvicinò e accarezzò la puledra sulla schiena e sulle guance e le disse più volte – è tutto finito, è tutto finito, - ma Regina era inconsolabile. In meno di mezz’ora la sua vita era cambiata totalmente.

La schiava sganciò le cinghie delle caviglie e tirò il piede destro in su verso il polpaccio. Il fabbro indicò degli stivaletti, la schiava ne prese uno, il destro. Era nero ed aveva la suola molto alta e larga, infissa sotto la suola c’era una bella lamina d’acciaio: un ferro da cavallo. Lo stivale spingeva il piede molto in su, solo la parte iniziale del piede poteva toccare a terra, poi iniziava ad incurvarsi verso l’alto e non aveva tacco. Lo stivaletto, era chiuso, pieno e pesante, il tallone veniva spinto tanto in alto che la puledra avrebbe avuto l’impressione di camminare sulle punte dei piedi. La pianta del piede avrebbe toccato terra, ma il tallone no, sarebbe rimasto sospeso nel vuoto. Lo stivaletto era alto fino al polpaccio, ma era una delle tante versioni che la puledra poteva indossare, ve ne erano di bassi, tipo gambaletto fino a sopra alla caviglia, e di alti fino alla sommità delle cosce. La schiava strinse con forza le stringhe, soprattutto quella larga alla caviglia che aveva lo scopo di tenere il piede fermo, ciò in mancanza del tacco era molto importante per evitare spiacevoli distorsioni. Il piede venne grottescamente catturato e la schiava passò al sinistro. Il fabbro controllò che la misura fosse giusta e che la schiava avesse fatto tutto bene. Era tutto a posto e la schiava si sentì rinfrancata.
La schiava la sciolse dalle stanghe e la mise in piedi. Regina era stremata e su quei trampoli che le avevano messo ai piedi era anche traballante, lo schiavo ed il garzone la ressero.
La schiava le tirò i polsi dietro la schiena e le levò il guanto unico, al suo posto le mise dei guanti che arrivavano fino al gomito. I guanti avevano tanti gancetti, ma al momento non servivano a niente. Regina ormai si lasciava fare, se avesse potuto si sarebbe sdraiata a terra.
Si sentiva molto più alta ed instabile. Ebbe un capogiro, era il risultato non solo degli stivali, ma di tutto quello che le era successo. Rifletteva su quello che sarebbe stato di lei, ma poi ritornò in sé, aveva molti problemi più urgenti, quello di non cadere era il primo. Temeva di cadere, quelle terribili calzature, con quella zeppa di almeno dieci centimetri, che la costringevano a stare quasi sulle punte dei piedi e che mandavano il tallone così in alto, l’avevano sollevata di almeno quindici centimetri. Poi si accorse che sebbene, i suoi piedi ora fossero grottescamente catturati in quelle orribili calzature, se stava ferma e divaricava un po’ le cosce non correva veri pericoli, ma già sentiva i polpacci duri e dolenti. Regina non pensava più che allargando le cosce offriva uno spettacolo indecente. Quella fase l’aveva superata, al momento cercava solo di non farsi ulteriormente male.
Con cautela provò a muoversi, ma non poteva farlo più di tanto, rimase ferma e pianse disperata. Lo sforzo di stare sulle punte le sembrò immane, in verità era molto più facile di quanto le potesse sembrare, solo che doveva imparare. Il Re le accarezzò le cosce, ora rigide anche per la postura in cui veniva costretta da quegli stivaletti e si rese conto che sua figlia aveva ragione, la puledra aveva enormi potenzialità.
La schiava provò a farle indossare un unico pezzo fatto di morbido cuoio. Erano le misure più grandi che il fabbro aveva già pronte, erano buone. Il fabbro avrebbe preparato altre tre mute con quelle misure, era la puledra del Re, doveva avere il meglio.
C’erano due spalline che scendevano in giù, verso un reggiseno fatto di strisce che si incrociavano sopra e sotto il seno. Da dietro una striscia partiva lungo la spina dorsale e si univa ad una cintura in vita. Dalla cintura partivano altre due strisce, in quel momento aperte. La schiava le prese e le fece passare intorno alla vulva, le ricongiunse, da dietro, alla cintura, dove le fissò con dei ganci, la fica rimase scoperta. Lo schiavo prese il braccio destro della puledra, il guanto terminava con un gancio, e lo portò dietro le spalle agganciando il guanto ad un anello che stava sul retro del collare. Regina instupidita si lasciava fare. La schiava fece lo stesso con il braccio sinistro e la puledra fu pronta. In quel momento tutto le apparve molto difficile, la puledra non aveva più neanche le braccia per potersi tenere in equilibrio. Potevano fare di lei quello che volevano e lei non poteva neanche ripararsi, era instabile sugli stivali e la potevano tirare per quegli anelli a cui, lei, doveva per forza ubbidire.

Regina si reggeva in piedi per miracolo, traballava insicura su quelle strane calzature cercando di trovare un equilibrio, era stremata e tremava come un puledro appena nato.
Il garzone fece passare tra gli anellini dei capezzoli e del clitoride delle corde di cuoio, e ne approfittò per toccare e tastare. Annichilita Regina non reagiva, non capiva più niente di quello che le stava succedendo e di quello che accadeva attorno a lei. Il fabbro la guardava soddisfatto, era venuto un buon lavoro. Il Re ringraziò il Fabbro, saluto tutti gli altri, montò a cavallo con le briglie di Regina in mano, mentre la puledra lo guardava smarrita e spaventata. Se avesse potuto avrebbe gridato, non le importava se sarebbe stata punita, ma il morso in bocca glielo impediva. Si sentì strattonata e non solo sul morso, in ogni sua parte sensibile e sofferente, si mosse. Il Re andò al passo.

Per la puledra il breve percorso, neanche duecento metri fino alle stalle, fu uno strazio. Regina temeva di cadere ad ogni passo, non vedeva niente sui lati, il seno era proteso in avanti e quella postura era giusta per mantenere l’equilibrio, ma avveniva perché il Re la tirava per i capezzoli, non perché lei ne fosse cosciente. Infine, tirata anche per l’anellino del clitoride teneva pure le gambe leggermente divaricate. Era uno spettacolo tanto penoso quanto lubrico. All’ingresso delle aree delle stalle c’erano diverse serve di stalla, una delle quali si precipitò a chiamare la responsabile: Ebba.

Ebba prese le briglie di Regina e le consegnò ad una serva. – Catena alla caviglia e guanti, poi levale tutto. Stai attenta. – La serva aveva guardato Regina, era immensa e temibile, una delle più imponenti che avesse mai visto, sapeva che doveva stare attenta.

Ebba chiese al Re che puledra voleva.
Le cavalle, al contrario delle vacche, erano tutte forti, dovevano portare umani o carri, era necessario che fossero forti. Quindi nella loro dieta c’erano sempre molti legumi e cereali bolliti con acqua normale, entro certi limiti, dandogli da mangiare ogni tanto lo stesso miscuglio bollito in acqua sulfurea, la potevi rendere più docile.
Il Re disse, - fisicamente mi va bene come è, la voglio solo forte, deve trottare con me di sopra che peso centoventi chili, non le voglio cambiare il carattere, ad eccitarla ed a sottometterla ci penso io. Falla mangiare. –
- Per portare il Re ci vorrà un mese. Per la principessa sarà pronta tra una settimana – rispose Ebba sorridendo alla sua amica Freja.

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2022-08-10
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