La Manager cap. IV
di
Koss9999
genere
dominazione
La via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni.
Giulio per la sua capa nutriva forti sentimenti, desiderava sottometterla e stava diventando un’ossessione. Era iniziato quel venerdì sera, prima, da un punto di vista sessuale, Maria gli era del tutto indifferente, ma quella notte aveva scoperto che sessualmente era una bomba, potenzialmente, perché fino a quel momento era stata un pezzo di ghiaccio.
Lui la voleva sottomettere, dominare, degradare, trasformarla in una cagna perennemente in calore, voleva che dipendesse totalmente da lui, che diventasse il suo giocattolo, la sua scimmietta ammaestrata, che fosse disposta a tutto, a fare qualsiasi cosa, anche le più imbarazzanti, inimmaginabili e degradanti che gli fossero passate per la testa, pur di avere il suo favore.
L’avrebbe condotta per mano all’inferno e nell’abisso delle perversioni più incredibili, con lei avrebbe esplorato nuove frontiere. La sua strategia era semplice, non fare niente, se ci aveva visto giusto sarebbe stata lei a cercarlo. Però passavano i giorni e non succedeva niente, il giovanotto si stava rassegando.
Maria pensava al sesso, da quella notte non ne poteva più fare a meno. Aveva cercato di riprendere la sua vita monotona e priva di emozioni e per qualche giorno c’era riuscita, ma ora ogni mattina che si svegliava smaniava e pensava al suo giovane subalterno.
Di sesso non ne sapeva molto, ma le sembrava che Giulio fosse divino, ed anche le attenzioni della ragazza non erano state male. Ovviamente, neanche nell’anticamera dei suoi pensieri più arditi le sue fantasie si incrociavano o si avvicinavano minimamente a quelle di Giulio. Semplicemente quel mondo lei non lo immaginava neanche. Solo che Maria non sapeva che fare… l’aveva allontanato ed anche perentoriamente. Il ragazzo in quei giorni era un po’ freddo e distante e non aveva mai più accennato a quello che era successo. Questo la rassicurava, era serio, ma allo stesso tempo non vedeva appigli per riprovarci. mentre la sua smania cresceva parossisticamente. Era diventata una voglia irrefrenabile, un tormento.
Maria aveva un incontro di lavoro a Firenze, l’incontro sarebbe iniziato la mattina presto e sarebbe andato avanti tutto il giorno. Sarebbe partita la sera prima in treno, avrebbe pernottato a Firenze e poi sarebbe rientrata nel tardo pomeriggio dell’indomani. Poteva andarci da sola, ma all’ultimo momento chiamò Giulio e gli disse che la doveva accompagnare. – Vada a casa e prenda quello che le serve per una notte. Ci vediamo in stazione alle diciassette. -
Maria aveva preso un salottino del Freccia Rossa in business class, era convinta che sarebbe riuscita a controllare la situazione. C’erano tre posti, ma erano solo loro due. Si sedettero uno di fronte all’altra. Non erano neanche usciti dalla stazione che Maria si levò le scarpe, fece scivolare il sedile in avanti distendere indietro. Poi allungò le gambe poggiando i piedi in un angolo del sedile di Giulio che assisteva impassibile a quelle manovre.
– Posso – disse con voce roca e malferma.
- Certo – rispose il giovanotto osservando la gonna plissettata che risaliva le gambe, Giulio notò un chiarore nell’interno delle cosce, era il bianco della carnagione della sua capa, sorrise senza farsi notare, c’era un cambio di registro, non più gli infami collant, che la fatidica notte le aveva strappato di dosso, ma calze e giarrettiere. Un bel passo avanti. Maria era arrossita e si era tuffata nella lettura di una rivista. Era sdraiata e nascondeva il viso dietro il giornale. Non aveva provato neanche a far finta che era un viaggio di lavoro, non gli aveva neanche accennato a quello che dovevano fare a Firenze. Si era semplicemente offerta sperando che lui capisse e facesse il resto.
Giulio capì e fece il resto, ma non andò come la capa si aspettava.
- Sei una cagna in calore – fu l’incipit di Giulio, - non ti sai controllare. –
Maria trasalì ed arrossì cercando di tirarsi su per affrontarlo, ma lui la tirò per un piede impedendole di sollevarsi. Maria stava per gridare, ma sapeva di non poterlo fare, fece per protestare, ma fu preceduta.
- Zitta – disse lui, - non dare scandalo troietta. – Giulio sapeva che stava rischiando. Licenziato dopo qualche settimana di lavoro, chi sa se ne avrebbe mai ritrovato uno pensava. Ma era abbastanza sicuro di sé. Infatti Maria rimase zitta, ma era allibita, soprattutto perché non sapeva come reagire, tutto si aspettava, tranne quello che stava succedendo.
Stava sollevata puntellandosi sui gomiti, gli occhiali le erano scivolati sulla punta del naso dandole un’aria spaurita ed indifesa, cercava di darsi un contegno, ma in quella posizione era difficile. Ora lui non la tirava più per il piede, anzi la stava accarezzando risalendo sul polpaccio e ancora più su verso le cosce. Lei non fiatava, osservava, ma le parole che le aveva rivolto erano stati due ceffoni che aveva ricevuto sul viso, quindi faceva fatica a rilassarsi e godersi quelle carezze. E faceva bene. Lui le ordinò però di sdraiarsi, la voleva completamente indifesa. Lei mosse il capo in segno di negazione. Lui allora implacabile strinse la coscia, la sua mano era una tenaglia e gli occhi di Maria si riempirono di lacrime.
– Sdraiati troia. – Il tono non ammetteva repliche e Maria si sdraiò. – Tieni le gambe larghe, ascolta e non fiatare. – Per Maria era un incubo, ma erano su un treno e sperava che passasse un controllore e aprisse quella maledetta porta a vetri da cui si vedeva e non si vedeva. In quel caso, per la loro posizione, non si vedeva praticamente nulla. Maria ragionava freneticamente, non aveva intenzione di denunciare la cosa, sarebbe venuto fuori uno scandalo che avrebbe travolto anche lei, ma sperava di approfittarne per rimettersi seduta e riacquistare il controllo. Intanto fece come le era stato ordinato. La mano prese possesso della sua fica, la masturbava e sopra le mutandine si stringeva e si rilassava. Fu inevitabile, Maria ansimò e le mutandine iniziarono ad inumidirsi fino ad infracidarsi.
La situazione, ebbe la lucidità di pensare, era pazzesca, quel giovanotto, il suo sottoposto, la stava trattando come l’ultima delle puttane eppure lei era bagnata e stava godendo come una bagascia.
- D’ora in poi – esordì Giulio, - farai tutto quello che voglio! Chiaro? – Era impazzito pensò Maria, ma non sapeva cosa rispondere. Lui strinse la mano sulla fica, ora era una tenaglia. Maria trasalì, fece per rimettersi sui gomiti, ma lui strinse ancora più forte e lei ritornò stesa gemendo e mordendosi le labbra per non gridare dal dolore. Di nuovo gli occhi si riempirono di lacrime, per il male, la rabbia e la vergogna.
- Co… Cosa vuoi? – riuscì ad articolare.
Giulio sorrise. – Continua a darmi del lei – rispose Giulio sogghignando, - un lei rispettoso, molto rispettoso. – Il tono era duro e Maria pensò che quel ragazzo era davvero impazzito, ma intanto era in sua balia e non sapeva che fare.
- Ok, - rispose, - le darò del lei. – meglio assecondare i pazzi si disse.
- Bene, - proseguì Giulio, - in pubblico ti darò del lei anch’io, ma quando saremo soli ti darò del tu, mentre tu continuerai a darmi del lei e mi chiamerai Padrone. –
- Come? – protestò Maria e la mano l’artigliò di nuovo.
- Padrone, Padrone – ripeté Giulio stringendo. – Ora ripeti, come mi devi chiamare? – Giulio strinse impietoso. Lei sussultò agitandosi e poi balbettò – Pa…, Pa… Padrone! –
Giulio allentò la presa e riprese ad accarezzarla e lei ancora una volta riprese ad emettere umori. Arrossì, ma era più forte di lei. Quel bastardo la poteva eccitare in un attimo come voleva, a suo piacimento.
- Hai capito che mi devi ubbidire?! – Maria non rispose, ma fece cenno di sì.
- E devi farlo senza esitazione! – Giulio fece per stringere nuovamente la fica dalla capa e lei si affrettò a rispondere. – Sì, Padrone! –
- Brava, - rispose soddisfatto lui, - rimani distesa e non ti muovere. – Maria ubbidì e lui si mise in piedi tirando giù la 24 ore che aveva preso come bagaglio. Dentro c’era uno strano attrezzo, una specie di mutandina di cuoio molto leggera e nell’interno due piccoli falli fissati sulla fettuccia centrale. Giulio la prese e la consegnò a Maria.
– Vai in bagno ed indossala troia. – Maria esitò e lui le strinse tra le dita un capezzolo e strizzò da sopra la camicetta. Maria guaì, poi disse senza fiato – Sì, Padrone! – Lui le fece spazio perché si potesse mettere in piedi e l’osservò mentre usciva. Maria aveva preso la sua borsetta e aveva nascosto quello strano attrezzo dentro. Maria camminò spedita per il corridoio, era a pezzi, si scervellava su come venirne fuori, ma per ora non ne aveva la minima idea se non scappando e/o dando scandalo. Non lo poteva fare, era pazzesco, ma in quel momento non aveva via d’uscita. Doveva assecondarlo.
Maria rossa in viso e tremante ritornò al suo posto, era molto provata. – Siediti e riporta il sedile nella normale posizione – le ordinò Giulio. Maria ubbidì e si sedette.
- Tira la gonna in su e fammi vedere – ordinò Giulio con voce tranquilla.
Ormai erano vicini a Bologna, quel viaggio per Maria sarebbe rimasto impresso a fuoco nella sua mente e nella sua carne, era stremata, si guardò disperata intorno, era tutto tranquillo e sollevò la gonna tirandosela indietro. Giulio ammirò lo spettacolo, belle gambe, cosce tornite, un po’ magra, ma non si poteva avere tutto. Maria era un attimo bianca come un cencio ed un attimo dopo rossa come un peperone. Il cuore in tumulto, temeva d’avere un infarto.
– Rimani così – ordinò lui e lei rimase in quel modo, ferma, sospesa, una statua, non osava disubbidire.
Lui si rimise in piedi e prese dal bagagliaio il PC ed una scatoletta di plastica. Si rimise a sedere ed azionò un pulsante della scatoletta. Il ronzio era basso e si disperdeva nello sferragliare dei binari e negli altri cigolii del treno. Maria sentì i piccoli oggetti vibrare dentro di sé e si allarmò, ma non osò muoversi né fare altro. Il ronzio era basso, ma per lei era un urlo che potevano sentire tutti, però quei due cazzetti iniziavano a darle piacevoli sensazioni, si sentiva piena e stimolata. Strinse i denti sul labbro inferiore per non gemere platealmente, ma non poteva farci niente, era di nuovo eccitata con il petto gonfio, le guance porpora, il respiro ansante e nonostante i tappi sentiva che dentro era un lago.
Intanto Giulio aveva puntato il PC tra le cosce della sua capa senza che questa se ne rendesse minimamente conto, presa da altri pensieri e sensazioni come era. Sentì clic, clic, e solo in quel momento capì. Il bastardo la stava fotografando. Fece per protestare, ma lui parlò prima e la blandì.
- Zitta troia, stanotte ti punirò seriamente, devi capire non solo che devi ubbidire immediatamente, ma anche che non ti puoi mai ribellare. – Maria iniziò a piangere sommessamente, le gonne erano sempre tirate in alto, i vibratori facevano il loro lavoro, ma ora lei era solo disperata. Giulio le mostrò le foto che aveva fatto. Non si vedevano solo le cosce e la strana mutandina, ma anche il suo volto beato e sconvolto dall’eccitazione. – Ecco quello che farò vedere di te se non ti comporterai bene – concluse Giulio, - ma questo sarà il nostro piccolo segreto se invece sarai ubbidiente. –
Maria abbassò il capo e pianse, ma i vibratori la lavoravano e lei non era insensibile.
Giulio le diede un fazzoletto di carta.
– Pulisciti il viso troia e vai a prendermi un caffè al bar. – Maria ormai era nelle sue mani, ricattata e soggiogata.
Maria si rimise in piedi e si avviò verso il bar, doveva attraversare tre vagoni, i cazzi ronzavano dentro la sua fica, qualcosa colava tra le sue gambe. Strinse le cosce e senti qualcosa di viscido, ma lo strusciare ne fermò l’avanzata che si sarebbe comunque fermata sulla balza delle calze. Cercava di ragionare, per quanto riguardava gli umori non aveva molto da temere, in qualche modo li avrebbe trattenuti, magari pulendosi con il vestito. Era imbarazzatissima, quello che la preoccupava era il ronzare dei vibratori. Lo sferragliare del treno aiutava, soprattutto mentre camminava era difficile che qualcuno capisse cos’era e da dove veniva, troppo poco tempo per localizzare e capire, ma quando sarebbe rimasta ferma davanti al bancone ad aspettare il caffè?
Arrivò al bar, era stremata e stressata. Per fortuna alla cassa c’era poca fila. Pagò ed andò al banco il più velocemente possibile. In quel momento si rese conto che il ronzio si era interrotto, non sapeva perché, magari Giulio aveva chiuso o forse era troppo lontana dalla scatoletta o le pile si erano consumate. Si tormentava, ma ricominciò a respirare di nuovo sollevata. Ormai le bastava poco per passare dalla preoccupazione all’esaltazione. Riportò il caffè indietro, si sentiva meglio e poté ragionare sulla sua sorte, ma non le venne in mente niente con cui salvarsi. Porse il caffè al suo nuovo Padrone e si abbandonò sulla poltrona. Giulio non le chiese niente altro e lei sfinita si assopì.
Alla stazione lui la svegliò e presero un taxi, lei indossava sempre quelle strane mutandine, non ci provò neanche a protestare ed ormai sentiva solo un sordo fastidio, ma niente di più, sempre che il suo Padrone non azionasse quel maledetto vibratore, ma il Padrone era silenzioso, da quando erano scesi dal treno non le aveva più rivolto la parola. Giunti in albergo la musica cambiò.
Per chi mi vuole scrivere in privato: Koss99@hotmail.it
Se mi vengono proposte storie interessanti posso scrivere su commissione.
Qui pubblico solo anteprime. I miei racconti completi sono pubblicati su:
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Giulio per la sua capa nutriva forti sentimenti, desiderava sottometterla e stava diventando un’ossessione. Era iniziato quel venerdì sera, prima, da un punto di vista sessuale, Maria gli era del tutto indifferente, ma quella notte aveva scoperto che sessualmente era una bomba, potenzialmente, perché fino a quel momento era stata un pezzo di ghiaccio.
Lui la voleva sottomettere, dominare, degradare, trasformarla in una cagna perennemente in calore, voleva che dipendesse totalmente da lui, che diventasse il suo giocattolo, la sua scimmietta ammaestrata, che fosse disposta a tutto, a fare qualsiasi cosa, anche le più imbarazzanti, inimmaginabili e degradanti che gli fossero passate per la testa, pur di avere il suo favore.
L’avrebbe condotta per mano all’inferno e nell’abisso delle perversioni più incredibili, con lei avrebbe esplorato nuove frontiere. La sua strategia era semplice, non fare niente, se ci aveva visto giusto sarebbe stata lei a cercarlo. Però passavano i giorni e non succedeva niente, il giovanotto si stava rassegando.
Maria pensava al sesso, da quella notte non ne poteva più fare a meno. Aveva cercato di riprendere la sua vita monotona e priva di emozioni e per qualche giorno c’era riuscita, ma ora ogni mattina che si svegliava smaniava e pensava al suo giovane subalterno.
Di sesso non ne sapeva molto, ma le sembrava che Giulio fosse divino, ed anche le attenzioni della ragazza non erano state male. Ovviamente, neanche nell’anticamera dei suoi pensieri più arditi le sue fantasie si incrociavano o si avvicinavano minimamente a quelle di Giulio. Semplicemente quel mondo lei non lo immaginava neanche. Solo che Maria non sapeva che fare… l’aveva allontanato ed anche perentoriamente. Il ragazzo in quei giorni era un po’ freddo e distante e non aveva mai più accennato a quello che era successo. Questo la rassicurava, era serio, ma allo stesso tempo non vedeva appigli per riprovarci. mentre la sua smania cresceva parossisticamente. Era diventata una voglia irrefrenabile, un tormento.
Maria aveva un incontro di lavoro a Firenze, l’incontro sarebbe iniziato la mattina presto e sarebbe andato avanti tutto il giorno. Sarebbe partita la sera prima in treno, avrebbe pernottato a Firenze e poi sarebbe rientrata nel tardo pomeriggio dell’indomani. Poteva andarci da sola, ma all’ultimo momento chiamò Giulio e gli disse che la doveva accompagnare. – Vada a casa e prenda quello che le serve per una notte. Ci vediamo in stazione alle diciassette. -
Maria aveva preso un salottino del Freccia Rossa in business class, era convinta che sarebbe riuscita a controllare la situazione. C’erano tre posti, ma erano solo loro due. Si sedettero uno di fronte all’altra. Non erano neanche usciti dalla stazione che Maria si levò le scarpe, fece scivolare il sedile in avanti distendere indietro. Poi allungò le gambe poggiando i piedi in un angolo del sedile di Giulio che assisteva impassibile a quelle manovre.
– Posso – disse con voce roca e malferma.
- Certo – rispose il giovanotto osservando la gonna plissettata che risaliva le gambe, Giulio notò un chiarore nell’interno delle cosce, era il bianco della carnagione della sua capa, sorrise senza farsi notare, c’era un cambio di registro, non più gli infami collant, che la fatidica notte le aveva strappato di dosso, ma calze e giarrettiere. Un bel passo avanti. Maria era arrossita e si era tuffata nella lettura di una rivista. Era sdraiata e nascondeva il viso dietro il giornale. Non aveva provato neanche a far finta che era un viaggio di lavoro, non gli aveva neanche accennato a quello che dovevano fare a Firenze. Si era semplicemente offerta sperando che lui capisse e facesse il resto.
Giulio capì e fece il resto, ma non andò come la capa si aspettava.
- Sei una cagna in calore – fu l’incipit di Giulio, - non ti sai controllare. –
Maria trasalì ed arrossì cercando di tirarsi su per affrontarlo, ma lui la tirò per un piede impedendole di sollevarsi. Maria stava per gridare, ma sapeva di non poterlo fare, fece per protestare, ma fu preceduta.
- Zitta – disse lui, - non dare scandalo troietta. – Giulio sapeva che stava rischiando. Licenziato dopo qualche settimana di lavoro, chi sa se ne avrebbe mai ritrovato uno pensava. Ma era abbastanza sicuro di sé. Infatti Maria rimase zitta, ma era allibita, soprattutto perché non sapeva come reagire, tutto si aspettava, tranne quello che stava succedendo.
Stava sollevata puntellandosi sui gomiti, gli occhiali le erano scivolati sulla punta del naso dandole un’aria spaurita ed indifesa, cercava di darsi un contegno, ma in quella posizione era difficile. Ora lui non la tirava più per il piede, anzi la stava accarezzando risalendo sul polpaccio e ancora più su verso le cosce. Lei non fiatava, osservava, ma le parole che le aveva rivolto erano stati due ceffoni che aveva ricevuto sul viso, quindi faceva fatica a rilassarsi e godersi quelle carezze. E faceva bene. Lui le ordinò però di sdraiarsi, la voleva completamente indifesa. Lei mosse il capo in segno di negazione. Lui allora implacabile strinse la coscia, la sua mano era una tenaglia e gli occhi di Maria si riempirono di lacrime.
– Sdraiati troia. – Il tono non ammetteva repliche e Maria si sdraiò. – Tieni le gambe larghe, ascolta e non fiatare. – Per Maria era un incubo, ma erano su un treno e sperava che passasse un controllore e aprisse quella maledetta porta a vetri da cui si vedeva e non si vedeva. In quel caso, per la loro posizione, non si vedeva praticamente nulla. Maria ragionava freneticamente, non aveva intenzione di denunciare la cosa, sarebbe venuto fuori uno scandalo che avrebbe travolto anche lei, ma sperava di approfittarne per rimettersi seduta e riacquistare il controllo. Intanto fece come le era stato ordinato. La mano prese possesso della sua fica, la masturbava e sopra le mutandine si stringeva e si rilassava. Fu inevitabile, Maria ansimò e le mutandine iniziarono ad inumidirsi fino ad infracidarsi.
La situazione, ebbe la lucidità di pensare, era pazzesca, quel giovanotto, il suo sottoposto, la stava trattando come l’ultima delle puttane eppure lei era bagnata e stava godendo come una bagascia.
- D’ora in poi – esordì Giulio, - farai tutto quello che voglio! Chiaro? – Era impazzito pensò Maria, ma non sapeva cosa rispondere. Lui strinse la mano sulla fica, ora era una tenaglia. Maria trasalì, fece per rimettersi sui gomiti, ma lui strinse ancora più forte e lei ritornò stesa gemendo e mordendosi le labbra per non gridare dal dolore. Di nuovo gli occhi si riempirono di lacrime, per il male, la rabbia e la vergogna.
- Co… Cosa vuoi? – riuscì ad articolare.
Giulio sorrise. – Continua a darmi del lei – rispose Giulio sogghignando, - un lei rispettoso, molto rispettoso. – Il tono era duro e Maria pensò che quel ragazzo era davvero impazzito, ma intanto era in sua balia e non sapeva che fare.
- Ok, - rispose, - le darò del lei. – meglio assecondare i pazzi si disse.
- Bene, - proseguì Giulio, - in pubblico ti darò del lei anch’io, ma quando saremo soli ti darò del tu, mentre tu continuerai a darmi del lei e mi chiamerai Padrone. –
- Come? – protestò Maria e la mano l’artigliò di nuovo.
- Padrone, Padrone – ripeté Giulio stringendo. – Ora ripeti, come mi devi chiamare? – Giulio strinse impietoso. Lei sussultò agitandosi e poi balbettò – Pa…, Pa… Padrone! –
Giulio allentò la presa e riprese ad accarezzarla e lei ancora una volta riprese ad emettere umori. Arrossì, ma era più forte di lei. Quel bastardo la poteva eccitare in un attimo come voleva, a suo piacimento.
- Hai capito che mi devi ubbidire?! – Maria non rispose, ma fece cenno di sì.
- E devi farlo senza esitazione! – Giulio fece per stringere nuovamente la fica dalla capa e lei si affrettò a rispondere. – Sì, Padrone! –
- Brava, - rispose soddisfatto lui, - rimani distesa e non ti muovere. – Maria ubbidì e lui si mise in piedi tirando giù la 24 ore che aveva preso come bagaglio. Dentro c’era uno strano attrezzo, una specie di mutandina di cuoio molto leggera e nell’interno due piccoli falli fissati sulla fettuccia centrale. Giulio la prese e la consegnò a Maria.
– Vai in bagno ed indossala troia. – Maria esitò e lui le strinse tra le dita un capezzolo e strizzò da sopra la camicetta. Maria guaì, poi disse senza fiato – Sì, Padrone! – Lui le fece spazio perché si potesse mettere in piedi e l’osservò mentre usciva. Maria aveva preso la sua borsetta e aveva nascosto quello strano attrezzo dentro. Maria camminò spedita per il corridoio, era a pezzi, si scervellava su come venirne fuori, ma per ora non ne aveva la minima idea se non scappando e/o dando scandalo. Non lo poteva fare, era pazzesco, ma in quel momento non aveva via d’uscita. Doveva assecondarlo.
Maria rossa in viso e tremante ritornò al suo posto, era molto provata. – Siediti e riporta il sedile nella normale posizione – le ordinò Giulio. Maria ubbidì e si sedette.
- Tira la gonna in su e fammi vedere – ordinò Giulio con voce tranquilla.
Ormai erano vicini a Bologna, quel viaggio per Maria sarebbe rimasto impresso a fuoco nella sua mente e nella sua carne, era stremata, si guardò disperata intorno, era tutto tranquillo e sollevò la gonna tirandosela indietro. Giulio ammirò lo spettacolo, belle gambe, cosce tornite, un po’ magra, ma non si poteva avere tutto. Maria era un attimo bianca come un cencio ed un attimo dopo rossa come un peperone. Il cuore in tumulto, temeva d’avere un infarto.
– Rimani così – ordinò lui e lei rimase in quel modo, ferma, sospesa, una statua, non osava disubbidire.
Lui si rimise in piedi e prese dal bagagliaio il PC ed una scatoletta di plastica. Si rimise a sedere ed azionò un pulsante della scatoletta. Il ronzio era basso e si disperdeva nello sferragliare dei binari e negli altri cigolii del treno. Maria sentì i piccoli oggetti vibrare dentro di sé e si allarmò, ma non osò muoversi né fare altro. Il ronzio era basso, ma per lei era un urlo che potevano sentire tutti, però quei due cazzetti iniziavano a darle piacevoli sensazioni, si sentiva piena e stimolata. Strinse i denti sul labbro inferiore per non gemere platealmente, ma non poteva farci niente, era di nuovo eccitata con il petto gonfio, le guance porpora, il respiro ansante e nonostante i tappi sentiva che dentro era un lago.
Intanto Giulio aveva puntato il PC tra le cosce della sua capa senza che questa se ne rendesse minimamente conto, presa da altri pensieri e sensazioni come era. Sentì clic, clic, e solo in quel momento capì. Il bastardo la stava fotografando. Fece per protestare, ma lui parlò prima e la blandì.
- Zitta troia, stanotte ti punirò seriamente, devi capire non solo che devi ubbidire immediatamente, ma anche che non ti puoi mai ribellare. – Maria iniziò a piangere sommessamente, le gonne erano sempre tirate in alto, i vibratori facevano il loro lavoro, ma ora lei era solo disperata. Giulio le mostrò le foto che aveva fatto. Non si vedevano solo le cosce e la strana mutandina, ma anche il suo volto beato e sconvolto dall’eccitazione. – Ecco quello che farò vedere di te se non ti comporterai bene – concluse Giulio, - ma questo sarà il nostro piccolo segreto se invece sarai ubbidiente. –
Maria abbassò il capo e pianse, ma i vibratori la lavoravano e lei non era insensibile.
Giulio le diede un fazzoletto di carta.
– Pulisciti il viso troia e vai a prendermi un caffè al bar. – Maria ormai era nelle sue mani, ricattata e soggiogata.
Maria si rimise in piedi e si avviò verso il bar, doveva attraversare tre vagoni, i cazzi ronzavano dentro la sua fica, qualcosa colava tra le sue gambe. Strinse le cosce e senti qualcosa di viscido, ma lo strusciare ne fermò l’avanzata che si sarebbe comunque fermata sulla balza delle calze. Cercava di ragionare, per quanto riguardava gli umori non aveva molto da temere, in qualche modo li avrebbe trattenuti, magari pulendosi con il vestito. Era imbarazzatissima, quello che la preoccupava era il ronzare dei vibratori. Lo sferragliare del treno aiutava, soprattutto mentre camminava era difficile che qualcuno capisse cos’era e da dove veniva, troppo poco tempo per localizzare e capire, ma quando sarebbe rimasta ferma davanti al bancone ad aspettare il caffè?
Arrivò al bar, era stremata e stressata. Per fortuna alla cassa c’era poca fila. Pagò ed andò al banco il più velocemente possibile. In quel momento si rese conto che il ronzio si era interrotto, non sapeva perché, magari Giulio aveva chiuso o forse era troppo lontana dalla scatoletta o le pile si erano consumate. Si tormentava, ma ricominciò a respirare di nuovo sollevata. Ormai le bastava poco per passare dalla preoccupazione all’esaltazione. Riportò il caffè indietro, si sentiva meglio e poté ragionare sulla sua sorte, ma non le venne in mente niente con cui salvarsi. Porse il caffè al suo nuovo Padrone e si abbandonò sulla poltrona. Giulio non le chiese niente altro e lei sfinita si assopì.
Alla stazione lui la svegliò e presero un taxi, lei indossava sempre quelle strane mutandine, non ci provò neanche a protestare ed ormai sentiva solo un sordo fastidio, ma niente di più, sempre che il suo Padrone non azionasse quel maledetto vibratore, ma il Padrone era silenzioso, da quando erano scesi dal treno non le aveva più rivolto la parola. Giunti in albergo la musica cambiò.
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