Debora

di
genere
tradimenti

Deborah. Sempre lei nei miei pensieri.
Deborah a lavoro, sotto la doccia, nelle mie fantasie.
Storia vera (purtroppo, salvo piccoli particolari).
Non so se si può definire un racconto erotico.
Sono John, 44 enne felicemente, anche sul lato sessuale, sposato. Mia moglie Giulia è un peperino a letto, ama sperimentare, ama sentirsi troia, fantasticare, cambiare nomi, assumere vesti di personaggi improvvisati come vicine di casa, far finta di scopare un amico mentre scopa me. Cose così. Insomma mi appaga.
Ma Deborah….
Si sa che si desidera sempre ciò che non si ha. Deborah non era mia.
Nello stabilimento in cui lavoravo, lei arrivò improvvisamente in estate, in un periodo in cui non c’erano in programma assunzioni, e da subito turbò la mia quiete lavorativa.
Deborah aveva lunghi capelli biondissimi e lisci, faccia d’angelo, sposata. Più che casta negli atteggiamenti, nel vestire, mai frasi allusive e mai sopra le righe. Ma quando ti metti in testa una cosa… quando vedi una porca in una donna, c’è poco da fare….
Alta circa 1,60, seno abbondante, quarta. Piuttosto magra, occhi chiari. La classica tipa che sorride educatamente a tutti ma non dà poi tutta questa confidenza.
Ma quando vedi una porca in una donna, c’è poco da fare…
Ogni volta che ci parlavo, lei seduta dietro la sua scrivania, subito un groviglio di sensazioni e fantasie si faceva spazio nella mia mente. Era bella, semplicemente, desiderabile, la classica “bonazza”.
Siamo nel settore amministrativo di un’azienda manifatturiera e ci occupiamo nello specifico di sviluppo del personale, cose un po' astratte. L’unica cosa che facevamo spesso erano le riunioni per discutere le nostre idee.
Quando assegnarono Deborah al mio reparto i miei battiti aumentarono istantaneamente.
Si presentò a me con un sorriso larghissimo e dei pantaloni tutto meno che aderenti, tuttavia con una scollatura piuttosto evidente (unica sua deroga al regime castigato del suo abbigliamento). Al colloquio iniziale non riuscivo a staccare gli occhi dalla scollatura per più di tre secondi, ma eravamo distanti qualche metro. Lei non si infastidiva me nemmeno mi incoraggiava, forse lo notava ma apparentemente non veniva scalfita minimamente, né turbata da quel tipo di eccesso di attenzioni.
Qualche giorno dopo la preparai per la prima riunione mostrandole al computer una presentazione, lei non aveva ancora una postazione di lavoro, così si sedette all’angolo della mia scrivania per riuscire a guardare lo stesso monitor. Quel giorno aveva un vestito di tulle un po' più scuro del celeste, che le arrivava leggermente sopra il ginocchio, nulla di eccitante in sé, se non fosse stato che a portarlo fosse proprio lei.
Iniziammo a discutere di lavoro facendo scorrere le slide al video e con la coda dell’occhio notai che lei, seduta alla mia sinistra a meno di un metro da me, accavallò la coscia destra sulla sinistra, mostrandomi, del tutto involontariamente, una buona parte della sua coscia destra.
Continuavo a spiegarle i contenuti e lei annuiva convinta e sincera, senza ombra di malizia.
Deborah sapeva perfettamente di essere bellissima e attraente, ma non “usava” questo nel suo rapporto con gli altri.
Di tanto in tanto facevo finta di dover guardare un qualche foglio sulla scrivania, per togliere gli occhi dal video ed in realtà guardare non il foglietto ma di sbieco la sua coscia destra, lucida e vellutata, a un metro da me. Riuscivo a vedere più o meno fino a metà coscia.
Poi guardavo lei tornando ai contenuti lavorativi e lei dolcemente diceva “si si, ho capito benissimo”, accennando quel tipico mezzo sorriso di cortesia.
Rimanemmo così per circa tre quarti d’ora e forse fu lì che mi innamorai, non in senso sentimentale, mi innamorai dell’idea di scoparla. Né lei durante quel tempo trascorso modificò in alcun modo la posizione, ad esempio scoprendosi di più per darmi un incoraggiamento, o coprendosi per farmi tirare i remi in barca.
Deborah diventò per me un sogno erotico, una fissazione, un tormento, un desiderio. Era sposata e sicuramente era una moglie fedele. Mi chiedevo se a letto mantenesse quella indole piuttosto quieta e disincantata, producendosi soltanto in delle scolastiche scopate, o se si trasformasse, come nelle mie fantasie, in una cagna mai vista.
Mi resi conto tuttavia che era proprio quel suo essere così “pudica” e limpidamente educata e gentile, ma potenzialmente, per fisico, una porca colossale, a rendermela così paurosamente desiderabile. Desiderabile quanto inarrivabile.
Ogni piccolo e insignificante episodio che accadeva tra noi, alimentava copiosamente ed immotivatamente le mie fantasie, le mie speranze.
Come quel giorno in cui lei chinandosi per prendere dei fascicoli mostrò decisamente troppo della sua scollatura, e fu come vederla in reggiseno, di pizzo bianco, sotto una camicia di seta color salmone, troppo larga. Si accorse senza alcun dubbio che mi ero soffermato ben più del dovuto, ma non batté ciglio.
La vedevo praticamente tutti i giorni, composta dietro la sua scrivania, sempre puntuale con tutti gli adempimenti.
Il nostro rapporto era piuttosto amichevole ma non confidenziale.
Lei non poteva neppure immaginare di essere presente nelle mie attività sessuali “individuali”, in ogni mia fantasia.
Era maturata nel tempo da parte sua una certa fiducia e si rivolgeva a me per superare i suoi problemi lavorativi. Anche perché aveva legato poco con gli altri colleghi, per lo più donne che vedevano in lei una sorta di “rivale” per l’accaparramento delle più banali attenzioni da parte dei pochi colleghi uomini.
Qualche volta portava delle gonne appena sopra il ginocchio, ma le sue calze nere in vista erano più che sufficienti per farmi andare fuori giri.
Io dal lato mio, ogni volta che la vedevo, anche mentre le parlavo, immaginavo le nostre lingue intrecciate nel bagno dell’Ufficio o le mie mani dentro il suo capiente reggiseno; immaginavo lei che con lo sguardo basso si abbandonava a me, dimenticandosi tutte quelle che nel mio “film” erano le sue insoddisfazioni domestiche che le davano un’aria così austera e insofferente.
“Sfogati Deborah, lasciati andare”, le avrei detto mentre mi slacciava i pantaloni e me lo prendeva in mano.
Per non parlare di quando, e accadeva frequentemente visti i tempi di pandemia, mi chiamava al telefono per rappresentarmi delle questioni lavorative.
Io mi sedevo da qualche parte e mi godevo la sua voce soave accarezzandomi il pacco e immaginandola nuda, o immaginando che mi dovesse dire delle cose sconce. Senza però perdere il filo sulle questioni lavorative. Cercavo di portare la telefonata per le lunghe, per godermi la sua voce.
La mia non era una fissazione patologica; si trattava semplicemente di un desiderio sessuale.
Sebbene tra noi non vi fosse forma alcuna di complicità che andasse oltre una discreta intesa professionale, si presentò quella che potrei definire una mezza occasione.
Mi chiamò nella sua stanza, accanto alla mia, e scorsi subito il tono turbato e apprensivo delle sue parole; aveva completamente cannato un report periodico e non c’era il tempo per riparare in alcun modo. Mi parlò semi disperata degli errori che aveva commesso, sebbene io non avessi alcun potere di controllo su quella attività.
“Non so cosa fare”, concluse, con le mani appoggiate ai lati della tastiera. Non piangeva ma appariva piuttosto affranta e sconsolata.
“Non ti preoccupare Deborah”, esordii per poi incalzare proponendo una idea di soluzione che la tranquillizzò un poco, senza staccare lo sguardo dal suo seno coperto da una camicia che concedeva all’occhio qualche misero centimetro di pelle, nella parte in cui le sue tette si raccoglievano scavando un solco in mezzo.
A quel punto il coraggio superò la lucidità ed ebbi l’ardire di rimanere fermo con lo sguardo nello stesso punto, lasciando a lei la prossima mossa.
Deborah dopo qualche secondo di incertezza allungò una mano verso di me, che ero seduto di fronte a lei, alzò leggermente lo sguardo e con un piccolo e breve sorriso sussurrò “Grazie”, mentre la sua mano stringeva la mia.
Non era una stretta di mano formale, aveva preso la mia mano con la sua e l’aveva stretta un po', ma non era nemmeno una presa “passionale”, era una presa di mano come si usa fra due amiche che si confortano reciprocamente, tuttavia per me fu davvero tanta roba, come si dice oggi.
Feci per prenderle l’altra mano ed aumentare il contatto tra noi, ma lei non mi diede il tempo, si alzò dalla scrivania, prese un fascicolo e si diresse verso l’armadio che era alle mie spalle. Io mi alzai a mia volta.
Lei dopo aver riposto il carteggio si girò verso di me, per tornare alla scrivania, mise una mano sul mio braccio e mi disse ancora “grazie”, sfoggiando il suo sorriso più dolce, senza far ricorso alla malizia, senza apparire una profumiera. Al massimo poteva peccare di ingenuità (o lo stavo facendo io?).
Io risposi con una mano sul suo fianco per aumentare il contatto farfugliando qualcosa del tipo “ma figurati, non è niente”, e mentre speravo nell’improbabile, e cioè che lei si tuffasse tra le mie braccia a pochi metri da un open space brulicante di colleghi, lei stacco con dolcezza non studiata la sua mano e tornò sulla scrivania.
Si sa che a volte i contatti fisici apparentemente più infinitesimali sono in realtà decisivi nella curva di crescita di un nuovo rapporto fisico, tanto più quando tali contatti sono inaspettati e furtivi.
Non avevo motivi per ritenere che quel contatto fisico, al quale avevo comunque dato una certa importanza dati i modi da fare estremamente pudici che caratterizzavano Deborah, fosse una tappa di avvicinamento a qualcosa che stesse per svilupparsi. Non ne avevo motivo in quanto i comportamenti susseguenti non avevano alimentato la mia speranza. Non che avesse assunto un tono distaccato, ma semplicemente era rimasta quella di sempre. Educata, professionale, cortese, sorridente, ma certo non ammiccante o minimamente allusiva, tanto meno provocatoria. Ovviamente non si era più parlato in alcun modo di ciò che era “successo” nella sua stanza.
Ma allora da cosa erano alimentate le mie speranze?
Io ero pur sempre un suo riferimento a lavoro, direi il principale riferimento, e mi dicevo, per alimentare la mia illusione forse più che per crederci davvero, che magari lei aveva il mio stesso desiderio ma era il suo carattere così poco permeabile, la sua personalità un po' schiva e compassata, ad averci impedito di coronare le nostre “cattive” intenzioni. D’altronde mi dicevo anche: ammesso che lei ti desidera, tu cosa hai fatto per metterla nelle condizioni di esporsi?
Deborah….Deborah e le sue cosce…
Deborah e i suoi seni….. Deborah e i suoi capelli da avvolgere mentre la prendo da dietro, in macchina all’uscita dal lavoro, nei sedili posteriori.
Deborah che prima di tornare a casa si rifà il trucco per non destare sospetti….
Che film, ragazzi!
(…continua)
scritto il
2022-08-26
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