Una breve autobiografia sentimentale
di
Un infelice
genere
sentimentali
Una breve autobiografia sentimentale (casomai interessasse a qualcuno).
Tutti i fatti raccontati sono veri. Vi prego di lasciare un commento per dirmi cosa ne pensate. Apprezzerò molto il vostro aiuto.
"L'uomo si stanca del bene, cerca il meglio, trova il male, e lì si ferma per paura del peggio" [Bloch]
Sono un uomo esteticamente nella media, senza evidenti difetti fisici, di buona salute, non particolarmente intelligente, non particolarmente stupido. Dal punto di vista relazionale invece sono un disastro. Figlio unico, non ho mai avuto un vero amico. Sono incapace di comportarmi adeguatamente in qualsivoglia contesto sociale, e ogni volta che devo parlare con qualcuno mi sento attanagliato dal terrore e il mio interlocutore, vuoi per i miei lunghi silenzi, vuoi per qualche mia uscita infelice dettata dal panico, si sente puntualmente a disagio e cerca di chiudere la penosa conversazione il prima possibile. Per tutte le elementari, le medie, e per buona parte del liceo sono stato costantemente e sistematicamente emarginato, in qualche occasione sporadica anche bullizzato. Nessuno mi odiava, sia chiaro. Ero semplicemente considerato non umano, un essere inferiore con cui nessuno aveva interesse a interagire, e al quale ogni tanto si poteva tirare qualche sassata per divertimento, come un animale selvatico.
Baciai una ragazza per la prima volta all'età di 15 anni, quando i miei compagni di classe già da un po' facevano sesso regolarmente. La ragazza in questione due giorni dopo si fidanzò ufficialmente con un fighetto locale. Lui, senza essere il primo da me incontrato, era un ottimo esempio di una determinata categoria di uomini verso cui ho sempre nutrito profonda ammirazione e grande invidia. Sono maschi alfa, affascinanti, affabili, virili, sicuri, energici, insomma sono tutto quello che io non sono e che vorrei essere.
All'età di 16 anni, ebbi quasi l'occasione di fare sesso con una ragazza che viveva in un'altra città. Lei era più che ben disposta verso di me, ma io come al solito feci tutte le mosse più sbagliate che potevo fare, lei si spaventò, la faccenda si risolse in un nulla e venni preso per un maniaco.
Già da prima di questi avvenimenti, e per quasi tutto il liceo, mi innamorai follemente (o almeno, credetti di essere follemente innamorato) di una ragazzina di un paio di anni più piccola. Tranne qualche sporadico contatto tramite gli allora rudimentali social, non avemmo alcun tipo di rapporto. Mi struggevo per lei, pensavo a lei dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina, e non ebbi mai il coraggio di andare oltre il "ciao come stai". Ero convinto, e forse a ragione, che un qualsiasi passo in avanti si sarebbe risolto in una catastrofe. Preferivo tormentarmi nell'immobilità, sperando che per miracolo un giorno lei scoprisse di amare un ragazzo che non aveva mai apertamente dimostrato il benché minimo interesse per lei, piuttosto che agire e rischiare che il mio sogno andasse in pezzi. Nel frattempo, la vedevo crescere e da bambina diventare donna, vedevo sbocciare la sua ordinaria bellezza e vedevo avvicendarsi tutta una serie di fidanzati e amici speciali così fortunati da conquistarla. Alla fine diventai talmente depresso che persi ogni speranza e decisi di lasciar perdere. Era una ragazza come tante, per quanto posso giudicare senza averla realmente conosciuta, ma ebbe, involontariamente e inconsapevolmente, un impatto enorme su di me e sulla mia già scarsa autostima. Non so che fine abbia fatto.
Durante quello stesso periodo si verificò un evento che con il senno di poi considero il mio primo errore madornale. Per ragioni per me inspiegabili, una ragazza si prese una grande cotta per me. Era una persona buona, molto intelligente ed estremamente simpatica ed estroversa. Mi diede la caccia con una costanza che ancora mi lascia stupito. Prese a seguirmi ovunque, a stare con me in ogni momento possibile e immaginabile. Le dissi che ero innamorato (sic.) di un'altra e che non ero ricambiato. Lei sopportò tutte le mie lamentazioni, ed alla fine, grazie a lei, alla veneranda età di 17 anni, finalmente mi liberai del marchio infamante della verginità, sotto il quale ormai ero rimasto solo io fra tutti i miei compagni di classe. Cosa ancora più sconcertante, e della quale all'epoca non capii assolutamente il valore, la ragazza in questione a letto era una bomba. Ancora oggi, credo che quello con lei sia stato il miglior sesso della mia vita (non che abbia molti paragoni). Lungi dall'essere felice dell'affetto dimostratomi, mi vergognavo come un ladro. Volevo tenere assolutamente nascosta la cosa, avevo il terrore che la ragazza di cui ero innamorato (sic.) venisse a scoprire la tresca, e mi sentivo mostruosamente in colpa perché pensavo di aver tradito la sua fiducia. Odiavo per questo motivo la ragazza con cui avevo fatto sesso, la allontanavo, e subito dopo la cercavo, perché mi voleva sinceramente bene e mi sentivo, per la prima volta, amato. Dopo un paio di mesi di tossicità ambigua, lei decise di tutelare la sua sanità mentale e chiuse i rapporti con me, privandomi del mio principale sostegno. Protestai ferocemente, ma mi fece capire che me l'ero cercata. Per la disperazione scappai e passai un giorno e una notte girovagando senza meta, fino a quando la fame e la stanchezza mi ricondussero a casa. Fu una lezione brutale, che non imparai.
Tempo dopo, ripresomi come meglio potevo dalla doppia perdita della donna di cui credevo di essere innamorato e della donna della quale avrei potuto felicemente innamorarmi, conobbi una ragazza, e in un modo o nell'altro ci mettemmo assieme. Lei era bellissima e di raffinatissima cultura, ed ebbe sulla mia psiche un impatto più deleterio di tutte le persone che avevo incontrato fino ad allora. Mi fece capire in tutti i modi possibili di nutrire profondo disgusto per qualsiasi attività sessuale, e che i miei impellenti istinti da giovane uomo in salute erano al limite della malattia mentale e la facevano sentire costantemente minacciata e quasi violentata. Da parte mia, mi illudevo che la comprensione e la collaborazione potessero risolvere tutti i problemi del mondo, e che era cosa buona e giusta fare qualche piccolo sacrificio personale per spianare la strada al trionfo dell'armonia. A poco a poco, mi allontanai da qualsiasi desiderio sessuale, e alla fine persi la capacità di avere un'erezione. Mi ridussi a mero dispensatore di regalini e a capro espiatorio delle sue multiformi e apparentemente incessanti frustrazioni. Col tempo, scoprii che la sedicente asessuata che si dichiarava la mia fidanzata e che diceva persino di amarmi, non disdegnava di tanto in tanto di farsi sfondare da qualche maschione conosciuto qua e là. Scopertomi cornuto, anche allora non feci ciò che avrei dovuto fare da tempo: scappare. Provai ad avere rapporti sessuali con lei (se con gli altri sì, perché con me no?), ma ormai non ne ero più capace e mi procurai anche la sua derisione. Perpetrai la situazione come un incubo da cui non si può scappare. Ero convinto di non valere niente, di essere un'aberrazione del genere umano, e che nonostante tutto, lei mi dimostrava enorme gentilezza continuando a stare con me. Se rinuncio a lei, pensavo, quale donna al mondo sarà mai disposta a prendermi, visto che faccio così schifo? Questa convinzione era così profondamente inculcata nel mio cervello che, nonostante fossi ben a conoscenza dei tradimenti della mia ragazza, una volta che ebbi l'occasione concreta di tradirla le rimasi fedele. Dopo tutto, mi sentivo così inferiore che non potevo rischiare in alcun modo di perderla. Passati quattro anni di questo inferno, lei si trasferì in un'altra città, e dopo poco conobbe qualcuno che allo stesso tempo liberò i suoi istinti sessuali e la convinse che lui poteva soddisfarli meglio di me. Mi ritrovai di colpo solo, abbandonato, impotente, e senza più un briciolo di autostima.
Ma come le erbe cattive che non muoiono mai, anche io, l'aberrazione della natura, alla fine in qualche modo mi rialzai. Un paio di anni dopo la fine della mia relazione, se così si può chiamare, riuscii a racimolare tanto coraggio da provare a sedurre un'amica. Ci riuscii. Uscimmo insieme, ci baciammo e mi invitò a casa sua, tutto come da copione. Ma giunti al momento cruciale, scoprii con orrore che anche lei aveva problemi sessuali non indifferenti. Non era disgustata dall'atto, ma ne era terrorizzata e ciò le creava dolore. La nostra vita sessuale si risolse in pochi incontri tormentati, parziali e del tutto insoddisfacenti. Per fortuna in quell'occasione ebbi abbastanza sangue freddo da chiudere la relazione dopo poco. Era una brava ragazza, ma nelle condizioni in cui mi trovavo non potevo reggere un rapporto del genere.
E ora arriviamo alla scena madre, e alle note dolenti. Dopo tutte queste esperienze, ero parecchio demoralizzato. Credevo che nessuna donna mi avrebbe mai voluto e che sarei rimasto solo a vita. Finché una sera, quasi per gioco, conobbi una donna. Cominciammo a frequentarci. Arrivammo ad uscire insieme. Era una compagnia piacevole e la cosa andò avanti così per qualche mese. Tuttavia, ogni volta che provavo ad andare oltre e a cercare un rapporto sessuale (cosa che ormai bramavo da anni), mi veniva sbarrata la strada. Poco male, mi dicevo, faccio schifo e devo già considerarmi fortunato che questa donna passi il tempo con me. Dopo alcuni mesi di frequentazione, però, lei si convinse che mi ero guadagnato l'agognato premio, e mi concesse il suo fiore. Mi preparai a coglierlo carico di aspettative, di ansia da prestazione, e di sentimenti di indegnità e disgusto verso me stesso. Inutile dire che non riuscii ad avere la benché minima erezione. La riaccompagnai a casa convinto che non l'avrei rivista mai più. Invece avvenne il miracolo. Continuò a cercarmi. Continuammo a vederci. Pian piano cominciai a sentirmi amato e desiderato. Alla fine riuscimmo ad avere rapporti completi e soddisfacenti per entrambi, e ne cominciammo ad avere tanti e con regolarità. Andammo avanti per anni. Lentamente mi riportò al mondo. Da emarginato, divenni amato, da insignificante, importante, da reietto, apprezzato. E alla fine il troppo amore mi diede alla testa. Mi guardai allo specchio e mi vidi bello. Dimostrando la più grande ingratitudine per la donna che mi aveva fatto rinascere e che ancora mi amava tenerissimamente, pensai che potevo avere altro. E l'altro arrivò.
Una collega bellissima, infelicemente convivente da anni con un povero disgraziato, alle spalle del quale già si era fatta montare dai tori più aitanti del branco, decise di assaggiarmi. E io ci cascai. Senza ritegno, lasciai la mia ragazza in lacrime e corsi dalla bella sirena. E qui la vendetta divina fu sublime. Arrivato al momento più bello, come già successo anni prima, non riuscii ad iniziare l'atto. Rimasi di nuovo solo. Lei sparse la voce al lavoro e adesso tutti i colleghi conoscono la mia impotenza. Ho spezzato il cuore della donna che mi amava. Ancora una volta, ho distrutto la mia vita.
Non credo di avere la forza di ricostruirmela di nuovo.
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