1. Eva
di
Augustine De Pretis
genere
sentimentali
Quello era il martedì di agosto più caldo di cui avessi ricordo, onestamente. Irene era nata poche settimane prima e io e mia moglie Eva non potevamo non accorgerci di quanto le nostre vite fossero cambiate, nel giro di pochi anni.
Le avevo chiesto di sposarmi il sette marzo del duemiladiciotto, proprio davanti Fontana di Trevi, durante uno di quei viaggetti che saltuariamente riuscivamo a incastrare tra i miei e i suoi impegni di lavoro. Lei fa l’avvocato, è socia assieme a suo fratello Alessio di uno studio non troppo grande (ma nemmeno troppo piccolo). E quindi passa davvero tanto tempo in giro, tra tribunale, uffici vari e cene di beneficenze in cui mi trascina, perché fare pubbliche relazioni è importante per i suoi affari.
Cioè, non per i miei.
Faccio l’ingegnere in un’azienda che costruisce palazzi di almeno dieci piani. Sì, quelli grandi, insomma. Giro spesso per l’Italia, per i sopralluoghi tecnici eccetera, e anche io non torno spessissimo a casa.
Ma ho divagato terribilmente.
Dicevo, l’ho chiesta in moglie a marzo di due anni fa, quasi tre, durante uno di quei weekend rubati alle nostre agende, dove gli incastri astrali ci hanno concesso di prendere una bella stanzetta in un tre stelle poco lontano da Piazza Bernini, di cui non ricordo più il nome, ma che mi colpì particolarmente per via dell’accoglienza. Insomma, trovammo in stanza un cesto di benvenuto, con oli profumati, candele e frutta. Ci demmo dentro, fu magico.
Il fatto che non stessimo spesso assieme ci consentiva, quando entrambi condividevamo il letto, di spogliarci famelici, ancora come facevamo da diciassettenni, e scopare.
Io adoro scoparmi mia moglie. Sì, so che non dovrei dirlo ad alta voce, che generalmente è sempre meglio scoparsi le mogli degli altri. Ma tant’è; io adoro scoparmi mia moglie, l’ho già detto e lo ripeto.
Per l’appunto, continuo a raccontare. Dicevamo?
Quello era il martedì di agosto più caldo di cui avessi ricordo. Irene era nata poche settimane prima e io e mia moglie Eva non riuscivamo più a dormire per venticinque minuti di fila.
Cronometrati, giuro.
Tornavo a casa dall’ufficio, dopo un’ora di traffico e una mezz’ora passata sulla tangenziale, in una piazzola di sosta, col reclinabile abbassato e il borsalino che porto sulla mensola portaombrelli poggiato sul viso. Avevo dormito qualche minuto, poi avevo rimesso in moto ed ero tornato a casa. Prima di levare le chiavi dal quadro presi coraggio, perché Eva era comunque una donna molto forte, che aveva lasciato il lavoro sei mesi prima per dedicarsi totalmente alla sua prima gravidanza.
E ne risentiva.
Ultimamente, un po’ per la mancanza di sonno, un po’ per l’intimità persa, che col pancione enorme mi era difficile anche maneggiare quel corpo un tempo esile e leggero, un po’ per le liti stupide che diventavano sempre più frequenti, beh, c’era elettricità nell’aria. E non quell’elettricità bella, quella stimolante.
No.
A Eva premeva rompermi i coglioni per ogni cosa. Sì, gli ormoni, lo so come funziona, ma onestamente tra le grida di Irene e quelle di Eva non sapevo scegliere.
Era martedì, già detto, e io avevo deciso di affrontare qualsiasi cosa mi si fosse parata davanti, girando la chiave nella serratura di casa. Quando lo feci, invece di una donna disperata in preda al panico causato da una bambina con crisi isterica in atto, mi ritrovai l’evoluzione della donna che avevo amato, che amavo ancora, seduta sul divano.
Fui silenzioso, non mi sentì. Poggiai la valigetta accanto alla porta e le chiavi nello svuota tasche, poi allentai la cravatta e slacciai i primi due bottoni della camicia. Sudavo, bramavo una doccia e una birra fresca, il condizionatore e la tv, mi pareva che ci fosse la Supercoppa Europea, quella sera.
Quando misi la testa nel soggiorno, sul divano, vidi mia moglie con gli occhi chiusi. Indossava uno di quei vestitini un po’ più larghi che aveva comprato ultimamente per il post parto; c’era da dire che il suo corpo sottile era praticamente raddoppiato, con la gravidanza. Polsi e caviglie andavano sgonfiandosi, e anche la pancia prominente stava cominciando a sparire, mentre i seni erano lievitati, pieni di latte. Anche il suo viso, un tempo più fino, più ossuto, era diventato paffuto. Le linee sul suo corpo s’erano addolcite, creando in lei, di fatto, l’aspetto di un’altra donna.
Ed era la prima volta che la vedeva sotto quell’altra luce.
Anche perché era bellissima, Eva: aveva lunghi capelli castani che le baciavano le scapole, e una carnagione olivastra che mai avevo visto abbinata a quelle lentiggini gioiose che le esplodevano sul viso da aprile ad ottobre. Aveva il naso piccolo e le labbra gonfie.
Parlava tanto, parlava anche coi suoi meravigliosi occhi color nocciola, dal taglio quasi orientale. Pareva una bellissima azteca, mia moglie, quel giorno, col vestitino blu a pois bianchi il cui bordo inferiore la scosciava vertiginosamente.
Guardai proprio quelle gambe, un tempo toniche e affusolate dagli anni di danza classica, ora invece più morbide, attraversate dalle meravigliose linee delle smagliature, che sulla sua pelle parevano fatte d’oro.
Ed era con gli occhi chiusi, già l’ho detto, ma non dormiva. Anzi, era sveglia, sospirava, con entrambi i grandi seni fuori. Li massaggiava entrambi, sospirava e di tanto in tanto passava l’avambraccio sulla fronte imperlata di sudore.
Io rimasi immobile, a guardare quel seno che non sapevo di amare così tanto, cercando di capire se si stesse masturbando o se stesse ovviando a dei problemi di allattamento di cui non mancava mai di aggiornarmi ogni sera. Fatto stava che Irene dormiva nella culletta nella sua stanzetta e lei era da sola in soggiorno.
- Tesoro... – le avevo detto, a un certo punto, prima che lei spalancasse gli occhi impanicata, per poi rendersi conto che fossi io, davanti a lei, e che potesse calmarsi.
- Oh... sei tu.
Continuai a guardarle i seni. Erano davvero grandi.
Non me ne accorsi e inarcai le sopracciglia, poi le risposi.
- Delusa? Aspettavi qualcuno con... – indicai poi il suo petto.
- No... - sbuffò quella, infastidita. – Anzi... Irene mi ha dato un po’ di tregua, oggi, dorme da venti minuti e mi ha lasciato un po’ di tempo per fare qualche chiamata di lavoro...
- Ah, bene. Che ci fai, invece, mezza nuda?
Continuavo a guardare quel seno meraviglioso, enorme, lucido e rigonfio. Accanto al capezzolo destro c’era il neo che avevo baciato più e più volte, durante le nostre notti insonni.
- Massaggio le tette, Teo. Mia madre ha detto che previene il blocco mammario, anche se mi fanno malissimo...
Sorrisi, senza rendermene conto il cazzo stava cominciando a diventare duro, nei miei boxer. Mi sedetti accanto a lei, che continuava a massaggiarsi i seni con delicato vigore, e io li guardavo, senza riuscire a smettere.
- Ti piace quel che vedi? – chiese, sorridente. – Sei uno di quei maniaci che si eccitano sulle donne incinte?
- Tu non sei più incinta...
- Lo so, scherzavo.
- Voglio toccarle. – dissi poi, guardandola negli occhi. Lei non si scompose, lasciò la presa dai seni e li vidi appoggiarsi morbidi sui pois del vestito. Subito dopo la mia mano destra si poggiò sulla tetta, quella col neo, e l’afferrò con delicatezza. Era morbido e profumato.
- Fa’ piano... – mi ammonì Eva, stringendo leggermente i denti.
- Fa male?
- Sì, un po’...
- Ed è normale?
- Certo...
Sorrisi, poi mi accorsi di essere arrapato; erano le zizze di mia moglie, quelle che avevo davanti, le avevo viste letteralmente mille volte e in quel momento avrei voluto prenderla con forza e possederla lì.
Invece mi limitai a stringere, sempre con delicatezza quel seno. Sentivo il capezzolo premere contro il palmo della mia mano, mentre lei chiudeva gli occhi, sempre con quella espressione sul volto. E io guardavo quella: non capivo se fosse dolore, ciò che provava, o eccitazione; sentivo il suo respiro frammentarsi, diventare più pesante, mentre quelle labbra meravigliose si schiudevano.
- Fa’ piano... – ripeté, mentre la mia mano affondava in quel seno pieno di latte. Era morbido e contemporaneamente molto denso.
- Faccio piano...
- Davvero, non premere troppo...
- No...
Poi presi anche l’altro seno, nell’altra mano, massaggiandolo delicatamente. Sentii Eva ansimare mentre il sudore le imperlava la fronte.
Io ero di marmo.
- Stupenda... – dissi.
Quella aprì delicatamente gli occhi, mantenendo quell’espressione eccitantissima sul volto e mi chiese: - Cosa?
- Tu. Tu e queste tette.
Sorrise.
- Attento, che è la cena di tua figlia...
- A me interessa la cuoca. – dissi di contro, quindi mi alzai in piedi. Lei restò seduta, mi guardò con i seni di fuori, dal basso, quella dannata espressione ancora sul viso e il mio cazzo proprio a pochi centimetri dal suo volto. Ma non era ancora il momento, lo sapevo.
Volevo prima toccarle un po’ la fica. Non lo facevo da prima che Irene fosse nata. Allora decisi di scivolarle alle spalle, di sedermi sul divano e fare in modo che lei si sedesse tra le mie gambe spalancate. Poggiò la schiena contro il mio petto e alzò il volto verso di me. Il suo profumo inebriò i miei sensi, e credo si accorse in quel momento della mia erezione, che pulsava proprio in corrispondenza del suo osso sacro.
Sorrise.
- Massaggiami il seno... – disse. E allora le mie mani carezzarono quel corpo meraviglioso di donna, di vera donna, a partire dal basso, dai fianchi pieni, e poi più su, fino a saggiare con le dita i lati di quelle tette splendide. Le afferrai dal basso, quella ruotò ancora la testa verso l’alto, verso di me, che alle sue spalle le baciavo la fronte e le guance.
- Piano..
- Piano.
I miei pollici giocarono delicati sui capezzoli ruvidi, più scuri dei seni rosei, quindi sul marroncino. Erano sensibili, a ogni movimento la sentivo sussultare.
Quello era piacere, non dolore.
Le baciai il collo, le stinsi nuovamente il seno sinistro, mentre l’altra mano continuava a stuzzicarle il capezzolo, ignaro che qualche goccia di latte mi bagnasse le dita. Ero troppo preso, troppo infervorato, sentivo il cuore battere forte, il cazzo pulsarmi nelle mutande e il corpo di mia moglie cominciare a ballare.
- Fai piano, Teo... – disse, per l’ennesima volta, mentre lasciai stare il capezzolo e aderii sul suo corpo col palmo, scendendo in basso, carezzandole l’ombelico al di sopra del vestito e rimanendo per qualche secondo con la mano tra le sue cosce incandescenti. Lei non le stringeva ma non le teneva neppure spalancate.
Eppure percepivo la sua voglia. Voleva essere scopata, proprio nello stesso modo in cui io volevo scoparmela.
- Apri le gambe. – le ordinai, sussurrando nel suo orecchio quelle parole. La vidi eseguire, mentre la mano sinistra continuava a stringere e massaggiarle il seno.
- Sei meravigliosa. – continuai, mentre sentivo il calore del suo corpo attraverso il vestito. Afferrai con la mano libera il vestito e lo sollevai, quella rimase a cosce spalancate con soltanto le mutandine nere. Poggiai il dito proprio sul suo grilletto, attraverso il tessuto degli slip, e la sentii sussultare.
- Massaggio anche questa? Sembra aiuti a prevenire altre cose... – ridacchiai. La vidi fare altrettanto, poi annuì, e allora presi a massaggiarle la fica. Eva gemette, lasciò andare la testa e l’intero corpo su di me, spalancò la bocca e chiuse gli occhi. Le leccai le labbra, intanto stringevo il seno e sentivo le mutandine impregnarsi dei suoi umori bollenti.
Ero fin troppo arrapato. Il culo di mia moglie stava proprio davanti al mio uccello, lei lo sentì e decise di mandare una mano in avanscoperta, dietro la sua schiena. Premette sui miei jeans, sentì la forma del mio cazzo sotto le dita.
- Sei arrapato.
- Anche tu...
- Scopami. – ribatté subito ma io decisi che non fosse ancora il momento. Continuavo ad accarezzarle il clitoride, con sempre più vigore, mantenendo il ritmo del suo respiro, più velocemente mano a mano che lei sentiva i brividi aumentare, e a un certo punto, quando decisi di sorpassare la barriera che ci divideva, di scavalcare il bordo delle mutandine, mi accorsi di quanto effettivamente Eva fosse eccitata.
- Sei bagnatissima.
Lei non rispose. Si limitò soltanto ad ansimare, mentre armeggiava con le mani sul mio cazzo. Sarebbe bastato qualche altro secondo, prima che fossi pronto per lei, disegnavo piccoli cerchi sul suo cappuccio, rapidamente, costruendo il piacere che le montava fin dal profondo del suo corpo. Intanto una goccia di latte stava colando lenta sul vestito, partendo dal seno che stavo ormai straziando con la mano, fino a raggiungere l’ombelico ambrato di lei. Non parve accorgersene, anzi, era del tutto presa dal ricevere le mie carezze che quando le dissi di abbassarsi gli slip e spalancare di nuovo le gambe mi ascoltò rapidamente. Ancora dovevo penetrarla con le dita ma l’odore pungente dei suoi umori mi suggerivano che fosse realmente eccitata. Le baciavo ancora il collo, lei ansimava accanto al suo orecchio, sentiva l’orgasmo vicino mentre il suo clitoride, inviscidito dal suo liquido, era diventato più grosso e sensibile. Decisi allora di essere meno delicato, col tocco, e di stringere più forte i suoi seni, mentre le mie due dita raccoglievano gli umori nelle labbra e li spalmavano sul cappuccio.
- Teo... – continuava a dire lei, arrapata come non mai.
- Eva...
- Sto per venire...
- Non mi fermo, amore...
Strofinai quel clitoride con pazienza e amore fino a quando il suo corpo non s’irrigidì, così tanto da farle colare altro latte, che scese copioso sul suo corpo, fino a raggiungere le punte delle mie dita. Era caldo.
Gli occhi di Eva si spalancarono, il respiro si mozzò di colpo, la bocca si aprì e un gemito strozzato scappò, prima che quella riprendesse il controllo. Si rilassò, lasciandosi cadere nuovamente su di me, prima che decidessi di scendere con le dita più in basso, per penetrarla.
Non mi sorpresi, ma era davvero zuppa; gemette impietosa e alzò gli occhi al cielo, trattenendo urla di piacere mortali per quel momento, perché avrebbero svegliato nostra figlia e ci avrebbe costretti a tornare genitori, spogliandoci dalla veste degli amanti che tanto ci stava appassionando.
- Dammelo.
- Zitta. – feci, infilandole due dita nella fica e lasciando la presa sul seno. L’altra mano, difatti, tornò a massaggiare il suo grilletto, mentre continuavo a penetrarla, sentendo il suo corpo diventare sempre più morbido, sempre più malleabile sotto al mio tocco. Aumentai il ritmo, accelerai, massaggiavo il clitoride fino a quando non sentii nuovamente il suo cuore cominciare a battere come i pistoni di un motore caldo, pronto. Poi mi fermai.
Lei ansimava, provata.
Tirai fuori le due dita. Una vela di liquido, proveniente dalla sua fica, si apriva viscosa tra il mio indice e il mio medio. Infilai le dita nella sua bocca e cominciò a succhiarle, vogliosa.
- Come succhi bene... – le dissi, ormai convinto. Mi alzai, sfilai la camicia e levai le scarpe. Rimasi poi immobile davanti a lei, che si avventò sulla cerniera dei miei jeans come un avvoltoio.
- Vuoi il cazzo, eh?
- Zitto.
Famelica, abbassò la zip e infilò quella mano bollente nei miei boxer, afferrando il corpo rigido del mio cazzo. Lo tirò fuori, lo guardava come se fosse la prima volta che lo avesse visto, grande, lungo, duro.
Lo avvicinò alla bocca, sentivo sulla cappella il caldo del fiato, poi picchiettò leggermente con la lingua sulla punta.
E lo fece una, due, tre volte, prima di avvolgerlo con quelle labbra meravigliose.
Poi lo baciò. Appassionatamente, come se fossero le mie labbra, come io farei con le sue, accompagnando il tutto con leccate forti e delicate, che giravano attorno al mio glande. Sentivo il piacere pungermi, lentamente, mentre la mano destra stringeva l’asta e quella sinistra era intenta ad abbassarmi i pantaloni. Io, poi, l’aiutai, aprendo la cintura e liberandomi poi totalmente dai miei jeans.
A braghe calate, la testa di mia moglie modellava con movimenti delicati e un risucchio meraviglioso il mio cazzo. Lasciò la presa dal pene e mi strinse entrambe le natiche, prima di affondare, spalancando la bocca e cingendo l’asta con le labbra, scendendo e toccandomi i peli pubici col naso.
Poi tornò indietro, succhiando e stringendomi il sedere.
Altri sessanta così e le sarei venuto in gola, e non volevo, non volevo assolutamente, perché desideravo che mi salisse a cavalcioni e mi sbattesse quelle tette enormi sul volto. Ma non riuscivo a fermarla, perché ogni volta che il mio cazzo spariva nella sua bocca non potevo fare altro che innamorarmi della sua espressione, eccitata e contemporaneamente vogliosa.
Mia moglie non era una zoccola, normalmente.
Mia moglie era molto passiva, contenuta. Poche volte si prendeva delle libertà, quando scopavamo, ma quando lo faceva io venivo sempre troppo presto, perché mi eccitava.
E quella volta non sarebbe andata nella stessa maniera.
Erano passati quasi due minuti e lei, imperterrita, mi stava praticando un bocchino delizioso, facendosi arrivare il cazzo fin quasi in gola, che le vedevo le lacrime, e poi tornando indietro, succhiando l’asta del pene e poi la testa.
Ebbi un sussulto, strinsi le natiche, le sue mani ancora a premere sul mio culo, e, involontariamente, il mio cazzo pulsò.
Si fermò, alzò gli occhi, con le lacrime che quasi le colavano.
- Ti è piaciuto, vedo... stavi quasi per venirmi in bocca.
Annuii e calciai lontano da noi i jeans.
- Noi gentiluomini però queste cose non le facciamo...
- Ah no? – sorrise, vedendomi sedere sul divano. Lei si tirò in piedi e lasciò che il vestitino le scivolasse da dosso, prima di finire per terra. Poi salì su di me, si abbassò per baciarmi, coi seni madidi di sudore che toccavano il mio petto villoso, e scese lentamente sul mio cazzo, come se io fossi stato la chiave e lei la serratura.
E l’espressione, gente, l’espressione che aveva sulla faccia, la mia Eva, era sublime: gli occhi socchiusi, quasi ruotati all’indietro, e la bocca spalancata.
Fu lento, come il movimento delicato di un pistone che entrava nel proprio cilindro. Un secondo, un piccolo secondo bastò, prima che lei riprendesse coscienza di lei e mi sorridesse.
- Non sono più stretta come qualche tempo fa... ma tu sei grande abbastanza.
La sua voce rimbalzò contro il mio collo, con la bocca lo baciò, poi succhiò, come fosse una ragazzina dedita ai primi succhiotti, e non aspettava altro che le afferrassi il culo con entrambe le mani e guidassi il suo movimento sul mio cazzo.
E lo feci.
Salì su e si lasciò cadere su di me, mentre un gemito scappò attraverso i suoi denti. I suoi seni strusciavano contro il mio petto, emanando un odore strepitoso e afrodisiaco, che caricò la mia eccitazione.
Strinsi ancor più forte le sue natiche e la guidai sul mio cazzo, su e giù, mentre sentivo la sua fica stringersi a ogni movimento, accogliendo la mia erezione.
- Sei stupenda...
- Cazzo... anche tu.
Ballavamo quel tango lento e fluido, in cui ci allontanavamo e ci avvicinavamo ogni secondo. E io la baciavo, le stringevo il culo con le mani e le massaggiavo quel buco in cui non ero mai riuscito a entrare, durante il nostro fidanzamento, e pochi centimetri sotto sentivo il mio cazzo entrare nella sua vagina incandescente, bagnata, affondare in profondità e toccarle quelle corde che la facevano volare.
A un certo punto, ignorando la guida delle mie mani, prese a saltare indipendente, più forte, inarcando il bacino e toccando i punti che più le piacevano; ansimava forte, con la bocca spalancata a pochi metri dalla mia, cercava con lo sguardo appannato i miei occhi, ricorrendoli dietro le mie palpebre, e intanto stringeva le mie braccia vigorosamente.
- Non venire ora. – mi aveva detto, scivolando avanti e indietro, sfregando il grilletto contro il mio pube. Sentivo il cazzo entrare e uscire dalla sua fica, bagnare la punta delle mie dita, ancora sul suo ano, che intanto si allargava sotto il mio massaggio.
- Cazzo! – urlò, cercando di limitare la voce, per non svegliare Irene nell’altra stanza. Sentivo la sua fica stringersi, sapevo che stesse per raggiungere l’orgasmo e allora decisi di favorirla, trascinandola con la forza dei colpi del mio bacino, aumentando il ritmo.
Bastarono quattro botte ben assestate, gli occhi di mia moglie si spalancarono, la bocca pure, e aderì sul mio corpo pochi secondi dopo. Fu il suo ano ad avvertirmi che Eva stesse venendo, perché cominciò a dilatarsi e a stringersi, in corrispondenza delle pulsazioni della sua fica, che stringeva vigorosamente il mio cazzo.
Non ci pensai due volte, inumidii due dita qualche centimetro più sotto e le infilai dritte nel buco del culo. Quella parve non accorgersene, tanto che il piacere la trascinava, motivo per cui non mi fermai, continuando a scoparmela con tutta la forza che avevo in petto; sentivo il mio cazzo spingere dentro di lei attraverso l’ano, che stavo tormentando con le mie dita.
Eva era in balia di me, la sua fica era totalmente riempita dal mio cazzo e il suo culo continuava a pulsare attorno alle mie dita.
- Non fermarti! – diceva quella, riprendendo a scoparmi da sopra.
- No...
- Com’è bello scoparti... Metti un altro dito...
- Nel culo?
- Sì. E scopami, intanto.
E così, con tre dita nel suo culo, mia moglie prese a danzare nuovamente su di me, col pisello che intanto affondava in quella pozza di umori bollenti e profumati. Premevo forte sia con la mano che col bacino, mentre con l’altra mano le carezzavo i capelli.
- Ti amo... – le dissi, ma quella non mi rispose, in preda all’estasi, che arrivò pochi secondi dopo, anticipata nuovamente dalle pulsazioni del buco del suo culo. E la cosa mi stava eccitando troppo, davvero troppo, per non provare a infilarlo in quel luogo magico.
Il culo di mia moglie.
Le gambe della mia donna tremavano, mentre scivolai fuori da lei. La sua fica lasciò cadere qualche goccia di liquido sulla mia coscia, mentre la testa del mio cazzo premeva accanto alle mie dita. Le levai, lei ansimò, poi percepii il suo ano contrarsi con forza.
Eva ansimava su di me, cercando di non premere troppo sui seni dolenti. Era totalmente sudata, sfinita dagli orgasmi, col volto nell’incavo del mio collo. Il suo respiro era bollente.
- ... merda... merda...
- Amo quando vieni così...
Sorrise, poi avvicinai il cazzo al buco del suo culo, ormai allargato dal mio massaggio. Alzò la testa, raggiunse i miei occhi e poi si leccò le labbra, prima di darmi un casto bacio.
- Non farmi male... – mi disse, sorridendo poi dolcemente. Le efelidi esplodevano sul suo viso, quando sorrideva così gentile.
- Sarò un gentiluomo... – le dissi, vedendola poi scendere. Si stese sul diano, spalancando le gambe, accanto a me, e poi si voltò, per guardarmi nuovamente.
- Prendilo.
Mi alzai, soltanto per inginocchiarmi sul tappeto di seta beige che stava davanti al nostro divano. Mi abbassai per un secondo sulla sua fica, per leccarla e bere i suoi succhi, poi allungai la lingua, lasciando che un po’ di saliva scivolasse proprio sul buco del suo culo. Mi risollevai, guardai i suoi occhi prima di avvicinare il cazzo al suo ano, già largo e pronto a prendermi.
- Fa’ piano, però...
- Sì, sarò gentile...
- Solo perché sono larga, in questo periodo...
- Larghissima.
- Che non sia un’ab...
E spinsi leggermente contro il suo ano. Vidi il bordo increspato e marroncino, più scuro e innervato, che si apriva attorno al mio glande per accoglierlo famelico. Scivolò dentro, la testa, e vidi il suo culo stringersi e poi riallargarsi.
- ...itudine... Ah, cazzo, Teo... cazzo...
- Fa male?
- Sì.
- Esco?
Mi guardò, con quel taglio d’occhi da orientale e fece cenno di no. Anzi, strinse le braccia in modo che i grossi seni si avvicinassero e raggiunse con le mani il suo grilletto.
- Vai, Teo...
E spinsi.
Lo feci delicatamente, costruendo lentamente quella sensazione che mia moglie provava, dimostrata dal suo sguardo supplicante. In cuor suo voleva che finisse presto, ma era eccitata e il suo clitoride, grande e turgido, ne era la dimostrazione. Dal canto mio, ero eccitatissimo di inculare mia moglie, dove non era mai stata violata. Il mio cazzo, infatti non era mai stato così duro.
Lo tirai indietro, poi spinsi di nuovo avanti, premendo e sentendo mia moglie gemere di piacere, mentre stimolava il clitoride con le dita.
- Mi piace... – disse. – Vai avanti.
- Sì.
Spinsi e ritirai indietro, poi spinsi di nuovo, ancora in profondità, e mano a mano che la inculavo e che il mio cazzo le spalancava l’ano vedevo l’orgasmo montarle dal profondo, fino a raggiungerle il volto.
Non durai molto, in quella posizione, forse un minuto o poco più, perché spingendo e spingendo mi resi conto che mia moglie stesse per raggiungere nuovamente il piacere.
E non come faceva sempre, stringendo i pugni e indossando quella maschera meravigliosa di perdizione in volto.
No.
- Cazzo, Teo! Inculami! – urlò, e pochi secondi dopo stava venendo.
Urlò, strinse l’ano con così tanta forza che poco dopo il mio pisello scivolò fuori, e uno spruzzo di liquido trasparente fu sparato fuori dalla sua fica. Mi finì dritto in petto, era caldissimo e profumava di lei.
Irene prese a piangere. L’avevamo svegliata, ma intanto Eva ansimava, gemeva, quasi si lamentava per la potenza che quell’orgasmo aveva raggiunto; le gambe le tremavano, ancora alzate in aria, coi talloni poggiati sulle mie spalle. Stringeva ancora le tette tra le braccia e quando mi resi conto che la mia meravigliosa moglie, sempre trattenuta, sempre rigida, avesse perso ogni controllo, ogni inibizione, non riuscii più a resistere.
Mi alzai, massaggiandomi il glande con la mano ancora bagnata dal suo spruzzo, e mi avvicinai a quel seno.
Lei mi guardava, inerme.
- Stai per venire?
- Su queste zizze meravigliose...
Irene urlava, mia moglie ansimava e io stavo sborrando sulle tette meravigliose di Eva.
Pochi attimi dopo lei era in piedi, ad asciugarsi e a cercare di gestire nostra figlia e le sue crisi di pianto.
Ora Irene ha sei anni ma io ed Eva ci siamo separati. Di tanto in tanto c’incontriamo, per le feste, per gli auguri, quando passo a prendere mia figlia e la porto a stare da me, con la mia compagna, due weekend al mese.
Lei ha ripreso la sua linea, la sua forma sottile, e non ha patito per niente i danni che il tempo ha in serbo per tutti. Rimane sempre una meravigliosa donna.
Una traditrice.
Ma questa... beh, questa è un’altra storia.
Le avevo chiesto di sposarmi il sette marzo del duemiladiciotto, proprio davanti Fontana di Trevi, durante uno di quei viaggetti che saltuariamente riuscivamo a incastrare tra i miei e i suoi impegni di lavoro. Lei fa l’avvocato, è socia assieme a suo fratello Alessio di uno studio non troppo grande (ma nemmeno troppo piccolo). E quindi passa davvero tanto tempo in giro, tra tribunale, uffici vari e cene di beneficenze in cui mi trascina, perché fare pubbliche relazioni è importante per i suoi affari.
Cioè, non per i miei.
Faccio l’ingegnere in un’azienda che costruisce palazzi di almeno dieci piani. Sì, quelli grandi, insomma. Giro spesso per l’Italia, per i sopralluoghi tecnici eccetera, e anche io non torno spessissimo a casa.
Ma ho divagato terribilmente.
Dicevo, l’ho chiesta in moglie a marzo di due anni fa, quasi tre, durante uno di quei weekend rubati alle nostre agende, dove gli incastri astrali ci hanno concesso di prendere una bella stanzetta in un tre stelle poco lontano da Piazza Bernini, di cui non ricordo più il nome, ma che mi colpì particolarmente per via dell’accoglienza. Insomma, trovammo in stanza un cesto di benvenuto, con oli profumati, candele e frutta. Ci demmo dentro, fu magico.
Il fatto che non stessimo spesso assieme ci consentiva, quando entrambi condividevamo il letto, di spogliarci famelici, ancora come facevamo da diciassettenni, e scopare.
Io adoro scoparmi mia moglie. Sì, so che non dovrei dirlo ad alta voce, che generalmente è sempre meglio scoparsi le mogli degli altri. Ma tant’è; io adoro scoparmi mia moglie, l’ho già detto e lo ripeto.
Per l’appunto, continuo a raccontare. Dicevamo?
Quello era il martedì di agosto più caldo di cui avessi ricordo. Irene era nata poche settimane prima e io e mia moglie Eva non riuscivamo più a dormire per venticinque minuti di fila.
Cronometrati, giuro.
Tornavo a casa dall’ufficio, dopo un’ora di traffico e una mezz’ora passata sulla tangenziale, in una piazzola di sosta, col reclinabile abbassato e il borsalino che porto sulla mensola portaombrelli poggiato sul viso. Avevo dormito qualche minuto, poi avevo rimesso in moto ed ero tornato a casa. Prima di levare le chiavi dal quadro presi coraggio, perché Eva era comunque una donna molto forte, che aveva lasciato il lavoro sei mesi prima per dedicarsi totalmente alla sua prima gravidanza.
E ne risentiva.
Ultimamente, un po’ per la mancanza di sonno, un po’ per l’intimità persa, che col pancione enorme mi era difficile anche maneggiare quel corpo un tempo esile e leggero, un po’ per le liti stupide che diventavano sempre più frequenti, beh, c’era elettricità nell’aria. E non quell’elettricità bella, quella stimolante.
No.
A Eva premeva rompermi i coglioni per ogni cosa. Sì, gli ormoni, lo so come funziona, ma onestamente tra le grida di Irene e quelle di Eva non sapevo scegliere.
Era martedì, già detto, e io avevo deciso di affrontare qualsiasi cosa mi si fosse parata davanti, girando la chiave nella serratura di casa. Quando lo feci, invece di una donna disperata in preda al panico causato da una bambina con crisi isterica in atto, mi ritrovai l’evoluzione della donna che avevo amato, che amavo ancora, seduta sul divano.
Fui silenzioso, non mi sentì. Poggiai la valigetta accanto alla porta e le chiavi nello svuota tasche, poi allentai la cravatta e slacciai i primi due bottoni della camicia. Sudavo, bramavo una doccia e una birra fresca, il condizionatore e la tv, mi pareva che ci fosse la Supercoppa Europea, quella sera.
Quando misi la testa nel soggiorno, sul divano, vidi mia moglie con gli occhi chiusi. Indossava uno di quei vestitini un po’ più larghi che aveva comprato ultimamente per il post parto; c’era da dire che il suo corpo sottile era praticamente raddoppiato, con la gravidanza. Polsi e caviglie andavano sgonfiandosi, e anche la pancia prominente stava cominciando a sparire, mentre i seni erano lievitati, pieni di latte. Anche il suo viso, un tempo più fino, più ossuto, era diventato paffuto. Le linee sul suo corpo s’erano addolcite, creando in lei, di fatto, l’aspetto di un’altra donna.
Ed era la prima volta che la vedeva sotto quell’altra luce.
Anche perché era bellissima, Eva: aveva lunghi capelli castani che le baciavano le scapole, e una carnagione olivastra che mai avevo visto abbinata a quelle lentiggini gioiose che le esplodevano sul viso da aprile ad ottobre. Aveva il naso piccolo e le labbra gonfie.
Parlava tanto, parlava anche coi suoi meravigliosi occhi color nocciola, dal taglio quasi orientale. Pareva una bellissima azteca, mia moglie, quel giorno, col vestitino blu a pois bianchi il cui bordo inferiore la scosciava vertiginosamente.
Guardai proprio quelle gambe, un tempo toniche e affusolate dagli anni di danza classica, ora invece più morbide, attraversate dalle meravigliose linee delle smagliature, che sulla sua pelle parevano fatte d’oro.
Ed era con gli occhi chiusi, già l’ho detto, ma non dormiva. Anzi, era sveglia, sospirava, con entrambi i grandi seni fuori. Li massaggiava entrambi, sospirava e di tanto in tanto passava l’avambraccio sulla fronte imperlata di sudore.
Io rimasi immobile, a guardare quel seno che non sapevo di amare così tanto, cercando di capire se si stesse masturbando o se stesse ovviando a dei problemi di allattamento di cui non mancava mai di aggiornarmi ogni sera. Fatto stava che Irene dormiva nella culletta nella sua stanzetta e lei era da sola in soggiorno.
- Tesoro... – le avevo detto, a un certo punto, prima che lei spalancasse gli occhi impanicata, per poi rendersi conto che fossi io, davanti a lei, e che potesse calmarsi.
- Oh... sei tu.
Continuai a guardarle i seni. Erano davvero grandi.
Non me ne accorsi e inarcai le sopracciglia, poi le risposi.
- Delusa? Aspettavi qualcuno con... – indicai poi il suo petto.
- No... - sbuffò quella, infastidita. – Anzi... Irene mi ha dato un po’ di tregua, oggi, dorme da venti minuti e mi ha lasciato un po’ di tempo per fare qualche chiamata di lavoro...
- Ah, bene. Che ci fai, invece, mezza nuda?
Continuavo a guardare quel seno meraviglioso, enorme, lucido e rigonfio. Accanto al capezzolo destro c’era il neo che avevo baciato più e più volte, durante le nostre notti insonni.
- Massaggio le tette, Teo. Mia madre ha detto che previene il blocco mammario, anche se mi fanno malissimo...
Sorrisi, senza rendermene conto il cazzo stava cominciando a diventare duro, nei miei boxer. Mi sedetti accanto a lei, che continuava a massaggiarsi i seni con delicato vigore, e io li guardavo, senza riuscire a smettere.
- Ti piace quel che vedi? – chiese, sorridente. – Sei uno di quei maniaci che si eccitano sulle donne incinte?
- Tu non sei più incinta...
- Lo so, scherzavo.
- Voglio toccarle. – dissi poi, guardandola negli occhi. Lei non si scompose, lasciò la presa dai seni e li vidi appoggiarsi morbidi sui pois del vestito. Subito dopo la mia mano destra si poggiò sulla tetta, quella col neo, e l’afferrò con delicatezza. Era morbido e profumato.
- Fa’ piano... – mi ammonì Eva, stringendo leggermente i denti.
- Fa male?
- Sì, un po’...
- Ed è normale?
- Certo...
Sorrisi, poi mi accorsi di essere arrapato; erano le zizze di mia moglie, quelle che avevo davanti, le avevo viste letteralmente mille volte e in quel momento avrei voluto prenderla con forza e possederla lì.
Invece mi limitai a stringere, sempre con delicatezza quel seno. Sentivo il capezzolo premere contro il palmo della mia mano, mentre lei chiudeva gli occhi, sempre con quella espressione sul volto. E io guardavo quella: non capivo se fosse dolore, ciò che provava, o eccitazione; sentivo il suo respiro frammentarsi, diventare più pesante, mentre quelle labbra meravigliose si schiudevano.
- Fa’ piano... – ripeté, mentre la mia mano affondava in quel seno pieno di latte. Era morbido e contemporaneamente molto denso.
- Faccio piano...
- Davvero, non premere troppo...
- No...
Poi presi anche l’altro seno, nell’altra mano, massaggiandolo delicatamente. Sentii Eva ansimare mentre il sudore le imperlava la fronte.
Io ero di marmo.
- Stupenda... – dissi.
Quella aprì delicatamente gli occhi, mantenendo quell’espressione eccitantissima sul volto e mi chiese: - Cosa?
- Tu. Tu e queste tette.
Sorrise.
- Attento, che è la cena di tua figlia...
- A me interessa la cuoca. – dissi di contro, quindi mi alzai in piedi. Lei restò seduta, mi guardò con i seni di fuori, dal basso, quella dannata espressione ancora sul viso e il mio cazzo proprio a pochi centimetri dal suo volto. Ma non era ancora il momento, lo sapevo.
Volevo prima toccarle un po’ la fica. Non lo facevo da prima che Irene fosse nata. Allora decisi di scivolarle alle spalle, di sedermi sul divano e fare in modo che lei si sedesse tra le mie gambe spalancate. Poggiò la schiena contro il mio petto e alzò il volto verso di me. Il suo profumo inebriò i miei sensi, e credo si accorse in quel momento della mia erezione, che pulsava proprio in corrispondenza del suo osso sacro.
Sorrise.
- Massaggiami il seno... – disse. E allora le mie mani carezzarono quel corpo meraviglioso di donna, di vera donna, a partire dal basso, dai fianchi pieni, e poi più su, fino a saggiare con le dita i lati di quelle tette splendide. Le afferrai dal basso, quella ruotò ancora la testa verso l’alto, verso di me, che alle sue spalle le baciavo la fronte e le guance.
- Piano..
- Piano.
I miei pollici giocarono delicati sui capezzoli ruvidi, più scuri dei seni rosei, quindi sul marroncino. Erano sensibili, a ogni movimento la sentivo sussultare.
Quello era piacere, non dolore.
Le baciai il collo, le stinsi nuovamente il seno sinistro, mentre l’altra mano continuava a stuzzicarle il capezzolo, ignaro che qualche goccia di latte mi bagnasse le dita. Ero troppo preso, troppo infervorato, sentivo il cuore battere forte, il cazzo pulsarmi nelle mutande e il corpo di mia moglie cominciare a ballare.
- Fai piano, Teo... – disse, per l’ennesima volta, mentre lasciai stare il capezzolo e aderii sul suo corpo col palmo, scendendo in basso, carezzandole l’ombelico al di sopra del vestito e rimanendo per qualche secondo con la mano tra le sue cosce incandescenti. Lei non le stringeva ma non le teneva neppure spalancate.
Eppure percepivo la sua voglia. Voleva essere scopata, proprio nello stesso modo in cui io volevo scoparmela.
- Apri le gambe. – le ordinai, sussurrando nel suo orecchio quelle parole. La vidi eseguire, mentre la mano sinistra continuava a stringere e massaggiarle il seno.
- Sei meravigliosa. – continuai, mentre sentivo il calore del suo corpo attraverso il vestito. Afferrai con la mano libera il vestito e lo sollevai, quella rimase a cosce spalancate con soltanto le mutandine nere. Poggiai il dito proprio sul suo grilletto, attraverso il tessuto degli slip, e la sentii sussultare.
- Massaggio anche questa? Sembra aiuti a prevenire altre cose... – ridacchiai. La vidi fare altrettanto, poi annuì, e allora presi a massaggiarle la fica. Eva gemette, lasciò andare la testa e l’intero corpo su di me, spalancò la bocca e chiuse gli occhi. Le leccai le labbra, intanto stringevo il seno e sentivo le mutandine impregnarsi dei suoi umori bollenti.
Ero fin troppo arrapato. Il culo di mia moglie stava proprio davanti al mio uccello, lei lo sentì e decise di mandare una mano in avanscoperta, dietro la sua schiena. Premette sui miei jeans, sentì la forma del mio cazzo sotto le dita.
- Sei arrapato.
- Anche tu...
- Scopami. – ribatté subito ma io decisi che non fosse ancora il momento. Continuavo ad accarezzarle il clitoride, con sempre più vigore, mantenendo il ritmo del suo respiro, più velocemente mano a mano che lei sentiva i brividi aumentare, e a un certo punto, quando decisi di sorpassare la barriera che ci divideva, di scavalcare il bordo delle mutandine, mi accorsi di quanto effettivamente Eva fosse eccitata.
- Sei bagnatissima.
Lei non rispose. Si limitò soltanto ad ansimare, mentre armeggiava con le mani sul mio cazzo. Sarebbe bastato qualche altro secondo, prima che fossi pronto per lei, disegnavo piccoli cerchi sul suo cappuccio, rapidamente, costruendo il piacere che le montava fin dal profondo del suo corpo. Intanto una goccia di latte stava colando lenta sul vestito, partendo dal seno che stavo ormai straziando con la mano, fino a raggiungere l’ombelico ambrato di lei. Non parve accorgersene, anzi, era del tutto presa dal ricevere le mie carezze che quando le dissi di abbassarsi gli slip e spalancare di nuovo le gambe mi ascoltò rapidamente. Ancora dovevo penetrarla con le dita ma l’odore pungente dei suoi umori mi suggerivano che fosse realmente eccitata. Le baciavo ancora il collo, lei ansimava accanto al suo orecchio, sentiva l’orgasmo vicino mentre il suo clitoride, inviscidito dal suo liquido, era diventato più grosso e sensibile. Decisi allora di essere meno delicato, col tocco, e di stringere più forte i suoi seni, mentre le mie due dita raccoglievano gli umori nelle labbra e li spalmavano sul cappuccio.
- Teo... – continuava a dire lei, arrapata come non mai.
- Eva...
- Sto per venire...
- Non mi fermo, amore...
Strofinai quel clitoride con pazienza e amore fino a quando il suo corpo non s’irrigidì, così tanto da farle colare altro latte, che scese copioso sul suo corpo, fino a raggiungere le punte delle mie dita. Era caldo.
Gli occhi di Eva si spalancarono, il respiro si mozzò di colpo, la bocca si aprì e un gemito strozzato scappò, prima che quella riprendesse il controllo. Si rilassò, lasciandosi cadere nuovamente su di me, prima che decidessi di scendere con le dita più in basso, per penetrarla.
Non mi sorpresi, ma era davvero zuppa; gemette impietosa e alzò gli occhi al cielo, trattenendo urla di piacere mortali per quel momento, perché avrebbero svegliato nostra figlia e ci avrebbe costretti a tornare genitori, spogliandoci dalla veste degli amanti che tanto ci stava appassionando.
- Dammelo.
- Zitta. – feci, infilandole due dita nella fica e lasciando la presa sul seno. L’altra mano, difatti, tornò a massaggiare il suo grilletto, mentre continuavo a penetrarla, sentendo il suo corpo diventare sempre più morbido, sempre più malleabile sotto al mio tocco. Aumentai il ritmo, accelerai, massaggiavo il clitoride fino a quando non sentii nuovamente il suo cuore cominciare a battere come i pistoni di un motore caldo, pronto. Poi mi fermai.
Lei ansimava, provata.
Tirai fuori le due dita. Una vela di liquido, proveniente dalla sua fica, si apriva viscosa tra il mio indice e il mio medio. Infilai le dita nella sua bocca e cominciò a succhiarle, vogliosa.
- Come succhi bene... – le dissi, ormai convinto. Mi alzai, sfilai la camicia e levai le scarpe. Rimasi poi immobile davanti a lei, che si avventò sulla cerniera dei miei jeans come un avvoltoio.
- Vuoi il cazzo, eh?
- Zitto.
Famelica, abbassò la zip e infilò quella mano bollente nei miei boxer, afferrando il corpo rigido del mio cazzo. Lo tirò fuori, lo guardava come se fosse la prima volta che lo avesse visto, grande, lungo, duro.
Lo avvicinò alla bocca, sentivo sulla cappella il caldo del fiato, poi picchiettò leggermente con la lingua sulla punta.
E lo fece una, due, tre volte, prima di avvolgerlo con quelle labbra meravigliose.
Poi lo baciò. Appassionatamente, come se fossero le mie labbra, come io farei con le sue, accompagnando il tutto con leccate forti e delicate, che giravano attorno al mio glande. Sentivo il piacere pungermi, lentamente, mentre la mano destra stringeva l’asta e quella sinistra era intenta ad abbassarmi i pantaloni. Io, poi, l’aiutai, aprendo la cintura e liberandomi poi totalmente dai miei jeans.
A braghe calate, la testa di mia moglie modellava con movimenti delicati e un risucchio meraviglioso il mio cazzo. Lasciò la presa dal pene e mi strinse entrambe le natiche, prima di affondare, spalancando la bocca e cingendo l’asta con le labbra, scendendo e toccandomi i peli pubici col naso.
Poi tornò indietro, succhiando e stringendomi il sedere.
Altri sessanta così e le sarei venuto in gola, e non volevo, non volevo assolutamente, perché desideravo che mi salisse a cavalcioni e mi sbattesse quelle tette enormi sul volto. Ma non riuscivo a fermarla, perché ogni volta che il mio cazzo spariva nella sua bocca non potevo fare altro che innamorarmi della sua espressione, eccitata e contemporaneamente vogliosa.
Mia moglie non era una zoccola, normalmente.
Mia moglie era molto passiva, contenuta. Poche volte si prendeva delle libertà, quando scopavamo, ma quando lo faceva io venivo sempre troppo presto, perché mi eccitava.
E quella volta non sarebbe andata nella stessa maniera.
Erano passati quasi due minuti e lei, imperterrita, mi stava praticando un bocchino delizioso, facendosi arrivare il cazzo fin quasi in gola, che le vedevo le lacrime, e poi tornando indietro, succhiando l’asta del pene e poi la testa.
Ebbi un sussulto, strinsi le natiche, le sue mani ancora a premere sul mio culo, e, involontariamente, il mio cazzo pulsò.
Si fermò, alzò gli occhi, con le lacrime che quasi le colavano.
- Ti è piaciuto, vedo... stavi quasi per venirmi in bocca.
Annuii e calciai lontano da noi i jeans.
- Noi gentiluomini però queste cose non le facciamo...
- Ah no? – sorrise, vedendomi sedere sul divano. Lei si tirò in piedi e lasciò che il vestitino le scivolasse da dosso, prima di finire per terra. Poi salì su di me, si abbassò per baciarmi, coi seni madidi di sudore che toccavano il mio petto villoso, e scese lentamente sul mio cazzo, come se io fossi stato la chiave e lei la serratura.
E l’espressione, gente, l’espressione che aveva sulla faccia, la mia Eva, era sublime: gli occhi socchiusi, quasi ruotati all’indietro, e la bocca spalancata.
Fu lento, come il movimento delicato di un pistone che entrava nel proprio cilindro. Un secondo, un piccolo secondo bastò, prima che lei riprendesse coscienza di lei e mi sorridesse.
- Non sono più stretta come qualche tempo fa... ma tu sei grande abbastanza.
La sua voce rimbalzò contro il mio collo, con la bocca lo baciò, poi succhiò, come fosse una ragazzina dedita ai primi succhiotti, e non aspettava altro che le afferrassi il culo con entrambe le mani e guidassi il suo movimento sul mio cazzo.
E lo feci.
Salì su e si lasciò cadere su di me, mentre un gemito scappò attraverso i suoi denti. I suoi seni strusciavano contro il mio petto, emanando un odore strepitoso e afrodisiaco, che caricò la mia eccitazione.
Strinsi ancor più forte le sue natiche e la guidai sul mio cazzo, su e giù, mentre sentivo la sua fica stringersi a ogni movimento, accogliendo la mia erezione.
- Sei stupenda...
- Cazzo... anche tu.
Ballavamo quel tango lento e fluido, in cui ci allontanavamo e ci avvicinavamo ogni secondo. E io la baciavo, le stringevo il culo con le mani e le massaggiavo quel buco in cui non ero mai riuscito a entrare, durante il nostro fidanzamento, e pochi centimetri sotto sentivo il mio cazzo entrare nella sua vagina incandescente, bagnata, affondare in profondità e toccarle quelle corde che la facevano volare.
A un certo punto, ignorando la guida delle mie mani, prese a saltare indipendente, più forte, inarcando il bacino e toccando i punti che più le piacevano; ansimava forte, con la bocca spalancata a pochi metri dalla mia, cercava con lo sguardo appannato i miei occhi, ricorrendoli dietro le mie palpebre, e intanto stringeva le mie braccia vigorosamente.
- Non venire ora. – mi aveva detto, scivolando avanti e indietro, sfregando il grilletto contro il mio pube. Sentivo il cazzo entrare e uscire dalla sua fica, bagnare la punta delle mie dita, ancora sul suo ano, che intanto si allargava sotto il mio massaggio.
- Cazzo! – urlò, cercando di limitare la voce, per non svegliare Irene nell’altra stanza. Sentivo la sua fica stringersi, sapevo che stesse per raggiungere l’orgasmo e allora decisi di favorirla, trascinandola con la forza dei colpi del mio bacino, aumentando il ritmo.
Bastarono quattro botte ben assestate, gli occhi di mia moglie si spalancarono, la bocca pure, e aderì sul mio corpo pochi secondi dopo. Fu il suo ano ad avvertirmi che Eva stesse venendo, perché cominciò a dilatarsi e a stringersi, in corrispondenza delle pulsazioni della sua fica, che stringeva vigorosamente il mio cazzo.
Non ci pensai due volte, inumidii due dita qualche centimetro più sotto e le infilai dritte nel buco del culo. Quella parve non accorgersene, tanto che il piacere la trascinava, motivo per cui non mi fermai, continuando a scoparmela con tutta la forza che avevo in petto; sentivo il mio cazzo spingere dentro di lei attraverso l’ano, che stavo tormentando con le mie dita.
Eva era in balia di me, la sua fica era totalmente riempita dal mio cazzo e il suo culo continuava a pulsare attorno alle mie dita.
- Non fermarti! – diceva quella, riprendendo a scoparmi da sopra.
- No...
- Com’è bello scoparti... Metti un altro dito...
- Nel culo?
- Sì. E scopami, intanto.
E così, con tre dita nel suo culo, mia moglie prese a danzare nuovamente su di me, col pisello che intanto affondava in quella pozza di umori bollenti e profumati. Premevo forte sia con la mano che col bacino, mentre con l’altra mano le carezzavo i capelli.
- Ti amo... – le dissi, ma quella non mi rispose, in preda all’estasi, che arrivò pochi secondi dopo, anticipata nuovamente dalle pulsazioni del buco del suo culo. E la cosa mi stava eccitando troppo, davvero troppo, per non provare a infilarlo in quel luogo magico.
Il culo di mia moglie.
Le gambe della mia donna tremavano, mentre scivolai fuori da lei. La sua fica lasciò cadere qualche goccia di liquido sulla mia coscia, mentre la testa del mio cazzo premeva accanto alle mie dita. Le levai, lei ansimò, poi percepii il suo ano contrarsi con forza.
Eva ansimava su di me, cercando di non premere troppo sui seni dolenti. Era totalmente sudata, sfinita dagli orgasmi, col volto nell’incavo del mio collo. Il suo respiro era bollente.
- ... merda... merda...
- Amo quando vieni così...
Sorrise, poi avvicinai il cazzo al buco del suo culo, ormai allargato dal mio massaggio. Alzò la testa, raggiunse i miei occhi e poi si leccò le labbra, prima di darmi un casto bacio.
- Non farmi male... – mi disse, sorridendo poi dolcemente. Le efelidi esplodevano sul suo viso, quando sorrideva così gentile.
- Sarò un gentiluomo... – le dissi, vedendola poi scendere. Si stese sul diano, spalancando le gambe, accanto a me, e poi si voltò, per guardarmi nuovamente.
- Prendilo.
Mi alzai, soltanto per inginocchiarmi sul tappeto di seta beige che stava davanti al nostro divano. Mi abbassai per un secondo sulla sua fica, per leccarla e bere i suoi succhi, poi allungai la lingua, lasciando che un po’ di saliva scivolasse proprio sul buco del suo culo. Mi risollevai, guardai i suoi occhi prima di avvicinare il cazzo al suo ano, già largo e pronto a prendermi.
- Fa’ piano, però...
- Sì, sarò gentile...
- Solo perché sono larga, in questo periodo...
- Larghissima.
- Che non sia un’ab...
E spinsi leggermente contro il suo ano. Vidi il bordo increspato e marroncino, più scuro e innervato, che si apriva attorno al mio glande per accoglierlo famelico. Scivolò dentro, la testa, e vidi il suo culo stringersi e poi riallargarsi.
- ...itudine... Ah, cazzo, Teo... cazzo...
- Fa male?
- Sì.
- Esco?
Mi guardò, con quel taglio d’occhi da orientale e fece cenno di no. Anzi, strinse le braccia in modo che i grossi seni si avvicinassero e raggiunse con le mani il suo grilletto.
- Vai, Teo...
E spinsi.
Lo feci delicatamente, costruendo lentamente quella sensazione che mia moglie provava, dimostrata dal suo sguardo supplicante. In cuor suo voleva che finisse presto, ma era eccitata e il suo clitoride, grande e turgido, ne era la dimostrazione. Dal canto mio, ero eccitatissimo di inculare mia moglie, dove non era mai stata violata. Il mio cazzo, infatti non era mai stato così duro.
Lo tirai indietro, poi spinsi di nuovo avanti, premendo e sentendo mia moglie gemere di piacere, mentre stimolava il clitoride con le dita.
- Mi piace... – disse. – Vai avanti.
- Sì.
Spinsi e ritirai indietro, poi spinsi di nuovo, ancora in profondità, e mano a mano che la inculavo e che il mio cazzo le spalancava l’ano vedevo l’orgasmo montarle dal profondo, fino a raggiungerle il volto.
Non durai molto, in quella posizione, forse un minuto o poco più, perché spingendo e spingendo mi resi conto che mia moglie stesse per raggiungere nuovamente il piacere.
E non come faceva sempre, stringendo i pugni e indossando quella maschera meravigliosa di perdizione in volto.
No.
- Cazzo, Teo! Inculami! – urlò, e pochi secondi dopo stava venendo.
Urlò, strinse l’ano con così tanta forza che poco dopo il mio pisello scivolò fuori, e uno spruzzo di liquido trasparente fu sparato fuori dalla sua fica. Mi finì dritto in petto, era caldissimo e profumava di lei.
Irene prese a piangere. L’avevamo svegliata, ma intanto Eva ansimava, gemeva, quasi si lamentava per la potenza che quell’orgasmo aveva raggiunto; le gambe le tremavano, ancora alzate in aria, coi talloni poggiati sulle mie spalle. Stringeva ancora le tette tra le braccia e quando mi resi conto che la mia meravigliosa moglie, sempre trattenuta, sempre rigida, avesse perso ogni controllo, ogni inibizione, non riuscii più a resistere.
Mi alzai, massaggiandomi il glande con la mano ancora bagnata dal suo spruzzo, e mi avvicinai a quel seno.
Lei mi guardava, inerme.
- Stai per venire?
- Su queste zizze meravigliose...
Irene urlava, mia moglie ansimava e io stavo sborrando sulle tette meravigliose di Eva.
Pochi attimi dopo lei era in piedi, ad asciugarsi e a cercare di gestire nostra figlia e le sue crisi di pianto.
Ora Irene ha sei anni ma io ed Eva ci siamo separati. Di tanto in tanto c’incontriamo, per le feste, per gli auguri, quando passo a prendere mia figlia e la porto a stare da me, con la mia compagna, due weekend al mese.
Lei ha ripreso la sua linea, la sua forma sottile, e non ha patito per niente i danni che il tempo ha in serbo per tutti. Rimane sempre una meravigliosa donna.
Una traditrice.
Ma questa... beh, questa è un’altra storia.
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