Sub rosa (parte I: Il libro)
di
hibero
genere
incesti
Com’è che gli dicevano gli amici?
“Ti ritrovi la mentula di un cavallo. Se durante i Floralia non la utilizzi, allora accoppiati coi cani.”
Ilarità generale. Tra amici si poteva scherzare, soprattutto se si trattava di donne e avventure sessuali.
Ma questo della verginità cominciava ad essere un problema per Decimo Fabio Massimo. Qualcosa non andava e lui lo sapeva.
Nel frattempo una fresca alba di primavera si stava portando via i Floralia e così anche l’opportunità di rincasare al mattino, di restare in strada tutta la notte e di avere a portata di mano, ad ogni angolo, prostitute e bevande vietate.
Tutta Roma cadeva nella lussuria e nella sregolatezza durante i Floralia: poteva essere il momento perfetto per perdere la verginità.
Eppure il momento si era creato più di una volta, ma a niente era servita la prostituta di due giorni prima nella Suburra pagata dagli amici, a niente era servita l’attrice dietro la siepe, dopo lo spettacolo al Circo Massimo, qualche ora prima.
Per non parlare delle schiave in casa che durante le festività sembravano più disinibite che mai. Doveva solo possederle con la forza, sarebbe stato tutto concesso.
Aveva anche deciso di esagerare con il vino puro per perdere i freni inibitori.
Non c’era stato verso.
Al momento decisivo, tutte le volte, qualcosa come un blocco arriva nel petto di Decimo.
Per le strade c’è ancora tutta la fauna cittadina, tutte le botteghe sono ancora chiuse. Gli ubriachi sono caduti nel loro vomito, le decorazioni ancora affisse dovunque.
Qualche carro fa un rumore assordante nel silenzio fresco del mattino.
È proprio finita la festa.
Decimo sta indagando da giorni dentro di sé per capire le origini di questa paura che gli impedisce di assaggiare il sapore di una donna.
Ora sulla via del ritorno, un po’ brillo, forse ha trovato la soluzione.
La colpa è tutta di un libro di letteratura erotica greco. Con quelle belle figure così esplicite, pieno di consigli lascivi.
È da un anno che quel libro resta nascosto tutto il giorno dietro una mattonella nella sua stanza; di notte, alla luce di una piccola lucerna, Decimo sfila la mattonella senza fare rumore, tira fuori il libro e legge.
Legge e nel frattempo si eccita ed è costretto ad aiutarsi da solo.
Quella mentula grande quanto quella di un cavallo, il suo caro organo genitale, così possente da avere una fama tutta sua, comincia ad issarsi sotto le lenzuola.
Quel libro l’aveva ricevuto per caso da un amico e gli avrebbe dovuto insegnare tutte le classiche posizioni a letto. Per farsi trovare pronto, insomma.
In realtà, forse perché scambiato con un altro testo, quel libro di un anonimo scrittore greco spiegava ben altro.
Quel libro racchiudeva i segreti della seduzione: insegnava come sedurre le proprie madri per portarle a letto.
Una pratica talmente inusuale, orrida, un’idea da prendere e buttare via per ogni degno Romano, che aveva finito per incuriosire il giovane Decimo.
Ogni pagina, un sussulto al cuore; dettagli minuziosi che lo mandavano fuori di testa.
“E questo quello che si fa in Grecia? E questo quello che fanno i barbari?”, pensava. Non si raccapezzava.
Quel libro lo attirava, lo custodiva gelosamente.
Certo che era impossibile mettere in pratica quei consigli. E forse l’obiettivo non era proprio quello. Era più quell’idea così perversa, il pensiero del proibito che lo incatenava alle pagine.
Sua madre, Lucrezia Sabina dei Claudi, risvegliava gli animi a tutti gli uomini di Roma sin dalla gioventù e con l’età la sua bellezza non aveva eguali.
In molti erano a credere che perfino l’imperatore Augusto le aveva messo gli occhi addosso.
Sciocchezze.
Lucrezia Sabina, matrona rispettata, sensuale e misteriosa, magnifica con qualsiasi cosa che indossi, che quando cammina libera nell’aria i migliori profumi del lontano Oriente, regali degni della sua bellezza.
Questa era la donna che Decimo sognava.
Il ragazzo, consapevole dell’incesto, tuttavia ci stava prendendo gusto. Sapeva di non poter mai arrivare a mettere in pratica neanche uno dei consigli del libro, ma cominciava a guardare con occhi diversi sua madre. Ogni momento della giornata era buono per spiarla, fin quando poteva naturalmente. E poi nei momenti di intimità si masturbava ferocemente pensando a lei.
Un giorno arrivò a sfogliare una pagina che lo incuriosì più di tutte le precedenti.
Il trafiletto recitava:
“Voi, miei giovani lettori, asini dal pene gonfio e pronto ad esplodere, desiderosi di commettere immoralità con la vostra progenitrice -che il vostro presente autore si augura dolce come il miele- ascoltatemi bene.
Nei giorni più caldi ad Atene, quando l’intimità nelle case non esiste, quando i rumori dalle stanze lontane si fanno più vicini, restate svegli.
Arrivate alla porta della vostra progenitrice e ascoltatela; così come gli schiavi Fenici si raggruppavano dietro la porta di Ettore e Andromaca, mentre lei cavalcava il principe troiano, e ascoltando i suoi gemiti si deliziavano da soli, così farete voi con la vostra progenitrice.
Spiate se potete, osservate cosa più l’aggrada. Fate tesoro con gli occhi perché dovrete saper ripetere.”
L’intimità era irrilevante in ogni domus romana, men che meno durante i rapporti sessuali. Poco importava se si veniva ascoltati.
Tra moglie e marito il sesso era comunque praticamente assente, più di quanto non si dicesse.
Decimo non aveva mai scoperto infatti quel lato dei suoi genitori; ma la sera stessa di quel giorno si presentò l’occasione.
Gli venne in mente il libro.
Sì, stavolta poteva fare uno strappo alla regola e ascoltare l’autore greco.
Qualcuno, dall’altro lato del corridoio, faceva rumore. Il sospetto e l’eccitazione crescevano in lui. Qualcuno stava facendo sesso. Uno dei suoi cugini con una concubina? Una schiava?
Il caldo lo spinse ad alzarsi dal letto per andare a vedere.
Man mano che avanzava il passo, i pochi dubbi si allontanavano: quelli erano i gemiti di sua madre.
“Anche mia madre allora si concede a mio padre”, pensò il ragazzo, che credeva sua madre incapace di arrivare a tanto.
La porta non era del tutto chiusa e allora Decimo poté perfino spiare.
Alla luce di una fiamma danzante, il corpo di sua madre stava cavalcando quello di suo padre.
Aveva sempre creduto che solo le prostitute nei lupanari fossero completamente nude durante l’amplesso, ma in quel momento anche sua madre non aveva nient’altro addosso che il bracciale al quale era affezionata.
Sua madre era perfetta per quella posizione.
Un vero uomo romano non avrebbe mai dovuto permettere a sua moglie di dominarlo a letto, ma Decimo pensò che era impossibile resistere a sua madre in quella condizione.
I bellissimi fianchi di Lucrezia davano il ritmo e sembravano donare estremo piacere ad entrambi.
Il padre di Decimo, Lucio Fabio Massimo, aveva impegnate entrambe le mani: quella destra, stringeva un gluteo della matrona, e con l’altra provava a prendere entrambi i seni.
Sembravano posseduti e in grado di non smettere mai.
Ma gli occhi di Decimo erano tutti puntati su sua madre: vederla ansimare, con il capo all’indietro per il troppo piacere, era di una meraviglia rara. Il suo cuore batteva all’impazzata.
Il libro immorale aveva ragione, ne valeva la pena.
Il pene del ragazzo era ormai duro come il marmo. Corse come un ladro nella sua stanza e non poté fare altro che darsi piacere.
Da quella sera, tutte le sere, Decimo prega la dea Suada, la dea della persuasione, affinché sua madre entri per sbaglio in camera sua, nuda come quella notte con suo padre, e faccia lo stesso con lui. Per immetterlo nel mondo degli adulti.
Era il suo sogno, la sua ossessione.
Doveva spingersi oltre e dare retta al libro?
“Ti ritrovi la mentula di un cavallo. Se durante i Floralia non la utilizzi, allora accoppiati coi cani.”
Ilarità generale. Tra amici si poteva scherzare, soprattutto se si trattava di donne e avventure sessuali.
Ma questo della verginità cominciava ad essere un problema per Decimo Fabio Massimo. Qualcosa non andava e lui lo sapeva.
Nel frattempo una fresca alba di primavera si stava portando via i Floralia e così anche l’opportunità di rincasare al mattino, di restare in strada tutta la notte e di avere a portata di mano, ad ogni angolo, prostitute e bevande vietate.
Tutta Roma cadeva nella lussuria e nella sregolatezza durante i Floralia: poteva essere il momento perfetto per perdere la verginità.
Eppure il momento si era creato più di una volta, ma a niente era servita la prostituta di due giorni prima nella Suburra pagata dagli amici, a niente era servita l’attrice dietro la siepe, dopo lo spettacolo al Circo Massimo, qualche ora prima.
Per non parlare delle schiave in casa che durante le festività sembravano più disinibite che mai. Doveva solo possederle con la forza, sarebbe stato tutto concesso.
Aveva anche deciso di esagerare con il vino puro per perdere i freni inibitori.
Non c’era stato verso.
Al momento decisivo, tutte le volte, qualcosa come un blocco arriva nel petto di Decimo.
Per le strade c’è ancora tutta la fauna cittadina, tutte le botteghe sono ancora chiuse. Gli ubriachi sono caduti nel loro vomito, le decorazioni ancora affisse dovunque.
Qualche carro fa un rumore assordante nel silenzio fresco del mattino.
È proprio finita la festa.
Decimo sta indagando da giorni dentro di sé per capire le origini di questa paura che gli impedisce di assaggiare il sapore di una donna.
Ora sulla via del ritorno, un po’ brillo, forse ha trovato la soluzione.
La colpa è tutta di un libro di letteratura erotica greco. Con quelle belle figure così esplicite, pieno di consigli lascivi.
È da un anno che quel libro resta nascosto tutto il giorno dietro una mattonella nella sua stanza; di notte, alla luce di una piccola lucerna, Decimo sfila la mattonella senza fare rumore, tira fuori il libro e legge.
Legge e nel frattempo si eccita ed è costretto ad aiutarsi da solo.
Quella mentula grande quanto quella di un cavallo, il suo caro organo genitale, così possente da avere una fama tutta sua, comincia ad issarsi sotto le lenzuola.
Quel libro l’aveva ricevuto per caso da un amico e gli avrebbe dovuto insegnare tutte le classiche posizioni a letto. Per farsi trovare pronto, insomma.
In realtà, forse perché scambiato con un altro testo, quel libro di un anonimo scrittore greco spiegava ben altro.
Quel libro racchiudeva i segreti della seduzione: insegnava come sedurre le proprie madri per portarle a letto.
Una pratica talmente inusuale, orrida, un’idea da prendere e buttare via per ogni degno Romano, che aveva finito per incuriosire il giovane Decimo.
Ogni pagina, un sussulto al cuore; dettagli minuziosi che lo mandavano fuori di testa.
“E questo quello che si fa in Grecia? E questo quello che fanno i barbari?”, pensava. Non si raccapezzava.
Quel libro lo attirava, lo custodiva gelosamente.
Certo che era impossibile mettere in pratica quei consigli. E forse l’obiettivo non era proprio quello. Era più quell’idea così perversa, il pensiero del proibito che lo incatenava alle pagine.
Sua madre, Lucrezia Sabina dei Claudi, risvegliava gli animi a tutti gli uomini di Roma sin dalla gioventù e con l’età la sua bellezza non aveva eguali.
In molti erano a credere che perfino l’imperatore Augusto le aveva messo gli occhi addosso.
Sciocchezze.
Lucrezia Sabina, matrona rispettata, sensuale e misteriosa, magnifica con qualsiasi cosa che indossi, che quando cammina libera nell’aria i migliori profumi del lontano Oriente, regali degni della sua bellezza.
Questa era la donna che Decimo sognava.
Il ragazzo, consapevole dell’incesto, tuttavia ci stava prendendo gusto. Sapeva di non poter mai arrivare a mettere in pratica neanche uno dei consigli del libro, ma cominciava a guardare con occhi diversi sua madre. Ogni momento della giornata era buono per spiarla, fin quando poteva naturalmente. E poi nei momenti di intimità si masturbava ferocemente pensando a lei.
Un giorno arrivò a sfogliare una pagina che lo incuriosì più di tutte le precedenti.
Il trafiletto recitava:
“Voi, miei giovani lettori, asini dal pene gonfio e pronto ad esplodere, desiderosi di commettere immoralità con la vostra progenitrice -che il vostro presente autore si augura dolce come il miele- ascoltatemi bene.
Nei giorni più caldi ad Atene, quando l’intimità nelle case non esiste, quando i rumori dalle stanze lontane si fanno più vicini, restate svegli.
Arrivate alla porta della vostra progenitrice e ascoltatela; così come gli schiavi Fenici si raggruppavano dietro la porta di Ettore e Andromaca, mentre lei cavalcava il principe troiano, e ascoltando i suoi gemiti si deliziavano da soli, così farete voi con la vostra progenitrice.
Spiate se potete, osservate cosa più l’aggrada. Fate tesoro con gli occhi perché dovrete saper ripetere.”
L’intimità era irrilevante in ogni domus romana, men che meno durante i rapporti sessuali. Poco importava se si veniva ascoltati.
Tra moglie e marito il sesso era comunque praticamente assente, più di quanto non si dicesse.
Decimo non aveva mai scoperto infatti quel lato dei suoi genitori; ma la sera stessa di quel giorno si presentò l’occasione.
Gli venne in mente il libro.
Sì, stavolta poteva fare uno strappo alla regola e ascoltare l’autore greco.
Qualcuno, dall’altro lato del corridoio, faceva rumore. Il sospetto e l’eccitazione crescevano in lui. Qualcuno stava facendo sesso. Uno dei suoi cugini con una concubina? Una schiava?
Il caldo lo spinse ad alzarsi dal letto per andare a vedere.
Man mano che avanzava il passo, i pochi dubbi si allontanavano: quelli erano i gemiti di sua madre.
“Anche mia madre allora si concede a mio padre”, pensò il ragazzo, che credeva sua madre incapace di arrivare a tanto.
La porta non era del tutto chiusa e allora Decimo poté perfino spiare.
Alla luce di una fiamma danzante, il corpo di sua madre stava cavalcando quello di suo padre.
Aveva sempre creduto che solo le prostitute nei lupanari fossero completamente nude durante l’amplesso, ma in quel momento anche sua madre non aveva nient’altro addosso che il bracciale al quale era affezionata.
Sua madre era perfetta per quella posizione.
Un vero uomo romano non avrebbe mai dovuto permettere a sua moglie di dominarlo a letto, ma Decimo pensò che era impossibile resistere a sua madre in quella condizione.
I bellissimi fianchi di Lucrezia davano il ritmo e sembravano donare estremo piacere ad entrambi.
Il padre di Decimo, Lucio Fabio Massimo, aveva impegnate entrambe le mani: quella destra, stringeva un gluteo della matrona, e con l’altra provava a prendere entrambi i seni.
Sembravano posseduti e in grado di non smettere mai.
Ma gli occhi di Decimo erano tutti puntati su sua madre: vederla ansimare, con il capo all’indietro per il troppo piacere, era di una meraviglia rara. Il suo cuore batteva all’impazzata.
Il libro immorale aveva ragione, ne valeva la pena.
Il pene del ragazzo era ormai duro come il marmo. Corse come un ladro nella sua stanza e non poté fare altro che darsi piacere.
Da quella sera, tutte le sere, Decimo prega la dea Suada, la dea della persuasione, affinché sua madre entri per sbaglio in camera sua, nuda come quella notte con suo padre, e faccia lo stesso con lui. Per immetterlo nel mondo degli adulti.
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