Un uomo previdente
di
Erosinfabula
genere
etero
Di Anna mi aveva incuriosito il nick, una geniale fusione tra inglese e latino, dal doppio significato. La contattai, era di una provincia limitrofa alla mia e questo mi forniva sufficienti argomenti per avviare una conversazione scherzosa, essendo un buon conoscitore della sua zona. Seppi che aveva 52 anni, era divorziata, con due figli, e insegnava in un liceo.
Dopo il divorzio aveva avuto un paio di storie con uomini della città in cui insegnava, poi nient'altro.
Andammo avanti a scriverci su messenger per qualche settimana, tra facezie e doppi sensi, senza però mai scadere nella banalità o nella volgarità.
Si affrontavano anche argomenti seri, e quasi sempre ci si trovava d'accordo. Poi, non ricordo perché, la nostra corrispondenza si interruppe. Fui io a non scriverle più, forse perché nel frattempo erano migliorati i rapporti con una mia ex che stavo tentando di riconquistare, non ricordo bene.
Dopo l'interruzione la ricontattai e la trovai per nulla offesa, anzi, ancora più disponibile di prima, dal che dedussi che le ero mancato.
Avevo visto Anna solo in una foto scattata durante un suo viaggio in nord Europa. Stava sulla coperta di una nave, appoggiata alla battagliola, con il vento che le scompigliava un ciuffo di capelli lisci e biondi, sfuggito al nastro che li raccoglieva dietro la nuca. Il viso era quello di una donna comune, senza dettagli particolarmente attraenti o sgradevoli. Era il viso tranquillo e un po' malinconico di una madre di famiglia, così come era sobrio il suo abbigliamento, che nella foto si riduceva ad un pesante cappotto nero sotto il quale premeva prepotentemente un seno procace.
I rapporti con la mia ex non davano segni di miglioramento, sicché decisi di prendermi le mie libertà. Chiesi ad Anna di incontrarla. Lei non disse di no, anche se manifestò le sue preoccupazioni, perché non le era ancora mai capitato di incontrare qualcuno conosciuto in internet. Le suggerii io stesso di vederci in un luogo che fosse abbastanza affollato, e mi resi disponibile per raggiungerla dalle sue parti. Lei invece preferì venire da me, mi disse che le piaceva la zona in cui vivevo e una gita in macchina l'avrebbe fatta volentieri. Fissammo l'appuntamento assecondando la sua agenda, fu stabilito un giorno feriale, sarebbe venuta di pomeriggio, appena liberatasi dagli impegni scolastici. Il luogo scelto per l'incontro era una piazzola di sosta lungo la statale che collegava i nostri due paesi.
A quel tempo possedevo una casetta di campagna, tutta in pietra, invidia dei passanti per la sua caratteristica bellezza. Ne avevo appena completato il restauro e l'avevo anche arredata, sebbene risultasse ancora un po' disadorna. Non v'erano quadri alle pareti, soprammobili, piante ornamentali e tutto ciò che rende l'idea di una casa vissuta. Perfino i letti erano sprovvisti di lenzuola, così come il bagno lo era degli asciugamani. Pensai di dover provvedere almeno alla biancheria: “Perché non si sa mai, mi dissi”. E così, al mattino, mi recai presso un negozio di articoli per la casa. Comprai lenzuola e asciugamani di primissima qualità, quindi tornai alla mia casetta di campagna. Appesi gli asciugamani in bagno e preparai il letto con le lenzuola nuove di zecca, purtroppo non avevo il tempo di lavarle e asciugarle per eliminare quell'odore di appretto che si era sprigionato appena aperti i pacchi di cellophane . “Pazienza”, mi dissi. “Tanto, non credo proprio che serviranno”. Poi andai in pasticceria e comprai dei pasticcini alla pasta di mandorle con amarena, di cui conoscevo già la bontà, quindi al supermercato presi una bottiglietta di Recioto della Valpolicella. Anche quelle prelibatezze, come le lenzuola, sembravano destinate a rimanere intatte, perché un dopo cena a casa mia non era previsto. Anna veniva d me per una serata al ristorante, una bella chiacchierata, bacetto e ritorno a casa. Oltretutto lei aveva anche un bel pezzo di strada da fare al ritorno.
Finalmente giunse l'ora dell'incontro. La chiamai al telefono, le mancava poco all'arrivo. Mi descrisse la sua automobile, un modello coupé di una marca straniera che non avrei potuto confondere con altre, dato che dalle mie parti ne circolavano sì e no un paio. La vidi sbucare dall'ultima curva, ero un pochino emozionato, non avvicinavo una donna da un anno, con la mia ex avevo avuto per lo più colloqui a distanza, e comunque incontrare un'amica di chat per la prima volta è sempre un tuffo al cuore.
Parcheggiò, le aprii la portiera. Ci salutammo con un bacio sulla guancia, poi ci staccammo, come a volerci esaminare a vicenda. Beh, mi vidi davanti una perfetta sconosciuta, nulla o molto poco a che vedere con la persona conosciuta in foto. Lì avevo visto una tranquilla madre di famiglia, acqua e sapone, qui ero in presenza di una donna che aveva usato tutte le armi di seduzione offerte dalla cosmetica. I capelli insignificanti della foto erano diventati mossi e voluminosi, la pelle aveva preso colore con leggere spolverate di fard, pennellate di mascara avevano annerito le ciglia mettendo in risalto gli occhi chiari. Il pesante cappotto nero era diventato uno spolverino rosa, appena più lungo dell'abito a fiori sottostante, piuttosto scollato, che non arrivava a coprire le ginocchia. Le gambe non le avevo ancora mai viste, neanche in foto. Non erano perfette, robuste anziché no, ma ben modellate. Il seno, liberatosi dal peso oppressivo del cappottone nero, danzava allegramente agitando le pietre di una collana lunga e pesante.
Ero sorpreso, avrei preferito riceverla in versione acqua e sapone, come da foto. Cavolo, era un po' troppo appariscente! Mi sarei trovato perfino in leggero imbarazzo dovendola presentare a qualche conoscente eventualmente incontrato (come era probabile che accadesse) al ristorante. Io poi ero vestito al mio solito modo, in jeans, pullover e giubbetto primaverile, non eravamo certo assortiti al meglio!
Sorrise, mettendo in mostra denti appena un po' sporgenti, uno di quei difettucci che possono rendere una donna più sexy, e questo era il suo caso. Sorrise come a voler nascondere l'imbarazzo che fingeva di provare mentre mi confessava di avere urgentemente bisogno della disponibilità di un bagno.
“Non ci sarebbe un bar, qui vicino?” mi chiese.
Sì che c'era, il bar, ma io mica ero così sprovveduto da accompagnarla lì!
“No, di bar qui vicino non ce ne sono, e poi, scusa, perché dovrei accompagnarti in un bar, quando a due passi da qui c'è casa mia?”
“La tua famosa casetta di pietra tanto carina?”, glie l’avevo mostrata in foto.
“Sì, eri curiosa di visitarla, no?”
“Ok, però solo il tempo di vederla e di approfittare dei tuoi servizi”
“Allora perché non mi segui in macchina, così poi la lasci là?”
“Buona idea”, disse, e ci avviammo verso casa mia.
Dopo pochi minuti le aprivo il portone e le indicavo il bagno, quello del piano di sopra, dove avevo appeso gli asciugamani. Quando ebbe finito le mostrai, sempre al piano di sopra, la cameretta e la camera da letto.
“Ma è tutto nuovissimo! Non ci hai mai dormito, qui?”
“No, pensa che le lenzuola le ho comprate proprio stamattina”.
“Ehm, ma come mai proprio stamattina sei andate a comprarle?” Mi chiese con un sorriso malizioso.
“Prima o poi dovevo comprarle, no? Ci tenevo a farti trovare una casa accogliente”
“Uhm, senta un po', giovanotto”, mi fece con un finto tono severo, da professoressa, “non si sarà mica fatto strani programmi, per la serata? Le ricordo che mi ha invitata a cena, e non qui, ma al ristorante!”
“Certo, certo”, le risposi, “ma è ancora presto, e non le ho fatto ancora vedere il salotto, la cucina”, risposi dandole anch'io del lei.
Tornammo al piano terra, le mostrai la cucina e finalmente approdammo in salotto. Non c'era televisore, non c'era nulla che potesse distoglierci dal dialogo con cui intendevo incalzarla per condurla sull'argomento che più mi premeva.
Si accomodò sul divano ed io la seguii sedendo al suo fianco.
“Beh, perché non ti sei seduto sulla poltrona?”, mi chiese.
“Il divano è più comodo”, le risposi avvicinandomi a lei ancora di più.
“Per parlare non è meglio stare uno di fronte all'altro?”
“Per parlare sì”.
“E noi quello dobbiamo fare: parlare”.
“No, io ti devo ghermire”.
“Che devi fare, tu?”
“Ghermirti”
Scoppiò in una risata.
“Ma come ti vengono in mente?” disse. “Se avessi un allievo come te , così ricercato nell'uso delle parole, gli metterei dieci e gli darei pure un bacio in fronte”. “Comunque tu non ghermisci un bel niente”, aggiunse.
“E a me perché non lo dai, un bacio?”
“Giovanotto”, disse riprendendo il finto tono professorale, “lei forse ha bisogno di una doccia fredda”.
Mi avvicinai ancora un po', e lei indietreggiò, fino al bracciolo del divano.
“Ma insomma, stia al suo posto!”, esclamò.
Fingeva di arrabbiarsi, ma il sorriso la tradiva. Avevo capito che la situazione la stuzzicava, doveva solo trovare il coraggio per lasciarsi andare, era solo questione di tempo. Guardò l'orologio, forse sperando che fosse ora di andare a cena, o forse sperando il contrario, chissà, ma intanto le ero già addosso, la baciavo su una guancia. Lei fece per alzarsi ma io, prontamente, le cinsi il braccio intorno al grembo e la trattenni sul divano.
“Ti prego, ci conosciamo da appena un quarto d'ora! Non avere fretta, dai!” disse.
Le rispondevo con i baci, ora sul collo, anche se non riuscivo a dare continuità alla mia azione, perché si dimenava a più non posso. Riuscì ad alzarsi ma in un lampo fui dietro di lei, le avvinghiai i fianchi e la strinsi a me. Le strofinai il cazzo contro le natiche, la sentivo ansimare.
“No, no... non sciupare tutto”, mi supplicava.
“Ma cosa vuoi sciupare! Qui se c'è una cosa che si rischia di sciupare è questa ghiotta occasione”, pensavo tra me e me. Ed insistevo con i baci sul collo, sulle spalle, sulla nuca. Quando capii che ormai stava per cedere allentai la presa sui fianchi e presi a palpeggiarle le tettone. Si era sciolta, ormai mi lasciava fare. Aprii la patta dei pantaloni e lo tirai fuori, duro come un ramo d'ulivo. Le presi una mano e glie lo feci toccare, lei dapprima tenne il palmo aperto, rigido, poi pian piano si ammorbidì e cominciò a maneggiarmelo. A quel punto la ricondussi sul divano e la baciai finalmente sulla bocca. Capii che baciare le piaceva un mondo, usammo le lingue fino a consumarle, avvolgendole l'una all'altra, succhiandocele a vicenda, facendole saettare fuori dalle bocche in un osceno balletto.
Poi le tirai fuori una tetta dalla scollatura e glie la leccai. Mi eccitava quell'odore acre, acetico, sprigionato dalla saliva sfregata sulla pelle. La pelle rosea dell'aureola si increspava al fluttuare della mammella, abbondante ma non più soda. Le succhiavo il capezzolo, lo titillavo con la punta della lingua, e lei con una mano mi accarezzava i capelli, mentre con l'altra continuava a maneggiarmi il cazzo.
Dovevo affondare, non potevo rischiare che ritrovasse quel momento di lucidità necessario per sottrarsi alle mie cure e a andare via. Dovevo incalzarla, farle perdere ogni ritegno. E così le sollevai l'abitino a fiori e cominciai a toccarla lì, tra le cosce. La accarezzai prima attraverso le mutande, già bagnate, poi infilai la mano e le stuzzicai il clitoride con un dito, mentre avevo ripreso a baciarla sulla bocca.
Poi mi inginocchiai a terra, le sfilai le mutande e presi a leccarla, con la lingua a spatola, da su in giù, lentamente, per poi succhiare ogni volta che giungevo dalle parti del clitoride.
Era in estasi, e quando le infilai anche due dita nella vagina non riuscì a trattenere un urlo.
Dopo lunghi minuti di questo trattamento, mi alzai e le parai il cazzo davanti al viso. Mi aspettavo che ricambiasse l'omaggio orale, invece indietreggiò un pochino con la testa e lo impugnò con entrambe le mani, producendosi in una sega per la verità neanche tanto sapiente.
La invitai ad andare di sopra.
“No”, mi rispose, “è la prima volta che ci vediamo, una signora non si concede al primo incontro”.
“Ma cosa cambia, se è il primo o il secondo?”, le dissi, continuando a baciarla dappertutto.
“E poi sono in disordine, sono uscita da scuola e venuta qui”
“Beh, ho già controllato, ho trovato tutto in ordine”, le dissi, alludendo al lungo cunnilingio.
“E tu non hai nemmeno la protezione”
“Che ne sai?” risposi, ma in effetti non ce l'avevo!
“Va be', non è solo quello il problema”, aggiunse.
“Va bene, non facciamo quella cosa lì, però possiamo continuare sul letto quello che abbiamo fatto fin qui, no?” dissi cercando di convincerla.
“Ok, se mi prometti che non ci provi”
“Parola d'onore!”.
Mi assicurai che il portone fosse chiuso e la raggiunsi sulle scale. In un attimo fummo in camera da letto. Si sdraiò, le allargai le gambe, e fu ancora cunnilingio.
Gridava di piacere ad ogni cambiamento di ritmo, ad ogni ghirigoro che eseguivo intorno al suo clitoride. Avevo promesso che non l'avrei penetrata e cercavo di resistere con tutte le mie forze, ma cominciavo ad essere stanco di leccare e basta. Mi alzai sulle ginocchia e mi misi a cavalcioni su di lei, per strofinarle il cazzo sul ventre pingue e risalire fino al seno. Raccolsi le sue tette dai lati del torace e le avvolsi intorno al cazzo, prendendo a fare su e giù in una gustosissima spagnola. Anna sembrava gradire abbastanza, ma non è questo, quel che fa godere una donna. Tornai a dedicarmi a lei, al suo piacere. Ripresi a pennellarle tutto il corpo col cazzo, glie lo passai per tutti gli angoli, tutte le pieghe, fino a quando lo riportai in prossimità della fica. Ci guardammo negli occhi, aveva uno sguardo implorante, ma non mi era chiaro se mi chiedesse di fermarmi o di prenderla. Optai per la seconda ipotesi. Ero sicuro della mia integrità fisica, lei non rischiava nulla, semmai potevo essere io, a rischiare, ma ero abbastanza tranquillo, non sembrava una donna sprovveduta o irresponsabile.
Le feci scivolare la cappella lungo il solco tra le grandi labbra, su e giù per un po', per farla bagnare ancora di più, poi entrai.
La presi n tutte le posizioni possibili: missionaria, pecorina, amazzone, a cucchiaio, alla francese. La sconquassai quando con le sue gambe sulle mie spalle glie lo cacciai fino in gola, sollevandomi sulle braccia e pompando come se facessi delle flessioni, con tutto il peso del mio corpo che spingeva nella sua fica. I suoi umori quasi schizzavano fuori ad ogni affondo!
E strillava, strillava! Per fortuna la casa più vicina era a 50 metri.
Dopo un'oretta le venni dentro, mi aveva assicurato che non correvamo pericoli, con una voce rauca e supplichevole continuava a dirmi : “Dai, ti prego, vienimi dentro, dai, amore mio, dai, vienimi dentro...”. La inondai del mio seme.
Ci rilassammo un po', andai giù a prendere i pasticcini e il vino, che avevo nascosto in un pensile della cucina.
“Ah, ma allora era tutto premeditato!”, esclamò quando le porsi quelle bontà.
“Sono un uomo previdente”, risposi.
Cibo, vino e sesso. Ci scambiammo con le lingue le amarene ancora intere, poi la feci distendere e versai accuratamente un filo di vino lungo tutto il corpo, per poi raccoglierlo con la lingua. Avevamo usato dei bicchieri di plastica, gli unici che avevo, un vero sacrilegio, per quel Recioto degno del più fine cristallo. Però quell'orlo così ampio mi tornò utile per intingervi la cappella, che intanto era tornata gonfia e pronta all'uso. La porsi ad Anna, per farmela leccare. Fin lì ci arrivò, ma non volle sapere di accoglierla in bocca: “Non vorrai mica strozzarmi, con quel coso?” mi disse. Non insistetti, neanche per prenderla dietro quando mi disse che le faceva troppo male. Riprendemmo le danze come prima, fino a tardi, fino a quando non mi fermò dicendomi che la patatina cominciava a bruciarle un po'.
Guardò l'orologio, era quasi mezzanotte, e aveva ben più di un'ora di macchina da fare, per tornare a casa.
Andò sotto la doccia, fu la prima ad usarla in quella casa, e fu la prima ad usare quegli asciugamani, come pure a sporcare quelle lenzuola.
La guardai mentre nuda vagava per la stanza: non era una bellezza assoluta, ben lontana dallo splendore della mia ex, ma era bona e calda, nonostante la sua ritrosia per il sesso orale.
Mentre faceva la doccia mi affacciai alla finestra. Pioveva, una dolce pioggia di primavera. Pensai alla mia ex, per un attimo mi sentii in colpa, come se l'avessi tradita. Poi Anna uscì dal bagno e mi distolse da quei pensieri. Era avvolta fino al seno nel lenzuolo da bagno, e un altro asciugamani lo teneva avviluppato intorno alla testa, come un turbante. Avrei ricominciato a scopare, anche lei lo avrebbe voluto, ma i figli la aspettavano, sebbene fossero stati avvisati del rientro a tarda ora.
La accompagnai all’automobile. Ci scambiammo ancora un bacio, con lei dentro l'abitacolo ed io fuori, incurante della pioggia.
“Arrivederci”, mi disse, col motore già acceso. “Piacere di averla conosciuta”, aggiunse con un sorriso malizioso.
“Piacere tutto mio”, le risposi. Dopo pochi secondi la vidi scomparire nella nebbiolina che avvolgeva le colline.
Dopo il divorzio aveva avuto un paio di storie con uomini della città in cui insegnava, poi nient'altro.
Andammo avanti a scriverci su messenger per qualche settimana, tra facezie e doppi sensi, senza però mai scadere nella banalità o nella volgarità.
Si affrontavano anche argomenti seri, e quasi sempre ci si trovava d'accordo. Poi, non ricordo perché, la nostra corrispondenza si interruppe. Fui io a non scriverle più, forse perché nel frattempo erano migliorati i rapporti con una mia ex che stavo tentando di riconquistare, non ricordo bene.
Dopo l'interruzione la ricontattai e la trovai per nulla offesa, anzi, ancora più disponibile di prima, dal che dedussi che le ero mancato.
Avevo visto Anna solo in una foto scattata durante un suo viaggio in nord Europa. Stava sulla coperta di una nave, appoggiata alla battagliola, con il vento che le scompigliava un ciuffo di capelli lisci e biondi, sfuggito al nastro che li raccoglieva dietro la nuca. Il viso era quello di una donna comune, senza dettagli particolarmente attraenti o sgradevoli. Era il viso tranquillo e un po' malinconico di una madre di famiglia, così come era sobrio il suo abbigliamento, che nella foto si riduceva ad un pesante cappotto nero sotto il quale premeva prepotentemente un seno procace.
I rapporti con la mia ex non davano segni di miglioramento, sicché decisi di prendermi le mie libertà. Chiesi ad Anna di incontrarla. Lei non disse di no, anche se manifestò le sue preoccupazioni, perché non le era ancora mai capitato di incontrare qualcuno conosciuto in internet. Le suggerii io stesso di vederci in un luogo che fosse abbastanza affollato, e mi resi disponibile per raggiungerla dalle sue parti. Lei invece preferì venire da me, mi disse che le piaceva la zona in cui vivevo e una gita in macchina l'avrebbe fatta volentieri. Fissammo l'appuntamento assecondando la sua agenda, fu stabilito un giorno feriale, sarebbe venuta di pomeriggio, appena liberatasi dagli impegni scolastici. Il luogo scelto per l'incontro era una piazzola di sosta lungo la statale che collegava i nostri due paesi.
A quel tempo possedevo una casetta di campagna, tutta in pietra, invidia dei passanti per la sua caratteristica bellezza. Ne avevo appena completato il restauro e l'avevo anche arredata, sebbene risultasse ancora un po' disadorna. Non v'erano quadri alle pareti, soprammobili, piante ornamentali e tutto ciò che rende l'idea di una casa vissuta. Perfino i letti erano sprovvisti di lenzuola, così come il bagno lo era degli asciugamani. Pensai di dover provvedere almeno alla biancheria: “Perché non si sa mai, mi dissi”. E così, al mattino, mi recai presso un negozio di articoli per la casa. Comprai lenzuola e asciugamani di primissima qualità, quindi tornai alla mia casetta di campagna. Appesi gli asciugamani in bagno e preparai il letto con le lenzuola nuove di zecca, purtroppo non avevo il tempo di lavarle e asciugarle per eliminare quell'odore di appretto che si era sprigionato appena aperti i pacchi di cellophane . “Pazienza”, mi dissi. “Tanto, non credo proprio che serviranno”. Poi andai in pasticceria e comprai dei pasticcini alla pasta di mandorle con amarena, di cui conoscevo già la bontà, quindi al supermercato presi una bottiglietta di Recioto della Valpolicella. Anche quelle prelibatezze, come le lenzuola, sembravano destinate a rimanere intatte, perché un dopo cena a casa mia non era previsto. Anna veniva d me per una serata al ristorante, una bella chiacchierata, bacetto e ritorno a casa. Oltretutto lei aveva anche un bel pezzo di strada da fare al ritorno.
Finalmente giunse l'ora dell'incontro. La chiamai al telefono, le mancava poco all'arrivo. Mi descrisse la sua automobile, un modello coupé di una marca straniera che non avrei potuto confondere con altre, dato che dalle mie parti ne circolavano sì e no un paio. La vidi sbucare dall'ultima curva, ero un pochino emozionato, non avvicinavo una donna da un anno, con la mia ex avevo avuto per lo più colloqui a distanza, e comunque incontrare un'amica di chat per la prima volta è sempre un tuffo al cuore.
Parcheggiò, le aprii la portiera. Ci salutammo con un bacio sulla guancia, poi ci staccammo, come a volerci esaminare a vicenda. Beh, mi vidi davanti una perfetta sconosciuta, nulla o molto poco a che vedere con la persona conosciuta in foto. Lì avevo visto una tranquilla madre di famiglia, acqua e sapone, qui ero in presenza di una donna che aveva usato tutte le armi di seduzione offerte dalla cosmetica. I capelli insignificanti della foto erano diventati mossi e voluminosi, la pelle aveva preso colore con leggere spolverate di fard, pennellate di mascara avevano annerito le ciglia mettendo in risalto gli occhi chiari. Il pesante cappotto nero era diventato uno spolverino rosa, appena più lungo dell'abito a fiori sottostante, piuttosto scollato, che non arrivava a coprire le ginocchia. Le gambe non le avevo ancora mai viste, neanche in foto. Non erano perfette, robuste anziché no, ma ben modellate. Il seno, liberatosi dal peso oppressivo del cappottone nero, danzava allegramente agitando le pietre di una collana lunga e pesante.
Ero sorpreso, avrei preferito riceverla in versione acqua e sapone, come da foto. Cavolo, era un po' troppo appariscente! Mi sarei trovato perfino in leggero imbarazzo dovendola presentare a qualche conoscente eventualmente incontrato (come era probabile che accadesse) al ristorante. Io poi ero vestito al mio solito modo, in jeans, pullover e giubbetto primaverile, non eravamo certo assortiti al meglio!
Sorrise, mettendo in mostra denti appena un po' sporgenti, uno di quei difettucci che possono rendere una donna più sexy, e questo era il suo caso. Sorrise come a voler nascondere l'imbarazzo che fingeva di provare mentre mi confessava di avere urgentemente bisogno della disponibilità di un bagno.
“Non ci sarebbe un bar, qui vicino?” mi chiese.
Sì che c'era, il bar, ma io mica ero così sprovveduto da accompagnarla lì!
“No, di bar qui vicino non ce ne sono, e poi, scusa, perché dovrei accompagnarti in un bar, quando a due passi da qui c'è casa mia?”
“La tua famosa casetta di pietra tanto carina?”, glie l’avevo mostrata in foto.
“Sì, eri curiosa di visitarla, no?”
“Ok, però solo il tempo di vederla e di approfittare dei tuoi servizi”
“Allora perché non mi segui in macchina, così poi la lasci là?”
“Buona idea”, disse, e ci avviammo verso casa mia.
Dopo pochi minuti le aprivo il portone e le indicavo il bagno, quello del piano di sopra, dove avevo appeso gli asciugamani. Quando ebbe finito le mostrai, sempre al piano di sopra, la cameretta e la camera da letto.
“Ma è tutto nuovissimo! Non ci hai mai dormito, qui?”
“No, pensa che le lenzuola le ho comprate proprio stamattina”.
“Ehm, ma come mai proprio stamattina sei andate a comprarle?” Mi chiese con un sorriso malizioso.
“Prima o poi dovevo comprarle, no? Ci tenevo a farti trovare una casa accogliente”
“Uhm, senta un po', giovanotto”, mi fece con un finto tono severo, da professoressa, “non si sarà mica fatto strani programmi, per la serata? Le ricordo che mi ha invitata a cena, e non qui, ma al ristorante!”
“Certo, certo”, le risposi, “ma è ancora presto, e non le ho fatto ancora vedere il salotto, la cucina”, risposi dandole anch'io del lei.
Tornammo al piano terra, le mostrai la cucina e finalmente approdammo in salotto. Non c'era televisore, non c'era nulla che potesse distoglierci dal dialogo con cui intendevo incalzarla per condurla sull'argomento che più mi premeva.
Si accomodò sul divano ed io la seguii sedendo al suo fianco.
“Beh, perché non ti sei seduto sulla poltrona?”, mi chiese.
“Il divano è più comodo”, le risposi avvicinandomi a lei ancora di più.
“Per parlare non è meglio stare uno di fronte all'altro?”
“Per parlare sì”.
“E noi quello dobbiamo fare: parlare”.
“No, io ti devo ghermire”.
“Che devi fare, tu?”
“Ghermirti”
Scoppiò in una risata.
“Ma come ti vengono in mente?” disse. “Se avessi un allievo come te , così ricercato nell'uso delle parole, gli metterei dieci e gli darei pure un bacio in fronte”. “Comunque tu non ghermisci un bel niente”, aggiunse.
“E a me perché non lo dai, un bacio?”
“Giovanotto”, disse riprendendo il finto tono professorale, “lei forse ha bisogno di una doccia fredda”.
Mi avvicinai ancora un po', e lei indietreggiò, fino al bracciolo del divano.
“Ma insomma, stia al suo posto!”, esclamò.
Fingeva di arrabbiarsi, ma il sorriso la tradiva. Avevo capito che la situazione la stuzzicava, doveva solo trovare il coraggio per lasciarsi andare, era solo questione di tempo. Guardò l'orologio, forse sperando che fosse ora di andare a cena, o forse sperando il contrario, chissà, ma intanto le ero già addosso, la baciavo su una guancia. Lei fece per alzarsi ma io, prontamente, le cinsi il braccio intorno al grembo e la trattenni sul divano.
“Ti prego, ci conosciamo da appena un quarto d'ora! Non avere fretta, dai!” disse.
Le rispondevo con i baci, ora sul collo, anche se non riuscivo a dare continuità alla mia azione, perché si dimenava a più non posso. Riuscì ad alzarsi ma in un lampo fui dietro di lei, le avvinghiai i fianchi e la strinsi a me. Le strofinai il cazzo contro le natiche, la sentivo ansimare.
“No, no... non sciupare tutto”, mi supplicava.
“Ma cosa vuoi sciupare! Qui se c'è una cosa che si rischia di sciupare è questa ghiotta occasione”, pensavo tra me e me. Ed insistevo con i baci sul collo, sulle spalle, sulla nuca. Quando capii che ormai stava per cedere allentai la presa sui fianchi e presi a palpeggiarle le tettone. Si era sciolta, ormai mi lasciava fare. Aprii la patta dei pantaloni e lo tirai fuori, duro come un ramo d'ulivo. Le presi una mano e glie lo feci toccare, lei dapprima tenne il palmo aperto, rigido, poi pian piano si ammorbidì e cominciò a maneggiarmelo. A quel punto la ricondussi sul divano e la baciai finalmente sulla bocca. Capii che baciare le piaceva un mondo, usammo le lingue fino a consumarle, avvolgendole l'una all'altra, succhiandocele a vicenda, facendole saettare fuori dalle bocche in un osceno balletto.
Poi le tirai fuori una tetta dalla scollatura e glie la leccai. Mi eccitava quell'odore acre, acetico, sprigionato dalla saliva sfregata sulla pelle. La pelle rosea dell'aureola si increspava al fluttuare della mammella, abbondante ma non più soda. Le succhiavo il capezzolo, lo titillavo con la punta della lingua, e lei con una mano mi accarezzava i capelli, mentre con l'altra continuava a maneggiarmi il cazzo.
Dovevo affondare, non potevo rischiare che ritrovasse quel momento di lucidità necessario per sottrarsi alle mie cure e a andare via. Dovevo incalzarla, farle perdere ogni ritegno. E così le sollevai l'abitino a fiori e cominciai a toccarla lì, tra le cosce. La accarezzai prima attraverso le mutande, già bagnate, poi infilai la mano e le stuzzicai il clitoride con un dito, mentre avevo ripreso a baciarla sulla bocca.
Poi mi inginocchiai a terra, le sfilai le mutande e presi a leccarla, con la lingua a spatola, da su in giù, lentamente, per poi succhiare ogni volta che giungevo dalle parti del clitoride.
Era in estasi, e quando le infilai anche due dita nella vagina non riuscì a trattenere un urlo.
Dopo lunghi minuti di questo trattamento, mi alzai e le parai il cazzo davanti al viso. Mi aspettavo che ricambiasse l'omaggio orale, invece indietreggiò un pochino con la testa e lo impugnò con entrambe le mani, producendosi in una sega per la verità neanche tanto sapiente.
La invitai ad andare di sopra.
“No”, mi rispose, “è la prima volta che ci vediamo, una signora non si concede al primo incontro”.
“Ma cosa cambia, se è il primo o il secondo?”, le dissi, continuando a baciarla dappertutto.
“E poi sono in disordine, sono uscita da scuola e venuta qui”
“Beh, ho già controllato, ho trovato tutto in ordine”, le dissi, alludendo al lungo cunnilingio.
“E tu non hai nemmeno la protezione”
“Che ne sai?” risposi, ma in effetti non ce l'avevo!
“Va be', non è solo quello il problema”, aggiunse.
“Va bene, non facciamo quella cosa lì, però possiamo continuare sul letto quello che abbiamo fatto fin qui, no?” dissi cercando di convincerla.
“Ok, se mi prometti che non ci provi”
“Parola d'onore!”.
Mi assicurai che il portone fosse chiuso e la raggiunsi sulle scale. In un attimo fummo in camera da letto. Si sdraiò, le allargai le gambe, e fu ancora cunnilingio.
Gridava di piacere ad ogni cambiamento di ritmo, ad ogni ghirigoro che eseguivo intorno al suo clitoride. Avevo promesso che non l'avrei penetrata e cercavo di resistere con tutte le mie forze, ma cominciavo ad essere stanco di leccare e basta. Mi alzai sulle ginocchia e mi misi a cavalcioni su di lei, per strofinarle il cazzo sul ventre pingue e risalire fino al seno. Raccolsi le sue tette dai lati del torace e le avvolsi intorno al cazzo, prendendo a fare su e giù in una gustosissima spagnola. Anna sembrava gradire abbastanza, ma non è questo, quel che fa godere una donna. Tornai a dedicarmi a lei, al suo piacere. Ripresi a pennellarle tutto il corpo col cazzo, glie lo passai per tutti gli angoli, tutte le pieghe, fino a quando lo riportai in prossimità della fica. Ci guardammo negli occhi, aveva uno sguardo implorante, ma non mi era chiaro se mi chiedesse di fermarmi o di prenderla. Optai per la seconda ipotesi. Ero sicuro della mia integrità fisica, lei non rischiava nulla, semmai potevo essere io, a rischiare, ma ero abbastanza tranquillo, non sembrava una donna sprovveduta o irresponsabile.
Le feci scivolare la cappella lungo il solco tra le grandi labbra, su e giù per un po', per farla bagnare ancora di più, poi entrai.
La presi n tutte le posizioni possibili: missionaria, pecorina, amazzone, a cucchiaio, alla francese. La sconquassai quando con le sue gambe sulle mie spalle glie lo cacciai fino in gola, sollevandomi sulle braccia e pompando come se facessi delle flessioni, con tutto il peso del mio corpo che spingeva nella sua fica. I suoi umori quasi schizzavano fuori ad ogni affondo!
E strillava, strillava! Per fortuna la casa più vicina era a 50 metri.
Dopo un'oretta le venni dentro, mi aveva assicurato che non correvamo pericoli, con una voce rauca e supplichevole continuava a dirmi : “Dai, ti prego, vienimi dentro, dai, amore mio, dai, vienimi dentro...”. La inondai del mio seme.
Ci rilassammo un po', andai giù a prendere i pasticcini e il vino, che avevo nascosto in un pensile della cucina.
“Ah, ma allora era tutto premeditato!”, esclamò quando le porsi quelle bontà.
“Sono un uomo previdente”, risposi.
Cibo, vino e sesso. Ci scambiammo con le lingue le amarene ancora intere, poi la feci distendere e versai accuratamente un filo di vino lungo tutto il corpo, per poi raccoglierlo con la lingua. Avevamo usato dei bicchieri di plastica, gli unici che avevo, un vero sacrilegio, per quel Recioto degno del più fine cristallo. Però quell'orlo così ampio mi tornò utile per intingervi la cappella, che intanto era tornata gonfia e pronta all'uso. La porsi ad Anna, per farmela leccare. Fin lì ci arrivò, ma non volle sapere di accoglierla in bocca: “Non vorrai mica strozzarmi, con quel coso?” mi disse. Non insistetti, neanche per prenderla dietro quando mi disse che le faceva troppo male. Riprendemmo le danze come prima, fino a tardi, fino a quando non mi fermò dicendomi che la patatina cominciava a bruciarle un po'.
Guardò l'orologio, era quasi mezzanotte, e aveva ben più di un'ora di macchina da fare, per tornare a casa.
Andò sotto la doccia, fu la prima ad usarla in quella casa, e fu la prima ad usare quegli asciugamani, come pure a sporcare quelle lenzuola.
La guardai mentre nuda vagava per la stanza: non era una bellezza assoluta, ben lontana dallo splendore della mia ex, ma era bona e calda, nonostante la sua ritrosia per il sesso orale.
Mentre faceva la doccia mi affacciai alla finestra. Pioveva, una dolce pioggia di primavera. Pensai alla mia ex, per un attimo mi sentii in colpa, come se l'avessi tradita. Poi Anna uscì dal bagno e mi distolse da quei pensieri. Era avvolta fino al seno nel lenzuolo da bagno, e un altro asciugamani lo teneva avviluppato intorno alla testa, come un turbante. Avrei ricominciato a scopare, anche lei lo avrebbe voluto, ma i figli la aspettavano, sebbene fossero stati avvisati del rientro a tarda ora.
La accompagnai all’automobile. Ci scambiammo ancora un bacio, con lei dentro l'abitacolo ed io fuori, incurante della pioggia.
“Arrivederci”, mi disse, col motore già acceso. “Piacere di averla conosciuta”, aggiunse con un sorriso malizioso.
“Piacere tutto mio”, le risposi. Dopo pochi secondi la vidi scomparire nella nebbiolina che avvolgeva le colline.
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