Irresistibile
di
Thomas
genere
pissing
Era un uomo grande e grosso. Il contrario di mio marito, che piace – a me e non solo a me – per il suo aspetto distinto, e i modi british.
Erano anni che non sentivo più il bisogno di essere trattata in un certo modo. Pensavo di essere cambiata, dopo il matrimonio. Che non avrei sentito più il bisogno di essere umiliata, presa con prepotenza. O di pronunciare certe parole. All’inizio lo facevo anche con mio marito, gli devo “sborrami addosso”, o “riempimi la fica”, ma dopo un po’ avevo smesso. Ed ero contenta così. Ma quest’uomo – l’elettricista – che da alcuni mesi frequentava casa nostra, mi smuoveva qualcosa. Il suo modo di muoversi, così ursino. La sua fisicità.
Aveva fatto tutto l’impianto elettrico della nuova casa, in fretta e bene, e l’avevamo pagato il giusto. Adesso gli avevo dato dei piccoli lavoretti, perché non era bravo solo come elettricista, all’occorrenza sapeva fare un po’ di tutto.
In casa quel giorno eravamo soli. Andrea non sarebbe arrivato che il giorno dopo, stava facendo una trasferta di lavoro. Avevamo alle spalle un’estate torrida, trasformatasi in uno splendido settembre. La campagna di fronte al terrazzo di casa sembrava si stesse preparando a qualcosa.
Lui è arrivato alle due, e si è messo a lavorare al piano di sopra. Io facevo il mio in cucina, una volta mi aveva detto che ero brava con le mani, quando mi aveva vista dare la vernice sulle antine dei mobili. Poi c’era stato un istante di silenzio, fra noi. Dopodiché, aveva cambiato discorso.
Indossavo pantaloncini corti, e una t-shirt. Avevo già sentito i suoi occhi addosso, quando gli voltavo le spalle. Un pomeriggio era entrato in una stanza mentre lavoravo inginocchiata per terra, ero tutta sporca. Aveva pensato anche lui quello che avevo pensato subito io? Che avrei potuto tirarglielo fuori, fargli un pompino, farlo venire sulla mia faccia, fra i miei capelli? Ripensandoci quella sera mi ero masturbata, in bagno, mio marito già a letto. Avevo avuto un orgasmo veloce e potentissimo.
Ma l’elettricista era sempre stato molto corretto, con noi.
Alle quattro l’ho chiamato, gli ho urlato dalle scale se voleva un caffè. Ha risposto sì. E’ venuto giù, la maglietta grigia aveva una grande chiazza sulla pancia sporgente, e altre sotto le ascelle. Si è lavato le mani nel lavandino, mentre versavo il caffè nelle tazze. L’abbiamo bevuto in piedi.
- Buonissimo – ha detto.
Poi si è scusato, ha chiesto se poteva andare in bagno.
- Certo, sai dov’è.
Ha aperto la porta e acceso la luce, ma il bagno è rimasto buio.
- Ah, sì. – ho detto, ricordando, improvvisamente – Si è fulminata ieri.
- Di già?
Sì e messo a ridere. – Un bel problema.
Lo era, un po’, perché è un bagno cieco.
- Ne ha una?
- Sì – ho detto. Ho frugato in un cassetto fin che non ho trovato la lampadina. Lui ha preso la scala, l’ha messa al centro del bagno ed è salito.
- Stai attento – ho detto. Mi hanno insegnato fin da bambina che se uno sale su una scala qualcuno di sotto gliela dovrebbe tenere, e così ho fatto.
- Non si preoccupi – mi ha rassicurato. Lo vedevo da sotto in su. La panciona in evidenza, oltre il bordo dei pantaloni
Ha fatto in fretta, mi ha passato la lampadina fulminata e ha messo quella buona.
- Provi adesso.
Ho premuto l’interruttore.
- Bingo – ha esclamato, soddisfatto.
Poi è sceso. Io gli reggevo ancora la scala. Quando a messo piede a terra ci siamo trovati molti vicini. Ci siamo guardati. Sentivo il suo odore.
Come si è mosso dopo non me l’aspettavo. Mi ha afferrato una natica con una di quelle mani pelose, fatte per maneggiare cavi e pinze, come se avesse perso la testa, e non fosse riuscito a farne a meno. Ho sentito come una scarica elettrica partire da lì e arrivare fino alla punta dei capelli. Siamo rimasti un istante ancora a fissarci, con le bocche mezze aperte. Potevo ancora respingerlo, cacciarlo. Togliere la sua mano. Ha tirato fuori la lingua a cercare la mia. Non ho capito più niente e l’ho ricambiato.
Ora stringeva saldamente il mio culo nelle sue mani. Mi ha sollevata di peso. Non sono una piuma, ma gli sono saltata in grembo, a gambe aperte, le braccia aggrappate alla sua schiena. Mi ha spinta contro il muro baciando furiosamente il mio collo. Spingeva col bacino, con tutto il corpo, schiacciandomi contro le piastrelle. Sentivo la sua barba pungermi il mento. Doveva averlo già duro, mi avrebbe scopata in piedi tanto aveva fame. Poi però, dopo un pò, ha deciso che voleva un appoggio morbido. Senza posarmi, sempre sorreggendomi con le mani sul mio fondoschiena, mi ha trasportata in camera, sapeva dove sono le stanze della casa, ovviamente. Mi ha rovesciata sul letto, dove c’era poi solo un materasso perché io e mio marito dormiamo ancora di sopra, in un’altra camera. Mi sono slacciata i pantaloncini per agevolarlo, e lui me li ha strappati di dosso. Pantaloncini e anche mutande. Ero allagata. Prima che si inginocchiasse fra le mie gambe mi sono tirata su, volevo tiraglielo fuori io adesso. L’ho accarezzato attraverso i jeans, lui mi ha affondato le dita nei capelli. Lo sentivo premere, durissimo. Gli ho slacciato la cintura e gli ho abbassato la zip, ho calato gli slip, come drogata. Ed eccolo, come me l’immaginavo. Grosso, gonfio, nel palmo dlela mia mano. L’ho preso in bocca, era salato. L’ho succhiato un po’, mugolando come una cagna, massaggiando la base con la mano. Poi gliel’ho leccato con tutta la lingua, e gli ho leccato anche i coglioni. Mi stringeva i capelli come se volesse scalparmi. Quanto tempo.
Improvvisamente mi sono ricordata una cosa.
- Non dovevi pisciare? – ho chiesto.
E lui: - Sì.
- Dai, fallo – l’ho incoraggiato.
Ho colto lo stupore nei suoi occhi. Chissà se lo aveva mai fatto. Ho pensato di sì. Io molte volte. Ma a mio marito anche quella era una cosa che non l’attirava.
Se l’è preso in mano. Me l’ha sbattuto sulla faccia, sul naso. Era troppo duro, lo sapevo. Mi sono staccata da lui, sdraiandomi sulla schiena e allargando le gambe.
- Dai, pisciami addosso – l’ho incoraggiato di nuovo, chiudendo gli occhi..
E’ salito sul materasso con le ginocchia. Non gli ho messo fretta. Con le mani mi accarezzavo i seni, da sopra la maglietta, che avevo ancora addosso. Ho aspettato forse un minuto. Poi ho sentito un fiotto caldo sulla pancia. Sì, oddio, finalmente.
Ha aggiustato la mira e mi ha lavata fra le gambe. Non finiva più, una serie di fiotti violenti, dritti sul clitoride, sul monte di Venere. Il giorno dopo avrei dovuto portare il materasso a pulire, ed era nuovo.
Con gli ultimi spruzzi mi ha inzuppato anche la maglietta, uno schizzo mi ha bagnato la faccia.
Poi, quasi subito, ho sentito le sue mani divaricarmi le cosce. Ed è entrato, senza complimenti.
Le parole mi sono uscite automaticamente, quelle che con mio marito non usavo più.
- Sì, scopami, scopami come una troia.
Lui ha preso a sbattermi con violenza, e ha iniziato a parlare sua volta: - Sì, troia, prendilo, prendilo, ti piace?
È andato avanti a sbattermi un bel po’, con quel ventre rumoroso, ciac, ciak, faceva così, e mi h fatto venire una prima volta, gemendo, un orgasmo anche ti testa, prodotto dalla situazione. Poi mi ha girata. Mi sono messa in ginocchio e ho lasciato che mi prendesse da dietro, incitandolo ancora. – Scopami, scopami, svuotati i coglioni.
Ha spettato che il mio ah ah crescesse, di nuovo. Tremavo come una cagna. Mi ha schiaffeggiato il culo mentre godevo. Quindi mi ha dato qualche altro colpo di cazzo, l’ha tirato fuori e mi ha sborrato sul culo.
Sono rimasta lì, piegata, le sue mani che ancora mi stringevano i fianchi, non osavo guardarlo. Sarebbe rimasto il segno, di quelle mani? Mio marito se ne sarebbe accorto? Mi ha accarezzato la figa con le dita, gentile, adesso. Finalmente mi sono girata, ho trovato il coraggio di guardalo. Ero lorda di lui, di tutti i suoi fluidi, piscio, sperma, saliva. Ce l’aveva ancora duro. Gliel’ho preso in bocca e ho succhiato le ultime gocce. Mi sfiorava i lobi delle orechie con i polpastrelli, facendomi rabbrividire. Avevamo ancora tutta la sera davanti.
Erano anni che non sentivo più il bisogno di essere trattata in un certo modo. Pensavo di essere cambiata, dopo il matrimonio. Che non avrei sentito più il bisogno di essere umiliata, presa con prepotenza. O di pronunciare certe parole. All’inizio lo facevo anche con mio marito, gli devo “sborrami addosso”, o “riempimi la fica”, ma dopo un po’ avevo smesso. Ed ero contenta così. Ma quest’uomo – l’elettricista – che da alcuni mesi frequentava casa nostra, mi smuoveva qualcosa. Il suo modo di muoversi, così ursino. La sua fisicità.
Aveva fatto tutto l’impianto elettrico della nuova casa, in fretta e bene, e l’avevamo pagato il giusto. Adesso gli avevo dato dei piccoli lavoretti, perché non era bravo solo come elettricista, all’occorrenza sapeva fare un po’ di tutto.
In casa quel giorno eravamo soli. Andrea non sarebbe arrivato che il giorno dopo, stava facendo una trasferta di lavoro. Avevamo alle spalle un’estate torrida, trasformatasi in uno splendido settembre. La campagna di fronte al terrazzo di casa sembrava si stesse preparando a qualcosa.
Lui è arrivato alle due, e si è messo a lavorare al piano di sopra. Io facevo il mio in cucina, una volta mi aveva detto che ero brava con le mani, quando mi aveva vista dare la vernice sulle antine dei mobili. Poi c’era stato un istante di silenzio, fra noi. Dopodiché, aveva cambiato discorso.
Indossavo pantaloncini corti, e una t-shirt. Avevo già sentito i suoi occhi addosso, quando gli voltavo le spalle. Un pomeriggio era entrato in una stanza mentre lavoravo inginocchiata per terra, ero tutta sporca. Aveva pensato anche lui quello che avevo pensato subito io? Che avrei potuto tirarglielo fuori, fargli un pompino, farlo venire sulla mia faccia, fra i miei capelli? Ripensandoci quella sera mi ero masturbata, in bagno, mio marito già a letto. Avevo avuto un orgasmo veloce e potentissimo.
Ma l’elettricista era sempre stato molto corretto, con noi.
Alle quattro l’ho chiamato, gli ho urlato dalle scale se voleva un caffè. Ha risposto sì. E’ venuto giù, la maglietta grigia aveva una grande chiazza sulla pancia sporgente, e altre sotto le ascelle. Si è lavato le mani nel lavandino, mentre versavo il caffè nelle tazze. L’abbiamo bevuto in piedi.
- Buonissimo – ha detto.
Poi si è scusato, ha chiesto se poteva andare in bagno.
- Certo, sai dov’è.
Ha aperto la porta e acceso la luce, ma il bagno è rimasto buio.
- Ah, sì. – ho detto, ricordando, improvvisamente – Si è fulminata ieri.
- Di già?
Sì e messo a ridere. – Un bel problema.
Lo era, un po’, perché è un bagno cieco.
- Ne ha una?
- Sì – ho detto. Ho frugato in un cassetto fin che non ho trovato la lampadina. Lui ha preso la scala, l’ha messa al centro del bagno ed è salito.
- Stai attento – ho detto. Mi hanno insegnato fin da bambina che se uno sale su una scala qualcuno di sotto gliela dovrebbe tenere, e così ho fatto.
- Non si preoccupi – mi ha rassicurato. Lo vedevo da sotto in su. La panciona in evidenza, oltre il bordo dei pantaloni
Ha fatto in fretta, mi ha passato la lampadina fulminata e ha messo quella buona.
- Provi adesso.
Ho premuto l’interruttore.
- Bingo – ha esclamato, soddisfatto.
Poi è sceso. Io gli reggevo ancora la scala. Quando a messo piede a terra ci siamo trovati molti vicini. Ci siamo guardati. Sentivo il suo odore.
Come si è mosso dopo non me l’aspettavo. Mi ha afferrato una natica con una di quelle mani pelose, fatte per maneggiare cavi e pinze, come se avesse perso la testa, e non fosse riuscito a farne a meno. Ho sentito come una scarica elettrica partire da lì e arrivare fino alla punta dei capelli. Siamo rimasti un istante ancora a fissarci, con le bocche mezze aperte. Potevo ancora respingerlo, cacciarlo. Togliere la sua mano. Ha tirato fuori la lingua a cercare la mia. Non ho capito più niente e l’ho ricambiato.
Ora stringeva saldamente il mio culo nelle sue mani. Mi ha sollevata di peso. Non sono una piuma, ma gli sono saltata in grembo, a gambe aperte, le braccia aggrappate alla sua schiena. Mi ha spinta contro il muro baciando furiosamente il mio collo. Spingeva col bacino, con tutto il corpo, schiacciandomi contro le piastrelle. Sentivo la sua barba pungermi il mento. Doveva averlo già duro, mi avrebbe scopata in piedi tanto aveva fame. Poi però, dopo un pò, ha deciso che voleva un appoggio morbido. Senza posarmi, sempre sorreggendomi con le mani sul mio fondoschiena, mi ha trasportata in camera, sapeva dove sono le stanze della casa, ovviamente. Mi ha rovesciata sul letto, dove c’era poi solo un materasso perché io e mio marito dormiamo ancora di sopra, in un’altra camera. Mi sono slacciata i pantaloncini per agevolarlo, e lui me li ha strappati di dosso. Pantaloncini e anche mutande. Ero allagata. Prima che si inginocchiasse fra le mie gambe mi sono tirata su, volevo tiraglielo fuori io adesso. L’ho accarezzato attraverso i jeans, lui mi ha affondato le dita nei capelli. Lo sentivo premere, durissimo. Gli ho slacciato la cintura e gli ho abbassato la zip, ho calato gli slip, come drogata. Ed eccolo, come me l’immaginavo. Grosso, gonfio, nel palmo dlela mia mano. L’ho preso in bocca, era salato. L’ho succhiato un po’, mugolando come una cagna, massaggiando la base con la mano. Poi gliel’ho leccato con tutta la lingua, e gli ho leccato anche i coglioni. Mi stringeva i capelli come se volesse scalparmi. Quanto tempo.
Improvvisamente mi sono ricordata una cosa.
- Non dovevi pisciare? – ho chiesto.
E lui: - Sì.
- Dai, fallo – l’ho incoraggiato.
Ho colto lo stupore nei suoi occhi. Chissà se lo aveva mai fatto. Ho pensato di sì. Io molte volte. Ma a mio marito anche quella era una cosa che non l’attirava.
Se l’è preso in mano. Me l’ha sbattuto sulla faccia, sul naso. Era troppo duro, lo sapevo. Mi sono staccata da lui, sdraiandomi sulla schiena e allargando le gambe.
- Dai, pisciami addosso – l’ho incoraggiato di nuovo, chiudendo gli occhi..
E’ salito sul materasso con le ginocchia. Non gli ho messo fretta. Con le mani mi accarezzavo i seni, da sopra la maglietta, che avevo ancora addosso. Ho aspettato forse un minuto. Poi ho sentito un fiotto caldo sulla pancia. Sì, oddio, finalmente.
Ha aggiustato la mira e mi ha lavata fra le gambe. Non finiva più, una serie di fiotti violenti, dritti sul clitoride, sul monte di Venere. Il giorno dopo avrei dovuto portare il materasso a pulire, ed era nuovo.
Con gli ultimi spruzzi mi ha inzuppato anche la maglietta, uno schizzo mi ha bagnato la faccia.
Poi, quasi subito, ho sentito le sue mani divaricarmi le cosce. Ed è entrato, senza complimenti.
Le parole mi sono uscite automaticamente, quelle che con mio marito non usavo più.
- Sì, scopami, scopami come una troia.
Lui ha preso a sbattermi con violenza, e ha iniziato a parlare sua volta: - Sì, troia, prendilo, prendilo, ti piace?
È andato avanti a sbattermi un bel po’, con quel ventre rumoroso, ciac, ciak, faceva così, e mi h fatto venire una prima volta, gemendo, un orgasmo anche ti testa, prodotto dalla situazione. Poi mi ha girata. Mi sono messa in ginocchio e ho lasciato che mi prendesse da dietro, incitandolo ancora. – Scopami, scopami, svuotati i coglioni.
Ha spettato che il mio ah ah crescesse, di nuovo. Tremavo come una cagna. Mi ha schiaffeggiato il culo mentre godevo. Quindi mi ha dato qualche altro colpo di cazzo, l’ha tirato fuori e mi ha sborrato sul culo.
Sono rimasta lì, piegata, le sue mani che ancora mi stringevano i fianchi, non osavo guardarlo. Sarebbe rimasto il segno, di quelle mani? Mio marito se ne sarebbe accorto? Mi ha accarezzato la figa con le dita, gentile, adesso. Finalmente mi sono girata, ho trovato il coraggio di guardalo. Ero lorda di lui, di tutti i suoi fluidi, piscio, sperma, saliva. Ce l’aveva ancora duro. Gliel’ho preso in bocca e ho succhiato le ultime gocce. Mi sfiorava i lobi delle orechie con i polpastrelli, facendomi rabbrividire. Avevamo ancora tutta la sera davanti.
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Commenti dei lettori al racconto erotico