La Sfida
di
Andrea61
genere
prime esperienze
I ragazzi, scendendo le scale per lasciare la scuola, si misero in accordo per riunirsi a casa di una compagna; erano vicini alla fine dell’anno scolastico e dovevano assolvere le loro preparazioni almeno con una sufficienza. Il destino volle che lui fosse il primo a giungere a casa di lei; gli altri due, invece, all’ultimo momento disertarono l’appuntamento.
I due compagni, dopo il quarto d’ora accademico, decisero di iniziare lo studio che avrebbe compreso anche una vicendevole interrogazione. La ragazza si accomodò sul letto, in posizione Yoga, circondata da libri, quaderni e penne. Lui si sedette di fronte e con cura concentrò il suo materiale sull’angolo a destra del letto. Iniziarono lo studio con metodico cronologico ripasso, ognuno leggendo e ripetendo. Lei era una ragazza molto carina, decisamente attraente, 15 anni già avviata sulla via di donna. Lui era un ragazzo molto timido, introverso, molto imbranato con le ragazze, 15 anni ma ancora ben lontano da una speranza di crescita; un Trauma emotivo, l’anno prima, gli congelò la pubertà. Dopo un’ora, in comune accordo, i due coetanei decisero di fermarsi e concedersi una pausa. Rimasero ognuno al loro posto e iniziarono a parlare di loro, sulle conoscenze. Lui non aveva molta affinità ai rapporti sociali e quindi lasciò alla compagna lo sviluppo dei pensieri. Lei venne portata a esprimere alcuni giudizi sui compagni di scuola, per alcuni manifestando antipatia e anche un certo desiderio di menarli.
Lei: (riferito al compagno antipatico) Dio! Quanto vorrei prenderlo a sberle!
Lui: Esagerata. E’ più alto di te, ti ridurrebbe a straccio.
Lei: Non significa niente. Se tu possiedi i mezzi e le motivazioni, non ci sono rivali.
Lui: Mi fai ridere.
Lei: Scusa eh, ma come fai a giudicarmi? Non puoi sapere le mie armi di difesa.
Lui: (dubbioso) Sei Piccina…
Lei: Tu dici?
Lui: Non vedo proprio speranza che tu possa infierire su un ragazzo; un ragazzo vince sempre.
Lei: A sì? Ti sfido. Dai, quanto scommetti che ti butto giù come un birillo?
Lui: Dai, non possiamo perdere tempo; dobbiamo riprendere a studiare.
Lei: Col cazzo. Se non accetti la mia sfida allora sei un vigliacco. Cos’è… hai paura di perdere?
Lui: No, ho paura di farti male. E’ diverso.
Lei: Tu non ti preoccupare.
E mentre conferma la sua sfida, la ragazza compone le gambe, a nascondere il suo buio intimo, scende dal letto e si pone in piedi di fronte a lui. Lo fa scostare dalla sedia con una spinta, fa spazio al centro della stanza e poi, rivolta a lui, gli fa cenno di richiamo con la mano, viso altezzoso e smorfioso.
La ragazza indossa una gonna scozzese un po’ ampia, abbastanza corta e una maglietta; pantofole felpate di bimba. E’ un’arma di seduzione e lui, fiocinato da quello sguardo, realizza il pericolo che può incutergli solo nel fatto di toccarla. Lei inizia a girare attorno, in un verso poi l’altro. Lui prega la sua mente affinché possa trovare il sistema più rapido, indolore ed efficace per farla andare a terra, controllare la sua reazione e finirla lì.
La ragazza invece lo prende di sorpresa; operando una poderosa spinta lo scaraventa sul letto dove lui atterra disteso con lei già addosso. Lei si posiziona cavalcioni sul petto ma in modo che le sue gambe rinchiudano in esse le braccia di lui. Lui è praticamente fottuto senza aver neanche respirato un’idea di iniziativa.
Lei: E allora? Un ragazzo vince sempre? (beffarda) Sto tremando dalla paura…
Lui cerca di capire, ma senza farlo capire a lei, che parti del corpo potrà muovere per inoltrare una reazione. Può contare sul gioco di gambe ma realizza molto presto la struttura fisica della ragazza che avverte essere un conglomerato di granito.
Lei: Dai, liberati. Voglio proprio vedere che cazzo fai adesso.
Lo guarda fisso, lo fonde con gli occhi, abbozzando un sorriso severo che a lui fa partire l’embolo fra sconcerto, vergogna ed eccitazione.
La gonna della ragazza si ferma sul collo di lui, disposta a ventaglio. Lui trema all’idea che un movimento, anche involontario sia suo che di lei, possa sollevare il bordo della gonna; ingoia un abbondante salivazione e la vista di quella Opera granitica, posizionata in quel modo sopra di lui, comincia a procurargli ansia e pudore.
Lei: Cos’è. Hai qualche problema a muoverti? Te l’avevo detto; mai sottovalutare una ragazza. Hai visto quanto sono Piccina? Reagisci cazzo!! Tira fuori le palle!!
Lui solleva il bacino per valutare peso e resistenza della ragazza; tuttavia lei lo smorza e tutto finisce lì. Lei lo smorza perché, ponendo le braccia dietro la sua schiena, lascia cadere i palmi aperti delle mani sopra l’addome di lui. Lui solleva il bacino, lei preme l’addome. Nella salita e discesa, i ragazzi si guardano: lei sorride come giocasse gatto con il topo, lui entra in panico perché la pressione sul suo addome sta producendo l’erezione. Ha la vescica piena, da quando conosce il suo corpo ha sempre riconosciuto nell’addome il suo punto di massima eccitazione alla minima pressione, al minimo gioco di dito. Dopo diverse salite e discese, la sua camicia scomposta concede luce all’addome; lei infierisce e con le unghie abbranca gli addominali come un falco la preda, facendo ingoiare a lui il respiro con un risucchio che smorza un inizio di risata e una plateale dichiarazione di piacere erotico. Lei ribadisce un’altra pressione prendendo la rincorsa con l’anca e poi decanta la spinta con maggiore violenza; tuttavia sbaglia la discesa e slitta indietro con le mani che avvertono un’altra sensazione fisica decisamente meno liscia e piatta. Tutto il teatro si congela e perde udito, restando in essere con la sorpresa di lei che incontra in lui la rassegnazione della sua erezione. Istanti riconducibili a partita di Scacchi in cui i due sfidanti cercano di prevedere almeno le 5 mosse successive.
Lei: Bhè… almeno abbiamo avuto l’onore di una reazione.
Poi, guardandolo ad intermittenza oscillando col viso la sua incredulità che concede all’infinito, scoppia a ridere. Poi si ricompone.
Lei: Allora. Se ti liberi, ti chiedo scusa perché io sono cintura verde di Judo. Se non ti liberi, ti umilio e tu chiedi scusa me. A te la scelta.
Nella previsione che l’umiliazione consista trovarsi con il sesso scoperto, lui investe tutte le sue risorse fisiche e mentali; ma non c’è modo di liberarsi da quella presa, schiena sotto e braccia uncinate dalle gambe della ragazza. Lei lo sa, mentre sorride ma compassionevole, e lo lascia fare fino allo sfinimento. Teatro congelato ma l’udito è tutto nell’affanno del ragazzo inerme un po’ rosso in viso per la inutile fatica.
Lei: Tutto qui? Finito? Allora tocca a me adesso, giusto?
La ragazza assume il volto di bimba furbetta, quel volto infantile che lascia intuire possedere un’idea per combinare un guaio; poi si mette l’indice in bocca, bambina, ondeggia sul bacino e poi conduce uno sguardo pensante interrogativo in alto a destra. Mantiene quell’aria di finta innocente, poi pinza gli estremi della gonna, la solleva di un’idea e la sbandiera lentamente ma richiamando a sé gli occhi di lui. Scemetta sussurra una cantilena infantile, poi si ferma. Con scatti rapidi solleva e riabbassa la gonna; sorride.
Lei: Eeeeee… taccheteeee… (solleva e riabbassa) eeee… taccheteee… (solleva e abbassa).
Inizia a ruotare le anche a simulare l’atto sessuale e nello stesso tempo cerca la cerniera della gonna; la trova, si morde il labbro lateralmente ammiccando occhi socchiusi per un viso erotico provocante, la abbassa a fine corsa. Srotola la gonna e la conduce di fronte a lei a farne sipario per lui; la sposta da destra a sinistra, assumendo l’espressione della attesa che annuncia un imminente finale. Come torero, mentre scansa il toro e sottrae nel gesto il mantello rosso, così la gonna sparisce in volo alle spalle della ragazza.
Lei: Ta-dannnn….
La ragazza lievita di bacino offrendo a lui l’incanto bello e violento del suo corpo.
Il corpo é tonico, tendineo, le gambe affusolate. L’offerta sfacciata della ragazza pone l’intimo a ridosso del naso. Lui non aveva ancora avuto questo privilegio, tuttavia non avrebbe mai sospettato che il debutto si fosse celebrato in questo modo.
La ragazza, che intanto ha posto le mani ai fianchi, continua a oscillare in cerchio andando a creare fasi lunari con il suo intimo, rispetto al naso di lui. Indossa mutandine rosa, di pizzo, ma abbastanza trasparente perché presenta alcuni ricami. Il triangolo è minuto, i due fili elastici partono in fuga a giro vita ma essendo a spiovente concedono la vista della piega d’anca sul femore; al centro dell’addome, al momento rotatorio opportuno, compare una sottile falce di luna e i due tendini inguinali partono da un bianco pubico cui segue un interno coscia lungo, liscio e affusolato.
Dimenticatosi di respirare, lui si ricorda della necessaria funzione e per la prima volta assaggia il profumo inebriante di un intimo femminile: due terzi di bucato appena steso e un terzo di pipì non sgradevole, il tutto per prendere possesso, oltre che del respiro, anche della conseguente morte che esso stesso potrebbe provocare in una simile circostanza.
Lei: A cosa pensi? Sei sorpreso? Ti eccito? Guarda che è una cosa normale, non devi meravigliarti. Prima o poi arriva quel giorno in cui una ragazza ti farà una bella sega.
In accenno, ruotando appena il viso, la ragazza cerca tentoni il bottone del pantalone. Lui rannicchia le gambe, lei fruga concitata e poi sbottona; lo guarda.
Lei: Non reagire. Posso ammazzarti di solletico.
Lui non ascolta il consiglio e insiste a tenere le gambe rannicchiate mentre lei lo guarda con il viso che attende già la reazione sbagliata dopo un prudente suggerimento. Con indice e pollice, a compasso, affonda nella vescica ponendo fine ad ogni iniziativa di reazione di lui che si congela da solo anche il respiro. Guardandolo con sorriso cinico apre e chiude le dita ma mentre lui non oppone resistenza agli addominali perché simulerebbe un attacco epilettico per il fastidio. Il gioco di quelle dita, che lui lascia affondare con piacere, amplificano l’eccitazione del ragazzo che lei ogni tanto controlla roteando sul sesso il palmo della mano, quasi senza attrito.
Con aria di meraviglia attesa ironica, con le labbra a “U”, la ragazza abbassa a fine corsa la cerniera; si crea lo spazio quanto basta per esporre lo slip. Con la mano a coltello in orizzontale, si insinua sotto l’elastico e questa volta infierisce frugando il sesso con maggiore padronanza; infine, lenta e sadica, accompagna con lo sguardo l’attesa nel gesto di scostare ancora l’elastico. Come pagliaccetto spunta a sorpresa dalla scatola, così il pene eretto compare oscillatorio alla luce.
Lei lo guarda e accarezza morbida tutta la zona genitale. Poi impugna il sesso e pulsa il palmo a sentirne l’erezione. Si volta verso lui sorridendo ma con sorpresa.
Lei: Sei bello eccitato eh… Sei ancora un bambino, fai tenerezza; hai mai pensato a me mentre ti fai una segada solo?
Il ragazzo scopre che quella circostanza in cui lui per la prima volta si trova con il suo sesso infantile nudo in erezione, non lo umilia più di tanto e l’idea che lei sia donna, sebbene gli procuri un senso di inferiorità, un po’ lo rassicura e un po’ lo eccita. Più preoccupato del pudore da nutrire verso la ragazza, lui si assolve la messa a fuoco sull’intimo rosa dietro cui si cela un pube discreto e non folto che tuttavia gli restituisce l’idea che lei sia ormai donna.
Lei modula l’espressione del viso assumendo una espressione severa, diretta, seducente.
Lei: Adesso ti faccio venire. Così vinco io e ti umilio.
Sveste la maglietta elevando in pronunciata altezza bacino, gambe e braccia; il viso ricompare dal giro collo e si ricompone i capelli. Il busto è androgeno, tendineo, tremendamente erotico; il seno è poco più che sbocciato, defilato dietro il coordinato della mutandina, due foglie lanceolate rosa a diventare righe di spallina a scavalcare le clavicole a saliera. Infine, abbassandole, sfila il reggiseno offrendosi austera e mocciosa con le braccia ai fianchi.
Lui prega in 6 lingue di non venire con eiaculazione precoce, ma sa che potrebbe succedere.
L’emozione è devastante. Sta accadendo tutto per la prima volta, tutto assieme, nella maniera più difficile da sostenere emotivamente. Distoglie l’attenzione e pensa ad altro, il tanto da ritirare un po’ l’erezione.
Lei: Ti piacciono le mie mutandine?
Lui: Sì, da morire. Però così non vale…
Lei: Tz. Adesso detta pure le regole, ma guarda questo…
Con i rispettivi indici e pollici, lei pinza gli estremi del pizzo da cui partono i fili elastici e poi abbassa lenta. Ricompone e abbassa. Ricompone e solleva decisa assottigliando il pizzo. Ricompone e sbandiera di lato, un po’ a destra un po’ a sinistra. A lui, ad ogni giro, appare il sesso nudo della ragazza che può apprezzare intero o quasi con il pube corto e diradato in luce.
Lei: (sussurrando la cantilena dei bambini smorfiosi) Ti faccio morire… gne gnèeee…..
La cantilena a lui sfonda il cervello come un trapano e contiene un embolo di follia.
Uncinando con i rispettivi indici gli elastici dell’intimo, li allontana dai fianchi mentre li percorre lungo la piega della falange; poi rilascia a farli suonare. Il suono è tanto breve e insignificante quanto l’effetto erotico devastante prodotto alle orecchie del ragazzo.
La ragazza assesta la seduta sul petto portando gli interni coscia ai lati del collo del ragazzo, procurandogli una sensazione di soffocamento sebbene non intenso. Sotto il suo mento atterra l’intimo rosa e decide di guardare ma mentre lei osserva lui: carrella con il suo sguardo dal bordo della mutandina a salire lentamente per osservare gli addominali della ragazza a simulare fisarmonica, poi sale ancora per osservare i boccioli dei seni, il petto, le spalle larghe a suggerire idea di trapezio rovescio del busto, il mento sollevato altezzoso e infine gli occhi un po’ dilatati, vitrei e severi. Le braccia restano rilassate ai fianchi.
Lui: Cazzo. Mi fai morire.
Lei: Lo so e adesso te lo dimostro.
Roteandosi sul fianco sinistro, dando le spalle al muro, la ragazza attorciglia le sue gambe al collo di lui il quale, poggiando le mani sui femori esterni, realizza la forza tremenda di questa Piccina. La prospettiva visiva a lui arriva come un treno in corsa e gli promuove una sensibile accelerazione cardiaca. Il profumo della mutandina, gli addominali raccolti, l’interno delle cosce che stringono il collo, lo sguardo austero della ragazza fanno maturare al ragazzo che quella situazione è estremamente erotica, tanto quanto l’umiliazione da dimenticare, o nascondere, o assecondare per conservare un bel ricordo anziché un Trauma. Lei guarda il pene eretto, poi lui come se volesse folgorarlo e parte lenta. Vivendo il primo piacere sessuale, con una ragazza che intanto lo masturba dopo avergli annodato le gambe al collo, lui lo conserva a occhi chiusi nell’attesa dell’orgasmo, senza più opporre resistenza.
Lei, indispettita, si ferma.
Lei: Non chiudere gli occhi. Devi guardarmi. Devi perdere guardandomi.
Lui accetta l’obbligo e decide di porre lo sguardo sulla mutandina rosa, tuttavia calibrando il respiro affinché l’effluvio non lo faccia venire prima, e realizza senza indugio che una mutandina sì fatta e vista è ciò che maggiormente lo porrà in Adorazione nei confronti di una donna.
Lei: Allora, ti piacciono le mie mutandine? Non si può dire che te le dimenticherai.
La ragazza riesce a mantenere la posizione ad angolo retto, mentre applica fulcro e oscillazione sul bacino, conservando equilibrio, mentre avvinghia lui al collo con le gambe, mentre lo masturba. Per uno strano fenomeno riconducibile ai vasi comunicanti, se si viene stretti alla gola la conseguenza più plausibile, se in contesto di eccitazione, è l’erezione più decisa. Per l’occasione, sebbene lo ponga in stato d’inferiorità, lui sente di non aver mai raggiunto una simile erezione; avverte vergogna, messo a nudo, in una furibonda eccitazione. La ragazza continua.
Accelera. Poi si ferma. Accelera. Poi si ferma. Minuti, tanti minuti durante i quali lei non rilascia un muscolo, non lascia sospettare abbia affanno da fatica; tranquilla, sicura, paziente, granitica, austera, altezzosa, mocciosa nella sua determinazione a voler vincere questa sfida.
Lei progressivamente rallenta, come orologio scarico, mirando lo sguardo al suo infinito dove incontra l’idea. Lei lo guarda e promuove schizzi brevi di risata come trasmettere a lui l’idea realizzata. Quindi lei lascia il pene e mentre guarda il ragazzo emula il cammino con indice e medio in direzione dell’addome. Lievita un sorriso che sembra esplodere a momenti in risata; a stacchi alterni, guarda le dita e poi lui, le dita e lui fomentando l’enigma di cosa possa succedere da lì a breve. Infine, esplodendo la risata, posa la mano di taglio sull’addome di lui; con la massima apertura di compasso fra pollice e indice affonda roteando, affonda stringendo, affonda fino a quando lui si sente i battiti compressi nel diaframma. Lei, gemendo di labbra compiaciuta, non stacca lo sguardo dal ragazzo il quale, per la prima volta, si assolve il pudore lasciandosi guardare mentre a occhi chiusi candidamente gode, ondulando morbido di bacino, ma soprattutto emettendo qualche gemito; cosa per lui, fino a quel momento, assolutamente impensabile di poter fare sia alla luce che al buio. Qualche volta apre gli occhi e trova sempre quelli della ragazza che resta in silenzio, sfibrando a lui l’addome, congelando una espressione che conduce alla sua consapevolezza di quanto sia facile dominare e fare uscire di testa un ragazzo; il quale ribadisce a lei il suo amplesso accarezzandole lieve le parti femorali, anacondate al collo che pulsa. Lei abbandona l’addome per riprendere il pene in mano; lui avverte un senso di liberazione nel ventre ma gli restano le impronte sensoriali della pressione, come una firma autografa. La ragazza, quando capisce che a lui, un minuto oltre, potrebbe procurargli lo svenimento per scarsa ossigenazione, rilassa un po’ le sue gambe e accelera decisamente. Il suo braccio assume un movimento compulsivo, la sua mano stringe feroce il pene all’apice. La ragazza trattiene a lui lo sguardo, aprendo languida le labbra e usando gli occhi a intermittenza: un po’ sbarrati assassina, un po’ socchiusi soffiante di gola, suscitando l’attesa dell’orgasmo che arriva pari al sollevarsi del suo mento e lievitare delle sue spalle.
Lei: Guardami e chiedimi scusa. (più decisa) Guardami! E chiedimi scusa!
Senza rallentare mantiene il ritmo, statuaria.
Lui avverte un piacere interiore, mentale, nel realizzare che venire in questo modo è bellissimo. Si lascia superare dal punto di non ritorno e infine si lascia finire. Eiacula senza emettere suono, imploso, in apnea ma in forma intima liberatoria che gli toglie ogni vergogna del suo nudo bambino così violentato e umiliato; la eiaculazione è generosa e questo lo consola. Lei lo sfinisce senza tregua, sebbene rallentando, fino a quando avverte il ritiro del pene. Allarga le gambe e le lascia così di fronte al naso di lui che, con orgoglio e pudore, sebbene paonazzo, non si concede di sfogare l’affanno dell’orgasmo di fronte a lei e si impone un respiro profondo e trattenuto dal diaframma con dignità.
Lui: Scusa.
Lei: Mhmm… Adesso sai che cosa è capace di fare una Piccina. Ti ho messo sotto, ti ho spogliato, ti ho fatto venire. Scusa, com’era? Un ragazzo vince sempre? Non provocarmi più in questo modo perché tanto va a finire così anche la prossima volta. Capito!? Tanto vinco io.
Consegnando già al Passato la tremenda iniziazione, riuscendo a offrire sereno il suo sesso bambino appena venuto, lui investe tutta la sua trasparente ingenua sincerità, senza pensarci un attimo.
Lui: (fra ironico e provocatore) Ma guarda che… Potrebbe anche piacermi… sei bellissima, vederti così a me fa impazzire.
La ragazza si congela e sgranando gli occhi invasata rivolta a lui, in un istante, gli consegna l’idea di aver capito tutto.
Lei: Ti è piaciuto? Ma dai, non ci posso credere…
Lui: Davvero, non ti sto prendendo in giro.
Lei: Oh Cristo santo… io ho fatto tutto questo per umiliarti… e poi? … ma ti rendi conto?
Lui: Cosa.
Lei: Cioè… il destino ci ha fatto cercare, trovare, incontrare.
Lui: Eh. E quindi?
Lei: Ma non hai capito!? Piace anche a me! Io adoro mettere sotto i ragazzi, adoro eccitarli e poi farli venire fra le mie gambe. Lo capisci? Siamo complici e complementari. E’ pazzesco.
Lui: Quindi non sei arrabbiata…
Lei: No, perché dovrei esserlo?
Lui: No, per prima; quando ti ho chiamato Piccina. Non avrei mai pensato che finisse così.
Lei: Scemo. Mi piace quando mi chiami Piccina, si capisce che lo esprimi con affetto. Sai… sei dolcissimo quando ti ecciti, così liscio, morbido. Ti vergogni a non avere ancora il pube?
Lui: Bhè, quando ho capito cosa avresti fatto… sì, mi sono spaventato. Mi sono vergognato quando avevo il pisellino duro di fronte a te. Però poi non ci ho pensato, ho sentito che stare con te è bello; tu già cresciuta, già esperta con il mio pisellino che si eccita in mano.
Lei: Vedrai che arriverà anche per te la pubertà. Sai come si fa a farla arrivare prima?
Lui: No, perché si può?
Lei: Devi farti seghe spesso (mentre sorride ma in modo affettuoso). Se vuoi qualche volta posso pensarci io. Deve restare un segreto, il nostro gioco. Quando indosso le mutandine mini, te lo sussurro all’orecchio; quello sarà il segnale e così tu vieni da me. E poi vieni!! (ridendo).
Lui: Va bene, ci sto.
Lei: Però…
Lui: Cosa.
Lei: Le regole restano quelle di oggi. A me piace far venire usando le mie gambe. Possiamo cambiare anche posizione, a me interessa immobilizzarti e farti venire. Sono fatta così e ti dirò che sono contenta; almeno posso difendermi, fra le mie gambe si può morire davvero. Sai… a volte riesco a venire anch’io; è un piacere pazzesco, anche a farlo con un pallone.
Restano istanti in silenzio ognuno nel proprio sguardo rivolto al proprio infinito; poi si guardano e sorridono la loro intesa segreta. Lui, rilasciando tutta la tensione, struscia con la guancia l’interno coscia bianco e liscio della ragazza; la Adora rivolto a lei, infine posa un rullo dattilografico di bacini fino al tendine inguinale. Lei gli offre un sorriso rassicurante mentre gli ricompone i capelli.
Lui: Posso andare in bagno?
Lei: Sì, vai vai, sei tutto appiccicato. Oh, non farti una sega pensando a me! (ridendo)
Lui: No, tranquilla… per oggi va bene così.
I due compagni, dopo il quarto d’ora accademico, decisero di iniziare lo studio che avrebbe compreso anche una vicendevole interrogazione. La ragazza si accomodò sul letto, in posizione Yoga, circondata da libri, quaderni e penne. Lui si sedette di fronte e con cura concentrò il suo materiale sull’angolo a destra del letto. Iniziarono lo studio con metodico cronologico ripasso, ognuno leggendo e ripetendo. Lei era una ragazza molto carina, decisamente attraente, 15 anni già avviata sulla via di donna. Lui era un ragazzo molto timido, introverso, molto imbranato con le ragazze, 15 anni ma ancora ben lontano da una speranza di crescita; un Trauma emotivo, l’anno prima, gli congelò la pubertà. Dopo un’ora, in comune accordo, i due coetanei decisero di fermarsi e concedersi una pausa. Rimasero ognuno al loro posto e iniziarono a parlare di loro, sulle conoscenze. Lui non aveva molta affinità ai rapporti sociali e quindi lasciò alla compagna lo sviluppo dei pensieri. Lei venne portata a esprimere alcuni giudizi sui compagni di scuola, per alcuni manifestando antipatia e anche un certo desiderio di menarli.
Lei: (riferito al compagno antipatico) Dio! Quanto vorrei prenderlo a sberle!
Lui: Esagerata. E’ più alto di te, ti ridurrebbe a straccio.
Lei: Non significa niente. Se tu possiedi i mezzi e le motivazioni, non ci sono rivali.
Lui: Mi fai ridere.
Lei: Scusa eh, ma come fai a giudicarmi? Non puoi sapere le mie armi di difesa.
Lui: (dubbioso) Sei Piccina…
Lei: Tu dici?
Lui: Non vedo proprio speranza che tu possa infierire su un ragazzo; un ragazzo vince sempre.
Lei: A sì? Ti sfido. Dai, quanto scommetti che ti butto giù come un birillo?
Lui: Dai, non possiamo perdere tempo; dobbiamo riprendere a studiare.
Lei: Col cazzo. Se non accetti la mia sfida allora sei un vigliacco. Cos’è… hai paura di perdere?
Lui: No, ho paura di farti male. E’ diverso.
Lei: Tu non ti preoccupare.
E mentre conferma la sua sfida, la ragazza compone le gambe, a nascondere il suo buio intimo, scende dal letto e si pone in piedi di fronte a lui. Lo fa scostare dalla sedia con una spinta, fa spazio al centro della stanza e poi, rivolta a lui, gli fa cenno di richiamo con la mano, viso altezzoso e smorfioso.
La ragazza indossa una gonna scozzese un po’ ampia, abbastanza corta e una maglietta; pantofole felpate di bimba. E’ un’arma di seduzione e lui, fiocinato da quello sguardo, realizza il pericolo che può incutergli solo nel fatto di toccarla. Lei inizia a girare attorno, in un verso poi l’altro. Lui prega la sua mente affinché possa trovare il sistema più rapido, indolore ed efficace per farla andare a terra, controllare la sua reazione e finirla lì.
La ragazza invece lo prende di sorpresa; operando una poderosa spinta lo scaraventa sul letto dove lui atterra disteso con lei già addosso. Lei si posiziona cavalcioni sul petto ma in modo che le sue gambe rinchiudano in esse le braccia di lui. Lui è praticamente fottuto senza aver neanche respirato un’idea di iniziativa.
Lei: E allora? Un ragazzo vince sempre? (beffarda) Sto tremando dalla paura…
Lui cerca di capire, ma senza farlo capire a lei, che parti del corpo potrà muovere per inoltrare una reazione. Può contare sul gioco di gambe ma realizza molto presto la struttura fisica della ragazza che avverte essere un conglomerato di granito.
Lei: Dai, liberati. Voglio proprio vedere che cazzo fai adesso.
Lo guarda fisso, lo fonde con gli occhi, abbozzando un sorriso severo che a lui fa partire l’embolo fra sconcerto, vergogna ed eccitazione.
La gonna della ragazza si ferma sul collo di lui, disposta a ventaglio. Lui trema all’idea che un movimento, anche involontario sia suo che di lei, possa sollevare il bordo della gonna; ingoia un abbondante salivazione e la vista di quella Opera granitica, posizionata in quel modo sopra di lui, comincia a procurargli ansia e pudore.
Lei: Cos’è. Hai qualche problema a muoverti? Te l’avevo detto; mai sottovalutare una ragazza. Hai visto quanto sono Piccina? Reagisci cazzo!! Tira fuori le palle!!
Lui solleva il bacino per valutare peso e resistenza della ragazza; tuttavia lei lo smorza e tutto finisce lì. Lei lo smorza perché, ponendo le braccia dietro la sua schiena, lascia cadere i palmi aperti delle mani sopra l’addome di lui. Lui solleva il bacino, lei preme l’addome. Nella salita e discesa, i ragazzi si guardano: lei sorride come giocasse gatto con il topo, lui entra in panico perché la pressione sul suo addome sta producendo l’erezione. Ha la vescica piena, da quando conosce il suo corpo ha sempre riconosciuto nell’addome il suo punto di massima eccitazione alla minima pressione, al minimo gioco di dito. Dopo diverse salite e discese, la sua camicia scomposta concede luce all’addome; lei infierisce e con le unghie abbranca gli addominali come un falco la preda, facendo ingoiare a lui il respiro con un risucchio che smorza un inizio di risata e una plateale dichiarazione di piacere erotico. Lei ribadisce un’altra pressione prendendo la rincorsa con l’anca e poi decanta la spinta con maggiore violenza; tuttavia sbaglia la discesa e slitta indietro con le mani che avvertono un’altra sensazione fisica decisamente meno liscia e piatta. Tutto il teatro si congela e perde udito, restando in essere con la sorpresa di lei che incontra in lui la rassegnazione della sua erezione. Istanti riconducibili a partita di Scacchi in cui i due sfidanti cercano di prevedere almeno le 5 mosse successive.
Lei: Bhè… almeno abbiamo avuto l’onore di una reazione.
Poi, guardandolo ad intermittenza oscillando col viso la sua incredulità che concede all’infinito, scoppia a ridere. Poi si ricompone.
Lei: Allora. Se ti liberi, ti chiedo scusa perché io sono cintura verde di Judo. Se non ti liberi, ti umilio e tu chiedi scusa me. A te la scelta.
Nella previsione che l’umiliazione consista trovarsi con il sesso scoperto, lui investe tutte le sue risorse fisiche e mentali; ma non c’è modo di liberarsi da quella presa, schiena sotto e braccia uncinate dalle gambe della ragazza. Lei lo sa, mentre sorride ma compassionevole, e lo lascia fare fino allo sfinimento. Teatro congelato ma l’udito è tutto nell’affanno del ragazzo inerme un po’ rosso in viso per la inutile fatica.
Lei: Tutto qui? Finito? Allora tocca a me adesso, giusto?
La ragazza assume il volto di bimba furbetta, quel volto infantile che lascia intuire possedere un’idea per combinare un guaio; poi si mette l’indice in bocca, bambina, ondeggia sul bacino e poi conduce uno sguardo pensante interrogativo in alto a destra. Mantiene quell’aria di finta innocente, poi pinza gli estremi della gonna, la solleva di un’idea e la sbandiera lentamente ma richiamando a sé gli occhi di lui. Scemetta sussurra una cantilena infantile, poi si ferma. Con scatti rapidi solleva e riabbassa la gonna; sorride.
Lei: Eeeeee… taccheteeee… (solleva e riabbassa) eeee… taccheteee… (solleva e abbassa).
Inizia a ruotare le anche a simulare l’atto sessuale e nello stesso tempo cerca la cerniera della gonna; la trova, si morde il labbro lateralmente ammiccando occhi socchiusi per un viso erotico provocante, la abbassa a fine corsa. Srotola la gonna e la conduce di fronte a lei a farne sipario per lui; la sposta da destra a sinistra, assumendo l’espressione della attesa che annuncia un imminente finale. Come torero, mentre scansa il toro e sottrae nel gesto il mantello rosso, così la gonna sparisce in volo alle spalle della ragazza.
Lei: Ta-dannnn….
La ragazza lievita di bacino offrendo a lui l’incanto bello e violento del suo corpo.
Il corpo é tonico, tendineo, le gambe affusolate. L’offerta sfacciata della ragazza pone l’intimo a ridosso del naso. Lui non aveva ancora avuto questo privilegio, tuttavia non avrebbe mai sospettato che il debutto si fosse celebrato in questo modo.
La ragazza, che intanto ha posto le mani ai fianchi, continua a oscillare in cerchio andando a creare fasi lunari con il suo intimo, rispetto al naso di lui. Indossa mutandine rosa, di pizzo, ma abbastanza trasparente perché presenta alcuni ricami. Il triangolo è minuto, i due fili elastici partono in fuga a giro vita ma essendo a spiovente concedono la vista della piega d’anca sul femore; al centro dell’addome, al momento rotatorio opportuno, compare una sottile falce di luna e i due tendini inguinali partono da un bianco pubico cui segue un interno coscia lungo, liscio e affusolato.
Dimenticatosi di respirare, lui si ricorda della necessaria funzione e per la prima volta assaggia il profumo inebriante di un intimo femminile: due terzi di bucato appena steso e un terzo di pipì non sgradevole, il tutto per prendere possesso, oltre che del respiro, anche della conseguente morte che esso stesso potrebbe provocare in una simile circostanza.
Lei: A cosa pensi? Sei sorpreso? Ti eccito? Guarda che è una cosa normale, non devi meravigliarti. Prima o poi arriva quel giorno in cui una ragazza ti farà una bella sega.
In accenno, ruotando appena il viso, la ragazza cerca tentoni il bottone del pantalone. Lui rannicchia le gambe, lei fruga concitata e poi sbottona; lo guarda.
Lei: Non reagire. Posso ammazzarti di solletico.
Lui non ascolta il consiglio e insiste a tenere le gambe rannicchiate mentre lei lo guarda con il viso che attende già la reazione sbagliata dopo un prudente suggerimento. Con indice e pollice, a compasso, affonda nella vescica ponendo fine ad ogni iniziativa di reazione di lui che si congela da solo anche il respiro. Guardandolo con sorriso cinico apre e chiude le dita ma mentre lui non oppone resistenza agli addominali perché simulerebbe un attacco epilettico per il fastidio. Il gioco di quelle dita, che lui lascia affondare con piacere, amplificano l’eccitazione del ragazzo che lei ogni tanto controlla roteando sul sesso il palmo della mano, quasi senza attrito.
Con aria di meraviglia attesa ironica, con le labbra a “U”, la ragazza abbassa a fine corsa la cerniera; si crea lo spazio quanto basta per esporre lo slip. Con la mano a coltello in orizzontale, si insinua sotto l’elastico e questa volta infierisce frugando il sesso con maggiore padronanza; infine, lenta e sadica, accompagna con lo sguardo l’attesa nel gesto di scostare ancora l’elastico. Come pagliaccetto spunta a sorpresa dalla scatola, così il pene eretto compare oscillatorio alla luce.
Lei lo guarda e accarezza morbida tutta la zona genitale. Poi impugna il sesso e pulsa il palmo a sentirne l’erezione. Si volta verso lui sorridendo ma con sorpresa.
Lei: Sei bello eccitato eh… Sei ancora un bambino, fai tenerezza; hai mai pensato a me mentre ti fai una segada solo?
Il ragazzo scopre che quella circostanza in cui lui per la prima volta si trova con il suo sesso infantile nudo in erezione, non lo umilia più di tanto e l’idea che lei sia donna, sebbene gli procuri un senso di inferiorità, un po’ lo rassicura e un po’ lo eccita. Più preoccupato del pudore da nutrire verso la ragazza, lui si assolve la messa a fuoco sull’intimo rosa dietro cui si cela un pube discreto e non folto che tuttavia gli restituisce l’idea che lei sia ormai donna.
Lei modula l’espressione del viso assumendo una espressione severa, diretta, seducente.
Lei: Adesso ti faccio venire. Così vinco io e ti umilio.
Sveste la maglietta elevando in pronunciata altezza bacino, gambe e braccia; il viso ricompare dal giro collo e si ricompone i capelli. Il busto è androgeno, tendineo, tremendamente erotico; il seno è poco più che sbocciato, defilato dietro il coordinato della mutandina, due foglie lanceolate rosa a diventare righe di spallina a scavalcare le clavicole a saliera. Infine, abbassandole, sfila il reggiseno offrendosi austera e mocciosa con le braccia ai fianchi.
Lui prega in 6 lingue di non venire con eiaculazione precoce, ma sa che potrebbe succedere.
L’emozione è devastante. Sta accadendo tutto per la prima volta, tutto assieme, nella maniera più difficile da sostenere emotivamente. Distoglie l’attenzione e pensa ad altro, il tanto da ritirare un po’ l’erezione.
Lei: Ti piacciono le mie mutandine?
Lui: Sì, da morire. Però così non vale…
Lei: Tz. Adesso detta pure le regole, ma guarda questo…
Con i rispettivi indici e pollici, lei pinza gli estremi del pizzo da cui partono i fili elastici e poi abbassa lenta. Ricompone e abbassa. Ricompone e solleva decisa assottigliando il pizzo. Ricompone e sbandiera di lato, un po’ a destra un po’ a sinistra. A lui, ad ogni giro, appare il sesso nudo della ragazza che può apprezzare intero o quasi con il pube corto e diradato in luce.
Lei: (sussurrando la cantilena dei bambini smorfiosi) Ti faccio morire… gne gnèeee…..
La cantilena a lui sfonda il cervello come un trapano e contiene un embolo di follia.
Uncinando con i rispettivi indici gli elastici dell’intimo, li allontana dai fianchi mentre li percorre lungo la piega della falange; poi rilascia a farli suonare. Il suono è tanto breve e insignificante quanto l’effetto erotico devastante prodotto alle orecchie del ragazzo.
La ragazza assesta la seduta sul petto portando gli interni coscia ai lati del collo del ragazzo, procurandogli una sensazione di soffocamento sebbene non intenso. Sotto il suo mento atterra l’intimo rosa e decide di guardare ma mentre lei osserva lui: carrella con il suo sguardo dal bordo della mutandina a salire lentamente per osservare gli addominali della ragazza a simulare fisarmonica, poi sale ancora per osservare i boccioli dei seni, il petto, le spalle larghe a suggerire idea di trapezio rovescio del busto, il mento sollevato altezzoso e infine gli occhi un po’ dilatati, vitrei e severi. Le braccia restano rilassate ai fianchi.
Lui: Cazzo. Mi fai morire.
Lei: Lo so e adesso te lo dimostro.
Roteandosi sul fianco sinistro, dando le spalle al muro, la ragazza attorciglia le sue gambe al collo di lui il quale, poggiando le mani sui femori esterni, realizza la forza tremenda di questa Piccina. La prospettiva visiva a lui arriva come un treno in corsa e gli promuove una sensibile accelerazione cardiaca. Il profumo della mutandina, gli addominali raccolti, l’interno delle cosce che stringono il collo, lo sguardo austero della ragazza fanno maturare al ragazzo che quella situazione è estremamente erotica, tanto quanto l’umiliazione da dimenticare, o nascondere, o assecondare per conservare un bel ricordo anziché un Trauma. Lei guarda il pene eretto, poi lui come se volesse folgorarlo e parte lenta. Vivendo il primo piacere sessuale, con una ragazza che intanto lo masturba dopo avergli annodato le gambe al collo, lui lo conserva a occhi chiusi nell’attesa dell’orgasmo, senza più opporre resistenza.
Lei, indispettita, si ferma.
Lei: Non chiudere gli occhi. Devi guardarmi. Devi perdere guardandomi.
Lui accetta l’obbligo e decide di porre lo sguardo sulla mutandina rosa, tuttavia calibrando il respiro affinché l’effluvio non lo faccia venire prima, e realizza senza indugio che una mutandina sì fatta e vista è ciò che maggiormente lo porrà in Adorazione nei confronti di una donna.
Lei: Allora, ti piacciono le mie mutandine? Non si può dire che te le dimenticherai.
La ragazza riesce a mantenere la posizione ad angolo retto, mentre applica fulcro e oscillazione sul bacino, conservando equilibrio, mentre avvinghia lui al collo con le gambe, mentre lo masturba. Per uno strano fenomeno riconducibile ai vasi comunicanti, se si viene stretti alla gola la conseguenza più plausibile, se in contesto di eccitazione, è l’erezione più decisa. Per l’occasione, sebbene lo ponga in stato d’inferiorità, lui sente di non aver mai raggiunto una simile erezione; avverte vergogna, messo a nudo, in una furibonda eccitazione. La ragazza continua.
Accelera. Poi si ferma. Accelera. Poi si ferma. Minuti, tanti minuti durante i quali lei non rilascia un muscolo, non lascia sospettare abbia affanno da fatica; tranquilla, sicura, paziente, granitica, austera, altezzosa, mocciosa nella sua determinazione a voler vincere questa sfida.
Lei progressivamente rallenta, come orologio scarico, mirando lo sguardo al suo infinito dove incontra l’idea. Lei lo guarda e promuove schizzi brevi di risata come trasmettere a lui l’idea realizzata. Quindi lei lascia il pene e mentre guarda il ragazzo emula il cammino con indice e medio in direzione dell’addome. Lievita un sorriso che sembra esplodere a momenti in risata; a stacchi alterni, guarda le dita e poi lui, le dita e lui fomentando l’enigma di cosa possa succedere da lì a breve. Infine, esplodendo la risata, posa la mano di taglio sull’addome di lui; con la massima apertura di compasso fra pollice e indice affonda roteando, affonda stringendo, affonda fino a quando lui si sente i battiti compressi nel diaframma. Lei, gemendo di labbra compiaciuta, non stacca lo sguardo dal ragazzo il quale, per la prima volta, si assolve il pudore lasciandosi guardare mentre a occhi chiusi candidamente gode, ondulando morbido di bacino, ma soprattutto emettendo qualche gemito; cosa per lui, fino a quel momento, assolutamente impensabile di poter fare sia alla luce che al buio. Qualche volta apre gli occhi e trova sempre quelli della ragazza che resta in silenzio, sfibrando a lui l’addome, congelando una espressione che conduce alla sua consapevolezza di quanto sia facile dominare e fare uscire di testa un ragazzo; il quale ribadisce a lei il suo amplesso accarezzandole lieve le parti femorali, anacondate al collo che pulsa. Lei abbandona l’addome per riprendere il pene in mano; lui avverte un senso di liberazione nel ventre ma gli restano le impronte sensoriali della pressione, come una firma autografa. La ragazza, quando capisce che a lui, un minuto oltre, potrebbe procurargli lo svenimento per scarsa ossigenazione, rilassa un po’ le sue gambe e accelera decisamente. Il suo braccio assume un movimento compulsivo, la sua mano stringe feroce il pene all’apice. La ragazza trattiene a lui lo sguardo, aprendo languida le labbra e usando gli occhi a intermittenza: un po’ sbarrati assassina, un po’ socchiusi soffiante di gola, suscitando l’attesa dell’orgasmo che arriva pari al sollevarsi del suo mento e lievitare delle sue spalle.
Lei: Guardami e chiedimi scusa. (più decisa) Guardami! E chiedimi scusa!
Senza rallentare mantiene il ritmo, statuaria.
Lui avverte un piacere interiore, mentale, nel realizzare che venire in questo modo è bellissimo. Si lascia superare dal punto di non ritorno e infine si lascia finire. Eiacula senza emettere suono, imploso, in apnea ma in forma intima liberatoria che gli toglie ogni vergogna del suo nudo bambino così violentato e umiliato; la eiaculazione è generosa e questo lo consola. Lei lo sfinisce senza tregua, sebbene rallentando, fino a quando avverte il ritiro del pene. Allarga le gambe e le lascia così di fronte al naso di lui che, con orgoglio e pudore, sebbene paonazzo, non si concede di sfogare l’affanno dell’orgasmo di fronte a lei e si impone un respiro profondo e trattenuto dal diaframma con dignità.
Lui: Scusa.
Lei: Mhmm… Adesso sai che cosa è capace di fare una Piccina. Ti ho messo sotto, ti ho spogliato, ti ho fatto venire. Scusa, com’era? Un ragazzo vince sempre? Non provocarmi più in questo modo perché tanto va a finire così anche la prossima volta. Capito!? Tanto vinco io.
Consegnando già al Passato la tremenda iniziazione, riuscendo a offrire sereno il suo sesso bambino appena venuto, lui investe tutta la sua trasparente ingenua sincerità, senza pensarci un attimo.
Lui: (fra ironico e provocatore) Ma guarda che… Potrebbe anche piacermi… sei bellissima, vederti così a me fa impazzire.
La ragazza si congela e sgranando gli occhi invasata rivolta a lui, in un istante, gli consegna l’idea di aver capito tutto.
Lei: Ti è piaciuto? Ma dai, non ci posso credere…
Lui: Davvero, non ti sto prendendo in giro.
Lei: Oh Cristo santo… io ho fatto tutto questo per umiliarti… e poi? … ma ti rendi conto?
Lui: Cosa.
Lei: Cioè… il destino ci ha fatto cercare, trovare, incontrare.
Lui: Eh. E quindi?
Lei: Ma non hai capito!? Piace anche a me! Io adoro mettere sotto i ragazzi, adoro eccitarli e poi farli venire fra le mie gambe. Lo capisci? Siamo complici e complementari. E’ pazzesco.
Lui: Quindi non sei arrabbiata…
Lei: No, perché dovrei esserlo?
Lui: No, per prima; quando ti ho chiamato Piccina. Non avrei mai pensato che finisse così.
Lei: Scemo. Mi piace quando mi chiami Piccina, si capisce che lo esprimi con affetto. Sai… sei dolcissimo quando ti ecciti, così liscio, morbido. Ti vergogni a non avere ancora il pube?
Lui: Bhè, quando ho capito cosa avresti fatto… sì, mi sono spaventato. Mi sono vergognato quando avevo il pisellino duro di fronte a te. Però poi non ci ho pensato, ho sentito che stare con te è bello; tu già cresciuta, già esperta con il mio pisellino che si eccita in mano.
Lei: Vedrai che arriverà anche per te la pubertà. Sai come si fa a farla arrivare prima?
Lui: No, perché si può?
Lei: Devi farti seghe spesso (mentre sorride ma in modo affettuoso). Se vuoi qualche volta posso pensarci io. Deve restare un segreto, il nostro gioco. Quando indosso le mutandine mini, te lo sussurro all’orecchio; quello sarà il segnale e così tu vieni da me. E poi vieni!! (ridendo).
Lui: Va bene, ci sto.
Lei: Però…
Lui: Cosa.
Lei: Le regole restano quelle di oggi. A me piace far venire usando le mie gambe. Possiamo cambiare anche posizione, a me interessa immobilizzarti e farti venire. Sono fatta così e ti dirò che sono contenta; almeno posso difendermi, fra le mie gambe si può morire davvero. Sai… a volte riesco a venire anch’io; è un piacere pazzesco, anche a farlo con un pallone.
Restano istanti in silenzio ognuno nel proprio sguardo rivolto al proprio infinito; poi si guardano e sorridono la loro intesa segreta. Lui, rilasciando tutta la tensione, struscia con la guancia l’interno coscia bianco e liscio della ragazza; la Adora rivolto a lei, infine posa un rullo dattilografico di bacini fino al tendine inguinale. Lei gli offre un sorriso rassicurante mentre gli ricompone i capelli.
Lui: Posso andare in bagno?
Lei: Sì, vai vai, sei tutto appiccicato. Oh, non farti una sega pensando a me! (ridendo)
Lui: No, tranquilla… per oggi va bene così.
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