2 Settembre 2023 - 2
di
Ornella
genere
dominazione
Passano due giorni dove cerco di non pensarci, anche se è difficile. Alla sera accendo il telefono ma nessun messaggio, segno che la cosa è pienamente confermata.
Vado a ricordare le altre volte dove ho accettato l’incontro per convincermi che andrà di certo tutto bene anche questa volta, che il “club” è composto da persone di un certo livello e che qualsiasi cosa succeda non verrà mai passato alcun limite e quindi anche quello della privacy.
Allo stesso tempo sono però perennemente in tachicardia quando ci penso, con i capezzoli che sento gonfi, la voglia di toccarmi e il desiderio che passino in fretta i giorni che mancano.
Quando mio marito rientra gli dico subito che ho accettato un incontro. Lui mi sorride e so che sta già eccitandosi nel sapermi eccitata. Non mi chiede nulla, sa che saprà tutto ma gli scappa un malizioso “non vedevi l’ora cagnetta” detto con un tono allegro da simpatico “stronzo”.
Non ne parliamo più e passiamo 6 giorni fino al venerdì facendo l’amore ogni sera e ogni mattina, poi lui parte con i ragazzi per il weekend al mare (non era previsto ma sa che così posso concentrarmi e sentirmi più libera e io lo adoro per questa sua sensibilità silenziosa) e io ho il venerdì per prepararmi.
Mi piace arrivare rilassata e sentirmi bella anche se so benissimo che non tornerò come sono partita. Quindi mi organizzo la mattinata tra palestra, sauna, estetista e parrucchiere. Ora devo decidere come prepararmi: non ci sono state indicazioni specifiche di abbigliamento, ma dovendo fare un sentiero di montagna penso sia normale. Preparo uno zaino da e ci butto dentro un cambio di intimo sportivo, pantaloni e maglietta tecnica e calzettoni. Tiro fuori le scarpe da trekking e preparo la copia di quello che ho messo via da indossare. Devo arrivare alle 17, un paio d’ore di macchine quindi decido che partirò nel primo pomeriggio pe fare tutto con calma.
La serata passa rilassata sul divano con la compagnia di una buona bottiglia di rosso che mi aiuta sempre a rilassarmi. Dormo nuda, come sempre, e mi sveglio alle 10 rilassata; decido di non fare colazione e mi butto sotto la doccia gelata. Mi sento bella e allo stesso tempo inizio a sentire l’agitazione che si impossessa di me.
Mi vesto e, anche se è presto ancora, decido di uscire di case per non impazzire.
Prendo la macchina e parto, direzione Valtellina. Guido con calma perché so di essere agitata; la radio suona musica che non sento, la strada scorre ma mi sembra di essere dissociata da quello che mi accade intorno. Per metterci più del necessario decido di passare per la vecchia statale e di fermarmi poi prima di Sondrio dove c’è un insediamento commerciale con diversi negozi.
Ne approfitto per mangiare, ricordandomi che avrò poi due ore di sentiero non proprio pianeggiante, passeggio un po' tra i negozi e quando sono le 1615 decido che è il momento di fare gli ultimi 30 Km e raggiungere il luogo indicato.
Alle 1650 posteggio, mi guardo in torno cercando di capire se qualcuno mi sta osservando poi prendo un profondo respiro mi carico in spalla lo zaino leggero e prendo il sentiero che ho percorso un sacco di volte.
La strada da percorrere parte da 1200 metri e arriva a quasi ai 2200. È nuvolo, non freddo ma minaccia temporale. Sono allenata, atletica, conosco perfettamente il percorso e cammino spedita per il primo tratto che arriva a delle baite da dove si gode una vista spettacolare sul fondo valle, poi proseguo su un tratto più dolce. Incrocio qualche persona che scende di ritorno dalla passeggiata in cerca di funghi, e un paio di fuoristrada che salgono verso le baite. La strada è una carrozzabile sterrata fino ad un certo punto, dove si può scegliere di proseguire o prendere un sentiero. Non avendo avuto indicazioni precise e per cercare di stemperare la tensione mi metto a pensare cosa sia meglio fare, visto che l’unica cosa che so e che troverò lungo il percorso, chi mi ha scelta.
Arrivo, dopo circa un’ora alle ultime baite, già tutte disabitate e con l’imbrunire che inizia a scendere e vengo sorpassata da ‘un’altra jeep. È ormai venti minuti che non incrocio nessuno, ma l’ora è tarda ed è normale. A breve arriverò ad incrociare il torrente dove la strada si divide e ho deciso che prenderò il sentiero sulla destra.
Sono quasi arrivata, intravedo il baitello a fianco del guado e scorgo anche la jeep che mi aveva sorpassato poco prima. Non ci faccio troppo caso ma quasi subito sento un rumore alle mie spalle e una voce secca di donna che parla un italiano con un forte accento straniero che mi urla “fermati e non voltarti”.
Ecco, è iniziato il “gioco”. Mi fermo immobile, le gambe si fanno improvvisamente molli come se avessi un calo improvviso di pressione nonostante senta il silenzio del luogo, rovinato dal battito del mio cuore, che ha accelerato troppo e sembra volermi uscire dal petto; chiudo gli occhi e cerco di riprendere il controllo del respiro, sento parlare dietro di me, credo in tedesco, e poi ancora la voce che mi ha fermato dirmi “cammina fino alla jeep, togli gli zaini che trovi dentro e mettici il tuo, rimani in scarpe e slip , metti il più piccolo davanti e il più grande dietro poi riparti seguendo il sentiero, non voltarti e non parlare”.
Sicuramente ci sono due donne (non avevo dubbi), sicuramente non sono italiane e di certo una non parla italiano mentre l’altra si, anche discretamente a parte il forte accento. Non riesco a definire l’età ma non sono di certo più giovani di me.
Faccio quanto ordinato e la cosa che mi dà più fastidio è il freddo che inizio a sentire sulla pelle sudata, levo i pantaloni senza togliere gli scarponcini, la maglietta e il reggiseno sportivo. Poi apro la jeep e indosso lo zaino piccolo sul petto e quello grande sulle spalle, sistemandoli al meglio. Ripongo il mio e mi avvio prendendo il sentiero che passa sulla destra attraversando il torrente.
I due zaini sono decisamente pesanti, specialmente quello grande sulle spalle e faccio davvero fatica a camminare sul sentiero stretto che, per la prima parte, so anche essere ripido e molto umido a causa del torrente che scorre a fianco.
Sento dietro di me, a pochi metri le due donne che parlano tra di loro in tedesco in tono molto conviviale ma non capisco assolutamente nulla. Dopo circa 20 minuti il sentiero esce dal bosco alla sommità dell’alpeggio e si ricongiunge con la mulattiera carrozzabile usata dai pastori.
Appena in piano vedo la nostra meta (ci saranno ancora 10 metri di dislivello però) sulla destra e la grande stalla con la piccola baita dei pastori a sinistra.
Rallento un attimo per cercare di capire se è già abbandonata o ancora abitata terrorizzata di poter essere vista, ma mentre realizzo che non c’è nessuno un colpo secco mi arriva sotto le natiche seguito da un secondo più basso che mi prende il retro del ginocchio e il davanti delle cosce. È di certo una lunga bullwhip di cuoio che mi coglie impreparata e mi fa quasi cadere. Il terzo colpo è fortissimo e mi avvolge il busto per fortuna scaricando la sua forza sugli zaini e contemporaneamente la donna alle mie spalle mi dice “è lunga 3 metri, se rallenti o ti fermi ed arriviamo a meno della sua lunghezza ti arriva addosso”.
Riprendo a camminare cercando di mantenere il passo costante, anche se la fatica, il freddo che inizia a entrarmi nelle ossa e il bruciore sulle gambe mi rendono faticoso farlo.
Dopo altri 20 minuti siamo ormai quasi arrivati al bivio che porta alla stalla o alla capanna nostra meta e solo un altro colpo mi ha raggiunto sulle cosce senza che nessuna parola mi venisse più rivolta.
Pochi passi prima del bivio invece mi viene detto, sempre con un tono secco e deciso, di prendere a sinistra verso la stalla.
Vado a ricordare le altre volte dove ho accettato l’incontro per convincermi che andrà di certo tutto bene anche questa volta, che il “club” è composto da persone di un certo livello e che qualsiasi cosa succeda non verrà mai passato alcun limite e quindi anche quello della privacy.
Allo stesso tempo sono però perennemente in tachicardia quando ci penso, con i capezzoli che sento gonfi, la voglia di toccarmi e il desiderio che passino in fretta i giorni che mancano.
Quando mio marito rientra gli dico subito che ho accettato un incontro. Lui mi sorride e so che sta già eccitandosi nel sapermi eccitata. Non mi chiede nulla, sa che saprà tutto ma gli scappa un malizioso “non vedevi l’ora cagnetta” detto con un tono allegro da simpatico “stronzo”.
Non ne parliamo più e passiamo 6 giorni fino al venerdì facendo l’amore ogni sera e ogni mattina, poi lui parte con i ragazzi per il weekend al mare (non era previsto ma sa che così posso concentrarmi e sentirmi più libera e io lo adoro per questa sua sensibilità silenziosa) e io ho il venerdì per prepararmi.
Mi piace arrivare rilassata e sentirmi bella anche se so benissimo che non tornerò come sono partita. Quindi mi organizzo la mattinata tra palestra, sauna, estetista e parrucchiere. Ora devo decidere come prepararmi: non ci sono state indicazioni specifiche di abbigliamento, ma dovendo fare un sentiero di montagna penso sia normale. Preparo uno zaino da e ci butto dentro un cambio di intimo sportivo, pantaloni e maglietta tecnica e calzettoni. Tiro fuori le scarpe da trekking e preparo la copia di quello che ho messo via da indossare. Devo arrivare alle 17, un paio d’ore di macchine quindi decido che partirò nel primo pomeriggio pe fare tutto con calma.
La serata passa rilassata sul divano con la compagnia di una buona bottiglia di rosso che mi aiuta sempre a rilassarmi. Dormo nuda, come sempre, e mi sveglio alle 10 rilassata; decido di non fare colazione e mi butto sotto la doccia gelata. Mi sento bella e allo stesso tempo inizio a sentire l’agitazione che si impossessa di me.
Mi vesto e, anche se è presto ancora, decido di uscire di case per non impazzire.
Prendo la macchina e parto, direzione Valtellina. Guido con calma perché so di essere agitata; la radio suona musica che non sento, la strada scorre ma mi sembra di essere dissociata da quello che mi accade intorno. Per metterci più del necessario decido di passare per la vecchia statale e di fermarmi poi prima di Sondrio dove c’è un insediamento commerciale con diversi negozi.
Ne approfitto per mangiare, ricordandomi che avrò poi due ore di sentiero non proprio pianeggiante, passeggio un po' tra i negozi e quando sono le 1615 decido che è il momento di fare gli ultimi 30 Km e raggiungere il luogo indicato.
Alle 1650 posteggio, mi guardo in torno cercando di capire se qualcuno mi sta osservando poi prendo un profondo respiro mi carico in spalla lo zaino leggero e prendo il sentiero che ho percorso un sacco di volte.
La strada da percorrere parte da 1200 metri e arriva a quasi ai 2200. È nuvolo, non freddo ma minaccia temporale. Sono allenata, atletica, conosco perfettamente il percorso e cammino spedita per il primo tratto che arriva a delle baite da dove si gode una vista spettacolare sul fondo valle, poi proseguo su un tratto più dolce. Incrocio qualche persona che scende di ritorno dalla passeggiata in cerca di funghi, e un paio di fuoristrada che salgono verso le baite. La strada è una carrozzabile sterrata fino ad un certo punto, dove si può scegliere di proseguire o prendere un sentiero. Non avendo avuto indicazioni precise e per cercare di stemperare la tensione mi metto a pensare cosa sia meglio fare, visto che l’unica cosa che so e che troverò lungo il percorso, chi mi ha scelta.
Arrivo, dopo circa un’ora alle ultime baite, già tutte disabitate e con l’imbrunire che inizia a scendere e vengo sorpassata da ‘un’altra jeep. È ormai venti minuti che non incrocio nessuno, ma l’ora è tarda ed è normale. A breve arriverò ad incrociare il torrente dove la strada si divide e ho deciso che prenderò il sentiero sulla destra.
Sono quasi arrivata, intravedo il baitello a fianco del guado e scorgo anche la jeep che mi aveva sorpassato poco prima. Non ci faccio troppo caso ma quasi subito sento un rumore alle mie spalle e una voce secca di donna che parla un italiano con un forte accento straniero che mi urla “fermati e non voltarti”.
Ecco, è iniziato il “gioco”. Mi fermo immobile, le gambe si fanno improvvisamente molli come se avessi un calo improvviso di pressione nonostante senta il silenzio del luogo, rovinato dal battito del mio cuore, che ha accelerato troppo e sembra volermi uscire dal petto; chiudo gli occhi e cerco di riprendere il controllo del respiro, sento parlare dietro di me, credo in tedesco, e poi ancora la voce che mi ha fermato dirmi “cammina fino alla jeep, togli gli zaini che trovi dentro e mettici il tuo, rimani in scarpe e slip , metti il più piccolo davanti e il più grande dietro poi riparti seguendo il sentiero, non voltarti e non parlare”.
Sicuramente ci sono due donne (non avevo dubbi), sicuramente non sono italiane e di certo una non parla italiano mentre l’altra si, anche discretamente a parte il forte accento. Non riesco a definire l’età ma non sono di certo più giovani di me.
Faccio quanto ordinato e la cosa che mi dà più fastidio è il freddo che inizio a sentire sulla pelle sudata, levo i pantaloni senza togliere gli scarponcini, la maglietta e il reggiseno sportivo. Poi apro la jeep e indosso lo zaino piccolo sul petto e quello grande sulle spalle, sistemandoli al meglio. Ripongo il mio e mi avvio prendendo il sentiero che passa sulla destra attraversando il torrente.
I due zaini sono decisamente pesanti, specialmente quello grande sulle spalle e faccio davvero fatica a camminare sul sentiero stretto che, per la prima parte, so anche essere ripido e molto umido a causa del torrente che scorre a fianco.
Sento dietro di me, a pochi metri le due donne che parlano tra di loro in tedesco in tono molto conviviale ma non capisco assolutamente nulla. Dopo circa 20 minuti il sentiero esce dal bosco alla sommità dell’alpeggio e si ricongiunge con la mulattiera carrozzabile usata dai pastori.
Appena in piano vedo la nostra meta (ci saranno ancora 10 metri di dislivello però) sulla destra e la grande stalla con la piccola baita dei pastori a sinistra.
Rallento un attimo per cercare di capire se è già abbandonata o ancora abitata terrorizzata di poter essere vista, ma mentre realizzo che non c’è nessuno un colpo secco mi arriva sotto le natiche seguito da un secondo più basso che mi prende il retro del ginocchio e il davanti delle cosce. È di certo una lunga bullwhip di cuoio che mi coglie impreparata e mi fa quasi cadere. Il terzo colpo è fortissimo e mi avvolge il busto per fortuna scaricando la sua forza sugli zaini e contemporaneamente la donna alle mie spalle mi dice “è lunga 3 metri, se rallenti o ti fermi ed arriviamo a meno della sua lunghezza ti arriva addosso”.
Riprendo a camminare cercando di mantenere il passo costante, anche se la fatica, il freddo che inizia a entrarmi nelle ossa e il bruciore sulle gambe mi rendono faticoso farlo.
Dopo altri 20 minuti siamo ormai quasi arrivati al bivio che porta alla stalla o alla capanna nostra meta e solo un altro colpo mi ha raggiunto sulle cosce senza che nessuna parola mi venisse più rivolta.
Pochi passi prima del bivio invece mi viene detto, sempre con un tono secco e deciso, di prendere a sinistra verso la stalla.
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