2 Settembre 2023 - 3

di
genere
dominazione

Esito un attimo e un nuovo colpo di frusta mi raggiunge sotto le natiche, dato da più vicino e con più forza. Sento la lunga lingua che si avvolge sulle cosce e torna dietro.
Mi muovo rabbrividendo per il freddo che ora sento distintamente, sulla sinistra e dopo pochi minuti sono all’ingresso del grande capanno. È una costruzione in pietra lunga circa 20 metri e larga una decina, bassa con il tetto spiovente: una classica stalla di alpeggio con a fianco una piccola baita.
La donna che tiene i contatti vocali con me mi dice di entrare, procedo verso una delle porte che trovo aperta ed entro. Il posto è molto buio, classico odore di stalla ma l’ambiente è pulito e ordinato, segno che non verrà più usato fino alla primavera prossima.
Mi fermo varcata la soglia e vengo “invitata” a proseguire con un altro colpo secco dietro le ginocchia, dietro di me la porta viene chiusa e l’oscurità diventa praticamente buio. Le uniche luci sono quelle che entrano dalle travi del tetto ma fuori è ormai crepuscolo avanzato.
Mi viene intimato di fermarmi, levarmi gli zaini e spogliarmi completamente. Eseguo rabbrividendo sempre più per la temperatura e la sensazione è amplificata dal fatto che sono sudata e che l’ambiente è molto umido.
I piedi nudi sul pavimento di pietra mi rilasciano una sensazione di sporco e viscido.
Due mani forti e poco delicate mi afferrano le braccia da dietro e capisco che stanno per essere legate con una corda ruvida. Contemporaneamente quel poco di luce viene definitivamente spenta da una benda che mi viene posta sugli occhi mentre anche le caviglie vengono bloccate strette. Sono spinta in avanti, le braccia vengono tirate verso l’alto e assieme a loro anche il mio corpo si solleva. Sono appesa, con i piedi che non toccano più terra di qualche centimetro.
È un attimo e partono i colpi doppi. Si sono di certo posizionate una di fronte all’altra con me in mezzo e iniziano a frustarmi con due lunghe fruste che mi colpiscono in modo mirato e preciso dalle ascelle ai polpacci con un ritmo cadenzato da numeri scanditi in tedesco.
Nella mia mente inizio a contarli sforzandomi di concentrarmi e di non urlare ma il quinto colpo dato da dietro mi avvolge il busto e le punte della frusta colpiscono precisamente il capezzolo destro strappandomi un urlo acuto. Il tempo sembra fermarsi, il mio corpo è li appeso e io sono fuori di esso e mi vedo…ma subito dopo il sesto colpo dato dal davanti mi avvolge i glutei e finisce sul sesso strappandomi le prime lacrime ed un secondo urlo ancora più animalesco.
Non conto più e non sento più le loro voci ma solo le mie urla, il mio cuore che vuole uscire dal petto e il mio respiro sempre più affannoso. Sento anche il mio odore, di sudore dovuto alla fatica della camminata seccato sulla mia pelle e di sudore freddo, nuovo, dovuto alla paura che fa sparire quello dell’ambiente.
Dopo non so quanto, forse una decina di minuti mi trovo a terra. Sono stata slegata e lasciata cadere da quei pochi centimetri di altezza senza preavviso e senza poter prepararmi.
Cerco di rialzarmi ma un ultimo colpo mi raggiunge secco alla schiena. Mi vengono slegati i polsi e la donna che parla italiano mi intima di stare ferma immobile a terra fino a che non sentirò che se ne saranno andate, poi di liberarmi e raggiungerle al rifugio.
Aspetto qualche minuto per essere certa non siano ancora dentro, magari in silenzio, mi levo la benda, mi abituo all’oscurità e inizio a levarmi le corde rimaste ai polsi e poi tolgo quelle alle caviglie. Guardo il mio corpo, per quel posso vedere, ma soprattutto lo tocco e noto, quasi con un sorriso sulle labbra, che nessun segno sanguina. Questo mi tranquillizza, perché ho, se fosse necessario, la conferma che le regole del gruppo sono davvero rispettate alla lettera (nella mia anamnesi di accettazione al gruppo avevo proprio specificato di non riportare segni aperti e sanguinolenti). Mi alzo per cercare di rivestirmi del poco che avevo ma non trovo nulla: intimo, calzettoni e scarponcini sono spariti.
Capisco che dovrò fare i 500 metri di sentiero per ridiscendere al bivio e raggiungere il rifugio, scalza e completamente nuda.
Esco ed è ormai buio, fa freddo e tira vento quindi, approfittando anche del non avere gli zaini mi dirigo velocemente verso il rifugio che vedo illuminato. Dopo pochi passi però torno velocemente alla stalla e prendo benda e corde per evitare, magari, di essere rimandata indietro.
Percorro il sentiere stando attenta a dove metto i piedi; quindi, l’idea di farlo in fretta svanisce dopo pochi passi e qualche sasso ben doloroso sotto le piante nude dei miei (curatissimi) piedini.
Ci metto circa 10 minuti ad arrivare al rifugio, busso alla porta e la voce, ormai amica, mi dice di rimettermi la benda e di girarmi. Eseguo e un attimo dopo sento aprirsi la porta di legno e vengo spintonata in avanti. Conosco bene il posto, c’è un tavolo di legno con due panche dove spesso ho pranzato al sacco, posizionato al centro del pianoro antistante il rifugio che è delimitato, dall’altra parte, dal torrente che scende dalle cime che si innalzano dietro il luogo.
Vengo fatta sdraiare a pancia in giù sul tavolo e mi vengono bloccate braccia e gambe, entrambe larghe alla struttura su cui sono adagiata. Pochi istanti e rimango paralizzata e senza fiato da due secchiate di acqua gelida che mi colpiscono in pieno dalla testa ai piedi e viceversa. Il solo tempo di riprendere fiato ed altri due scrosci di acqua, sicuramente del ruscello mi colpiscono ancora.
Non controllo più il respiro ed il tremore, sento che vengo slegata, girata, legata ancora e sono altre 4 secchiate improvvise che mi colpiscono lasciandomi completamente svuotata di ossigeno. Inizio a tossire nella disperata ricerca di aria mentre altra acqua ghiacciata mi vene buttata addosso, per fortuna risparmiandomi il viso.
Non ho il senso del tempo, non credo sia passato molto ma sono allo stremo: ho freddo, tossisco, mi bruciano i segni dei colpi precedenti. Inizio a provare davvero paura, nonostante sappia che tutto è controllato.
Vengo slegata, le due donne parlano tra di loro con un tono allegro, sento che ridono ho la sensazione che stiano divertendosi. Vengo slegata, sento che mi vengono messe ai piedi dei calzari, probabilmente dei sandali, fatta alzare e spreme bendata guidata verso l’interno.
Lo capisco dalla differenza di temperatura, che allieva un po il freddo che mi sento addosso.
La donna che parla italiano mi dice che ora dovrò accendere il camino, preparare la cena con quello che trovo in uno dei due zaini e nella dispensa del rifugio e che dovrò farlo dando sempre le spalle al tavolo dove loro si siederanno, senza mai voltarmi. Mentre lei parla l’altra mi leva la benda da dietro ma io continuo a tenere gli occhi chiusi, e mi passa in modo sensuale e lascivo le mani su tutto il busto soffermandosi a lungo sui seni e stringendomi delicatamente i capezzoli in modo molto sensuale al punto da farmi scappare un gemito di piacere.
Quando si stacca apro gli occhi, mi prendo qualche secondo per abituarmi alla luce, mi guardo il corpo segnato pesantemente (ma non ferito) e inizio a muovermi verso la piccola stufa a legna posizionata sul lato corto del locale. Per fortuna trovo a fianco la legna ben ordinata e tagliata a giusta misura, sia per accendere che mantenere la fiamma e senza fatica riesco a fare partire un bel fuoco che mi scalda subito e mi fa sentire bene. Aspetto che la fiamma sia viva, aggiungo due ciocchi di legno e chiudo lo sportello di vetro della stufa, dirigendomi poi verso la piccola cucina stando bene attenta a non girarmi verso le due donne, anche se la voglia di vederle è molta.
Nello zaino c’è della polenta istantanea, facile e veloce da preparare, buste di affettati freschi, due salami, del formaggio di malga, pane e frutta. Inizio a preparare l’acqua nel tegame di rame, con un po' di fatica accendo il fornello alimentato da una bombola di gas e, mentre l’acqua bolle affetto i salami e preparo gli affettati ed il formaggio. Ho sempre molto freddo, ma tutto sommato, mi aiuta a sentire meno i segni dei colpi ricevuti. Faccio il possibile per rilassarmi, in sottofondo le due donne che parlano in tedesco, io ripenso a queste prime ore di questa “avventura” e a quanto mi siano mancate queste sensazioni.
Mi sposto al paiolo e ne approfitto per godermi il calore della polenta che inizia a solidificarsi e che mi scalda il busto piacevolmente.
scritto il
2023-10-18
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