La nave scuola - parte 2

di
genere
prime esperienze

I giorni trascorrevano uguali: esami, e pomeriggi in casa a preparare altri esami.
Nel giro di una settimana passata dal nostro primo "incontro", ammesso che un "ciao, piacere" possa chiamarsi incontro, andai a rispondere al telefono durante uno di questi pomeriggi “domestici”. Era la solita scocciatura a cui ero abituato fin da bambino: mia madre vantava un’ottima tradizione decennale nell’uso smodato del telefono, e spesso capitava a me di rispondere per dire alle sue amiche che non era ancora in casa. Questa volta era Cinzia, la new entry, ma uguale a tutte le altre in merito alla seccatura del telefono squillante:
“Ah, non c’è tua mamma? E quando ritorna? Le dici che ho chiamato, per favore?”.
Le tediose telefonate si ripetevano a distanza di un paio di giorni l’una dall’altra, sempre di pomeriggio quando mia madre non c’era, e il dialogo di fondo era sempre lo stesso. Ma la situazione stava peggiorando: oltre a distrarmi sul momento, questa Cinzia mi faceva perdere sempre piu’ minuti preziosi al telefono: “Sai, mi ha detto tua mamma che studi quello, complimenti, io invece faccio questo, ma faccio anche quest’altro…è cosi’, che ci vuoi fare…ma dove vorresti lavorare dopo…ecc.” Ora non bastavano neanche piu’ 5 minuti per poterle dire di richiamare piu’ tardi, dato che per gentilezza mi sentivo in dovere di sostenere con lei la conversazione in modo perlomeno garbato. In quanto amica di mia madre, non prendevo nemmeno in considerazione l'idea di lasciar precipitare gli eventi con lei, ammesso che potessi interessarle; e poi non mi era neanche sembrata carina nei cinque secondi che l'avevo incontrata. Semplicemente non esisteva per me, e in quei giorni pensavo agli affari miei, alle mie ex, e alle possibilità di conoscere nuove ragazze che non fossero amiche di mia madre.

Dopo che ci eravamo già parlati al telefono tre o quattro volte, in in uno dei tanti pomeriggi a casa mi trovavo seduto sul divano del salotto, intento a massaggiarmi il Gulliver durante una pausa dallo studio. A un dato momento, anziché far sfogare le mie energie di ventenne in eccesso, le attricette e le conoscenti a cui ero solito pensare persero la loro presa su di me. Fu così, che in un momento di vuoto con il pene in mano, fantasticai improvvisamente di accoppiarmi con Cinzia, così "tanto per". E mentre la nuova situazione si faceva sempre più intensa, con questa ragazza di cui non ricordavo neanche tanto bene il viso, mi venne una fitta di ammonimento nei coglioni, e poi un'idea: "chi se ne frega se è amica di mia madre, la prossima volta che telefona la invito a uscire. Se vuole, bene, se non vuole che si impicchi, così impara a disturbarmi sempre con le sue telefonate a casa, e magari la smetterà una buona volta." A supportare il mio proposito, facevano eco le sagge parole di un mio ex compagno dell'istituto tecnico: "in tempo di carestia, ogni buco è galleria". Quanta poesia, quanta saggezza in un così breve sonetto! Ora bastava solo rispondere alla prossima telefonata e invitarla; dimenticando i sonetti, era una perfetta estranea, di un paio d'anni più vecchia di me e quindi sicuramente interessata a tipi un po' più maturi. Senza contare che al mio invito probabilmente si sarebbe sentita anche lei inibita dalla sua amicizia con mia madre, oltre che sorpresa e spiazzata. Certo, dopo quelle tre o quattro telefonate sempre più invadenti avevo anche considerato che forse le interessavo, ma ci eravamo appena sfiorati con lo sguardo, e poi quando mai una ragazza prenderebbe l'iniziativa in modo così deciso? Finora avevo solo incontrato ragazzette passive e mediocri nel loro comportamento: anche quando interessavo e c'era un lieto seguito, fosse stato solo per loro non sarebbe mai successo nulla; indecisione, mediocrità nel comportamento e passività in ogni situazione problematica erano i loro inseparabili compagni di viaggio.

Tornando a Cinzia, che lei mi piacesse o no, il fatto di averla colpita mi sembrava un po' troppo lusinghiero per poter essere vero, non ero così fortunato: pura fantascienza. Si’, di lì a un paio di giorni, alla prossima telefonata me la sarei levata definitivamente di torno: nulla allontana una donna più di un invito non gradito. Dopo quella parentesi di pensieri, durata solo pochi minuti, tornai ad occuparmi dei vari affanni della mia solita vita.
La telefonata arrivò nel giro di un paio di giorni, come previsto. No, neanche questa volta mia mamma era in casa. La lasciai parlare un po' e risposi, del più e del meno. Al momento opportuno feci la mia entrataccia a gamba tesa: "senti, ti va se usciamo una di queste sere?”. Lei non perse l’equilibrio neanche un po' e rimase palla al piede: "ma si’ dai, perché no". Ci accordammo su giorno, ora e luogo. Non si sarebbe trattato di un impegnativo sabato sera, probabilmente avevo proposto un innocuo lunedì, che era tradizionalmente il mio giorno fortunato per queste cose. Il progetto di levarmi Cinzia dalle scatole era fallito miseramente, ma ora si affacciava alla finestra qualcosa di più interessante. Sembrava già molto probabile che avesse architettato apposta quelle telefonate a vuoto in casa mia, per parlarmi. Mi meraviglio ancora adesso della lentezza con cui iniziai a sospettare qualcosa. Anche il problema della mamma si era rivelato inconsistente, probabilmente una pigra scusa iniziale per non tentare nulla. Ora il mio atteggiamento era tranquillo e fatalista al riguardo; a qualunque commento, seppur improbabile data la tradizionale discrezione dei miei, avrei risposto: “E beh? Ti stupisci che ci ho provato? Se mi presenti una mia coetanea puo’ capitare…non sapevo che fosse vietato!”

La sera dell'appuntamento, dopo una cena consumata in fretta, iniziai a prepararmi: questa volta non mi avrebbe visto trasandato, bensì al meglio, poco importava se lei mi piaceva o no.
Indossai la camicia beige, compagna fedele di 1000 battaglie e ormai ritirata a una vita di rendita nel mio armadio: per un attimo mi tornarono alla mente con nostalgia le vittorie conquistate con quel capo che miravo a risparmiare, non trovandone più di uguali nei negozi. Aggiunsi poi una cravatta marrone scuro, che con la camicia s’intonava a meraviglia; nell'ultimo anno avevo infatti iniziato a indossare con disinvoltura la cravatta ogni tanto.
Poi toccò a un orologio di colore verde acceso che non indossavo da tanti anni e che avevo ritirato proprio quel pomeriggio dalla gioielleria: anche questo, pensando a primi appuntamenti passati, era di ottimo auspicio. Presi in prestito la macchina di mio padre, e mi avviai verso il centro.

...continua...
scritto il
2013-02-26
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