Rehab – Confessioni di una Sadica (sull'orlo dell'esaurimento nervoso) #14: AHEGAO

Una delle grandi scemenze che sento spesso è quella del “la vita è ovunque”, oppure “tutto è vita” come canta qualcuno che andrebbe processato per oltraggio alla bellezza. No dottore. La vita, per come la intendo io, non è ovunque. La morte semmai, quella sì. La vedi negli occhi delle persone, la respiri nelle folle, l’avverti nelle parole e nei pensieri. La gente normale fa la coda in autostrada per andare ad annoiarsi a 500 chilometri da casa. Questa terapia dottore forse non è stata del tutto inutile. C’è una cosa che credo, anzi sono certa, di aver capito. Una cosa che già sapevo ma vederla finalmente cristallizzata mi ha aperto una porta verso un nuovo livello di consapevolezza. Di cosa sono fatte realmente le mie pulsioni? Di cosa sono fatti i miei desideri? Che cosa cerco davvero? L’amore senza ragione genera mostri diceva qualcuno ma io non sono sicura si tratti davvero di amore. E’ qualcosa che per me è diventato dipendenza. Una droga. La mia droga. Qualcosa che inizia sempre per A ma ha tutta un’altra natura. E’ l’adrenalina dottore. La fottuta adrenalina. Esatto, è questo che sono. Una drogata di adrenalina. Lo sono sempre stata, ma col passare degli anni mi sono spinta troppo oltre, fino a perdere il controllo. E ora questa puttana è tornata a chiedermi il conto.

L’ultima volta che sono stata a Tokyo, ero appena arrivata, mollai i bagagli in hotel e mi diressi subito a shinjuku. Era tarda notte ma, lo sa, quel quartiere non conosce il sonno. Ricordo che mi fermai su un cavalcavia, a guardare in lontananza quell’orgia silenziosa di luci, palazzi e brulicar di persone. E improvvisamente iniziai a tremare. Prima le gambe poi anche le mani. Un attacco d’ansia o di panico. Mi accasciai al suolo per prendere fiato, per respirare. Poi, annaspando, mi trascinai verso la strada, presi il primo taxi e mi feci riportare in albergo. Stavo distesa sul letto a guardare il soffitto, con il cuore al galoppo e i sudori freddi che mi infradiciavano dalla testa ai piedi. La visione di quello scenario così seducente e lascivo, così corrotto e vizioso mi aveva letteralmente mandato in tilt il cervello. Ero terrorizzata. Ma non dalla città dottore. Né dal fatto di essere sola lontana miglia e miglia da casa. Ero terrorizzata da me stessa. Da quello che avrei potuto combinare, capisce? Dalle tentazioni a cui non avrei saputo resistere. Dall’adrenalina che avrebbe potuto farmi perdere la ragione, fino a farmi fare qualsiasi cosa. Provai allora a masturbarmi, per scaricare la tensione, ma non funzionò. Anzi, dopo il primo orgasmo ero ancora più eccitata. La libido si era mescolata all’adrenalina e non capivo più niente. Uscii dalla stanza in mutande e incrociai la coppia di finlandesi che alloggiava di fronte a me. Presi lui per un braccio e gli dissi che volevo tirare due righe di bamba dal suo uccello seduta con il culo sulla faccia della sua ragazza. Non ricordo la sua reazione, so solo che ad un certo punto non mi trovavo più in hotel, ero a shinjuko, con la testa nel cesso di chissà quale locale, a vomitare l’anima mentre un tizio di colore alla porta continuava a ripetermi che gli avevo dato 12.000 yen anziché 15.000.
Poi ero di nuovo sdraiata sul letto, al buio, con e le gambe tremanti e le mani che puzzavano di sesso, di merda e di sbocco. L’orologio segnava le 5:01. Ero stata fuori tutta la notte. Dio solo sa dove. L’adrenalina non se n’era ancora andata e mi venne voglia di chiamare Coraline, per farmi un dito con lei al telefono, un’ultima volta. Non avevo idea di dove cazzo l’iPhone fosse finito per cui allungai un braccio e presi il cordless dell’hotel che stava sul comodino. Feci il suo numero ma quando sentii la sua voce rispondere “Alex? Sei tu?” con quel suo tono ancora colmo di speranza, nonostante quello che le avevo fatto, buttai giù la chiamata. Il cuore mi sprofondò nelle tenebre, guardai alla finestra e pensai che forse sarei dovuta morire.

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