Simona #1
di
movement
genere
etero
Che la famiglia fosse originaria del sud, che sedesse al primo banco, che abitasse in un paese fuori, abbastanza lontano, che avesse un viso grazioso ed un bellissimo sorriso, timido – queste le cose che ricordo della Simona di venti/venticinque anni fa.
E una sensazione, ogni volta che la sentivo aprire bocca: che in fondo sarebbe diventata una tipica signora di provincia. Si sarebbe soprattutto sposata, avrebbe avuto un paio di figli, magari tre, un lavoro da impiegata – non fondamentale per le finanze familiari - e una vita che agli occhi dei suoi l’avrebbe fatta apparire una specie di eroina contemporanea. Un’esistenza semplice, ordinaria. Senza grilli per la testa. O, d’altra parte, piatta.
Forse dovrei concentrarmi di più, mettere da parte le reminiscenze della mia stronzaggine post-adolescenziale.
Ma non è facile.
Perché sono ancora oggi uno stronzo.
Però, anche perché Simona fa la segretaria in un’azienda di mobili, ha due figli ormai alle medie, si è sposata presto, li ha fatti presto e l’università non l’ha mai finita. Il marito fa il rappresentante. Ha la Mercedes, lui. È stato il suo primo e unico ragazzo. Abitano nello stesso paese di allora, solo tre via più in là dalla chiesa, nella strada di villette bifamiliari che sfuma verso i campi e da lì verso la statale.
Lo ha raccontato lei stessa qualche ora fa, ho origliato mentre parlava alle vecchie compagne di classe, che poi sono anche le mie.
Poi il caschetto biondo tinto. Il look troppo elegante per una serata casual, quello di chi vuole fare bella figura davanti a persone (che crede) più sofisticate. Il fisico tendenzialmente tonico di una madre giovane che si allena per scacciare la noia e non perdere le attenzioni di un marito prono a cadere in altre tentazioni. Ma chissà.
Un puzzle di malignità esatte che però avrei comunque messo insieme.
L’intimo di pizzo color pastello.
Il cespuglietto tra le cosce, folto ma curato, comunque lontanissimo da ogni audacia.
La sua tecnica orale da educanda.
E quando ho tirato fuori un preservativo, quasi offesa, mi ha detto «ma guarda che prendo la pillola».
Discorso chiuso.
Quindi, devo concentrarmi di più.
D’altra parte a che serve - qui, ora - dirsi d’averci visto lungo?
I vetri appannati.
Simona è così bagnata che la sento colarmi tra le cosce; mi cavalca ad occhi chiusi, a ritmo regolare, ma entusiasta, mentre l’acquazzone continua a battere sul tettuccio.
«ci sei?», mi fa col fiato corto.
«sei uno spettacolo», ribatto col pilota automatico.
E mi si fionda sulle labbra chiudendomi in un bacio profondo, e si sbatacchia più forte per cercare quel piacere che penso volesse sin dall’inizio di questo passaggio in macchina.
Viene, piano, con un singhiozzo.
Ed è a questo punto, mentre rallenta per godersi il momento e mi si abbarbica addosso, che l’afferro per i fianchi per imprimerle il mio, di ritmo. Non se l’aspettava e sgrana gli occhi sorpresa, lasciandomi fare.
Penso che in realtà vorrei riempirle la bocca. No anzi, vorrei schizzarle sul viso – imbrattarle quel sorriso ampio e perfetto e perbene.
Ma va bene così, mi ha un po’ usato fino adesso e allora è il mio turno di usarla.
Accelero,
a lei scappa un «piano!», acuto, improvviso e
mi allunga un braccio sul petto come a mettere distanza,
a frenarmi ma
le acchiappo più forte il sedere,
stringo,
affondo,
più su,
ancora,
mi tendo,
le riverso dentro il mio orgasmo,
ogni goccia e
poi ancora un po’,
mentre le stringo la nuca,
per tenerla lì,
per premere tutto il suo piccolo peso su di me
finché non si arrende sulla mia spalla e
tutto scivola via.
Stanotte all’improvviso non ha smesso di piovere nemmeno un minuto.
E una sensazione, ogni volta che la sentivo aprire bocca: che in fondo sarebbe diventata una tipica signora di provincia. Si sarebbe soprattutto sposata, avrebbe avuto un paio di figli, magari tre, un lavoro da impiegata – non fondamentale per le finanze familiari - e una vita che agli occhi dei suoi l’avrebbe fatta apparire una specie di eroina contemporanea. Un’esistenza semplice, ordinaria. Senza grilli per la testa. O, d’altra parte, piatta.
Forse dovrei concentrarmi di più, mettere da parte le reminiscenze della mia stronzaggine post-adolescenziale.
Ma non è facile.
Perché sono ancora oggi uno stronzo.
Però, anche perché Simona fa la segretaria in un’azienda di mobili, ha due figli ormai alle medie, si è sposata presto, li ha fatti presto e l’università non l’ha mai finita. Il marito fa il rappresentante. Ha la Mercedes, lui. È stato il suo primo e unico ragazzo. Abitano nello stesso paese di allora, solo tre via più in là dalla chiesa, nella strada di villette bifamiliari che sfuma verso i campi e da lì verso la statale.
Lo ha raccontato lei stessa qualche ora fa, ho origliato mentre parlava alle vecchie compagne di classe, che poi sono anche le mie.
Poi il caschetto biondo tinto. Il look troppo elegante per una serata casual, quello di chi vuole fare bella figura davanti a persone (che crede) più sofisticate. Il fisico tendenzialmente tonico di una madre giovane che si allena per scacciare la noia e non perdere le attenzioni di un marito prono a cadere in altre tentazioni. Ma chissà.
Un puzzle di malignità esatte che però avrei comunque messo insieme.
L’intimo di pizzo color pastello.
Il cespuglietto tra le cosce, folto ma curato, comunque lontanissimo da ogni audacia.
La sua tecnica orale da educanda.
E quando ho tirato fuori un preservativo, quasi offesa, mi ha detto «ma guarda che prendo la pillola».
Discorso chiuso.
Quindi, devo concentrarmi di più.
D’altra parte a che serve - qui, ora - dirsi d’averci visto lungo?
I vetri appannati.
Simona è così bagnata che la sento colarmi tra le cosce; mi cavalca ad occhi chiusi, a ritmo regolare, ma entusiasta, mentre l’acquazzone continua a battere sul tettuccio.
«ci sei?», mi fa col fiato corto.
«sei uno spettacolo», ribatto col pilota automatico.
E mi si fionda sulle labbra chiudendomi in un bacio profondo, e si sbatacchia più forte per cercare quel piacere che penso volesse sin dall’inizio di questo passaggio in macchina.
Viene, piano, con un singhiozzo.
Ed è a questo punto, mentre rallenta per godersi il momento e mi si abbarbica addosso, che l’afferro per i fianchi per imprimerle il mio, di ritmo. Non se l’aspettava e sgrana gli occhi sorpresa, lasciandomi fare.
Penso che in realtà vorrei riempirle la bocca. No anzi, vorrei schizzarle sul viso – imbrattarle quel sorriso ampio e perfetto e perbene.
Ma va bene così, mi ha un po’ usato fino adesso e allora è il mio turno di usarla.
Accelero,
a lei scappa un «piano!», acuto, improvviso e
mi allunga un braccio sul petto come a mettere distanza,
a frenarmi ma
le acchiappo più forte il sedere,
stringo,
affondo,
più su,
ancora,
mi tendo,
le riverso dentro il mio orgasmo,
ogni goccia e
poi ancora un po’,
mentre le stringo la nuca,
per tenerla lì,
per premere tutto il suo piccolo peso su di me
finché non si arrende sulla mia spalla e
tutto scivola via.
Stanotte all’improvviso non ha smesso di piovere nemmeno un minuto.
2
7
voti
voti
valutazione
6.3
6.3
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Marta #2.2racconto sucessivo
Martina #1
Commenti dei lettori al racconto erotico