La tavernetta - parte 1 di 2
di
Duca Bianchi
genere
fisting
In quegli anni vivevo ancora nella casa di famiglia, una villetta degli anni ’70, semi-nascosta dagli alberi in fondo ad una strada senza uscita nell’estrema periferia nord di Monza.
Dopo la separazione da mia moglie Sara, che era tornata dai suoi a Roma con Letizia, la minore delle nostre due figlie, dividevo la casa con la grande, Giulia, che si era fermata a Milano per continuare l’università.
L’abitazione principale era collocata al piano rialzato. Nel seminterrato, oltre al box e ad una piccola stanza adibita a lavanderia, negli anni era stata ricavata una tavernetta. Il locale era stato concepito inizialmente come un unico grande salone, con angolo cottura, un lungo tavolo dotato di panche e un vecchio biliardo rilevato da un bar che aveva chiuso i battenti da tempo. All’inizio degli anni duemila, poi, avendo trovato un lavoro che prevedeva la reperibilità notturna, avevo ricavato dal grande salone una specie di zona notte con un bagno e una camera da letto. Le notti in cui ero reperibile andavo a dormire lì, in modo da non svegliare Sara e le bambine nell’eventualità che fossi stato chiamato, cosa che capitava molto spesso. La tavernetta, oltre ad essere collegata ai piani superiori mediante una scala interna, aveva un ingresso indipendente che dava sul cortile, permettendomi, in caso fossi dovuto uscire, di non disturbare nessuno.
Il locale si era trasformato, dopo che avevo cambiato lavoro ed era venuta a mancare l’esigenza di dormirci, in una specie di piccolo appartamento ad uso e consumo delle nostre figlie, un luogo di ritrovo dove organizzare feste e cene e dove offrire un letto per la notte agli amici. Dopo la separazione, Giulia ci si era stabilita permanentemente, condividendo con me solo i momenti dei pasti e poco più. Spesso ospitava amiche o compagne di studi, che a volte si fermavano a cena o addirittura a dormire.
Quel pomeriggio, dalla finestra della cucina, l’avevo vista rientrare con un paio di ragazze. Ne avevo riconosciuta una, Simona, una rossa dal naso vagamente aquilino e dal fisico atletico. Era compagna di corso di Giulia ed era un’habitué di casa nostra. Anche l’altra, che non mi era parso di riconoscere da quanto era imbacuccata, doveva studiare con loro: era così carica di libri che quasi barcollava.
Verso sera scesi le scale interne e bussai alla porta della tavernetta. Mi aveva chiamato la mia ex moglie, che aveva tentato di contattare urgentemente Giulia ma non aveva avuto risposta. L’avevo tranquillizzata dicendole che era giù con delle amiche, che probabilmente aveva messo il telefono in silenzioso per non essere disturbata, e che la sarei andata a cercare per chiederle di richiamarla.
Non rispose nessuno. Bussai di nuovo. Niente. Decisi di aprire la porta, che non era mai chiusa a chiave, cominciavo ad essere preoccupato anch’io.
Il grande salone era al buio ma dalla fioca luce proveniente dalle bocche di lupo potei notare che il tavolo era stato apparecchiato per metà, con tre piatti grandi da pizza. L’altra metà era invece ancora ingombra di libri e blocchi per gli appunti. Evidentemente avevano deciso di rimanere a studiare fino a tardi, ma avevano pensato di fare una pausa e andarsi a comprare qualcosa da mangiare. A conferma della mia ipotesi la giacca di Giulia non era appesa, come al solito, all’attaccapanni dell'ingresso. C’era una pizzeria da asporto a poche centinaia di metri da casa, non sarebbe tornata fra molto. Avrei potuto aspettarla lì, ma non era il caso di farmi trovare in quella che di fatto era diventata la “sua” casa. Nonostante fosse una mia proprietà, e avrei avuto tutti i diritti di stare lì, era una questione di rispetto della sua privacy, che era anche il motivo per cui prima di entrare bussavo sempre.
Stavo per uscire quando notai che la lampada della camera era accesa: la porta era semichiusa, ma una sottile lama di luce attraversava il pavimento per stamparsi contro la parete.
Feci per andarla a spegnere – odiavo gli sprechi – quando mi resi conto che, quando avevo controllato l’attaccapanni all’ingresso, avevo notato una giacca che non mi pareva fosse di Giulia. Quindi erano andate in pizzeria solo in due? Era plausibile, ma cosa ci faceva la terza in camera da sola? Non pensai che volesse rubare qualcosa, erano sicuramente amiche e comunque Giulia non possedeva oggetti di valore. Ciò nonostante, un po’ per la curiosità, un po’ per la necessita di togliermi il dubbio, decisi di andare a controllare.
Dallo spiraglio riuscivo a vedere solo una porzione di gambe femminili, nude, distese sul letto. La ragazza doveva essersi coricata a pancia in giù sopra alla coperta. Ma cosa stava facendo?
Con un movimento impercettibile spinsi la porta e la scostai appena. Era la terza amica, quella che non conoscevo: distesa sul letto in diagonale, indossava una canottiera bianca dalle spalline sottili e un paio di slip grigi. Sembrava intenta a guardare qualcosa, ma da quella posizione non riuscivo a capire cosa. Stavo per allontanarmi, dal timore che potesse sentirmi, quando si scostò i capelli nerissimi con un gesto distratto delle mani e vidi che aveva le Airpods alle orecchie. Questa scoperta mi rese più audace: spinsi ulteriormente la porta e, dalla più ampia apertura, riuscii a vedere l’intera scena. Stava guardando un film sull’iPad. Mi ci volle poco a capire che era un porno. Non sapevo cosa pensare, mi sentivo tremendamente in imbarazzo, per me e per lei. Non che non avessi mai guardato un porno, anzi, li utilizzavo come ausilio quando mi masturbavo: non avendo una compagna, di tanto in tanto ero costretto a dedicarmi a quella pratica. Ma quello non era un porno qualunque…
Una ragazza minuta e apparentemente giovanissima, dalla tipica fisionomia latino-americana, era circondata da diversi maschi di varie etnie, tutti dotati di cazzi di notevoli dimensioni e perfettamente eretti. C’era un’altra donna, dai capelli biondo platino e un po’ più grande di età, la pelle ricoperta di tatuaggi, che però sembrava partecipare all’orgia in maniera passiva. Ogni tanto stimolava il clitoride della giovane, ogni tanto guidava uno dei membri dentro a quello o quell’altro orifizio della ragazza più giovane. Gli uomini, che sembravano equilibristi da circo, cambiavano posizione spesso, producendosi in figure difficili anche solo da immaginare. Aiutati dalla bionda, ad un certo punto, avevano collocato la giovane in ginocchio su un divano di pelle bianca e si erano incastrati in modo tale da riuscire penetrarle il culo in tre contemporaneamente. La ragazza, che si era prodotta fino a quel momento in smorfie di apparente piacere, sembrava non aver gradito l’assalto: il suo viso ora esprimeva disagio, se non vera e propria sofferenza, e con la mano aveva cercato di spingere via gli invasori. Un quarto, incurante della sua reazione, le aveva bloccato il braccio e, per ribadire ulteriormente il suo potere, le aveva schiacciato la testa sulla seduta del divano con un piede. Ero al tempo stesso nauseato ed eccitato dalla scena, tanto da provare un profondo senso di disagio. Distolsi lo sguardo dal film, ma la mia vista fu attirata dall’amica di Giulia, sempre intenta a guardare avida lo schermo. Aveva portato la mano sotto agli slip e iniziato a sfregarsi l’interno delle cosce. Notai solo allora quanto fosse bella, aveva un corpo perfettamente proporzionato e una pelle liscia e priva di qualunque imperfezione. Non riuscivo a vederle il seno, ma difficilmente sarebbe riuscito a fare gara con il sedere, piccolo ma pieno, dalla forma perfetta di una sfera. Quando mi resi conto di avere la fronte imperlata di sudore, tanto da doverla asciugare con una manica della camicia, decisi di andare via: era un’amica di mia figlia, probabilmente aveva l’età di mia figlia… Eppure, non riuscivo ad allontanarmi, una forza superiore alla mia volontà mi aveva incollato i piedi al pavimento. La ragazza si era intanto scostata i bordi degli slip, mettendo in bella mostra la fessura della vulva, lucida di umori, e il piccolo ano grinzoso. Aveva intinto un dito, fino all’ultima falange, dentro alla vagina e lo aveva poi inserito nel buco del culo, forzando i muscoli dello sfintere fino a farlo sparire all’interno.
Mentre aveva iniziato a farlo scorrere dentro e fuori ripetutamente, con movimenti sempre più veloci, la scena del film era di nuovo cambiata. L’attrice protagonista era stata distesa a pancia in su sul divano, col culo sporgente dal bordo. Le gambe, divaricate al massimo, erano state tirate verso l’alto, dove erano state bloccate da braccia robuste. Figa e culo erano oscenamente spalancati, con lei completamente immobile, in balia dei suoi partner. La bionda si era cosparsa la mano destra di un abbondante strato di lubrificante, e aveva cominciato a forzarle con la punta delle dita le pareti all’ingresso dell’ano. Ci erano volute poche spinte, accompagnate da movimenti rotatori, per infilare dentro la mano fino al polso. Non potevo udire l’audio, ma sembrava che gli uomini, due dei quali venivano tenuti in tiro dalle mani dell’attrice protagonista, incitassero l’altra a spingere di più. Quello che sembrava il più infoiato, un pelato dagli addominali scolpiti, lo stesso che le aveva calpestato la testa, cominciò a schiaffeggiarla sulle natiche, per poi afferrare il braccio della bionda e spingerle la mano ancora più a fondo nell’intestino, fino quasi al gomito. Ora lo sguardo della giovane attrice era di puro panico, si guardava intorno alla ricerca dell’aiuto degli altri uomini, o di chi fosse dietro alla macchina da presa. Per tutta risposta uno di quelli che lei stava masturbando, le aveva infilato brutalmente quattro dita in bocca, fino a portarla quasi sul punto di vomitare mentre un altro aveva iniziato a pisciarle addosso.
Intanto con la coda dell’occhio avevo di nuovo gettato uno sguardo alla giovane sdraiata sul letto. Le dita ora erano diventate tre, e il ritmo del braccio era diventato parossistico. La schiena inarcata saliva e scendeva alla velocità del respiro, ogni istante più intenso, facendo presagire un orgasmo imminente. Lo sguardo era sempre incollato allo schermo dell’iPad.
Anche sull’altro fronte il ritmo si era fatto frenetico, le mani dentro al culo della giovane attrice erano diventate due, con uno degli uomini, un nero enorme, che cercava di farsi spazio col cazzo all’interno dello stretto passaggio, cercando un pertugio dove entrare. Non riuscendo a fare abbastanza pressione aveva rinunciato e aveva cominciato ad insinuare le sue dita fra i polsi della bionda, che, scuotendo la testa, l’aveva guardato con disapprovazione. Intanto l’attrice protagonista aveva iniziato a piangere e alcuni degli uomini si erano fermati, facendo cenno all’altro di smetterla. L’uomo di colore sembrava non volerne sapere, come impazzito dalla lussuria. Aveva sfilato, con un gesto brutale, le braccia della bionda dal culo della ragazza più giovane, lasciandole il buco aperto a formare una voragine nera e profonda, poi aveva spinto entrambe le sue mani, chiuse a pugno, contro lo sfintere martoriato, i muscoli tesi per lo sforzo.
Non ebbi mai modo di conoscere gli esiti delle manovre del gigante nero, se fosse finalmente riuscito nell’intento di distruggere il culo di quella povera ragazza. Sentii il rumore del cancello aprirsi. Giulia e l’altra amica erano tornate, era il momento di dileguarsi. Salii le scale di corsa e mi chiusi in casa. Quando accesi la luce, ansimante, guardai verso il basso e mi resi conto dell’erezione che spingeva dolorosamente contro la stoffa dei pantaloni. Erano forse anni che non ne avevo una così prepotente e completa, e ciò non andava bene, sia che fosse stato per il film, che a causa dell’amica di Giulia. Mi feci una doccia fredda e andai a letto senza cena. Quella notte feci fatica a dormire, i sogni costellati da fighe gocciolanti e culi spalancati, membra intrecciate e visi deformati dalla lussuria.
Dopo la separazione da mia moglie Sara, che era tornata dai suoi a Roma con Letizia, la minore delle nostre due figlie, dividevo la casa con la grande, Giulia, che si era fermata a Milano per continuare l’università.
L’abitazione principale era collocata al piano rialzato. Nel seminterrato, oltre al box e ad una piccola stanza adibita a lavanderia, negli anni era stata ricavata una tavernetta. Il locale era stato concepito inizialmente come un unico grande salone, con angolo cottura, un lungo tavolo dotato di panche e un vecchio biliardo rilevato da un bar che aveva chiuso i battenti da tempo. All’inizio degli anni duemila, poi, avendo trovato un lavoro che prevedeva la reperibilità notturna, avevo ricavato dal grande salone una specie di zona notte con un bagno e una camera da letto. Le notti in cui ero reperibile andavo a dormire lì, in modo da non svegliare Sara e le bambine nell’eventualità che fossi stato chiamato, cosa che capitava molto spesso. La tavernetta, oltre ad essere collegata ai piani superiori mediante una scala interna, aveva un ingresso indipendente che dava sul cortile, permettendomi, in caso fossi dovuto uscire, di non disturbare nessuno.
Il locale si era trasformato, dopo che avevo cambiato lavoro ed era venuta a mancare l’esigenza di dormirci, in una specie di piccolo appartamento ad uso e consumo delle nostre figlie, un luogo di ritrovo dove organizzare feste e cene e dove offrire un letto per la notte agli amici. Dopo la separazione, Giulia ci si era stabilita permanentemente, condividendo con me solo i momenti dei pasti e poco più. Spesso ospitava amiche o compagne di studi, che a volte si fermavano a cena o addirittura a dormire.
Quel pomeriggio, dalla finestra della cucina, l’avevo vista rientrare con un paio di ragazze. Ne avevo riconosciuta una, Simona, una rossa dal naso vagamente aquilino e dal fisico atletico. Era compagna di corso di Giulia ed era un’habitué di casa nostra. Anche l’altra, che non mi era parso di riconoscere da quanto era imbacuccata, doveva studiare con loro: era così carica di libri che quasi barcollava.
Verso sera scesi le scale interne e bussai alla porta della tavernetta. Mi aveva chiamato la mia ex moglie, che aveva tentato di contattare urgentemente Giulia ma non aveva avuto risposta. L’avevo tranquillizzata dicendole che era giù con delle amiche, che probabilmente aveva messo il telefono in silenzioso per non essere disturbata, e che la sarei andata a cercare per chiederle di richiamarla.
Non rispose nessuno. Bussai di nuovo. Niente. Decisi di aprire la porta, che non era mai chiusa a chiave, cominciavo ad essere preoccupato anch’io.
Il grande salone era al buio ma dalla fioca luce proveniente dalle bocche di lupo potei notare che il tavolo era stato apparecchiato per metà, con tre piatti grandi da pizza. L’altra metà era invece ancora ingombra di libri e blocchi per gli appunti. Evidentemente avevano deciso di rimanere a studiare fino a tardi, ma avevano pensato di fare una pausa e andarsi a comprare qualcosa da mangiare. A conferma della mia ipotesi la giacca di Giulia non era appesa, come al solito, all’attaccapanni dell'ingresso. C’era una pizzeria da asporto a poche centinaia di metri da casa, non sarebbe tornata fra molto. Avrei potuto aspettarla lì, ma non era il caso di farmi trovare in quella che di fatto era diventata la “sua” casa. Nonostante fosse una mia proprietà, e avrei avuto tutti i diritti di stare lì, era una questione di rispetto della sua privacy, che era anche il motivo per cui prima di entrare bussavo sempre.
Stavo per uscire quando notai che la lampada della camera era accesa: la porta era semichiusa, ma una sottile lama di luce attraversava il pavimento per stamparsi contro la parete.
Feci per andarla a spegnere – odiavo gli sprechi – quando mi resi conto che, quando avevo controllato l’attaccapanni all’ingresso, avevo notato una giacca che non mi pareva fosse di Giulia. Quindi erano andate in pizzeria solo in due? Era plausibile, ma cosa ci faceva la terza in camera da sola? Non pensai che volesse rubare qualcosa, erano sicuramente amiche e comunque Giulia non possedeva oggetti di valore. Ciò nonostante, un po’ per la curiosità, un po’ per la necessita di togliermi il dubbio, decisi di andare a controllare.
Dallo spiraglio riuscivo a vedere solo una porzione di gambe femminili, nude, distese sul letto. La ragazza doveva essersi coricata a pancia in giù sopra alla coperta. Ma cosa stava facendo?
Con un movimento impercettibile spinsi la porta e la scostai appena. Era la terza amica, quella che non conoscevo: distesa sul letto in diagonale, indossava una canottiera bianca dalle spalline sottili e un paio di slip grigi. Sembrava intenta a guardare qualcosa, ma da quella posizione non riuscivo a capire cosa. Stavo per allontanarmi, dal timore che potesse sentirmi, quando si scostò i capelli nerissimi con un gesto distratto delle mani e vidi che aveva le Airpods alle orecchie. Questa scoperta mi rese più audace: spinsi ulteriormente la porta e, dalla più ampia apertura, riuscii a vedere l’intera scena. Stava guardando un film sull’iPad. Mi ci volle poco a capire che era un porno. Non sapevo cosa pensare, mi sentivo tremendamente in imbarazzo, per me e per lei. Non che non avessi mai guardato un porno, anzi, li utilizzavo come ausilio quando mi masturbavo: non avendo una compagna, di tanto in tanto ero costretto a dedicarmi a quella pratica. Ma quello non era un porno qualunque…
Una ragazza minuta e apparentemente giovanissima, dalla tipica fisionomia latino-americana, era circondata da diversi maschi di varie etnie, tutti dotati di cazzi di notevoli dimensioni e perfettamente eretti. C’era un’altra donna, dai capelli biondo platino e un po’ più grande di età, la pelle ricoperta di tatuaggi, che però sembrava partecipare all’orgia in maniera passiva. Ogni tanto stimolava il clitoride della giovane, ogni tanto guidava uno dei membri dentro a quello o quell’altro orifizio della ragazza più giovane. Gli uomini, che sembravano equilibristi da circo, cambiavano posizione spesso, producendosi in figure difficili anche solo da immaginare. Aiutati dalla bionda, ad un certo punto, avevano collocato la giovane in ginocchio su un divano di pelle bianca e si erano incastrati in modo tale da riuscire penetrarle il culo in tre contemporaneamente. La ragazza, che si era prodotta fino a quel momento in smorfie di apparente piacere, sembrava non aver gradito l’assalto: il suo viso ora esprimeva disagio, se non vera e propria sofferenza, e con la mano aveva cercato di spingere via gli invasori. Un quarto, incurante della sua reazione, le aveva bloccato il braccio e, per ribadire ulteriormente il suo potere, le aveva schiacciato la testa sulla seduta del divano con un piede. Ero al tempo stesso nauseato ed eccitato dalla scena, tanto da provare un profondo senso di disagio. Distolsi lo sguardo dal film, ma la mia vista fu attirata dall’amica di Giulia, sempre intenta a guardare avida lo schermo. Aveva portato la mano sotto agli slip e iniziato a sfregarsi l’interno delle cosce. Notai solo allora quanto fosse bella, aveva un corpo perfettamente proporzionato e una pelle liscia e priva di qualunque imperfezione. Non riuscivo a vederle il seno, ma difficilmente sarebbe riuscito a fare gara con il sedere, piccolo ma pieno, dalla forma perfetta di una sfera. Quando mi resi conto di avere la fronte imperlata di sudore, tanto da doverla asciugare con una manica della camicia, decisi di andare via: era un’amica di mia figlia, probabilmente aveva l’età di mia figlia… Eppure, non riuscivo ad allontanarmi, una forza superiore alla mia volontà mi aveva incollato i piedi al pavimento. La ragazza si era intanto scostata i bordi degli slip, mettendo in bella mostra la fessura della vulva, lucida di umori, e il piccolo ano grinzoso. Aveva intinto un dito, fino all’ultima falange, dentro alla vagina e lo aveva poi inserito nel buco del culo, forzando i muscoli dello sfintere fino a farlo sparire all’interno.
Mentre aveva iniziato a farlo scorrere dentro e fuori ripetutamente, con movimenti sempre più veloci, la scena del film era di nuovo cambiata. L’attrice protagonista era stata distesa a pancia in su sul divano, col culo sporgente dal bordo. Le gambe, divaricate al massimo, erano state tirate verso l’alto, dove erano state bloccate da braccia robuste. Figa e culo erano oscenamente spalancati, con lei completamente immobile, in balia dei suoi partner. La bionda si era cosparsa la mano destra di un abbondante strato di lubrificante, e aveva cominciato a forzarle con la punta delle dita le pareti all’ingresso dell’ano. Ci erano volute poche spinte, accompagnate da movimenti rotatori, per infilare dentro la mano fino al polso. Non potevo udire l’audio, ma sembrava che gli uomini, due dei quali venivano tenuti in tiro dalle mani dell’attrice protagonista, incitassero l’altra a spingere di più. Quello che sembrava il più infoiato, un pelato dagli addominali scolpiti, lo stesso che le aveva calpestato la testa, cominciò a schiaffeggiarla sulle natiche, per poi afferrare il braccio della bionda e spingerle la mano ancora più a fondo nell’intestino, fino quasi al gomito. Ora lo sguardo della giovane attrice era di puro panico, si guardava intorno alla ricerca dell’aiuto degli altri uomini, o di chi fosse dietro alla macchina da presa. Per tutta risposta uno di quelli che lei stava masturbando, le aveva infilato brutalmente quattro dita in bocca, fino a portarla quasi sul punto di vomitare mentre un altro aveva iniziato a pisciarle addosso.
Intanto con la coda dell’occhio avevo di nuovo gettato uno sguardo alla giovane sdraiata sul letto. Le dita ora erano diventate tre, e il ritmo del braccio era diventato parossistico. La schiena inarcata saliva e scendeva alla velocità del respiro, ogni istante più intenso, facendo presagire un orgasmo imminente. Lo sguardo era sempre incollato allo schermo dell’iPad.
Anche sull’altro fronte il ritmo si era fatto frenetico, le mani dentro al culo della giovane attrice erano diventate due, con uno degli uomini, un nero enorme, che cercava di farsi spazio col cazzo all’interno dello stretto passaggio, cercando un pertugio dove entrare. Non riuscendo a fare abbastanza pressione aveva rinunciato e aveva cominciato ad insinuare le sue dita fra i polsi della bionda, che, scuotendo la testa, l’aveva guardato con disapprovazione. Intanto l’attrice protagonista aveva iniziato a piangere e alcuni degli uomini si erano fermati, facendo cenno all’altro di smetterla. L’uomo di colore sembrava non volerne sapere, come impazzito dalla lussuria. Aveva sfilato, con un gesto brutale, le braccia della bionda dal culo della ragazza più giovane, lasciandole il buco aperto a formare una voragine nera e profonda, poi aveva spinto entrambe le sue mani, chiuse a pugno, contro lo sfintere martoriato, i muscoli tesi per lo sforzo.
Non ebbi mai modo di conoscere gli esiti delle manovre del gigante nero, se fosse finalmente riuscito nell’intento di distruggere il culo di quella povera ragazza. Sentii il rumore del cancello aprirsi. Giulia e l’altra amica erano tornate, era il momento di dileguarsi. Salii le scale di corsa e mi chiusi in casa. Quando accesi la luce, ansimante, guardai verso il basso e mi resi conto dell’erezione che spingeva dolorosamente contro la stoffa dei pantaloni. Erano forse anni che non ne avevo una così prepotente e completa, e ciò non andava bene, sia che fosse stato per il film, che a causa dell’amica di Giulia. Mi feci una doccia fredda e andai a letto senza cena. Quella notte feci fatica a dormire, i sogni costellati da fighe gocciolanti e culi spalancati, membra intrecciate e visi deformati dalla lussuria.
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