Pigmei - commercio di schiave (parte 2)
di
Kugher
genere
sadomaso
Durante l’ammaestramento di Annette, alle due socie era rimasto il tempo di proseguire nella razzia dei bei vestiti e gioielli nelle ville e nei castelli dei nobili conosciuti da Chanel.
Erano già passati i popolani, ma lei sapeva dove cercare e, spesso, trovava ancora qualcosa.
Dovevano costruirsi un'immagine di donne di successo che, con il loro commercio, vivevano agiatamente.
Chanel conosceva l’importanza della forma in quell’ambiente di ricchi. Dovevano dare la sensazione di avere a che fare con donne già avvezze a quel mondo dal quale traevano successo. Questo ingenerava negli acquirenti un'immagine di affidabilità, utile in quel genere di commercio.
Durante l’educazione della loro prima schiava, avevano già iniziato a cercare possibili acquirenti.
Annette era conosciuta e, almeno, potevano evitare di dover esporre una merce che ancora non era pronta per la vendita.
Finalmente trovarono l'interessato.
Chanel propose un prezzo triplo rispetto a quello solito per le schiave clandestine.
Monique non era d’accordo. Le sembrava che con quel prezzo avrebbero allontanato l’interessato.
“Amica mia, dammi retta. Noi abbiamo per le mani qualcosa di prezioso, cioè una nobile. Conosco questo ambiente o, almeno, pensavo di conoscerlo prima, ma adesso l’ho conosciuto ancor di più, avendo potuto guardare la polvere che si annida sotto i mobili lucidi. Una schiava nobile è una chicca preziosa, al pari di una carrozza raffinata e ricca, di un arredo prezioso in una stanza di un castello. Questi impazziscono per avere schiava una dell’ambiente al quale prima non avevano accesso. Anche se ricchi, dai nobili queste persone erano guardate con la puzza sotto al naso e loro l’hanno sempre patita. Ora, immaginati cosa possa significare avere quale schiava una di un ambiente a loro superiore. Sicuramente la esibiranno e scatterà l’invidia dei loro amici che ne vorranno una anche loro. Noi non dobbiamo entrare nel commercio di bassa lega, ma in quello dei ricchi. Non sarà facile trovare altre o altri nobili. Ma intanto abbiamo questa e vedrai che ci frutterà parecchio, oltre ad introdurci nel mondo della tratta delle schiave clandestine”.
Monique non era convinta ma cominciava ad intuire la portata del discorso della socia.
Il giorno della consegna dovevano dare all’acquirente una immagine forte, che sarebbe stata impressa e, sicuramente, raccontata.
Annette era stata ammaestrata alla bell'e meglio. Chanel non era soddisfatta del risultato raggiunto e aveva timore di non consegnare merce buona, rovinandosi, così, l’immagine ancora prima di essersela costruita.
Le aveva fatto tanto male in quelle ultime due settimane ma, soprattutto, l’avevano minacciata di consegnarla al popolo, ancora assetato di sangue nobile, gettata in piazza riccamente vestita.
Non poteva lasciare segni e ricorreva alle torture ai capezzoli. Oppure la faceva stendere e lei e Monique le camminavano sopra, anche con le scarpe.
La costringevano a leccare figa e culi torturandola finché non fossero riuscite ad ottenere il piacere che si aspettavano.
Lei non sapeva quali fossero le aspettative degli acquirenti, ma, avendo passato più di un anno schiava in una tribù dove la schiavitù era la cosa più normale cui si potesse pensare, sapeva come erano le schiave vere.
Aveva imparato a leggere la sottomissione nei gesti, negli sguardi, l’annullamento al Padrone, la necessità di soddisfare la Padrona e di servire il meglio possibile perché quella era l’unica realtà nota alle schiave.
Lei e Monique avevano conservato una luce negli occhi che i pigmei non erano mai riusciti a spegnere, quella luce che si erano riconosciuta e le aveva legate.
Camille, la schiava cavalla del capo tribù, non aveva quello scintillio ma, in ogni caso, nemmeno si era annullata come le altre.
Ogni tanto si chiedevano che fine avesse fatto Camille.
Benché compagna di avventura durante la fuga e di sventura al momento della nuova cattura, quella schiava non era mai entrata a fare parte del loro nucleo ristrettissimo.
Si fidavano, erano amiche ma il vero gruppo erano sempre state loro due.
Camille era una schiava forte, resistente. Loro stesse, guardando le donne con gli occhi dei mercanti, si dicevano spesso che Camille era nata per essere una cavalla.
Ridendo, si erano dette più volte che avrebbe reso molto. Entrambe lo dicevano col sorriso sulle labbra, come se fosse uno scherzo e nei momenti di ilarità quando, magari, un po’ di vino circolava nelle loro vene. Tuttavia ciascuna, nel suo intimo, avrebbero forse davvero voluto averla quale merce da vendere anche se, all’ultimo, con buone probabilità avrebbe prevalso la solidarietà nata nei momenti cruciali della loro schiavitù e fuga.
Adesso che era diventata una mercante di schiave, Chanel cominciava a vedere la sottomissione dal lato del dominante.
Lei la sapeva riconoscere negli occhi e nei gesti.
Sapeva cosa pensava e come viveva la situazione una schiava. Sapeva come colpire l’anima di una ragazza catturata e ridurla al volere del Padrone.
Avevano lavorato duro, lei e Monique, su Annette.
Anche se Monique era perplessa, aveva capito cosa voleva fare la sua amica e, al pari di lei, sapeva individuare il momento in cui una donna diventa schiava nell’anima, superando il punto di non ritorno.
Erano già passati i popolani, ma lei sapeva dove cercare e, spesso, trovava ancora qualcosa.
Dovevano costruirsi un'immagine di donne di successo che, con il loro commercio, vivevano agiatamente.
Chanel conosceva l’importanza della forma in quell’ambiente di ricchi. Dovevano dare la sensazione di avere a che fare con donne già avvezze a quel mondo dal quale traevano successo. Questo ingenerava negli acquirenti un'immagine di affidabilità, utile in quel genere di commercio.
Durante l’educazione della loro prima schiava, avevano già iniziato a cercare possibili acquirenti.
Annette era conosciuta e, almeno, potevano evitare di dover esporre una merce che ancora non era pronta per la vendita.
Finalmente trovarono l'interessato.
Chanel propose un prezzo triplo rispetto a quello solito per le schiave clandestine.
Monique non era d’accordo. Le sembrava che con quel prezzo avrebbero allontanato l’interessato.
“Amica mia, dammi retta. Noi abbiamo per le mani qualcosa di prezioso, cioè una nobile. Conosco questo ambiente o, almeno, pensavo di conoscerlo prima, ma adesso l’ho conosciuto ancor di più, avendo potuto guardare la polvere che si annida sotto i mobili lucidi. Una schiava nobile è una chicca preziosa, al pari di una carrozza raffinata e ricca, di un arredo prezioso in una stanza di un castello. Questi impazziscono per avere schiava una dell’ambiente al quale prima non avevano accesso. Anche se ricchi, dai nobili queste persone erano guardate con la puzza sotto al naso e loro l’hanno sempre patita. Ora, immaginati cosa possa significare avere quale schiava una di un ambiente a loro superiore. Sicuramente la esibiranno e scatterà l’invidia dei loro amici che ne vorranno una anche loro. Noi non dobbiamo entrare nel commercio di bassa lega, ma in quello dei ricchi. Non sarà facile trovare altre o altri nobili. Ma intanto abbiamo questa e vedrai che ci frutterà parecchio, oltre ad introdurci nel mondo della tratta delle schiave clandestine”.
Monique non era convinta ma cominciava ad intuire la portata del discorso della socia.
Il giorno della consegna dovevano dare all’acquirente una immagine forte, che sarebbe stata impressa e, sicuramente, raccontata.
Annette era stata ammaestrata alla bell'e meglio. Chanel non era soddisfatta del risultato raggiunto e aveva timore di non consegnare merce buona, rovinandosi, così, l’immagine ancora prima di essersela costruita.
Le aveva fatto tanto male in quelle ultime due settimane ma, soprattutto, l’avevano minacciata di consegnarla al popolo, ancora assetato di sangue nobile, gettata in piazza riccamente vestita.
Non poteva lasciare segni e ricorreva alle torture ai capezzoli. Oppure la faceva stendere e lei e Monique le camminavano sopra, anche con le scarpe.
La costringevano a leccare figa e culi torturandola finché non fossero riuscite ad ottenere il piacere che si aspettavano.
Lei non sapeva quali fossero le aspettative degli acquirenti, ma, avendo passato più di un anno schiava in una tribù dove la schiavitù era la cosa più normale cui si potesse pensare, sapeva come erano le schiave vere.
Aveva imparato a leggere la sottomissione nei gesti, negli sguardi, l’annullamento al Padrone, la necessità di soddisfare la Padrona e di servire il meglio possibile perché quella era l’unica realtà nota alle schiave.
Lei e Monique avevano conservato una luce negli occhi che i pigmei non erano mai riusciti a spegnere, quella luce che si erano riconosciuta e le aveva legate.
Camille, la schiava cavalla del capo tribù, non aveva quello scintillio ma, in ogni caso, nemmeno si era annullata come le altre.
Ogni tanto si chiedevano che fine avesse fatto Camille.
Benché compagna di avventura durante la fuga e di sventura al momento della nuova cattura, quella schiava non era mai entrata a fare parte del loro nucleo ristrettissimo.
Si fidavano, erano amiche ma il vero gruppo erano sempre state loro due.
Camille era una schiava forte, resistente. Loro stesse, guardando le donne con gli occhi dei mercanti, si dicevano spesso che Camille era nata per essere una cavalla.
Ridendo, si erano dette più volte che avrebbe reso molto. Entrambe lo dicevano col sorriso sulle labbra, come se fosse uno scherzo e nei momenti di ilarità quando, magari, un po’ di vino circolava nelle loro vene. Tuttavia ciascuna, nel suo intimo, avrebbero forse davvero voluto averla quale merce da vendere anche se, all’ultimo, con buone probabilità avrebbe prevalso la solidarietà nata nei momenti cruciali della loro schiavitù e fuga.
Adesso che era diventata una mercante di schiave, Chanel cominciava a vedere la sottomissione dal lato del dominante.
Lei la sapeva riconoscere negli occhi e nei gesti.
Sapeva cosa pensava e come viveva la situazione una schiava. Sapeva come colpire l’anima di una ragazza catturata e ridurla al volere del Padrone.
Avevano lavorato duro, lei e Monique, su Annette.
Anche se Monique era perplessa, aveva capito cosa voleva fare la sua amica e, al pari di lei, sapeva individuare il momento in cui una donna diventa schiava nell’anima, superando il punto di non ritorno.
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