Pigmei - commercio di schiave (parte 1)
di
Kugher
genere
sadomaso
La rivoluzione francese aveva spostato una enorme massa di denaro dai nobili a coloro che erano già ricchi o lo erano diventati.
Chanel aveva sperimentato sulla sua pelle il desiderio di questi di avere schiave e schiavi.
Lei, in quanto nobile, benché decaduta, aveva comunque accesso alle grandi famiglie, quelle ricche, quelle che possono spendere e con grandi castelli o ville idonee a tenere persone in cattività.
Aveva perso la sua famiglia, decapitata nel corso dei moti rivoluzionari dai quali lei si era salvata, ma aveva deciso, assieme a Monique, di sfruttare le conoscenze nei due mondi, quello degli acquirenti, cioè della domanda, e quello della delinquenza, cioè dell’offerta.
Approfittando dei disordini, e sapendo dove e cosa cercare, lei e la sua attuale socia avevano fatto incetta di oggetti preziosi nei castelli.
Avendo frequentato quelle enormi e ricche residenze, sapeva dove venivano nascosti gli oggetti di valore grazie alle confidenze (o vanterie) di coloro che erano suoi ex amici.
La sua esperienza da schiava le aveva fatto perdere ogni freno. Ormai pensava solo a sé stessa e alla propria posizione.
Si fidava solo di Monique e, a volte, nemmeno di lei. Ciononostante si sentiva legatissima a lei in quanto le esperienze vissute assieme erano state troppo forti ed avevano creato qualcosa di indissolubile tra loro.
Erano scappate insieme dalla tribù dei pigmei e finite schiave durante la fuga, catturate da quel bastardo inglese e, poi, rivendute in Francia a quell’odioso nobile amico di famiglia poi catturato e decapitato.
Chanel era stata acquistata da un nobile amico dei suoi genitori e che, avendo saputo che era in vendita, aveva speso una follia per averla quale schiava.
Aveva provato piacere quando lo aveva visto, con la moglie, sul patibolo.
Si era alzata la mattina presto per assicurarsi il posto in prima fila e godersi lo spettacolo della decapitazione. Quando ci pensava aveva ancora il piacere nello stomaco nel rivedere mille e mille volte la sua testa cadere nel ceppo e consegnare a lei definitivamente la libertà, quella libertà perduta anni addietro quando era stata catturata dai pigmei. Aveva goduto quando lui aveva visto il suo ghigno poco prima di posare la testa sul ceppo.
La prima villa che aveva girato era stata quella dove si era trasferita Annette, la figlia del suo ex Padrone. Era fuori città.
Quando erano arrivate, il suocero di Annette era già stato catturato. Non si avevano notizie della nobile.
Prima di diventare una schiava, Chanel era stata parecchie volte a casa sua che, quindi, conosceva bene.
Mentre si stava recando nel posto dove pensava si fosse nascosta, Chanel continuava a ripensare quando il padre della ex amica l’aveva acquistata, ed Annette si era precipitata nel castello di famiglia per vederla.
Sentiva ancora nelle narici l’odore della cantina e al collo il peso del ferro che la teneva incatenata a terra dove l’avevano messa per essere vista da Annette. Poi seppe che fu una sua espressa richiesta per vederla nella situazione peggione, quella nella quale la schiavitù fosse più evidente.
Quando sentì la sua voce che si avvicinava alla sua cella, ingenuamente Chanel aveva sperato che avrebbe potuto aiutarla, mossa a pietà dall’antica amicizia.
La speranza le cadde nella polvere del pavimento della sua prigione quando, aperta la porta, invece di trovare un appiglio di libertà, vide quello sguardo eccitato, famelico ed affamato della sua umiliazione.
Annette pretese subito che le leccasse le scarpe e, alla sua minima incertezza dovuta alla sperata illusione, la colpì forte col frustino per ottenere coi fatti ciò che già aveva di diritto, cioè la sua sottomissione.
Quel colpo sulle sue spalle era servito solo per sottolineare qualcosa che già era scritto, per affermarlo a sé stessa alimentando la propria eccitazione, più che alla ex amica, nuda e incatenata ai suoi piedi.
“A quattro zampe cagna, a terra, dove il tuo posto deve essere davanti a me, tua Padrona”.
Era un ordine gettatole in faccia che, al pari della frustata, serviva solo alla Padroncina per sentire affermare da sé e per sé stessa il suo potere ed anticipare la sua eccitazione, quella che le esplose bagnandole la figa quando si sedette sulla sua schiena per farsi portare come una cavalla, ignorando il dolore alle ginocchia della sua ex amica sul ruvido pavimento delle cantine.
Quella sera, dopo averla costretta a servire la cena alla famiglia, nuda ed in ginocchio, l’aveva costretta a raccogliere con la bocca il cibo da terra, gettato ai vari angoli della stanza mentre rideva seduta sulla comoda poltrona imbottita alla quale lei doveva tornare, strisciando, dopo ogni boccone raccolto e mangiato per ringraziarla della concessione.
Il percorso con il ventre a terra le consentiva di vedere la polvere che le pulizie non riuscivano a levare, quella che si annidava sotto i mobili, quel velo nascosto di mancata pulizia che contrastava con lo splendore dei mobili lucidi, quelli sì, visibili agli ospiti.
Chanel la odiava, fortemente e, mentre la cercava nel piccolo e nascosto capanno degli attrezzi dove pensava di trovarla, ancora sentiva in bocca il sapore delle scarpette che doveva leccare e, con esso, il suo odio per quella ragazza.
Annette fu la prima ad essere catturata da Chanel e dalla sua socia per essere venduta, quella Annette che, mostrando più stupidità di quanto avrebbe mai pensato, si rivolse a Chanel con uno sguardo di speranza quando la vide entrare nel capanno.
Chanel e Monique le si avvicinarono lentamente ed il loro sguardo fece capire ad Annette le reali intenzioni delle ragazze, al punto che le supplicò di avere pietà e di aiutarla, dimentica del tempo in cui le sorti erano invertite.
“Ti darò l’oro ed i gioielli di famiglia, Chanel, aiutami, ti prego”.
Doveva essere nascosta da giorni ed il suo animo già provato e logorato perché non ebbe esitazioni a gettarsi ai piedi di Chanel, supplicando.
Annette non ebbe modo di vedere il contrasto tra la polvere a terra e lo splendore dei mobili, visione solita quando la schiava era Chanel. Per Annette la polvere era ovunque, in quel capanno sprovvisto di mobili lucidi.
Chanel conosceva la disperazione, avendola provata quando era stata catturata dai pigmei la prima volta, poi dagli inglesi la seconda e, in ultimo, quando vide chi l’aveva acquistata in Francia.
Vide negli occhi della sua ex Padrona solo una parte di ciò che doveva essere passato nei suoi negli anni di schiavitù.
Una stupida fiammella di speranza non abbandonò Annette nemmeno quando Chanel la allontanò con un calcio ed un colpo con un frustino che si era ritrovata tra le mani senza sapere esattamente da dove l’avesse preso in quel capanno degli attrezzi e di caccia.
Le scarpe baciate da Annette erano più sporche di quelle che Chanel aveva dovuto leccare la prima volta che aveva servito la sua ex amica.
Le due socie avevano preso tutto l’oro e le pietre preziose si erano fatte consegnare con vane promesse di restituire la libertà.
Fu un piacere per Chanel sentire il suono del lucchetto che si chiuse sulla catena al collo di Annette, relegata in un angolo dove fu costretta a stare, prigioniera, mentre loro avevano sparso sul tavolo le enormi ricchezze luccicanti.
La poveretta non sapeva quale sarebbe stata la sua sorte. Si chiese e chiese alla sua carceriera il motivo per il quale la sera la facesse uscire e, legata ad un palo, la facesse correre in tondo.
Qualche volta, quando si sentivano sicure in quel pezzo di campagna lontano da ogni villa, possibile sede di assalto del popolo, la attaccavano ad un calesse e, frustandola, la costringevano a correre.
Chanel, così come Monique, trovarono eccitantissima quella situazione nella quale, fino a poco fa, si trovavano loro, ma a parti invertite.
Annette non poteva immaginare che fosse (anche) per tenerla in forma. Pensava che Chanel e la sua amica la frustassero per divertirsi e si facessero leccare per eccitarsi, così come la costringevano a servire con sottomissione e deferenza per vendicarsi.
Solo all’ultimo le dissero che l’avrebbero venduta come schiava.
Fu forte l’emozione oltre che l’eccitazione quando Chanel fece stendere la sua ex amica, nuda, a terra.
Lei si era vestita riccamente, al fine di evidenziare la differenza tra le due. L’aveva legata stretta, in modo che non si potesse muovere quando le salì in piedi sul petto e le disse quale sarebbe stato il suo futuro, venduta schiava.
Annette fu come impazzita e si contorse con tutte le sue forze. Chanel si resse appoggiata alla parete e se non avesse legato la ragazza così strettamente, sarebbe certamente caduta.
Si sentì lo stomaco avvolto dalla sensazione del piacere nell’osservare la sua reazione scomposta e con gli occhi impazziti.
Le pose una scarpa sul viso e la schiacciò, forte, sentendosi bagnare per il piacere di poter avere la sua faccia sotto la scarpa.
Annette la pregò e la supplicò.
“Se mi lecchi la suola delle scarpe potrei magari valutare di tenerti”.
Voleva giocare ed eccitarsi con la sua disperazione, sentendo la lingua raspare sulla suola delle scarpe, godendo del corpo schiacciato dal suo piede e dal viso stravolto dal dolore impegnato nell’umiliante compito di leccare la suola che le veniva strofinata.
Infilò in bocca il tacco e rise di piacere, pensando al giorno in cui fu costretta lei a strisciare, nuda, a terra fino a raggiungere i piedi di Annette e leccarle le scarpe, sentendo in lei l’eccitazione per la sua disperazione.
Passò un’altra settimana nel corso della quale le fece molto male, pur senza lasciarle segni, per ammansirla.
Due giorni prima le disse anche da chi sarebbero andate per offrirla in vendita ed il prezzo che avrebbero proposto.
Fu nuovamente eccitante vedere la sua reazione.
Quella sera Chanel e Monique fecero sesso osservate dalla schiava, legata stretta a terra, in un angolo, affamata per il digiuno impostole al solo piacere di poter disporre della sua fame, ricordando così a loro stesse il proprio potere.
Prima di fare sesso Chanel l’aveva costretta a prendere in bocca le sue mutandine intrise di urina.
Chanel aveva sperimentato sulla sua pelle il desiderio di questi di avere schiave e schiavi.
Lei, in quanto nobile, benché decaduta, aveva comunque accesso alle grandi famiglie, quelle ricche, quelle che possono spendere e con grandi castelli o ville idonee a tenere persone in cattività.
Aveva perso la sua famiglia, decapitata nel corso dei moti rivoluzionari dai quali lei si era salvata, ma aveva deciso, assieme a Monique, di sfruttare le conoscenze nei due mondi, quello degli acquirenti, cioè della domanda, e quello della delinquenza, cioè dell’offerta.
Approfittando dei disordini, e sapendo dove e cosa cercare, lei e la sua attuale socia avevano fatto incetta di oggetti preziosi nei castelli.
Avendo frequentato quelle enormi e ricche residenze, sapeva dove venivano nascosti gli oggetti di valore grazie alle confidenze (o vanterie) di coloro che erano suoi ex amici.
La sua esperienza da schiava le aveva fatto perdere ogni freno. Ormai pensava solo a sé stessa e alla propria posizione.
Si fidava solo di Monique e, a volte, nemmeno di lei. Ciononostante si sentiva legatissima a lei in quanto le esperienze vissute assieme erano state troppo forti ed avevano creato qualcosa di indissolubile tra loro.
Erano scappate insieme dalla tribù dei pigmei e finite schiave durante la fuga, catturate da quel bastardo inglese e, poi, rivendute in Francia a quell’odioso nobile amico di famiglia poi catturato e decapitato.
Chanel era stata acquistata da un nobile amico dei suoi genitori e che, avendo saputo che era in vendita, aveva speso una follia per averla quale schiava.
Aveva provato piacere quando lo aveva visto, con la moglie, sul patibolo.
Si era alzata la mattina presto per assicurarsi il posto in prima fila e godersi lo spettacolo della decapitazione. Quando ci pensava aveva ancora il piacere nello stomaco nel rivedere mille e mille volte la sua testa cadere nel ceppo e consegnare a lei definitivamente la libertà, quella libertà perduta anni addietro quando era stata catturata dai pigmei. Aveva goduto quando lui aveva visto il suo ghigno poco prima di posare la testa sul ceppo.
La prima villa che aveva girato era stata quella dove si era trasferita Annette, la figlia del suo ex Padrone. Era fuori città.
Quando erano arrivate, il suocero di Annette era già stato catturato. Non si avevano notizie della nobile.
Prima di diventare una schiava, Chanel era stata parecchie volte a casa sua che, quindi, conosceva bene.
Mentre si stava recando nel posto dove pensava si fosse nascosta, Chanel continuava a ripensare quando il padre della ex amica l’aveva acquistata, ed Annette si era precipitata nel castello di famiglia per vederla.
Sentiva ancora nelle narici l’odore della cantina e al collo il peso del ferro che la teneva incatenata a terra dove l’avevano messa per essere vista da Annette. Poi seppe che fu una sua espressa richiesta per vederla nella situazione peggione, quella nella quale la schiavitù fosse più evidente.
Quando sentì la sua voce che si avvicinava alla sua cella, ingenuamente Chanel aveva sperato che avrebbe potuto aiutarla, mossa a pietà dall’antica amicizia.
La speranza le cadde nella polvere del pavimento della sua prigione quando, aperta la porta, invece di trovare un appiglio di libertà, vide quello sguardo eccitato, famelico ed affamato della sua umiliazione.
Annette pretese subito che le leccasse le scarpe e, alla sua minima incertezza dovuta alla sperata illusione, la colpì forte col frustino per ottenere coi fatti ciò che già aveva di diritto, cioè la sua sottomissione.
Quel colpo sulle sue spalle era servito solo per sottolineare qualcosa che già era scritto, per affermarlo a sé stessa alimentando la propria eccitazione, più che alla ex amica, nuda e incatenata ai suoi piedi.
“A quattro zampe cagna, a terra, dove il tuo posto deve essere davanti a me, tua Padrona”.
Era un ordine gettatole in faccia che, al pari della frustata, serviva solo alla Padroncina per sentire affermare da sé e per sé stessa il suo potere ed anticipare la sua eccitazione, quella che le esplose bagnandole la figa quando si sedette sulla sua schiena per farsi portare come una cavalla, ignorando il dolore alle ginocchia della sua ex amica sul ruvido pavimento delle cantine.
Quella sera, dopo averla costretta a servire la cena alla famiglia, nuda ed in ginocchio, l’aveva costretta a raccogliere con la bocca il cibo da terra, gettato ai vari angoli della stanza mentre rideva seduta sulla comoda poltrona imbottita alla quale lei doveva tornare, strisciando, dopo ogni boccone raccolto e mangiato per ringraziarla della concessione.
Il percorso con il ventre a terra le consentiva di vedere la polvere che le pulizie non riuscivano a levare, quella che si annidava sotto i mobili, quel velo nascosto di mancata pulizia che contrastava con lo splendore dei mobili lucidi, quelli sì, visibili agli ospiti.
Chanel la odiava, fortemente e, mentre la cercava nel piccolo e nascosto capanno degli attrezzi dove pensava di trovarla, ancora sentiva in bocca il sapore delle scarpette che doveva leccare e, con esso, il suo odio per quella ragazza.
Annette fu la prima ad essere catturata da Chanel e dalla sua socia per essere venduta, quella Annette che, mostrando più stupidità di quanto avrebbe mai pensato, si rivolse a Chanel con uno sguardo di speranza quando la vide entrare nel capanno.
Chanel e Monique le si avvicinarono lentamente ed il loro sguardo fece capire ad Annette le reali intenzioni delle ragazze, al punto che le supplicò di avere pietà e di aiutarla, dimentica del tempo in cui le sorti erano invertite.
“Ti darò l’oro ed i gioielli di famiglia, Chanel, aiutami, ti prego”.
Doveva essere nascosta da giorni ed il suo animo già provato e logorato perché non ebbe esitazioni a gettarsi ai piedi di Chanel, supplicando.
Annette non ebbe modo di vedere il contrasto tra la polvere a terra e lo splendore dei mobili, visione solita quando la schiava era Chanel. Per Annette la polvere era ovunque, in quel capanno sprovvisto di mobili lucidi.
Chanel conosceva la disperazione, avendola provata quando era stata catturata dai pigmei la prima volta, poi dagli inglesi la seconda e, in ultimo, quando vide chi l’aveva acquistata in Francia.
Vide negli occhi della sua ex Padrona solo una parte di ciò che doveva essere passato nei suoi negli anni di schiavitù.
Una stupida fiammella di speranza non abbandonò Annette nemmeno quando Chanel la allontanò con un calcio ed un colpo con un frustino che si era ritrovata tra le mani senza sapere esattamente da dove l’avesse preso in quel capanno degli attrezzi e di caccia.
Le scarpe baciate da Annette erano più sporche di quelle che Chanel aveva dovuto leccare la prima volta che aveva servito la sua ex amica.
Le due socie avevano preso tutto l’oro e le pietre preziose si erano fatte consegnare con vane promesse di restituire la libertà.
Fu un piacere per Chanel sentire il suono del lucchetto che si chiuse sulla catena al collo di Annette, relegata in un angolo dove fu costretta a stare, prigioniera, mentre loro avevano sparso sul tavolo le enormi ricchezze luccicanti.
La poveretta non sapeva quale sarebbe stata la sua sorte. Si chiese e chiese alla sua carceriera il motivo per il quale la sera la facesse uscire e, legata ad un palo, la facesse correre in tondo.
Qualche volta, quando si sentivano sicure in quel pezzo di campagna lontano da ogni villa, possibile sede di assalto del popolo, la attaccavano ad un calesse e, frustandola, la costringevano a correre.
Chanel, così come Monique, trovarono eccitantissima quella situazione nella quale, fino a poco fa, si trovavano loro, ma a parti invertite.
Annette non poteva immaginare che fosse (anche) per tenerla in forma. Pensava che Chanel e la sua amica la frustassero per divertirsi e si facessero leccare per eccitarsi, così come la costringevano a servire con sottomissione e deferenza per vendicarsi.
Solo all’ultimo le dissero che l’avrebbero venduta come schiava.
Fu forte l’emozione oltre che l’eccitazione quando Chanel fece stendere la sua ex amica, nuda, a terra.
Lei si era vestita riccamente, al fine di evidenziare la differenza tra le due. L’aveva legata stretta, in modo che non si potesse muovere quando le salì in piedi sul petto e le disse quale sarebbe stato il suo futuro, venduta schiava.
Annette fu come impazzita e si contorse con tutte le sue forze. Chanel si resse appoggiata alla parete e se non avesse legato la ragazza così strettamente, sarebbe certamente caduta.
Si sentì lo stomaco avvolto dalla sensazione del piacere nell’osservare la sua reazione scomposta e con gli occhi impazziti.
Le pose una scarpa sul viso e la schiacciò, forte, sentendosi bagnare per il piacere di poter avere la sua faccia sotto la scarpa.
Annette la pregò e la supplicò.
“Se mi lecchi la suola delle scarpe potrei magari valutare di tenerti”.
Voleva giocare ed eccitarsi con la sua disperazione, sentendo la lingua raspare sulla suola delle scarpe, godendo del corpo schiacciato dal suo piede e dal viso stravolto dal dolore impegnato nell’umiliante compito di leccare la suola che le veniva strofinata.
Infilò in bocca il tacco e rise di piacere, pensando al giorno in cui fu costretta lei a strisciare, nuda, a terra fino a raggiungere i piedi di Annette e leccarle le scarpe, sentendo in lei l’eccitazione per la sua disperazione.
Passò un’altra settimana nel corso della quale le fece molto male, pur senza lasciarle segni, per ammansirla.
Due giorni prima le disse anche da chi sarebbero andate per offrirla in vendita ed il prezzo che avrebbero proposto.
Fu nuovamente eccitante vedere la sua reazione.
Quella sera Chanel e Monique fecero sesso osservate dalla schiava, legata stretta a terra, in un angolo, affamata per il digiuno impostole al solo piacere di poter disporre della sua fame, ricordando così a loro stesse il proprio potere.
Prima di fare sesso Chanel l’aveva costretta a prendere in bocca le sue mutandine intrise di urina.
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