Preservativi ritardanti, la giunonica Veronica, pecorine terapeutiche e uno scarico stretto e intasato

di
genere
etero


Delia è uscita da un po'. Abbiamo litigato di brutto per tutta la mattinata. Per le solite cose - che vertono per lo più sulla mia inettitudine, sull'endemica tendenza ad oziare e ad assumere massicce quantità di sostanze psicotrope, sul monopensiero di matrice sessuale che, a suo dire, è il solo inquilino all'interno del mio cranio, dal che consegue, in stretta conseguenza, il mio approccio sessista nei suoi confronti, degradata, sempre a suo dire, a mero svuotacoglioni del mio uccello, sineddoche, proprio questo dice: sineddoche, della mia persona nel complesso, per come è votata esclusivamente al bieco ed effimero soddisfacimento delle proprie pulsioni fisiologiche, impermeabile a qualsiasi forma di impegno serio e responsabile, sia esso professionale sia sentimentale, soprattutto sentimentale, sottolinea - alle quali si è aggiunta la mia contrarietà circa il suo essere sparita per due giorni, senza darmi notizie, dalla famosa sera della festa popolare (cfr. "Umido da buttare").


- Non sono una cosa tua, ti è chiaro? - Mi ha sbraitato contro, - Non sono agli arresti domiciliari, sono una donna libera, fino a prova contraria – aggiunge mostrandomi l'anulare privo di fede nuziale.
- Sì, certo - ho ribattuto alzando a mia volta la voce, - ma una cazzo di telefonata, un fottuto messaggino del cazzo, avresti potuto farmeli. Voglio dire, conviviamo porcamiseria!, rendere un minimo conto all'altro, almeno su se si torna a casa o meno, deve pur esserci, no?
- Mettiti nelle condizioni di pretenderlo, allora, questo minimo, comportandoti a modo e, soprattutto, dandomi fatti. FAT-TI CON-CRE-TI! Non puoi volere senza dare.

-Io non mi sono mai comportato così, Delia...

-Tu fai di peggio, infatti. Non farmi fare l'elenco.


E via di questo passo. Insomma, stavolta non ho abbozzato, le ho dato filo da torcere degenerando sui suoi stessi toni, rintuzzando le offese con altre offese, rispondendo agli improperi con altri improperi, strategia dialettica che ha portato come risultato solo un personale scatto del mio amor proprio, visto che, contrariamente a tante altre volte, non c'è stata la scopata conciliatoria e rasserenatrice, anzi, non sostenendo oltre la discussione e messa all'angolo su questioni cui non riusciva ad argomentare, Delia si è vestita e, mandatomi affanculo, con tanto di dito medio come iconico sottotilo ove mai avessi avuto un momentaneo problema d'udito, è uscita sbattendosi la porta alle spalle. - Vai vai, - le ho gridato dietro, - vai a farti sbattere da quel vecchio viscido, stronza!

A prescindere dal fatto se l'abbia sentita o meno, ammetto la scarsa eleganza della mia chiosa, ma la rabbia fa di questi scherzi. Niente di cui scusarmi, però, a parte i toni e lo stile, perché le probabilità che corra di corsa dal Viscido - il suo mentore dall'età dell'adolescenza, quando vi ricorse in qualità di paziente per meglio gestire la tragica perdita del padre, avvenuta in un incidente stradale - sono altissime, così come lo sono quelle che vedranno l'attempato psichiatra chiavarsi la mia donna - come avviene del resto, sebbene a fasi alterne e con lunghe pause tra una seduta e l'altra, da un quarto di secolo a questa parte. La tresca l'ho scoperta io qualche anno fa, ma c'è da dire che Delia abbia fatto ben poco per nascondermela - questa come le altre storie parallele alla nostra relazione, messe su, a suo dire, per punirmi, per darmi una raddrizzata, insomma, affinché cambiassi registro nei miei e nei suoi confronti, previa una definitiva rottura tra noi. Contorto come approccio pedagogico e piuttosto fallimentare, visto che non solo siamo ancora qui, dopo anni, ma sempre più incapaci di lasciarci, nonostante i ciclopici sforzi nel dare all'altro il peggio di ciò che siamo.

Comunque, pensare lenisce la rabbia e, nel tempo trascorso a caricare la moka, bere il caffè e fumarci su un paio di sigarette, mi sono calmato del tutto. Gironzolo per casa, adesso, succhiando da uno spinello boccate corpose che mi rilassano e mi illanguidiscono. Metto a posto sulla libreria i volumi che mi sono stati tirati contro, lavo i piatti della cena di ieri e della colazione di stamattina, poi vado sopra, deciso a spalmarmi sul letto a leggere. Prima però una puntatina al cesso ci sta tutta. È lì che in uno dei necessaire di Delia, quello sulla prima mensola sopra la vasca, trovo una confezione di preservativi ritardanti. La confezione è da sei, ne mancano due. Li prendo e getto la scatola nel differenziato, quindi mi stendo sul letto, rigirandomi tra le mani i quattro involucri. Uno è aperto su un lato, si vede un pezzo di condom. In tredici anni di relazione sessuale, io e Delia avremmo usato i profilattici sì è no una dozzina di volte, giusto per provare quelli ai gusti fruttati e alla liquirizia che comprammo al Red lights di Amsterdam. Una volta il suo ginecologo - un ladro che non rilasciava mai la ricevuta, ma che aveva fama di essere il migliore - le consigliò il cerotto contraccettivo, Evra mi sembra si chiamasse, precisando che lo caldeggiava, ostentandolo sul suo corpo, anche Natasha Stefanenko, e per un po' lo usò, applicandoselo al braccio destro o dalle parti dell'inguine, ma della novità si stancò quasi subito e ritornammo al vecchio caro coitus interruptus. Ad ogni modo, sono incuriosito dall'attributo "ritardante" che qualifica 'sti preserva, quindi sfilo dall'involucro già lacerato un condom che in effetti ha quasi perduto la sua viscosità e vi incappuccio il cazzo già duro. Per velocizzare la sega, così da mettere alla prova l'effettiva qualità ritardante del preservativo, metto su un video porno stesso sul cellulare. Googlo "Veronica Belli porno" e clicco su https://www.italianoxxx.com/video/veronica-belli-incesto-con-il-nonno-porcello-1164.html, ovvero il link del video in cui la giunonica pornoattrice si scopa il nonno mandrillone. Punto il pollice nel mezzo della riga di scorrimento, così da saltare i convenevoli iniziali - laddove Veronica, in gonnellina da tennis e top abbinato, distesa su un sofà ricoperto da un drappo leopardato, parla con un peluche regalatole dal nonno, il quale, annunciato dal campanello di casa, si materializza poco dopo nel soggiorno, dove resta in piedi il tempo necessario per dire due stronzate, per poi essere condotto dalla solerte e maggiorata nipotina in camera da letto - e prendo a menarmelo ferocemente davanti a quello spettacolo di femmina lussuriosa che cavalca il cazzo dando le spalle all'attempato stallone, così che la fessa pelosa è in primo piano e le grosse zizze ballonzolano ad ogni affondo del culo grosso come un melone venuto su col sole di mezzanotte. Schizzo dopo qualche secondo, riempiendo due dita di serbatoio. Altro che ritardante! Tuttavia, dopo un paio d'ore gli do un'altra possibilità, testandolo sullo stesso video ma alla scena della pecorina, stavolta... dura un po' di più, ma non a sufficienza da promuoverlo. Con chiunque abbia usato gli altri due, le auguro vivamente che l'effetto sia rientrato nei miei stessi tempi. Brutta stronza!

*

Quando mi sveglio è passata da un pezzo l'ora di pranzo. Dal basso mi raggiungono rumori rivelatori della presenza di Delia. Mi alzo, mi affaccio dalla ringhiera, dalla quale inquadro gran parte dell'open space (definiamo così l'ampio stanzone che fa da cucina, soggiorno, salotto e studio, ma, vista la complessiva decadenza dell'ambiente, è un po' un escamotage linguistico, tipo come chiamare la frittata omelette o il brodino consommè), e infatti, la vedo che infila in una borsa a tracolla il portatile e un mucchio di fogli spillati o tenuti insieme dalle graffette, scartoffie del suo lavoro, insomma, in una sporta dell'OVS, che appoggia sul tavolo prima di liberare la mensola sul piano cottura delle sue tisane e delle boccette di intrugli omeopatici, riponendo il tutto nella stessa busta griffata OVS. Poi, con piglio marziale, sale le scale di legno sbattendo i piedi ad ogni passo, come se schiacciasse scarafaggi, mi passa accanto senza degnarmi di uno sguardo e punta dritto verso il bagno. La sento aprire le ante dell'armadietto con lo specchio sopra al lavandino, rovistarne l'interno e richiuderle con malgrazia. Poi un rumore di zip ed esce col necessaire sotto al braccio. Lo stesso dei profilattici ritardanti. In camera da letto, apre l'armadio, i cassetti, abbranca i vestiti tra le braccia e li getta alla rinfusa in una valigia, lo stesso fa con mutande collant autoreggenti calzini.

- Cosa stai facendo? - le chiedo giusto per dire qualcosa, visto che è evidente come uno stronzo di cane sulla neve in cosa sia impegnata. E infatti non mi risponde, non si volta nemmeno a guardarmi. Allora insisto, stupidamente: - Cos'è, il Viscido prima ti ha scopata e poi ti ha consigliato di fare i bagagli? Perché è da lui che sei andata, no? E dimmi, ti sei fatta sbattere sul lettino dei disturbati tuoi simili, a pecora come piace a te? Ma che razza di donna sei?

- E tu che uomo meschino sei, - scatta Delia, piantando nei miei i suoi occhi di brace, due affilati pezzi di smeraldo appena tirati fuori da una fornace - una mezzasega perversa che si eccita a sapere la sua donna, la donna che dice di amare, scopata da un altro? Guarda lì, tra un po' farà un buco nei calzoni, da tanto che è duro. Mi fai schifo! - e chiude una valigia per aprirne un'altra, un po' più piccola questa, un trolley rosa con  una rotella mancante.

- Quindi è da lui che sei andata? Sei corsa dal tuo strizzacervelli per la cura di potassio? E poi che hai da dire su questo - domando, stringendo nel pugno con ostentata volgarità il pacco effettivamente gonfio - Ti fa schifo un cazzo duro, adesso? Ma non mi dire, una buongustaia come te. Il vecchietto aveva la zucchina lessa, forse? Non sei rimasta soddisfatta? - Parlo a manetta, a vanvera senza pensare, incalzato soltanto da un furioso astio. In realtà, più che con lei ce l'ho con me stesso, per lo spettacolo miserevole che sto offrendo innanzitutto a me, per l'incapacità di fermarmi, di zittirmi, di uscire da quella stanza per preservare almeno una verruca di dignità superstite. Macché!


Delia, dal canto suo, mi tratta come merito e ride. RIDE. Mi sghignazza letteralmente sul grugno e risponde a tono: - Al contrario, bello mio. Il vecchietto, quando sa che vado da lui, si prepara a dovere. Non mi ha mai delusa... - breve pausa – lui.


A quel punto, la scena in rapide sequenze immediatamente mi si materializza nella mente di nuovo impervertita dalla rabbia e dalla gelosia: Delia esce di casa dopo aver sbattuto la porta; entra in macchina, nervosa, le dita che tremano sensibilmente mentre gira la chiave e avvia il motore; esce dal vialetto, si immette sulla strada principale e tiene la carreggiata con la mano sinistra sul volante, mentre con la destra ravana nella borsa aperta sul sedile passeggeri; recupera il cellulare, lo sblocca tracciando col pollice un 1 sul display; scorre le chat su WhatsApp, trova il contatto, pigia l'icona del microfonino e, non trattenendo l'angoscia nella voce, dice: "Sono in macchina, posso passare?", quindi appoggia il cellulare fra le gambe, mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore; seppure negli istanti che seguono si stia interrogando sul senso delle sue azioni, non ha il tempo di darsi una risposta, di accondiscendenza o monito che sia, perché dopo qualche secondo dall'invio del suo SOS il cellulare vibra la risposta: "Ti aspetto". Adesso è più serena, i lineamenti del volto, finora contratti, le si sciolgono morbidamente, sulle labbra, spontanea come una ginestra, ecco l'abbozzo di un sorriso. Nel mentre, mi figuro il Viscido tutto sorridente dietro la scrivania in mogano, gongolante sulla poltrona girevole che si frega le mani, poi se le passa sul viso, come se volesse darsi una sciacquata; ringalluzzito dall'inattesa eventualità di inzuppare il merluzzo, tira un cassetto alla sua destra, estrae il blister delle pillole blu e si fa saltare in bocca una compressa di Viagra, mandandola giù con un lungo sorso di acqua frizzante. Poi chiama la segretaria, le ordina di annullare gli appuntamenti in agenda e le dice di ritornare nel pomeriggio. Solo nel suo studio, ora deve soltanto aspettare. È a questo punto della mia fantasia che noto gli abiti addosso a Delia. Non sono gli stessi con i quali è uscita, inoltre la gonna a balze che indossa e la camicia bianca tutta sbuffi e ricami non glieli ho mai visti prima d'ora e hanno tutta l'aria di essere nuovi di pacca. E questa osservazione fa il paio con la busta dell'OVS che ho visto sul tavolo del soggiorno. Dunque, congetturo, non è andata subito da lui, ma si è fermata a fare shopping, trovando da un lato inopportune la salopette di cotone e le scarpe da tennis, dall'altro considerando utile concedere al Viscido il tempo necessario per farsi trovare in tiro.


- È per questo che ti sei fermata a fare acquisti? Per dare modo alla pillolina di fare effetto?
- Perspicace. Non ti sfugge nulla. Avresti dovuto fare l'inquirente, l'ho sempre detto.
- Quindi, quando hai bussato allo studio era già pronto per sbattertelo dentro?
- Non è di quello che ho bisogno, stronzo, ma di comprensione, di complicità, di essere ascoltata... tutte cose che tu non sai darmi e MAI ne sarai capace.

- Sì sì, immagino... Ti avrà dato tutto l'ascolto e la comprensione di cui hai bisogno, ne sono certo. Cos'è, ti ha fatto accomodare sulle sue ginocchia come faceva quando eri una ragazzina disperata e fuori di testa?

- Sei un bastardo. Un essere schifoso. Non hai dignità, non hai rispetto per niente. Giochi con le mie ferite, incurante, sadicamente, con cattiveria. Sei cattivo! Sei una merda!

- Ci ho preso, vero? Avete giocato al paparino e alla figlioletta... ti sei accoccolata sulle sue gambe, mentre la sua mano ti frugava fra le cosce, sotto la gonna.

- Malato! - La bottiglia di Ferrarelle, lanciata a missile contro di me, mi sibila a un dito dalla tempia e impatta contro il vetro dell'oblo in corridoio, infrangendolo. Allora scatto verso di lei, le blocco le braccia e le rovino addosso, atterrando sul letto sopra di lei. - Lasciami stare - urla cercando di divincolarsi, agitando la testa a destra e a sinistra, così da schiaffeggiarmi il viso con le ciocche bionde e ricce, e scalciando le gambe verso l'alto. - LASCIAMI STAAAREEE!!!


Le intimo di non urlare, di stare zitta se vuole che la lasci, ma lei non se ne dà per inteso e continua a gridare come una matta, grida improperi contro di me intervallati da richieste di aiuto. Per tapparle la bocca, sono costretto a mollarle le braccia e subito mi sguscia via, posizionandosi carponi, però, dandomi il tempo di bloccarle le cosce tra le mie. Non urla più, adesso, mi maledice soltanto, infilando una cattiveria dietro l'altra.


- Cosa vuoi fare, adesso? - chiede con voce cattiva, da sfida - Vuoi scoparmi? Lo so che vuoi scoparmi, sento il tuo cazzo che mi pulsa contro il culo. Solo quello sei buono a fare. Sei solo cazzo.
- Taci, puttana! - la offendo con voce roca. In effetti, il cazzo mi esplode nelle mutande, ma sono incerto sul daffarsi.

- Puttana sarà tua madre. Lasciami andare, adesso, e facciamo che non ti denuncio, porcoschifoso. - Non credo che sia capace di arrivare a tanto, ma è sufficientemente fuori di sé al momento da rendersi piuttosto imprevedibile, quindi allento la presa sulle sue gambe e faccio per alzarmi. Al che lei scoppia in una risata di scherno, sprezzante, almeno quella è l'idea che mi dà, e torna a inveire: - Sei un vigliacco. Lo vedi che uomo sei? Fai il grosso con me, ma sei un vile. Vai, vai, corri dalla mammina... magari ci pensa lei anche al tuo cazzo. - Allora, le stringo di nuovo le gambe nella morsa delle mie e, schiumando come una bestia idrofoba, le tiro su la gonnella e prendo a schiaffeggiarle le chiappe sode e abbronzate con tutt'e due le mani, prima una poi l'altra, tenendo un ritmo ascendente, tipo tribale, grugnendo a ogni colpo, mentre Delia prima grida, poi affonda la faccia nel cuscino mugolando forte, ma senza più urlare. Continuo finché la carne color miele non si chiazza di vermiglio, quindi tiro fuori il cazzo, le strappo il filo del perizoma, divarico le chiappe frollate e appunto la cappella gonfia e violacea contro il buchetto scuro e grinzoso dell'ano.


- È questo che vuoi, troia, è questo che vuoi, vero? - e spingo con forza e senza indugi, finché il grosso non le entra nel budello caldo e stretto. Delia morde il cuscino e, quando le butto su per lo scarico anche il resto del bigolo, si irrigidisce per un attimo, giusto per raccogliere le forze, credo, perché, come prendo a montarla con foga selvaggia, schiantando il mio ventre contro il suo culo, lei risponde colpo su colpo rinculando e, affinché non ci siano dubbi sul movente del suo contributo alla monta in atto, si porta le mani fra le cosce e comincia a masturbarsi con frenesia, incitandomi oscenamente - "fottimi, porcoschifoso, sfondami, bastardodimmerda" - fino a spruzzare liquido dalla fica che inzuppa le lenzuola, tra le sue urla, di voluttà questa volta, e i miei ruggiti che accompagnano una venuta fiume che sembra non dover finire mai. Svuotato, mi accascio su di lei crollandole addosso come corpo morto.


*


Quando riprendo i sensi, Delia è in piedi al mio capezzale. Mi guarda con una piega di disgusto delle labbra appena screpolate. Tiene una per mano le due valigie. Allungo un braccio verso il suo ginocchio, con la lentezza esanime di un naufrago del deserto che chiede un goccio d'acqua, ma lei scatta indietro, come se avesse preso la scossa. Mi guarda ancora per qualche secondo con quell'espressione nauseata, come se stesse masticando una fetta di limone inzuppata nella cicuta, poi agita la testa schifata e, raschiando da qualche parte dentro di sé il fondo limaccioso del suo rancore, mi sputa sulla faccia un bolo di saliva schiumosa nella quale avrebbe potuto sguazzare agevolmente un pesce rosso di taglia media, quindi gira sui tacchi ed esce dalla stanza. Dopo un paio di minuti, sento lo schianto della porta che sbatte.
di
scritto il
2024-06-20
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