La Contessa schiava (parte 10)

di
genere
sadomaso

Ci volle poco, la mattina, per essere svegliata da un sonno che le era sembrato una veglia. Il passo dell'uomo che si dirigeva verso di lei la destò definitivamente.
François la osservò con lo sguardo tipico del Padrone.
Aveva già il cazzo fuori. Il turgore denunciava le sue intenzioni, al pari del frustino che aveva in mano.
“In ginocchio”.
La spinse col piede per farle capire, come se ce ne fosse stato bisogno, chi comandava.
Non le sciolse il guinzaglio, nemmeno le legò i polsi dietro la schiena come inizialmente aveva pensato. Infatti tenne in mano la corda che si era portato.
Non ci fu bisogno di altro ordine. La schiava aveva male alle ginocchia perché stava sulla terra.
Non ci sarebbe stato bisogno di usare il frustino, visto che la schiava era collaborativa, ma il Padrone la colpì comunque sulla coscia. Era un colpo per l’eccitazione, per sentirsi Padrone, per affermare il suo potere di frustare una donna incatenata.
Giocò con la sua bocca, tenendole i capelli saldamente in una mano.
Il cazzo appoggiava sulle labbra, costringendola a sporgerle e a tirare fuori la lingua per leccarlo, ben sapendo la schiava che quel gioco di non metterlo in bocca non la esonerava dal dargli piacere.
La schiava era stanca e questa spossatezza le dava il senso della costrizione la quale, a sua volta, prese a farle scorrere l’adrenalina.
Sentiva l’odore del sesso, dell’eccitazione dell’uomo, di quell’uomo che la voleva scopare, prendere, usare come una bambolina. Era abbastanza forte da fare di lei ciò che avrebbe voluto, tirandola su, facendola voltare. Lei si sentiva nelle sue mani e questo le dava l’eccitazione di soddisfarlo, di dargli piacere in quella posizione di inferiorità.
La lingua percorreva la cappella e cercava di spingere con la testa per farlo entrare in bocca.
Lo voleva, voleva sentirlo in bocca per respirare la sua forza, il suo dominio, avere nelle narici il forte odore del cazzo che sapeva di sesso, quello rude, sporco, forte, eccitante.
Appena lui le liberò la testa, lo guardò dal basso, con uno sguardo che voleva farlo maggiormente eccitare, lo sguardo di una cagna che vuole soddisfare il Padrone.
Lo inserì in bocca fino in fondo, come sapeva che a lui dava piacere.
Interpretava i leggeri colpi di frustino sul fianco e sulla coscia come indicatori del ritmo che lui voleva lei tenesse. Si spostava solo per istinto, a volte, quando aveva paura o il precedente colpo era stato un po’ più forte, ma si rimetteva in posizione per fargli vedere la sua voglia di soddisfarlo.
Erano colpi di dominio, non come quelli del giorno precedente, che il dominio lo dovevano ancora affermare. Questi presupponevano già la sua esistenza e consistevano nell’esercizio dello stesso per ricordarle che era una schiava, cagna da sesso come in quel momento era.
Con le mani libere cominciò a giocare con i testicoli.
Anche le frustate, abbastanza leggere, ebbero l’effetto di eccitarla, quell’eccitazione che arriva alla figa solo dopo essere passata dalla testa per la situazione costruita, per essere stata tenuta come una cagna e averla portata sul gradino più basso, un gradino dove non era mai stata.
Quel cazzo era durissimo.
Il Padrone, che non aveva mai parlato se non per farla mettere in ginocchio, aveva comandato con le mani o il frustino.
Così fece anche quando tolse il cazzo e, tirandola per il guinzaglio, la fece alzare in piedi.
Le legò i polsi ad un anello in alto nel palo facendosi dare le spalle. L’anello era appena sopra l’altezza della testa della schiava, utilizzato per i cavalli.
La donna poteva così stare indietro sporgendo il culo, anzi, offrendolo al sesso, tenendo la schiena incurvata verso il basso, quasi formando una sella.
Il Padrone le si mise dietro e la scopò nella figa. Non si fece domande quando la trovò bagnatissima, pronta ad accoglierlo.
Mentre la scopava le teneva la testa tirandola indietro, con l’effetto aumentare l’offerta della figa perchè la schiena era ancora più incurvata verso il basso, essendo costretta a stare con la testa reclinata indietro, col viso in alto ed il collo che tirava costretto nel collare di ferro.
Il Padrone, all’apice del piacere, cominciò a dare forti sculacciate, a mano piena, per ottenere un suono pieno, forte, di potere, di sesso, di piacere.
Le godette nuovamente in figa. Al momento dell’orgasmo spinse il cazzo dentro il più possibile e restò fermo fino a che non l’avesse riempita del proprio piacere.
Soddisfatto, se ne andò, senza parlarle, lasciandola incatenata, ormai inutile, legata ad una anello tanto alto da non consentirle nemmeno di sedersi a terra.
Venne slegata più tardi.
La Contessa ritornò ad essere la Contessa dopo essersi rivestita ed indossato i gioielli.
In quel momento i due contadini si resero conto che tutto era cambiato. Non seppero come rapportarsi con lei che era tornata ad essere la Padrona.
Anche lei si sentì tale e li guardò con uno sguardo nuovo, non solo di superiorità.
Ora quei due contadini avevano avuto accesso alla sua sfera più intima e sapevano troppo di lei, avrebbero potuto parlare, raccontare, vantarsi, ricattare.
Appena entrata al castello aspettò il rientro del Conte, assentatosi per una battuta di caccia.
Narrò di essere stata assalita da due contadini e molestata, molto malamente. L’avevano toccata, quasi spogliata ma lei era riuscita a scappare per tempo.
Le avevano solo rubato alcuni vestiti che voleva donare ai poveri e la collana che, in effetti, aveva appositamente lasciato cadere dietro ad una sedia in quella casa, quale futura prova del suo racconto.
Il Conte era inorridito. Era stata sfiorata la tragedia. Nelle sue terre non potevano accadere quelle cose.
Chiamò 5 dei suoi cavalieri più fidati.
Narrò loro solo del furto a ordinò di andare a fare giustizia, la sua.
di
scritto il
2024-07-10
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