L’arrivo dei coniugi schiavi (parte 1)
di
Kugher
genere
sadomaso
“Smettila Hamisi, va a finire che ti sporchi i pantaloni e facciamo tardi”.
La donna era davanti allo specchio e si stava infilando gli orecchini d’oro. Le piacevano molto. Erano stato il primo regalo di Hamisi dopo il matrimonio.
Erano trascorsi oltre 20 anni da allora e quegli oggetti continuavano a restare il simbolo della loro unione.
I pendenti erano costituiti da una perla e “Perla” era il nomignolo preferito dal marito per rivolgersi a lei.
Dovevano recarsi all’aeroporto e lei era eccitata.
La tensione le fece cadere l’orecchino di destra sul tavolino davanti allo specchio.
Nel prenderlo la mano sfiorò la foto in cui lei ed il marito, con la frusta in mano, avevano, quale simbolo di conquista, il piede appoggiato su Simona, nuda, stesa a terra e col corpo segnato dall’uso di quelle fruste che avevano in mano, tanto lunghe da toccare terra.
Simona era stata la loro prima schiava. Era italiana e, da allora, avevano sempre voluto una schiava di quella nazionalità.
Le trovavano eleganti ed eccitanti con la loto tipica bellezza mediterranea.
La fotografia era stata scattata il giorno stesso del suo acquisto. Erano entrambi eccitati, appena sposati e i genitori di lei avevano regalato appunto quell’esemplare italiano.
L’avevano ordinata direttamente dall’Italia ed era giunta qualche mese dopo in Africa, consegnata direttamente nella villa dei suoi genitori.
Era stata una sorpresa. Erano stati invitati per la cena. Durante l’aperitivo la madre si era allontanata per tornare poco dopo con quella meraviglia, nuda, con i polsi legati dietro alla schiena, elegante e slanciata sulle scarpe rosse dal tacco altissimo. Il colore delle scarpe si abbinava perfettamente con il fiocco rosso legato al collo, al quale era attaccato il guinzaglio, anch'esso rosso, tenuto dalla madre.
L’avevano appesa al soffitto e si erano divertiti a segnare la loro nuova proprietà con le lunghe fruste, anch’esse regalo dei genitori unitamente a due frustini da equitazione.
Era stato il padre di Ayana ad avere l’idea, una volta slegata la schiava che era crollata a terra, di far mettere gli sposi in posa con i piedi sulla loro nuova proprietà.
Erano passati tantissimi anni, troppi, da quella foto. Quella schiava, della quale a fatica ricordava il nome, era stata venduta, perché invecchiata.
Giusto per ciò che rappresentava, l’avevano tenuta qualche anno solo come schiava da fatica, perché spiaceva separarsene, regalo dei genitori che, qualche anno dopo, erano morti in un incidente stradale.
Alla fine, però, si erano risolti a cederla.
Quell’immagine era l’unica cosa che la ricordava anche se il significato di quella foto era il loro matrimonio ed il regalo dei genitori.
Ayana distolse i pensieri dal passato per i quali aveva lasciato sospesa a mezz’aria la mano con l’orecchino che infilò nel buco dell’orecchio.
Restò a rimirarsi allo specchio con i due orecchini ed il viso truccato con attenzione.
Era una donna molto vanitosa ed attenta alla forma. Ci teneva ad essere sempre a posto.
Restava da dare l’ultimo colpo ai capelli.
Si sistemò meglio sulla schiena di Biko, il giovane schiavo nero che, fatto sistemare a quattro zampe, in quel momento fungeva da sedia per la Padrona.
Era nudo, come erano soliti tutti gli schiavi.
La donna accavallò la gamba scoprendola dallo spacco della lunga gonna ampia. Le piaceva avere sempre un particolare che potesse risultare sensuale. Pur essendo ancora una bella donna, gli anni non le consentivano più di vestirsi in maniera sexy, come le piaceva fare quando la freschezza del suo corpo era tale da poterglielo permettere.
Era seduta da tempo sulla schiena dell’uomo ed il movimento lo mise a dura prova, facendolo muovere più del dovuto.
“Sta fermo, schiavo! non ho finito”.
Lo schiavo non rispose. Aveva da tempo imparato quando non era il caso di dare risposte, e quello era uno dei momenti in cui il silenzio era dovuto.
Ayana guardò ancora il marito nello specchio.
“Ho quasi finito. Smettila prima di sporcarti i pantaloni. Poi ci impieghi un sacco di tempo a cambiarti e rischiamo di fare tardi”.
“Tranquilla, amore, è tutto sotto controllo. Se mi dovesse sporcare i pantaloni sa che le segnerei la schiena”.
L’uomo era già pronto. Lo era da tempo. Non aveva la stessa cura ed attenzione della moglie nel vestirsi.
Solitamente lei gli faceva trovare pronti gli abbinamenti dei capi di abbigliamento.
Mentre l’aspettava gli piaceva guardare la moglie che si curava l’aspetto, seduta sullo schiavo nero, sul quale spiccava il candido abito bianco della sua amata.
Aveva aperto la cerniera e si stava facendo succhiare il cazzo dalla schiava, Chloé, una giovane francese che avevano acquistato da un paio di anni.
La ragazza, nuda come tutti gli schiavi, aveva i polsi legati dietro alla schiena e, inginocchiata, era intenta a dare piacere al Padrone.
Era sotto tensione in quanto aveva l’ordine di tenerlo eccitato senza farlo godere. Questo era un problema, posto che la bocca per lui era una fonte di forte eccitazione e spesso arrivava all’orgasmo. La schiava, quindi, doveva stare attenta che questo non accadesse. Appena lo sentiva diventare troppo duro rallentava il lavoro con la lingua. Non poteva, però, permettere che il cambio di ritmo togliesse tensione al cazzo perché questo le sarebbe costato, come era già accaduto, una punizione.
Il Padrone la prese per i capelli e le tirò indietro la testa per farle uscire il cazzo duro dalla bocca.
“Stai attenta a non sporcarmi i pantaloni”.
Accompagnò l’ammonimento con un inutile schiaffo, dato più per affermare qualcosa che era scontato, prima di spingere nuovamente la testa fino a far arrivare il cazzo in gola.
La donna era davanti allo specchio e si stava infilando gli orecchini d’oro. Le piacevano molto. Erano stato il primo regalo di Hamisi dopo il matrimonio.
Erano trascorsi oltre 20 anni da allora e quegli oggetti continuavano a restare il simbolo della loro unione.
I pendenti erano costituiti da una perla e “Perla” era il nomignolo preferito dal marito per rivolgersi a lei.
Dovevano recarsi all’aeroporto e lei era eccitata.
La tensione le fece cadere l’orecchino di destra sul tavolino davanti allo specchio.
Nel prenderlo la mano sfiorò la foto in cui lei ed il marito, con la frusta in mano, avevano, quale simbolo di conquista, il piede appoggiato su Simona, nuda, stesa a terra e col corpo segnato dall’uso di quelle fruste che avevano in mano, tanto lunghe da toccare terra.
Simona era stata la loro prima schiava. Era italiana e, da allora, avevano sempre voluto una schiava di quella nazionalità.
Le trovavano eleganti ed eccitanti con la loto tipica bellezza mediterranea.
La fotografia era stata scattata il giorno stesso del suo acquisto. Erano entrambi eccitati, appena sposati e i genitori di lei avevano regalato appunto quell’esemplare italiano.
L’avevano ordinata direttamente dall’Italia ed era giunta qualche mese dopo in Africa, consegnata direttamente nella villa dei suoi genitori.
Era stata una sorpresa. Erano stati invitati per la cena. Durante l’aperitivo la madre si era allontanata per tornare poco dopo con quella meraviglia, nuda, con i polsi legati dietro alla schiena, elegante e slanciata sulle scarpe rosse dal tacco altissimo. Il colore delle scarpe si abbinava perfettamente con il fiocco rosso legato al collo, al quale era attaccato il guinzaglio, anch'esso rosso, tenuto dalla madre.
L’avevano appesa al soffitto e si erano divertiti a segnare la loro nuova proprietà con le lunghe fruste, anch’esse regalo dei genitori unitamente a due frustini da equitazione.
Era stato il padre di Ayana ad avere l’idea, una volta slegata la schiava che era crollata a terra, di far mettere gli sposi in posa con i piedi sulla loro nuova proprietà.
Erano passati tantissimi anni, troppi, da quella foto. Quella schiava, della quale a fatica ricordava il nome, era stata venduta, perché invecchiata.
Giusto per ciò che rappresentava, l’avevano tenuta qualche anno solo come schiava da fatica, perché spiaceva separarsene, regalo dei genitori che, qualche anno dopo, erano morti in un incidente stradale.
Alla fine, però, si erano risolti a cederla.
Quell’immagine era l’unica cosa che la ricordava anche se il significato di quella foto era il loro matrimonio ed il regalo dei genitori.
Ayana distolse i pensieri dal passato per i quali aveva lasciato sospesa a mezz’aria la mano con l’orecchino che infilò nel buco dell’orecchio.
Restò a rimirarsi allo specchio con i due orecchini ed il viso truccato con attenzione.
Era una donna molto vanitosa ed attenta alla forma. Ci teneva ad essere sempre a posto.
Restava da dare l’ultimo colpo ai capelli.
Si sistemò meglio sulla schiena di Biko, il giovane schiavo nero che, fatto sistemare a quattro zampe, in quel momento fungeva da sedia per la Padrona.
Era nudo, come erano soliti tutti gli schiavi.
La donna accavallò la gamba scoprendola dallo spacco della lunga gonna ampia. Le piaceva avere sempre un particolare che potesse risultare sensuale. Pur essendo ancora una bella donna, gli anni non le consentivano più di vestirsi in maniera sexy, come le piaceva fare quando la freschezza del suo corpo era tale da poterglielo permettere.
Era seduta da tempo sulla schiena dell’uomo ed il movimento lo mise a dura prova, facendolo muovere più del dovuto.
“Sta fermo, schiavo! non ho finito”.
Lo schiavo non rispose. Aveva da tempo imparato quando non era il caso di dare risposte, e quello era uno dei momenti in cui il silenzio era dovuto.
Ayana guardò ancora il marito nello specchio.
“Ho quasi finito. Smettila prima di sporcarti i pantaloni. Poi ci impieghi un sacco di tempo a cambiarti e rischiamo di fare tardi”.
“Tranquilla, amore, è tutto sotto controllo. Se mi dovesse sporcare i pantaloni sa che le segnerei la schiena”.
L’uomo era già pronto. Lo era da tempo. Non aveva la stessa cura ed attenzione della moglie nel vestirsi.
Solitamente lei gli faceva trovare pronti gli abbinamenti dei capi di abbigliamento.
Mentre l’aspettava gli piaceva guardare la moglie che si curava l’aspetto, seduta sullo schiavo nero, sul quale spiccava il candido abito bianco della sua amata.
Aveva aperto la cerniera e si stava facendo succhiare il cazzo dalla schiava, Chloé, una giovane francese che avevano acquistato da un paio di anni.
La ragazza, nuda come tutti gli schiavi, aveva i polsi legati dietro alla schiena e, inginocchiata, era intenta a dare piacere al Padrone.
Era sotto tensione in quanto aveva l’ordine di tenerlo eccitato senza farlo godere. Questo era un problema, posto che la bocca per lui era una fonte di forte eccitazione e spesso arrivava all’orgasmo. La schiava, quindi, doveva stare attenta che questo non accadesse. Appena lo sentiva diventare troppo duro rallentava il lavoro con la lingua. Non poteva, però, permettere che il cambio di ritmo togliesse tensione al cazzo perché questo le sarebbe costato, come era già accaduto, una punizione.
Il Padrone la prese per i capelli e le tirò indietro la testa per farle uscire il cazzo duro dalla bocca.
“Stai attenta a non sporcarmi i pantaloni”.
Accompagnò l’ammonimento con un inutile schiaffo, dato più per affermare qualcosa che era scontato, prima di spingere nuovamente la testa fino a far arrivare il cazzo in gola.
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