Tutti quei ragazzi (e quelle ragazze) - Intrecci 1/2

di
genere
etero

- Siamo in after? Ancora no? Tre... due... uno... daje, ‘namo, partiti!
- Voglia di fare cazzate zompame addossooo!

A ripensarci, posso dire senza timore di essere smentita che quella che è seguita a queste scemenze è stata l’unica, vera, genuina risata di gusto che ci siamo fatti io e Daniele. Forse perché era una notte al tempo stesso ordinaria e speciale: decidere di restare svegli fino a nuovo ordine, chissà fino a quando, di andare a fare colazione a Ostia in un posto “che conosce lui”, e poi si vede. Magari andare a sporcarsi di sabbia finché non arrivano le prime orde di bagnanti, chi lo sa?

Cazzate su cazzate. Sappiate che erano le tre di notte e che, lo dico per chi non è di Roma, per raggiungere Ostia a quell’ora ci vorrà una mezzoretta anche andando piano. Potete rendervi conto da soli che c’era qualcosa che non andava. Gli orari non tornano, no? Non c’era nessun bar aperto in fondo a via Cristoforo Colombo, su quel piazzale di fronte al mare che porta lo stesso nome. Non c’era nessun posto “che conosceva lui”. C’era il buio totale e la desolazione, anche un po’ di paura. C’era la luce gialla di un lampione sotto al quale ci siamo piazzati perché non si sa mai. C’era il nostro solito mood, il “rollo una canna”, “ok”, “però non ce la fumiamo in macchina”, “io ho paura a scendere”. C’era il suo braccio attorno alla mia spalla e la mia testa sulla sua, c’era che non eravamo nemmeno capaci di andare in after e di starci come Cristo comanda. Ci siamo addormentati. Che fine ingloriosa.

La luce del giorno ci ha svegliati e ci ha detto di tornare a casa mentre non c’era ancora nessuno per strada. Senza nemmeno fare colazione, tra l’altro. La luce del giorno però non è riuscita a cancellare il fatto che questa era davvero “una notte al tempo stesso ordinaria e speciale”.

Speciale perché era la prima volta che io e Daniele eravamo usciti di sabato notte.

Ordinaria perché era ormai diventato ciclico quello che facevo il sabato notte. E anche il venerdì.

- Ho voglia di scopare – gli ho detto guardando di fronte a me. Il tono di voce era quello di una sovrappensiero, o forse di un automa.

Daniele si è voltato con quegli occhi vuoti che ogni tanto metteva su. Se fossi stata un’aringa non mi avrebbe guardata in modo diverso. Non ha risposto.

- No dai – ho detto allungando la mano tra le sue gambe – fattelo venire duro e scopami.

Una “notte speciale”, a forza di ripetercela sta cazzata diventa vera. Curva di novanta gradi, un pro forma, giusto per non restare sullo stradone a scorrimento veloce. Ma qualche macchina ogni tanto passa – poche, considerata l’ora – e noi siamo proprio sul ciglio della strada. Per cui sì, quella che avreste potuto veder saltare come un’ossessa sopra il sedile di guida e che ogni tanto faceva suonare il clacson con la schiena ero io, nuda dalla vita in giù. E quello sotto era lui, con i pantaloni sbottonati lo stretto necessario e che si muoveva quasi niente, non mi baciava e non gradiva neanche essere baciato. Magari da fuori potevate sentire gli strilli. Ho strillato molto di più per il suo orgasmo che per il mio, a un certo punto ho sentito fortissimo il desiderio che venisse: “Sborra sborra sborra!”. Quando ho avvertito le classiche spinte, le contrazioni dell’uccello e il suo seme spruzzato dentro sono quasi impazzita. Sono una che strilla parecchio, in quel periodo anche di più e non solo quando mi scopavano.

Come qualche sera prima, chiusa in auto da sola con la musica a palla e la laringe squarciata dalle urla che quasi spaccavano i vetri. Lo strazio da dentro, il bad trip, l’attacco di panico, il dolore assoluto. Per la prima volta il desiderio che un essere superiore facesse un reset definitivo di me stessa.

Ufficio complicazioni cose semplici. È un modo di dire, no? L'abbiamo usato tutte e tutti, chi più chi meno. Beh, io non avrei avuto nessun bisogno di complicarmi la vita, ma evidentemente ci godevo a farlo. Non più “teen” da nemmeno un anno e già mi ero ficcata dentro una serie di bordelli che si incastravano l'uno dentro l'altro come scatole cinesi. E il bello - si fa per dire - è che me ne rendevo conto perfettamente, con lucidità. Magari non come adesso che qualche estate è passata e che ci ripenso e ci scrivo pure sopra, ma ero lucida e riconosco di essermi gettata a capofitto e con tutte le scarpe dentro un vortice che mi sballottava qua e là, mi girava e mi rigirava, mi scaraventava per terra e mi proiettava in alto. A volte controllavo tutto, a volte mi sentivo completamente in balìa degli eventi. E dulcis in fundo: MI PIACEVA. Ho avuto un paio di disavventure, è persino naturale, ma ho avuto anche dei bei momenti, molto più di un paio. E ho avuto anche la “normalità”, o almeno quella che puoi chiamare “normalità” una volta che ti sei assuefatta. Mi piaceva.

Sì ok, sesso, ma non solo. Al sesso, fatto perlopiù con gente conosciuta lì per lì, bisogna aggiungere un altrettanto svariato numero di hangover (non solo da alcol), serate da scema, notti insonni, sostanze proibite e sostanze perfettamente lecite: alcol, analgesici, stimolanti, antiinfiammatori, antidepressivi... Quasi un anno prima di quella notte a Ostia – in un posto un po’ fighetto fatto per gente un po’ fighetta – avevo capito che se la scintilla da sola non scattava… beh, c’era sempre il modo di farla scattare. Una scintilla un po’ artificiale, diciamo, ma che differenza faceva? Piano piano è diventata la regola. Non compativo gli altri ma non ho mai compatito nemmeno me stessa, per questo. Potevo essere molto empatica, soprattutto se veniva a mio vantaggio, potevo essere molto stronza. Certe volte mi sembrava di essere l'angelo sterminatore che sorvola, compiacendosi con un sorrisino ironico, le macerie fumanti che egli stesso ha lasciato dietro di sé. Anche se al fondo sapevo di essere debole, non sopportavo la debolezza altrui. Salvo eccezioni.

Ne ho parlato, naturalmente. L'ho fatto con le uniche due persone con le quali mi potevo confidare, le mie amiche più care. Non che mi aspettassi granché come consigli pratici, se non le solite raccomandazioni a stare attenta, però con qualcuno dovevo pur confidarmi. Magari non è il modo migliore per dirlo e mi capiranno in pochi, ma a volte mi sembrava di correre contro il tempo. Con frenesia.

Con frenesia correvo negli studi, per esempio, come se avessi davvero potuto accorciare il mio tempo di permanenza all'università. D'altronde tutti hanno le loro nevrosi, io avevo questa. Ma allo stesso tempo, cinque giorni alla settimana, era una specie di corsa dentro la corsa. Verso il venerdì notte e il sabato, in cui l'obiettivo sembrava essere uno solo: farmi esplodere il cervello. La domenica in genere la usavo per recuperare, ma non sempre bastava. Poi tornavo a essere l'impeccabile ragazza e studentessa che, al di fuori delle mie notti folli, tutti conoscevano. Lo facevo quasi con naturalezza, quasi certamente per carattere ed educazione. Ma dopo un po’ non mi sopportavo.

Stress? Sì, può essere. Ero al secondo e andava un po' meglio, ma il primo anno di università è stato durissimo. Durissimo per come sono fatta, voglio dire. Avrei potuto prenderla in modo un po' più morbido e accontentarmi, ma non ero il tipo – quasi sempre la competitività mi acceca - non volevo solo fare in fretta, volevo primeggiare, essere portata ad esempio. È sempre stato così.

Contemporaneamente era come se avessi il bisogno di distruggere me stessa. Cioè no, il bisogno sarebbe stato quello di distruggere almeno temporaneamente la mia immagine e quello che rappresentavo per gli altri. La distruzione di me stessa è stata solo una inevitabile conseguenza. Ma parlarne ci porterebbe altrove.

Accanto a tutto questo, e talora inestricabilmente intrecciato, il sesso. Anche quello è un bisogno che ho sempre avuto, sotto varie forme. A volte faceva parte della mia opera di autodistruzione e a volte no. Certe sere uscivo di casa pensando a quale maschera avrei indossato per sedurre qualcuno: mi divertiva molto giocare in generale, anche se non è detto che si dovesse per forza finire a fare roba. Altre sere pensavo che andava bene il primo che capitava, perché avevo voglia e se avevo voglia il sesso me lo prendevo. Non andavo davvero con il primo che capitava, eh? È per rendere l'idea. Ma comunque ero una che poteva permettersi di scegliere. Però il sesso occasionale comporta sempre una certa dose di rischio, anche se ci stai attenta. Io cercavo di starci attenta ma se il tuo comportamento è la conseguenza del tuo sballo i rischi aumentano, e non è che quando attraversi certe nottate incontri sempre Monsignor Della Casa.

Un po’ penso che il mio modo di fare fosse almeno in parte una forma di autodifesa dal pessimo gusto con cui sceglievo le persone con le quali, almeno in linea teorica, mi sarebbe venuto di avviare relazioni stabili. L'amore l'avevo sperimentato con il mio primo ragazzo, e ne ero uscita emotivamente frantumata. Billie Eilish l'ha cantato un po' di tempo dopo, ma io l'avevo già pensato prima di lei: magari fosse stato frocio. Dopo di lui, il tappabuchi (intendetelo anche in senso osceno, se volete) è stato uno scopamico, davvero un ragazzo speciale. Ne ho avuti altri di scopamici ma mai nessuno come lui, però è finita, scivolata tra le dita come la sabbia. Altri due avrebbero potuto essere altrettante storie: un trentenne di Firenze e un ragazzo di Roma, un tipo molto "intellettuale". Mi sono infatuata di loro ma in entrambi i casi ero la seconda arrivata. Per me non è un caso che me li scegliessi così, dovevo avere un sensore speciale che mi spingeva a cercare storie più lunghe di una scopata solo con chi era già più o meno di qualcun’altra.

E infine, l’annuncio dell’estate di quell’anno mi aveva regalato due conoscenze particolari che, lo sapevo fin dall'inizio, avrei fatto uscire dalla mia vita con la stessa facilità con cui le avevo fatte entrare. In questo caso le accezioni oscene sono proibite: intendo proprio dire "vita".

Il primo è stato un rapporto di amore/odio. È un'altra iperbole cui ricorro per farmi capire, perché in realtà non lo amavo e non lo odiavo: era un uomo sposato che forse mi attraeva perché non avevo idea di come scopasse o di come avesse il cazzo, ma aveva una indole perversa e quando ci smessaggiavamo mi faceva letteralmente colare. Misteri della mente. Ma voglio prima parlare dell'altro, che era completamente diverso, era l'opposto. Anzi, ve ne ho già cominciato a parlare, era Daniele, proprio lui.

Trent'anni spaccati, tatuato, taciturno, cocainomane, depresso. Tutto quello che si può pensare di male e di bene lui lo era. Una sera mi aveva invitata a cena e io avevo accettato perché in quel momento mi annoiavo. La cena gli è costata duecento euro e non mi ha nemmeno baciata, la conversazione è stata carina ma ho parlato per lo più io. L'ho sentito ancora e l'ho tirata avanti per tutta l'estate, anche se in mezzo c'è stato un viaggio con i miei tra Barcellona e la Provenza, un corso d’inglese a Londra, le vacanze in Croazia e, naturalmente, lo studio e gli esami all'università. Prima, durante e dopo, a scandire la fine di quasi ogni settimana, tutta quella costellazione di eccessi di cui vi parlavo prima.

Con Daniele invece uscivo giusto ogni tanto e non è che scopassimo. Lui non mi accarezzava nemmeno una mano e io, boh, all’inizio credevo di non piacergli. In definitiva neanche lui mi piaceva così tanto da quel punto di vista. D'accordo, avrei potuto dargliela diverse volte, ma quasi sempre le mie voglie le avevo placate o mi apprestavo a placarle con qualcun altro. Però una sera mi ha baciata e qualcosa di quel bacio mi è piaciuto, anche se non so bene cosa. C'è voluto ancora un bel po’ per farmi scopare almeno decentemente.

E no, non mi riferisco alla scopata in macchina di cui parlavo all’inizio del racconto perché non è ciò che intendo per “decentemente”. Tuttavia, ve l’ho detto sempre prima, spero che siate stati attenti, quella notte qualcosa di davvero speciale nell’aria c’era, visto che comunque abbiamo fatto sesso dopo svariate volte in cui - non capivo il perché, non mi era mai successo - non ero riuscita a farglielo venire duro.

È così. Dopo quel primo bacio che mi aveva sorpresa ce ne erano stati altri, avevo provato spesso a prendere l'iniziativa e, quando parlo di "iniziativa", parlo dell'esplorazione che può intraprendere la mano di una ragazza tra le gambe di un ragazzo. E non solo la mano, naturalmente. Ho pensato fosse la cocaina, ho pensato fossi io, ho pensato fosse lui.

Le poche volte che ci addentravamo nel territorio del sesso – normalmente in macchina - mi toccava per farmi venire e basta, poi con la mente si allontanava e mentre io riprendevo la regolarità del respiro pensava già ad altro. Anche io avrei voluto altro ma non fraintendete, non sto parlando del cazzo, anche se probabilmente il cazzo c'entra: avrei voluto qualcosa di intimo, che mi facesse sentire "sua" se non altro scopando.

Una sera che abbiamo girato ore per comprare un grammo mi ha raccontato della sua depressione, della tossicodipendenza, della voglia che aveva di morire, dell'amore di sua madre che per farlo disintossicare l'aveva denunciato e del fatto che ora la cocaina la tirava ogni tanto ma che prima la fumava. Mi ha raccontato di come si prepara quello che più comunemente si chiama crack (mai provato, grazie a Dio). Io non ho detto una parola, per tutto il viaggio ho guidato e ricordo perfettamente che non pensavo, ascoltavo e il mio cervello era sotto choc e così è rimasto anche mentre si preparava le prime righe sul telefono. Alla fine ha steso una striscia anche per me, l'ho tirata e poi l'ho guardato: mi ha detto "io ti sto affidando la mia vita". Lo so che non è molto romantico, ma subito dopo si è allontanato per pisciare e io - guardandolo di spalle con le gambe allargate e ascoltando lo scroscio - ho pianto. Quella volta abbiamo visto l'alba da un enorme spartitraffico di in un posto che si chiama Cecchignola e non so il motivo ma un po' l'ho incominciato ad amare proprio da lì, dalla confessione. Lui mi definiva "normale", diceva che aveva paura di me e che non ero una ragazza che gli sarebbe potuta piacere, che ero troppo magra e che non avevo abbastanza tette, che parlavo e lo baciavo troppo, e soprattutto non avevamo in comune la sua ex dipendenza. Secondo lui non avrei mai potuto capirlo anche se avrei potuto salvarlo. Mi ha pure detto che mi amava, ma senza farmi vibrare particolarmente anche perché subito dopo ha aggiunto che lui per me era sbagliato anche se io forse ero quella giusta per lui. Io non ho saputo rispondere, dentro di me da una parte sentivo qualcosa che mi diceva "buttati!" e dall'altra qualcosa che mi diceva "scappa!". Ho anche pensato che mi volessi infliggere una punizione per quello che ero, ma ho comunque continuato in questa specie di relazione a singhiozzo, forse proprio perché mi destabilizzava.

Una notte sono tornata a casa distrutta dopo essere stata trattata male da due stronzi, ma proprio male male male. Ero ancora mezza fatta, insonne e raffreddata nonostante il caldo, ammaccata è dire poco. Ma in un angolo del mio cervello ero invece lucidissima. Ho pensato intensamente a Daniele, quasi fino al dolore, alle lacrime. Avrei voluto che mi consolasse, avrei voluto due carezze sulle gambe nude, sui miei lividi e due baci sul collo, addormentarmi fra due braccia protettive. Ho pensato che non avevo mai avuto niente di tutto questo da lui. Cioè, qualcosa avevo avuto, ma niente di "profondo". Non so se capite ma non mi viene un altro modo di dirlo. Ora, io non so perche volessi delle coccole proprio da lui e non so neanche perche continuassi quella relazione. La mia bff mi strappò una risata dicendo che mi era tornata la sindrome premestruale pur sapendo benissimo che non avevo più questi problemi. In un momento di consapevolezza le risposi che preferivo non parlarne e non pensarci più perché già così mi sembravo pazza.

Poi è arrivata quella notte a Ostia e il sesso, la nostra prima volta. E un po' di tempo dopo la seconda, a casa sua, che come scopata non è nemmeno andata malaccio. Credo che sia stata l'unica volta che ha spento il suo cervello tormentato e mi ha bombata come un animale. Avevamo entrambi una voglia enorme e tutta fisica di sfogarci. Ma era comunque troppo poco per abbattere quel diaframma invisibile che c'era tra noi, che c'era sempre stato e che, lo sapevo io per prima anche se mi illudevo, ci sarebbe stato sempre. Ho combattuto un po’ con questo ennesimo sentimento di sconfitta che tra noi era una costante, un convitato di pietra sempre presente. In un altro e definitivo momento di sanità mentale ho però deciso di dare retta a quella voce che dentro di me diceva "scappa!". Ho chiuso via WhatsApp come una stronza, in modo violento, sono stata irragionevole. L’estate ormai era finita.

1. CONTINUA
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2024-07-18
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